La fibrosi polmonare idiopatica: dall`approccio sperimentale alla

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Rassegne
Recenti Prog Med 2013; 104: 577-584
La fibrosi polmonare idiopatica: dall’approccio sperimentale alla clinica
Veronica Della Latta1,2, Silvia Del Ry1, Carlo Marini3,4, Maria-Aurora Morales1
Riassunto. La fibrosi polmonare idiopatica è una malattia
polmonare cronica e progressiva caratterizzata da fibrosi
polmonare interstiziale con il coinvolgimento di alveoli e
bronchioli terminali. La sua patogenesi è ancora sconosciuta, i fattori di rischio coinvolti in questa malattia non sono del tutto definiti e la sua prognosi è altamente sfavorevole. Le principali manifestazioni cliniche, i criteri di diagnosi, la più accreditata ipotesi sulla sua patogenesi e gli
approcci sperimentali per l’induzione della malattia nel modello animale saranno discussi assieme ai trattamenti correntemente usati e agli approcci farmacologici ancora in
esame.
Idiopathic pulmonary fibrosis: from experimental approach to
clinic.
Summary. Idiopathic pulmonary fibrosis (IPF) is a chronic
progressive lung disease characterized by interstitial lung
fibrosis with involvement of alveoli and terminal bronchiole. Its pathogenesis is still unknown, the risk factors involved in this disease are still unclear and its prognosis highly unfavorable. The main clinical presentations, the major
and minor diagnostic criteria, the principal hypothesis on
the pathogenesis of IPF and the experimental approaches
for induction of the disease mostly in the murine model will
be discussed together with current available treatments
and ongoing clinical studies on drug therapy.
Parole chiave. Bleomicina, fibroblasti/miofibroblasti, fibrosi polmonare idiopatica, malattie interstiziali polmonari, trapianto polmonare, trial.
Key words. Bleomycin, fibroblasts/myofibroblasts, idiopathic pulmonary fibrosis, interstitial lung diseases, lung
transplantation, trials.
Introduzione
nei maschi: 10,7/100.000 contro 7,4/100.000 nelle
femmine. L’incidenza aumenta con l’aumentare
dell’età; l’età media di insorgenza della patologia è
compresa tra la quinta e settima decade di vita e i
2/3 dei pazienti affetti da questa patologia hanno
più di 60 anni, con un’età media di presentazione
intorno ai 66 anni. La prognosi è infausta con una
sopravvivenza tra i 3-5 anni inferiore al 50%1. Generalmente il decesso è causato da insufficienza respiratoria ipossica, associata a cuore polmonare e
a grave ipertensione polmonare2 che nelle fasi finali della malattia, per la maggior parte dei pazienti, non migliora in seguito a ossigenoterapia.
La IPF è quindi una malattia interstiziale non
neoplastica, caratterizzata dalla presenza di progressiva fibrosi del parenchima polmonare con la
conseguente formazione di tessuto cicatriziale all’interno dei polmoni. Tende a presentarsi con dispnea ingravescente, tosse secca cronica, debolezza, astenia, perdita di appetito e di peso e fastidio
toracico. Prima della diagnosi effettiva di IPF, la
durata media della sintomatologia è di circa due
anni. Infatti, la mancanza di informazioni relative
alle cause scaturenti la IPF porta a una diagnosi
incerta della patologia in assenza di biopsia polmonare3. A oggi, per la diagnosi di IPF sono stati
Le interstitial lung diseases (ILD), o malattie
interstiziali polmonari, rappresentano un gruppo
eterogeneo composto da più di 200 patologie acute
e croniche che hanno caratteristiche clinico-radiologico-funzionali in comune. Nonostante nella definizione di queste patologie si usi il termine “interstiziali”, è bene sottolineare che il processo infiammatorio coinvolge, oltre all’interstizio polmonare, anche le pareti alveolari, gli spazi aerei, gli
acini e i bronchioli terminali1. All’interno delle
ILD, è presente un’ulteriore distinzione adottata
in seguito alla classificazione del Consensus Statement dell’American Thoracic Society/European
Respiratory Society del 2002. Infatti, vengono distinte le forme idiopatiche (idiopathic interstitial
pneumonias - IIP) dalle altre forme interstiziali incluse nelle malattie parenchimali diffuse del polmone (diffuse lung diseases - DLD)2. Le IIP comprendono sia patologie a eziologia nota sia disordini con eziologia sconosciuta. In quest’ultima categoria si posiziona la fibrosi polmonare idiopatica
(idiopathic pulmonary fibrosis - IPF), una malattia rara che colpisce circa 5 milioni di pazienti nel
mondo con una incidenza lievemente prevalente
1Istituto di Fisiologia Clinica, CNR, Pisa; 2Dottorato GENoMeC, Università di Siena; 3Dipartimento Cardio-Toracico e Vascolare, Università di Pisa; 4Fondazione Regione Toscana G. Monasterio, Pisa.
