L’ACQUA: ENEA, ORIGINE DELLE ORIGINI Enea, come racconta Omero nell’Iliade, è un principe troiano sposato con Creusa, una delle cinquanta figlie di Priamo, re di Troia. Nelle sue vene scorre il sangue degli Dei; infatti, sua madre è la dea Afrodite (Venere per i Romani), mentre suo padre Anchise discende addirittura da Zeus (Giove). È ovvio, dunque, che Enea sia bello, buono, pio, valoroso e - soprattutto protetto dagli Dei… A lui, infatti, i suoi parenti divini affidano il compito di realizzare un certo loro progetto che lo vede destinato a perpetuare la stirpe iliaca. Anche il dio Poseidone, infatti, pur avverso ai Troiani, protegge Enea, e nel XX libro dell’Iliade dice di lui: È destino che si salvi perché non perisca senza eredi e senza nome la stirpe di Dardano Virgilio1, a sua volta, riprenderà nell’Eneide questi elementi e la profezia di Poseidone, ponendoli a presupposti della tradizione romana: Ora la forza di Enea regnerà sui Troiani, sui figli dei figli e quelli che dopo verranno.2 Virgilio, in effetti, inquadra l’arrivo di Enea e dei Troiani nel Lazio non come l’invasione di popolazioni straniere, bensì come il ritorno in Italia dei discendenti di Dardano e Iaso3, gli avi eponimi dei Troiani, emigrati in epoca arcaica in Asia Minore dalla etrusca Corito (Tarquinia). La leggenda più diffusa di Enea, quella alla quale si ricollega il poema virgiliano, narra i viaggi dell’eroe che, dopo la disfatta di Troia4, s’imbarca verso Occidente con il padre Anchise, il figlioletto Ascanio e alcuni pochi superstiti. Nella storia narrata da Virgilio Enea sceglie come prima tappa del viaggio Delo dove l’oracolo di Apollo rivolge al troiano e ai suoi compagni l’oscuro invito a «cercare l’antica madre»; in seguito, lo stesso Apollo rivelerà in sogno ad Enea che «l’antica madre» è l’Italia, la terra dalla quale, tanto tempo prima, era partito Dardano, il mitico fondatore di Troia. In una sosta successiva i Troiani si fermano in Epiro dove incontrano Eleno, uno dei figli di Priamo, che ora regna su una città costruita ad immagine di Troia. Eleno, forse per non essere da meno della sorella Cassandra, la celebre profetessa dell’Iliade, così rivela ad Enea: Ti dirò il segnale: tienilo custodito nell’animo: quando, angustiato, vicino all’onda d’un fiume remoto, vedrai sotto gli elci della riva una grande scrofa giacere sgravata di trenta capi d’un parto, bianca, sdraiata al suolo, bianchi alle mammelle i figlioli, quello sarà il luogo della città, il sicuro riposo agli affanni…5 Durante il viaggio il vecchio Anchise muore a Drepano (Trapani) dove la flotta troiana ha fatto un breve scalo; poi, dopo che Enea ha ripreso il mare, una violenta tempesta getta le sue navi sulle coste cartaginesi e... qui l’attende un incontro fatale con Didone, la bella regina di Cartagine6. Fondatrice della sua città, maga e sacerdotessa, Didone è una donna eccezionale alla quale aspirano non pochi pretendenti, ma lei, fedele alla memoria del defunto marito, li ha tutti respinti. Il troiano, dalla madre Venere, ha ereditato non solo la bellezza, ma soprattutto un irresistibile fascino… e così Didone inevitabilmente se ne innamora. Enea, fra le braccia dell’affascinante regina, dimentica non solo le angosce del passato, ma anche i suoi impegni per il futuro accarezzando l’idea di fermarsi per sempre a Cartagine. Fortunatamente per la futura Roma, però, gli Dei vigilano e Giove spedisce di corsa Mercurio sulla Terra per richiamare all’ordine quel figliolo che, con il suo comportamento sconsiderato, rischia di mandare all’aria i piani olimpici. Enea, così, non può sottrarsi al suo destino e, seppure a malincuore, acconsente a lasciare Cartagine e la sua regina. La partenza di Enea spezza il cuore di Didone che, distrutta dal dolore, dopo una notte trascorsa a vagare per le vie della città, scalza, scarmigliata e con le vesti strappate, giunge all’alba sul punto più alto della rocca cartaginese. In quel luogo fa erigere una enorme pira sulla quale getta fra le fiamme un’effigie di Enea, le sue armi e le lenzuola e i cuscini del loro