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SPUNTI E CENNI STORICI1
• L’annuncio del concluso armistizio con gli Alleati, diffuso dalla
radio la sera dell’8 settembre 1943, trovò l’Italia e le sue Forze
Armate, logorate da tre anni di guerra, nella seguente precaria
situazione: Sicilia e Calabria occupate dagli anglo-americani,
la restante parte della Penisola praticamente occupata e
controllata dai tedeschi i quali, attuando un piano preordinato
(Operazione Achse), avevano dislocato in Italia ingenti forze,
la maggior parte delle quali affluite dopo la caduta del
fascismo.
• Complessivamente, la sera dell’8 settembre erano presenti,
dalle Alpi alla linea del fronte presidiata dagli Alleati, dal
Tirreno all’Adriatico lungo i fiumi Garigliano e Sangro, 17
Divisioni tedesche e un considerevole numero di altre unità
non indivisionate, ma presenti ovunque.
• Con queste forze i tedeschi avevano raggiunto lo scopo di
controllare i centri nevralgici del Paese e di incapsulare le
forze italiane.
• L’Esercito italiano, per contro, era dislocato, con molte delle
sue forze più efficienti, nei teatri operativi esterni come
Provenza, Corsica, Slovenia, Croazia, Dalmazia, Erzegovina,
Montenegro, Albania, Grecia e Mar Egeo, e perciò non
immediatamente recuperabili per la difesa del territorio
nazionale.
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Tratti da L’Esercito Italiano – Dall’Armistizio alla Guerra di Liberazione 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945, a cura di
Filippo Cappellano e Salvatore Orlando, Stato Maggiore Esercito - Ufficio Storico.
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• A
questa
situazione
si
aggiunse
il
grave
difetto
di
comunicazione e trasmissione degli ordini tra Comando
Supremo e le unità operative che portò al collasso del sistema.
Il Comando Supremo, infatti, aveva diramato i Promemoria 1 e
2, datati 6 settembre 1943, che giunsero in ritardo o non
giunsero affatto alle Grandi Unità di sua diretta dipendenza e
in gran parte dislocate fuori dei confini nazionali.
• Peraltro, quelle disposizioni in molti casi riuscirono di difficile
applicazione perché
il
tassativo
ordine trasmesso per
telescrivente (24202/OP dell’8 settembre 1943) dal Comando
Supremo agli Stati Maggiori delle tre Forze Armate «non deve
essere però presa iniziativa di atti ostili contro germanici»
attenuò o spense del tutto in partenza ogni possibilità di
successo.
• I tedeschi diedero immediato corso alle misure che avevano
accuratamente studiato, per contro numerosi reparti italiani,
piombati all’improvviso nello smarrimento anche per carenza
di ordini precisi, altri assaliti mentre erano in trasferimento, non
furono in grado di opporre una valida resistenza.
• Tuttavia, non è esatto dire che l’Esercito italiano si arrese. Non
poche unità reagirono con fermezza, e altrettanto fecero, con
impennate di orgoglio, numerosi reparti minori.
• Molto spesso si sono esasperati i fatti meno edificanti che in
quei frangenti non poterono certo mancare, proclamando che
l’armistizio aveva provocato il completo dissolvimento delle
nostre Forze Armate. Non fu così.
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• Dalla sera dell’8 settembre, infatti, un gran numero di unità
reagì combattendo agli attacchi sferrati dai tedeschi. Inoltre, se
le Forze Armate italiane si fossero dissolte, non avrebbero poi
preso parte alla guerra di Liberazione.