Pervenuto il 29 luglio 2013.
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Recenti Progressi in Medicina, 104 (11), novembre 2013
identificati diversi criteri che permettono di aumentare la probabilità di una corretta classificazione della patologia1,3 (tabella 1).
La IPF mostra un quadro istologico accomunabile a quello della polmonite interstiziale usuale
(UIP). Per tale motivo si può utilizzare la terminologia IPF/UIP solo per i pazienti con UIP confermata da biopsia.
La maggior parte dei soggetti affetti da IPF è
formata da fumatori o ex fumatori e il fumo di sigaretta viene considerato come uno dei fattori di
rischio per lo sviluppo della patologia3,4. Anche il
reflusso gastroesofageo (GER), una causa frequente di microaspirazione, è stato documentato in numerosi soggetti affetti da IPF ed è spesso associato a malattie interstiziali3,5. Esposizioni ambientali in aree rurali o agricole e lavorative industriali sono state collegate a un aumentato rischio di
sviluppare fibrosi polmonare; infatti, esposizione
ad asbesto, silice, metalli pesanti e polveri di legno
porta a un maggior rischio di sviluppare IPF indipendentemente dal fumo di sigaretta. Ovviamente
tutto questo aumenta in base alla quantità di lavoro correlata agli anni di esposizione6. Anche numerosi agenti virali (infezioni da virus Epstein
Barr, epatite C, Herpes Virus, Cytomegalovirus) sono stati imputati come possibili responsabili della
IPF, anche se non vi è ancora una chiara evidenza
di un’eziologia virale3.
Sono stati riscontrati casi familiari (10-15%)
con forme ereditarie di fibrosi polmonare che hanno dimostrato la presenza di un difetto genetico, il
polimorfismo hTERT e hTR3. La telomerasi partecipa al mantenimento della lunghezza dei telomeri aggiungendo ripetizioni telomeriche di DNA all’estremità dei cromosomi de novo, mentre i telomeri sono accorciati durante ogni ciclo di divisione
cellulare. Questa polimerasi è composta da una
componente catalitica, hTERT, e da una compo-
Tabella 1. Criteri maggiori e minori per la diagnosi della IPF.
Criteri maggiori
• Esclusione di altre cause note di ILDs (tossicità ai farmaci,
esposizioni professionali, malattie del connettivo).
• Prove di alterata funzionalità respiratoria che includono evidenza di un quadro restrittivo (capacità vitale ridotta) e alterazione dello scambio gassoso (aumento del gradiente alveolo-arterioso di ossigeno a riposo o durante l’esercizio o della
capacità di diffusione del monossido di carbonio ridotta).
• Alterazioni reticolari bi-basilari con minime opacità a vetro
smerigliato (o honeycombing) sulle scansioni di tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRTC).
• Biopsia transbronchiale o lavaggio broncheoalveolare che
non mostrino caratteristiche che possano portare a una diagnosi alternativa.
Criteri minori
•
•
•
•
Età >50 anni
Comparsa insidiosa di dispnea o affaticamento
Durata della malattia ≥3 mesi
Crepitii bi-basilari, inspiratori (secchi o di tipo a “velcro”)
nente RNA, hTR necessaria come templato per l’allungamento dei telomeri. L’attività della telomerasi, ampiamente espressa nelle cellule cancerose,
è stata notata essere transitoriamente espressa in
vari tessuti sottoposti a danno, riparazione e fibrosi. Tale attività è stata caratterizzata nelle cellule epiteliali e nei fibroblasti nel caso dell’induzione della IPF in modelli animali, mediante la
somministrazione di bleomicina e l’esposizione a
particelle di silice7.
Patogenesi della IPF
La IPF non ha ancora una patogenesi ben definita e delineata a causa della scarsa conoscenza
dei meccanismi molecolari che la caratterizzano.