letto d’amore. Dopo aver invocato odio eterno e implacabile fra la sua gente e la progenie di Enea, ... né amore ci sia fra i due popoli né patto, mai. Sorgi dalle mie ossa, ignoto vendicatore, tu che inseguire dovrai con le fiamme e col ferro i coloni di Troia, adesso, un giorno, in un tempo qualunque, quando le forze saranno bastevoli. Siano i lidi ai lidi contrari, le onde alle onde, le armi alle armi; e i presenti combattano e i nepoti lontani7 Didone pone fine alla sua giovane vita trafiggendosi il petto con la spada di Enea. ۩ Il suicidio di Didone è stato ritenuto un vero e proprio sacrificio umano: la regina, con la sua morte, si sarebbe trasformata in nume protettore e vendicatore della sua città rendendo così Cartagine invincibile ed implacabile con i suoi nemici. Didone effettua il rito magico al solo scopo di riottenere Enea o, in caso contrario, per liberarsene per sempre propiziandone l’annientamento attraverso un complesso cerimoniale negromantico. Infatti, nella notte che precede la partenza di Enea, Didone si immola come vittima sacrificale ma, prima di effettuare il suicidio rituale, scaglia maledizioni sul futuro di Enea ed invoca l’eterno odio mortale dei Cartaginesi contro i suoi discendenti, i Romani: (...) T’inseguirò, pur lontana, con fauci fumose: quando la gelida morte separerà corpo ed anima, fantasma t’inseguirò dappertutto. Pagherai miserabile. (...) se pur deve giungere al porto quel maledetto, se deve toccare la terra, così vuole il fato di Giove, fisso è questo termine, oppresso però dalla guerra d’un popolo audace, ramingo dalla città, strappato all’abbraccio di Iulo, mendichi aiuto, veda strazio orrendo dei suoi. E quando anche di pace umiliante ai patti si pieghi, non goda del regno, non dell’amabile luce, ma cada avanti il suo giorno, su nuda terra insepolto8. Secoli dopo, le Guerre Puniche9 verranno vissute dai Romani come l’escatologica lotta fra le forze del Bene e del Male, fra gli Dei della Luce e quelli delle Tenebre, rappresentati, rispettivamente, da Roma e Cartagine. Annibale, per gli antichi, finisce col rivestire i panni del vendicatore, l’erede di Didone che avrebbe riparato il grave affronto subìto da Cartagine e dalla sua regina. Al di là della veridicità di tale credenza, di certo l’odio feroce ed inesorabile nutrito da Annibale contro Roma sembra celare un profondo carattere religioso, una ineluttabile corsa verso una meta finale prefissa da forze divine. Ad Annibale, il vendicatore, si contrappone Scipione, il paladino della stirpe di Enea e a lui gli Dei concedono la vittoria finale. Il comandante romano, prima dell’ultimo decisivo attacco, esegue contro Cartagine l’arcaico rituale dell’evocatio10, un complesso cerimoniale a carattere magico-religioso teso ad allontanare dalla città il suo Nume tutelare. Cartagine, dopo un incendio durato diciassette giorni, è rasa al suolo e sulle sue rovine viene seminato il sale, quale simbolo di perenne sterilità. Si compie così l’atto finale di un tragico disegno escatologico di cui Roma è chiamata ad essere l’artefice consapevole. ۩ Dopo aver lasciato Cartagine, Enea giunge a Cuma12, sulle coste campane; qui, dopo aver rivolto offerte nel tempio di Apollo, costruito da Dedalo13 in onore del dio, interroga la Sibilla14 per conoscere il suo futuro destino. L’Oracolo gli concede di scendere nell’Averno per incontrare l’ombra del padre Anchise che gli illustra il glorioso futuro che il Fato riserva alla sua discendenza. Enea riprende quindi il viaggio che lo porta sulle coste laziali dove è costretto ad una sosta per dare sepoltura alla sua vecchia nutrice Caieta, in un luogo che da allora in poi si chiamerà Gaeta. Approda infine alle foci del Tevere e qui, appena sbarcato, la dea Cibele trasforma in ninfe le navi della flotta troiana: è questo il segno divino che sancisce la fine del viaggio. Le vicissitudini di Enea, però, non sono ancora terminate e l’eroe è costretto ad affrontare una lunga serie di guerre contro gli abitanti del posto, i Rutuli15. Enea, dopo aver lasciato la maggior parte dei suoi compagni