Trio raffaello I Triociclo Guida all’ascolto Destinati a musicisti dilettanti e concepiti per il divertimento degli interpreti, i Trii di Haydn hanno come protagonista il pianoforte, “accompagnato”, come egli stesso scrive nei frontespizi di varie edizioni a stampa, dal violino, a cui è affidata una funzione concertante e di ripieno, e dal violoncello, incaricato di sostenere armonicamente l’architettura sonora e di rinforzare i deboli bassi dei pianoforti settecenteschi. Negli anni londinesi tra il 1793 e il 1796, in piena maturità compositiva, Haydn compone quattordici Trii per pianoforte, nelle cui pagine dei quali si può scorgere l’influenza dei compositori suoi contemporanei: la densità ritmica degli incipit che diventerà lapidaria in Beethoven, gli Adagi che ricordano i concerti per pianoforte mozartiani. Il Trio in La maggiore si apre con tre incisivi accordi che introducono l’Allegro moderato, un movimento in forma sonata che, nella sua garbata compostezza, si fonda su un raffinato tessuto armonico, arricchito da una sezione di sviluppo molto elaborata. Il movimento centrale è un Andante in 6/8, delicato e composto, alterna modo minore/maggiore fino all’irrompere dell’Allegro finale, un rondò brillante e scorrevole in tempo ternario, arricchito da sincopi, acciaccature e soluzioni imprevedibili. “I Trii di Beethoven furono presentati al mondo dell’arte in una soirée dal principe Lichnowsky. La maggior parte degli artisti e degli appassionati di musica era stata invitata, primo tra tutti Haydn, il cui giudizio ciascuno ansiosamente attendeva. I Trii vennero eseguiti e suscitarono subito uno straordinario scalpore. Anche Haydn espresse parole assai lusinghiere, consiglio però a Beethoven di non pubblicare il terzo, quello in do minore. Ciò stupì profondamente Beethoven, dal momento che lo riteneva il migliore.” Così racconta Ferdinand Ries, maestro e amico dell’allora venticinquenne Beethoven, che già godeva di notevole apprezzamento e interesse da parte del mondo musicale viennese. Moderno e innovativo, il Trio in do minore, è considerato oggi uno dei migliori lavori giovanili del Compositore. È nella sua modernità che va ricercato il motivo del giudizio negativo di Haydn, punto di riferimento assoluto per la musica da camera. Beethoveniano sia per l’originalità delle soluzioni formali proposte sia per la sua carica emozionale, il n. 3 è il più maturo e personale della raccolta. Si apre con una cellula tematica esposta all’unisono dai tre strumenti, una frase breve e incalzante che, nonostante appaia inizialmente come una semplice introduzione, si mostrerà elemento strutturalmente fondamentale nell’architettura di tutto il movimento. La seconda parte del primo tema vede come protagonista il pianoforte, che esprime tutta la drammaticità della tonalità di do minore, alla quale si contrappone il modo maggiore del secondo tema, creando un primo contrasto di atmosfere, che verrà ulteriormente amplificato in un gioco di intensi contrasti espressivi per tutta la durata del movimento. Puro e sereno, il secondo movimento propone cinque affascinanti variazioni, che, in un clima di intimo sentimento, sfruttano le possibilità dialogiche della formazione strumentale. Segue il Minuetto, quasi uno Scherzo, caratterizzato dall’alternanza di atmosfere serene e malinconiche, nell’ambito di un continuo contrasto tra una prima frase dal ritmo aggressivo e una seconda melodica. Contrasti tematici e intensa drammaticità sono ripresi e amplificati nel Prestissimo finale, dove la tensione è portata all’estremo dalla lotta incessante tra il primo tema, cupo e agitato, e il secondo tema, cantabile e dolente. Liberatoria, la Coda risolve finalmente la tensione concludendo il Trio con un pianissimo in do maggiore. Nell’estate del 1882, tra la Seconda e la Terza Sinfonia e ben trent’anni dopo il suo primo trio per pianoforte, Brahms compone il Trio n. 2 op. 87, uno splendido esempio di maestria compositiva e di ricchezza inventiva, che vede una moltitudine di temi principali e secondari che nascono e si trasformano con grande naturalezza per tutta l’opera. Il primo movimento si apre con un tema energico e slanciato esposto all’unisono dagli archi, che si scompone e si sviluppa in numerosi soggetti tematici, cui si contrappone il secondo tema, una melodia lirica e cantabile affidata al pianoforte, anch’essa seguita da un insieme di episodi secondari. Lo sviluppo, elogiato da Clara Schumann, rielabora liberamente tutto il materiale precedente, dimostrando il perfetto controllo della forma e dell’invenzione da parte del Compositore. Il secondo movimento è un tema e variazioni, protagonista una melodia popolare ungherese, austera e malinconica, che viene riproposta in cinque variazioni di particolare varietà espressiva nel rapporto dialogico tra pianoforte e archi. Leggero e misterioso, lo Scherzo è costituito dal contrasto tra due temi paralleli, uno ritmico ed enigmatico, tra i ribattuti degli archi e i rapidi interventi del pianoforte, l’altro più melodico e fiabesco, che sfociano infine nel dolce Trio in maggiore. Analogamente al primo movimento, l’Allegro giocoso finale presenta una grande ricchezza di temi, raggruppati in quattro episodi che complessivamente trasmettono grande energia e intensa passione.