Per molto tempo è stata considerata come conseguenza di un processo infiammatorio cronico e irrisolto dalle cause sconosciute. A oggi però non si
ha alcuna evidenza che questa patologia inizi con
un processo infiammatorio, sia per la scarsità di
cellule infiammatorie presenti a livello dei foci fibroblastici caratteristici della malattia, sia per
l’inefficacia delle strategie antinfiammatorie nel
suo trattamento8-10.
L’ipotesi patogenetica maggiormente accreditata
è stata formulata da Selman et al. nel 200110 e afferma che la IPF è il risultato di un disordine che
coinvolge prevalentemente le cellule epiteliali e i fibroblasti. Stimoli sconosciuti endogeni o ambientali possono quindi alterare l’omeostasi delle cellule
epiteliali alveolari, con la conseguente attivazione
diffusa di tali cellule e un meccanismo di riparazione aberrante. Tali cellule, quando danneggiate e attivate, rilasciano citochine profibrotiche – come il
fattore di crescita trasformante beta (TGF-β), il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α), l’interleuchina 1 (IL-1), il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF) – e chemochine. Dopo un danno e la
conseguente attivazione delle cellule epiteliali alveolari, si sviluppano piccoli aggregati di fibroblasti/miofibroblasti attivi e proliferanti chiamati foci
fibroblastici che rappresentano un fenotipo attivo e
contrattile responsabile della sintesi di tessuto connettivo e del rimodellamento, processi caratteristici di disordini a carattere fibrotico. I foci risultano
dalla migrazione/proliferazione dei fibroblasti e dal
cambiamento fenotipico in miofibroblasti. Questi ultimi appaiono resistenti all’apoptosi e più responsivi alle citochine pro-fibrotiche, le prime cellule responsabili della sintesi e del deposito di matrice extracellulare (ECM), soprattutto di collagene, e possono essere anche responsabili della distruzione della membrana basale e apoptosi delle cellule epiteliali alveolari8-11. Tutto ciò porta verso la progressiva distruzione del parenchima polmonare, con la
conseguente perdita di funzione alveolare e la formazione del caratteristico aspetto a favo d’api o vetro smerigliato o honeycombing12.
A partire quindi dal 2001 a oggi, l’ipotesi che la
componente infiammatoria non sia l’aspetto principale della IPF sembra essere sempre più avvalo-
V. Della Latta et al.: La fibrosi polmonare idiopatica: dall’approccio sperimentale alla clinica
rata, sottolineando così che l’aspetto dominante in
questa patologia è lo sviluppo di fibrosi. Pertanto,
per la ricerca e lo sviluppo di possibili ed efficaci
trattamenti della IPF, l’attenzione deve essere focalizzata sullo studio di possibili terapie antifibrotiche, tralasciando quindi la strada dei potenti farmaci antinfiammatori risultati finora inefficaci nel
trattamento di questa patologia rara.
Modelli sperimentali di induzione della IPF
Per comprendere i meccanismi molecolari alla base della IPF e l’evoluzione del processo fibrotico sono
stati utilizzati differenti approcci nel modello animale, in particolare in quello murino13,14 (tabella 2).
Uno dei metodi maggiormente utilizzati per indurre IPF si basa sulla somministrazione della
bleomicina, un antibiotico glicopeptide a effetto antineoplastico in particolare quando usato in combinazione con cisplatino e vinblastina. La bleomicina determina un processo infiammatorio nel polmone che ha la potenzialità di evolvere in fibrosi
quando la somministrazione sistemica è ripetuta.
In seguito alla sua somministrazione, si verificano
rotture al doppio filamento del DNA in presenza di
ferro e ossigeno, con la conseguente produzione di
addotti al DNA e di specie reattive dell’ossigeno
(ROS); questi ultimi hanno ruolo di mediatori della perossidazione lipidica e dell’ossidazione proteica che a loro volta contribuiscono al processo polmonare, infiammatorio e fibrotico15. È stato mo-
Tabella 2. Caratteristiche dei modelli sperimentali di induzione di IPF.