• Molti reparti, perplessi di fronte agli ordini, in ritardo e di incerta
interpretazione, anche in conseguenza dell’orientamento di
non attaccare per primi e di fronte alla fuga del governo e della
Casa regnante, così come alcuni Comandi di Grandi Unità, nei
giorni seguenti all’armistizio, furono posti dai tedeschi nella
impossibilità di esercitare la loro azione. Altri furono sciolti dai
loro comandanti per salvare gli uomini dalla cattura. Altri
ancora, non si può negare, si sbandarono completamente a
causa del generale smarrimento. Ma una valida e fierissima
reazione agli attacchi dei tedeschi ci fu e si manifestò in molti
reparti. E proprio a Roma si svolsero i combattimenti più
cruenti che costarono la vita a oltre 400 militari, circa 200
civili e 800 feriti. Questi, insieme ai 1.253 caduti della
corazzata “Roma” (affondata nel pomeriggio del 9
settembre 1943 nel Golfo dell’Asinara in Sardegna), furono
le prime vittime italiane per mano tedesca dopo la firma
dell’armistizio (resa incondizionata).
• Alla difesa di Roma erano state destinate le migliori unità
(Divisioni corazzate Centauro II e Ariete II) che disponevano
insieme ad altri reparti minori di circa 350 mezzi blindocorazzati.
• La resistenza italiana, anche se mal guidata dai vertici
dell’Esercito, si protrasse per due giorni e tenne agganciate
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consistenti forze tedesche, impedendo loro di accorrere
tempestivamente a Salerno per opporsi alla sbarco alleato.
Anche nell’ambito di quelle grandi unità (Divisioni Costiere
220ª e 221ª e Divisione di Fanteria Piacenza che vennero
rapidamente disarmate) non mancarono episodi di resistenza
e contromosse. Nel settore della Divisione Piacenza, contro i
cui sbarramenti sulle vie Portuense e Ostiense andò a urtare
l’attacco notturno della 2ª Divisione Paracadutisti tedesca,
parte dei capisaldi resistette fino al pomeriggio del giorno 9. Il
cedimento delle due Divisioni costiere e della Piacenza fu
determinato dalla sorpresa e dalla rapidità con le quali agirono
le unità tedesche e dall’impreparazione morale delle tre grandi
unità all’improvviso rovesciamento del fronte.
• Sopraffatta la Divisione Piacenza, fu possibile alla 2ª
Paracadutisti tedesca proseguire contro le difese tenute dalla
Divisione
Granatieri
di
Sardegna,
schierata
in
migliori
condizioni. Questa riuscì ad arrestare l’attacco tedesco in
corrispondenza del ponte della Magliana, ma i tedeschi,
tentando di aggirare l’ostacolo verso nord, investirono un
caposaldo della Cecchignola minacciando la stazione radio di
Roma San Paolo. La Divisione venne rinforzata in quel settore
con
altre
forze:
il
Reggimento
Corazzato
Lancieri
di
Montebello, già in riserva a La Storta, un battaglione del 151°
Sassari, un battaglione carabinieri, un battaglione bersaglieri,
un battaglione guastatori, elementi della Polizia Africa Italiana
(PAI), aliquote dell’artiglieria della Divisione Ariete.
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• Il mattino del 9 settembre, il battaglione carabinieri, sostenuto
da elementi del Montebello, rioccupò il caposaldo delle alture
dell’Eur andato perduto durante la notte. Mentre la notte del 9,
nel settore settentrionale, le postazioni tenute dalle Divisioni
Ariete e Piave vennero attaccate senza successo.
• Sempre la mattina del 9 settembre, cittadini animosi e
coraggiosi accorsero sui luoghi dei combattimenti e si
affiancarono ai soldati nella lotta ravvicinata. Frattanto, durante
la notte, prima che venisse deciso l’abbandono di Roma da
parte del Re, del Governo e degli Stati Maggiori, lo Stato
Maggiore Esercito aveva ordinato telefonicamente ai comandi
del Corpo d’Armata Motocorazzato e del XVII Corpo di
disporre
perché
tutte
le
truppe
della
difesa
esterna
rimanessero alle dipendenze del generale Giacomo Carboni,
comandante
del
Corpo
d’Armata
Motocorazzato
e
commissario del SIM (il Servizio segreto militare). A questo
seguì l’ordine del generale Mario Roatta, Capo di Stato
Maggiore del Regio Esercito, di rinuncia alla difesa della
Capitale e di spostamento nella zona di Tivoli del Corpo
d’Armata Motocorazzato e di tutte le forze preposte alla difesa
della città.