nell’accampamento, decide di risalire il Tevere per raggiungere la città di Palantea dove regna il vecchio re Evandro. Quando Enea giunge a Palantea, Evandro accoglie molto affettuosamente il figlio di Anchise del quale era stato ospite un tempo; gli concede il suo aiuto contro i Rutuli e gli fornisce un contingente di quattrocento cavalieri al comando di suo figlio Pallante che però muore quasi subito in combattimento per mano di Turno, re dei Rutuli. Enea, su consiglio di Evandro, si reca quindi a Kaisra16, in Etruria, in cerca di alleanze presso i sudditi ribelli al re Mezenzio17. Durante l’assenza di Enea le truppe di Turno attaccano l’accampamento dei Troiani che rischiano di essere sopraffatti; quando arriva Enea con i contingenti alleati la situazione si capovolge e Turno viene sconfitto ed ucciso. Il poema virgiliano termina con la vittoria dell’eroe troiano e non narra le vicende posteriori quali, ad esempio, la fondazione di Lavinio o la scomparsa dello stesso Enea. Virgilio, tuttavia, nell’Eneide getta i semi della futura stirpe romana facendoci conoscere un altro epico personaggio, uno dei principali interpreti delle mitiche origini di Roma: Latino. Latino Secondo la tradizione, Latino è figlio del dio Fauno e di Marica, ninfa del fiume Minturno (odierno Garigliano); per Virgilio è figlio di Fauno e nipote, da parte di padre, del dio Pico18. Latino, succedendo a Fauno, diviene re degli Aborigeni che da lui presero poi il nome di Latini. Virgilio, nell’Eneide, non precisa mai il nome della città sulla quale regna Latino e così i commentatori si sono sbizzarriti nel tentativo di individuarla. L’ipotesi più ricorrente parla di Laurento19. Nell’Eneide Latino non ha figli maschi, ma una sola figlia «matura per l’uomo» che è stata già chiesta in matrimonio dai più valenti giovani del Lazio, primo fra tutti Turno che la regina Amata, moglie di Latino, «desiderava ardentemente come genero». Indeciso sulla scelta del pretendente, Latino si rivolge all’oracolo di Fauno che lo invita a «non cercare di unire la figlia in connubi latini» perché sarebbe presto arrivato uno straniero che «mischiando con il nostro il suo sangue, lo porterà alle stelle, e dalla loro stirpe i nipoti vedranno il mondo piegarsi ai loro piedi». Così, quando sbarca sulle coste laziali, Enea è ben accolto da Latino che oltre a concedere al troiano una confortevole ospitalità gli offre anche la figlia Lavinia 20 in sposa, ma il matrimonio non viene celebrato perché accade un increscioso episodio di cui si rende colpevole, inconsapevolmente, Ascanio, il giovane figlio di Enea. Durante una battuta di caccia, Ascanio uccide un cervo addomesticato e questo fatto provoca una rissa che coinvolge Ascanio, i suoi compagni e alcuni pastori aborigeni indignati per quell’uccisione. La regina Amata, appoggiata da Turno, approfitta dell’occasione per spingere Latino a muovere guerra contro i Troiani; il re inizialmente si oppone ma, a causa dell’intervento della dea Giunone, ostile all’eroe troiano, la guerra scoppia inevitabilmente e termina solo con la morte di Turno per mano di Enea. Con questo episodio si conclude l’Eneide. Gli avvenimenti successivi sono narrati da Tito Livio. Alla fine delle ostilità Latino non può che stipulare la pace con Enea e concedergli nuovamente sua figlia in sposa. Nel periodo di calma e di restaurazione che segue alle guerre ed ai lutti, Enea fonda una città che chiama Lavinio21 in onore della moglie. La pace, però, non dura a lungo e l’eroe si trova coinvolto in una nuova guerra, questa volta contro gli Etruschi. È questa la sua ultima impresa: durante una battaglia nei pressi del fiume Numicio, nel corso di un violento temporale, Enea, ancora nel fiore degli anni, scompare fra i tuoni ed i lampi, trasportato sull’Olimpo da sua madre Venere. Note 1] Publio Virgilio Marone: Andes, presso Mantova, 70 a.C. - Brindisi 19 a.C. Autore delle Bucoliche e delle Georgiche, deve la sua fama e la sua fortuna soprattutto all’Eneide, poema epico in 12 libri voluto da Augusto e da Mecenate per celebrare l’imperatore e il nuovo regime da lui instaurato. Virgilio morì a Brindisi, angosciato dal pensiero di non aver potuto rifinire e perfezionare il poema, così com’era nei suoi progetti. Per questo, nel testamento lo affidò ai suoi amici Vario e Tucca col divieto di pubblicarlo. Si racconta anche che il poeta cercò persino di distruggere il manoscritto che, fortunatamente, per ordine di Augusto, fu salvato e divulgato. 