Modelli sperimentali
Meccanismi d’azione
Vantaggi
• Facile somministrazione (via
intratracheale, intravenosa,
intraperitoneale)
• Basso costo
• Rapida insorgenza di fibrosi
(14-28 giorni)
• Modello ben caratterizzato in
letteratura
Svantaggi
Bleomicina
• Induzione danno alla doppia
elica di DNA e produzione di
ROS
Particelle di silice
• Ingestione di particelle di silice • Insorgenza di una fibrosi
da parte dei macrofagi con
persistente nel tempo
successiva produzione di
• Rilevanza clinica come
citochine pro-infiammatorie e
modello per lo studio della
pro-fibrotiche (es. TNF-α e
silicosi
TGF-β) e produzione noduli
fibrotici
FITC
• Molecola che si lega ad altre
• Rapida insorgenza fibrosi
• Risposta variabile dipendente
proteine polmonari agendo da
(14-28 giorni)
dalla soluzione di FITC
deposito per prolungare
• L’immunofluorescenza
• Modello che non è
l’esposizione all’agente
permette di identificare il
clinicamente rilevante
danno polmonare
• Insorgenza di una fibrosi
persistente nel tempo (fino a 6
mesi)
• Nel modello murino non è
ceppo dipendente
Irradiazioni
• Induzione danno DNA e morte
• Rilevanza clinica come
modello per lo studio delle
di pneumociti, afflusso
polmoniti
macrofagi e produzione di
citochine pro-infiammatorie e
pro-fibrotiche (es. TNF-α e TGF-β)
• Prolungato tempo per
l’insorgenza della fibrosi (più
di 30 settimane)
• Nel modello murino è ceppo
dipendente
Vettori virali
• Espressione di specifici
• Permettono di studiare
specifici geni collegati alla
transgeni connessi al processo
fibrosi
fibrotico
• Risposta immune, nel modello
murino, potrebbe rendere
successive esposizioni meno
potenti
Modelli transgenici
• Attivazione o disattivazione
dell’espressione del gene
d’interesse in tipi cellulari
differenti
• Costoso
• Difficile ingegnerizzare il
modello murino
• Permettono di studiare
specifici geni collegati alla
fibrosi
• Risoluzione spontanea evento
fibrotico, auto-limitante dopo
28 giorni
• Nel modello murino è ceppo
dipendente
• Prolungato tempo per
l’insorgenza della fibrosi (tra le
12-16 settimane
dall’esposizione)
• Costosa
• Richiede speciale
strumentazione per la
somministrazione tramite
aerosol delle particelle di silice
• Nel modello murino è ceppo
dipendente
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strato che il danno polmonare indotto da bleomicina avviene in due fasi: la prima caratterizzata da
una predominante componente infiammatoria e la
successiva dalla sostituzione fibrotica che appare
tra i 14 e i 28 giorni dopo la singola somministrazione del farmaco. Gli effetti della bleomicina sono
stati documentati in una grande varietà di modelli animali sperimentali includendo topi, ratti, criceti, conigli, porcellini d’india e cani, sottoposti a
somministrazione del farmaco a varie dosi e con diverse vie di somministrazione: intraperitoneale,
intravenosa, subcutanea o intratracheale13.
Il modello di induzione di danno polmonare da
bleomicina presenta numerosi vantaggi: è ben caratterizzato in letteratura scientifica, il farmaco
può essere somministrato con diverse metodiche e
il periodo temporale di sviluppo della fibrosi è breve, tra i 14 e i 28 giorni. Sfortunatamente questo
modello ha anche alcuni svantaggi: è auto-limitantesi e dopo 28 giorni si nota un processo di risoluzione dell’evento fibrotico, meccanismo tipico
solamente nel modello murino e assente nell’uomo.
Infatti, nei topi C57Bl/6 si ha un recupero polmonare in circa 6 settimane dalla prima e unica somministrazione di bleomicina19. Inoltre, si tratta di
un modello ceppo-dipendente: infatti, i topi
C57Bl/6 sono molto più suscettibili alla fibrosi indotta da bleomicina rispetto ai topi Balb/c, altro
ceppo studiato. Nonostante questi limiti, il modello di somministrazione intratracheale di bleomicina è molto importante per lo studio delle caratteristiche e degli aspetti critici della IPF.