• Eccettuate
le
azioni
intorno
allo
scalo
ferroviario
di
Monterotondo, il fronte settentrionale rimase pressoché
inattivo (i tedeschi dopo le prime gravi perdite decisero di
risparmiare il più possibile la 3ª Panzergrenadieren che
volevano trasferire al più presto possibile sul fronte di
Salerno), mentre tutto il peso dell’offensiva si spostò sul fronte
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meridionale, sulla Casilina, Prenestina e sull’Ardeatina, dove si
svolsero i combattimenti più duri, in corrispondenza con i
capisaldi della Cecchignola e della Magliana.
• Verso sera del 9 settembre, i combattimenti si spostarono nei
pressi delle Tre Fontane, della basilica di San Paolo e della
Garbatella.
• La notizia della partenza per il Sud del Re, del Governo e dei
vertici militari e la mancanza di un effettivo coordinamento
delle operazioni resero ancora più precaria e confusa la
situazione operativa, determinando nuove incertezze e ulteriori
disorientamenti e decadimenti del morale.
• La sera del 9 e la notte del 10 settembre, le opposte forze
conservarono il contatto in una situazione piuttosto confusa e
combattimenti si riaccesero la mattina del 10 settembre a
Porta San Paolo e alla Piramide di Caio Cestio, dove il
Reggimento Lancieri di Montebello si difese brillantemente.
• Fu proprio durante il pomeriggio del giorno 10 settembre che
un’azione controffensiva delle forze del Corpo d’Armata
Motocorazzato, sferrata sul fianco e sul tergo della 2ª Divisione
Paracadutisti tedesca, al di fuori della cinta della città, avrebbe
potuto conseguire risultati positivi, qualora non fosse stata
arrestata nella sua fase decisiva dall’ordine di cessate il fuoco.
• Il 9 settembre, infatti, una delegazione composta dal generale
Giorgio Calvi di Bergolo (genero del Re, avendo sposato la
primogenita Iolanda Margherita di Savoia), comandante della
Divisione Centauro, e dal colonnello Giuseppe Cordero Lanza
di Montezemolo, aveva preso contatti col generale tedesco
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Siegfried Westphal, capo di Stato Maggiore del generale
Albert Kesselring, comandante in capo dello scacchiere Sud,
per trattare la resa dei reparti italiani presenti a Roma. Alle
trattative si unì anche il tenente colonnello Giaccone, capo di
Stato Maggiore della Centauro, che si recò a Frascati, sede
del Comando del maresciallo Kesselring. I tedeschi proposero
il riconoscimento di Roma “città aperta”, l’estensione a tutte le
truppe poste agli ordini del generale Carboni delle condizioni
poste in un primo tempo a quelle della Centauro (impegno a
non trarre in prigionia militari italiani dislocati a 50 km a nord e
a sud della città), il mantenimento di Roma sotto l’esclusiva
autorità italiana, il presidio della città affidato a tutte le forze di
polizia esistenti a Roma e una divisione italiana priva di
artiglieria.
• Dopo alcuni tentennamenti da parte italiana, il consulto con il
ministro
della
Guerra,
generale
Antonio
Sorice,
e
l’inasprimento delle condizioni poste dai tedeschi, il generale
Carboni decise di accettare il piano tedesco, che nel frattempo
si era trasformato in un vero e proprio ultimatum.
• I combattimenti per la Difesa di Roma cessarono il 10
settembre del 1943.
•
Nei 15 giorni successici i tedeschi disarmarono tutte le forze
italiane, comprese le unità della Piave lasciate a protezione
dell’ordine pubblico. Sciolsero il Comando della “Città aperta”,
stabilirono a Roma un Comando tedesco, trasformarono la
Capitale in città di retrovia del loro fronte. Questa nuova
situazione favorì un clima di odio, con persecuzioni e vendette.
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