2] Omero, Iliade, XX 3] Dardano e Iaso: secondo la leggenda, Dardano e Iaso, figli di Giove ed Elettra (una delle sette figlie del gigante Atlante), partiti dall’Italia in cerca di nuovi regni, si sarebbero fermati uno nella Troade e l’altro in Samotracia. 4] Troia: città dell’Asia Minore, sulla destra del fiume Scamandro. Stando al mito, fu fondata da Ilio e, pertanto, fu chiamata anche Ilo. Sia i Greci sia i Cretesi ed i Frigi si vantarono di aver fondato la città: pretesa alquanto plausibile, dato che Troia fu distrutta e ricostruita molte volte. Vi furono in tutto dieci Troia e la settima è la Troia di cui narra Omero e che sembra fosse abitata da una federazione di tre tribù - Troiani, Ili e Dardani - secondo un sistema in uso nell’età del bronzo. La sua caduta è diversamente datata dalle fonti classiche: 1334 a.C. Duride, 1270 a.C. Pseudo Erodoto, 1209 a.C. Marmo Pario, 1184 a.C. Eratostene, 1149 o 1136 a.C. Efaro. L’idea leggendaria di un Capostipite troiano della futura stirpe romana trova supporto nella realtà storica di immigrati orientali sulle coste dell’Etruria negli anni intorno al 700 a.C. 6] Cartagine: in lingua fenicia Qart Chadashat, “Città Nuova”, in greco Karchedon, in latino Carthago. La località in cui sorgeva, e che ne conserva tuttora il nome, è situata in una zona residenziale che dista circa 18 km da Tunisi. Sulla base di una tradizione storicamente attendibile, Cartagine fu fondata nell’814 a.C. dai fenici di Tiro che, secondo la leggenda, avrebbero seguito la regina Elissa (con questo nome Virgilio, per ben tre volte, chiama anche Didone nell’Eneide) fuggita da quella città per sottrarsi alle minacciose intenzioni del fratello Pigmalione. 7] Virgilio, Eneide, IV 8] Virgilio, Eneide, IV 9] Guerre Puniche: la lotta per il dominio assoluto del Mediterraneo - che avrebbe comportato anche il dominio di tutti i territori che su di esso si affacciavano - fra Roma e Cartagine fu secolare e durissima. In linee generali si svolse in tre guerre successive, intercalate da scontri minori, note alla storia come Guerre Puniche. Si svolsero, rispettivamente, dal 264 al 241 a.C., dal 219 al 201 a.C. e dal 149 al 146 a.C., anno in cui Cartagine fu conquistata e rasa al suolo. Il Mediterraneo divenne, così, per i Romani, Mare Nostrum. 10] Evocatio: uno dei rituali romani più arcaici consistente in un complesso cerimoniale a carattere magico-religioso. Lo storico Tito Livio11, in un suo passo relativo alla conquista e alla distruzione dell’etrusca Veio, riporta l’evocatio formulata nel 396 a.C. dal dittatore romano Furio Camillo prima dell’ultimo decisivo attacco: «E tu, Giunone Regina, che favorisci adesso Veio, ti prego di seguirci, vincitori, nella nostra città che è già quasi la tua e dove t’accoglierà un tempio degno della tua grandezza...». La dea acconsentì a cambiare città, Veio venne espugnata ed asservita e un nuovo magnifico tempio sorse sull’Aventino per ospitare la temibile Giunone Regina, «Colei alla quale tutto appartiene»: da allora in poi la Dea non avrebbe più vegliato su Veio, ma su Roma. 11] Tito Livio: storico latino (Padova, 59 a.C. - 17 d.C.) di ricca famiglia repubblicana. È autore di un’opera monumentale in 142 libri, Ab Urbe condita libri, che abbraccia la storia di Roma dalle origini al 9 avanti Cristo. Gran parte di libri sono andati perduti ed oggi ci restano solo i libri I-X (fino al 293 a.C.), XXI-XLV (218-167 a.C.) ed alcuni frammenti. 12] Cuma: antica città della Campania, la più antica colonia greca in Italia, situata ad ovest del lago del Fusaro. Fu fondata verso la metà del secolo VIII a.C. Della città greca resta pochissimo: le mura dell’Acropoli, la grotta della Sibilla, tracce del Foro e resti dei templi di Giove e di Apollo. 13] Dedalo: artista leggendario, rappresenta nell’antichità quello che in termini moderni chiameremmo un “genio universale”, di volta in volta architetto, scultore, inventore. È presente - sempre in veste di artefice geniale - in numerosi miti: il Labirinto di Minosse, il “filo di Arianna” e, soprattutto, le famose ali fabbricate per se stesso e per il figlio Icaro. 14] Sibilla: varie sono le leggende che riguardano questa sacerdotessa di Apollo incaricata di far conoscere gli oracoli del dio. Secondo una versione del mito, Sibilla era una giovane troiana, figlia di Dardano. Dotata di capacità profetiche, godette di grande fama e diede il suo nome, genericamente, a tutte le profetesse. Un’altra tradizione, invece, narra che la prima profetessa in ordine di tempo fu una fanciulla, figlia di Zeus e di Lamia, chiamata Sibilla dai Libici. La Sibilla di Cuma, alla quale si riferisce Virgilio, fu la più famosa delle profetesse italiche e fu spesso identificata con la Sibilla d’Eritrea, la più celebre Sibilla dell’antichità. Si deve a Varrone l’elenco delle dieci sibille più famose dell’antichità: Cumana, Cumea, Delfica, Ellespontica, Eritrea, Frigia, Libica, Persica, Samia e Tiburtina. 15] Rutuli: popolo dell’Italia centrale la cui capitale era l’odierna Ardea, cittadina laziale situata a pochi chilometri a sud di Roma. Ardea, già abitata in epoca preistorica, divenne colonia romana nella seconda metà del sec. V a.C. 16] Kaisra: Agylla per i Greci e Caere per i Romani, odierna Cerveteri. 17] Mezenzio: nella tradizione epica romana è re di Cere (o Agylla), alleato di Turno nella guerra contro Enea e Latino. Virgilio nell’Eneide ne dà una versione più sfumata: Mezenzio è pur sempre il re di Cere, ma è stato scacciato dai suoi sudditi per la sua ferocia e la sua tirannia. Esiliato dai concittadini, Mezenzio si rifugia con il figlio presso Turno; nella guerra contro i Troiani padre e figlio vengono uccisi da Enea. Inoltre, solo Mezenzio è nemico di Enea, mentre gli Etruschi sono alleati dei Troiani e, di conseguenza, di Roma. Questa libera interpretazione virgiliana va inquadrata nella realtà storico-sociale dell’epoca di Virgilio che amato e protetto da Ottaviano - non poteva permettersi di dispiacere Mecenate, intimo ed influente amico di Augusto, di discendenza etrusca. Lo stesso Virgilio, inoltre, era nativo di Mantova, città fondata dagli Etruschi. 18] Pico: Ovidio narra che la maga Circe, mentre cercava erbe per i suoi incantesimi, incontrò un bellissimo giovane, Pico, e se ne innamorò. Pico però la respinse perché innamorato della ninfa Canente. Offesa, Circe lo tramutò in un picchio verde, picus. Poiché il picchio scava il suo nido nel tronco degli alberi, e dunque perfettamente al riparo dai predatori, in tutte le tradizioni il picchio è simbolo di protezione. Il colore verde del suo piumaggio, inoltre, lo associa anche alla saggezza e, per estensione, alle doti oracolari. Picus, dunque, era un dio protettore e oracolare venerato dagli Aborigeni come figlio di Saturno. 19] Laurento: Enea avrebbe fondato Lavinio sulle rovine di Laurento, oppure avrebbe ingrandito Laurento cambiandole nome in onore della moglie. Da alcuni studiosi è identificata nell’odierna Castel Porziano, da altri viene situata tra Lavinio ed Ardea. Secondo altri, ancora, non è mai esistita una città con questo nome e sarebbe da identificare con Lavinio i cui abitanti erano chiamati Laurentes Lavinates. 20] Lavinia: secondo lo storico greco Timeo la giovane si chiamava Rome e dall’unione con Enea nacquero Romo e Romolo. Catone per primo chiamò Lavinia la figlia di Latino. 21] Lavinio: antica città del Lazio, tra Ostia ed Ardea, situata dove oggi sorge Pratica di Mare. Fece parte della Lega Latina (secc. VI e V a.C.) e ottenne la cittadinanza romana dopo la guerra latina. Il suo porto si chiamava “Troia” e a Lavinio esisteva un santuario dedicato a Venere e comune a tutti i Latini: da qui l’importanza religiosa che Lavinio ricoprì fino al tardo impero.