L’ingestione di particelle di silice da parte dei
macrofagi è un altro metodo che porta allo sviluppo di fibrosi polmonare. I macrofagi dopo l’ingestione di queste particelle possono produrre citochine pro-fibrotiche come TNF-α, PDGF e TGF-β14,
con successivo sviluppo di noduli fibrotici nei polmoni di roditori trattati con instillazione di fibre
minerali. Questi noduli fibrotici assomigliano alle
lesioni che si sviluppano nell’uomo a seguito di
esposizioni occupazionali a polveri di minerali
(asbesto, silice, polveri di legno) e ad aerosol di particolato13. Le particelle di silice possono essere
somministrate all’animale tramite aerosol, ma anche tramite somministrazione intratracheale o tramite aspirazione orofaringea13. In maniera simile
al danno determinato dalla somministrazione di
bleomicina, anche la fibrosi indotta con questo modello è ceppo-dipendente: topi C3H/HeN hanno
mostrato una maggiore suscettibilità allo sviluppo
della fibrosi rispetto al ceppo CBA/J13,16. In questo
modello si nota un persistente stimolo fibrotico, ma
sfortunatamente sono necessarie dalle 12 alle 16
settimane per lo sviluppo dell’evento patologico13.
La fluoresceina isotiocianato (FITC) è un altro
metodo chimico per indurre la fibrosi polmonare
attraverso somministrazione intratracheale direttamente nelle vie aeree. Questa molecola si attacca ad altre proteine del polmone, agendo così come
un deposito per prolungare l’esposizione all’agente13,14,17. La FITC è una molecola fluorescente e la
sua immunofluorescenza è necessaria per identifi-
care l’area di deposito che circonda la fibrosi. Questo metodo permette un veloce sviluppo della fase
fibrotica, dalle 2 alle 4 settimane e consente l’instaurarsi di una fibrosi persistente, fino a 24 settimane; purtroppo, oltre a una variabilità nella risposta, mostra anche la mancanza di alcune caratteristiche UIP importanti, come l’eterogeneità
temporale, la formazione di foci fibroblastici e
l’iperplasia delle cellule epiteliali alveolari13,14.
Nel modello murino, l’esposizione a irradiazione induce danni al DNA e morte di pneumociti di
tipo I e II con un conseguente afflusso di macrofagi in queste zone danneggiate14. Con l’attivazione
di cellule mononucleate si verifica la produzione di
citochine pro-infiammatorie e pro-fibrotiche, come
TNF-α e TGF-β, che sono coinvolte nello sviluppo
dell’evento fibrotico. Inoltre, la radiazione potrebbe essere responsabile della diretta attivazione dei
fattori di trascrizione Jun e Fos i quali guidano la
trascrizione di varie citochine pro-fibrotiche. Per
l’induzione di fibrosi polmonare con questo metodo
è sufficiente un’esposizione a una singola dose di
12-15 Gy di irradiazione totale del corpo, però si
verifica uno sviluppo tardivo della risposta fibrotica13,14. Nonostante il vantaggio di sottoporre gli
animali a una singola esposizione riducendo così i
costi del trattamento, si deve attendere anche fino
a sei mesi per l’induzione del processo fibrotico, per
cui questo modello diventa svantaggioso per i costi
elevati per il mantenimento degli animali. Anche
questo modello di induzione è ceppo dipendente:
topi C3H/HeN e CBA/J sono classificati come resistenti, mentre topi C57Bl/6 sono più propensi allo
sviluppo della fibrosi14.
In questi ultimi anni sono stati studiati nuovi
metodi e nuove tecnologie per l’induzione e l’analisi della fibrosi polmonare mediante l’utilizzo di
vettori di adenovirus e lentivirus che sono stati
impiegati per esprimere nel polmone diversi transgeni connessi al processo fibrotico e per determinare i loro effetti sull’infiammazione e sulla fibrosi14. Geni ritenuti fondamentali per lo sviluppo
della fibrosi polmonare che codificano per TNF-α,
TGF-β, IL-1β sono stati sovraespressi con questi
sistemi virali. Tra questi vettori virali il più utilizzato e studiato è quello deputato alla sovraespressione di TGF-β; ciò ha contribuito a comprendere il possibile ruolo e coinvolgimento di
TGF-β in questa patologia. Infatti, la somministrazione di un vettore adenovirale sovraesprimente questo gene ha portato allo sviluppo di un
processo infiammatorio e del conseguente evento
fibrotico. Tuttavia, questo modello di induzione
della fibrosi, mediante vettori virali somministrati tramite iniezione endotracheale, mostra uno
svantaggio: in seguito a somministrazione di questi vettori il sistema immunitario del topo durante esposizioni successive sarà in grado di identificarli come agenti estranei, rendendo così il trasferimento genico meno efficiente14.
Un altro metodo sviluppato di recente e mirato a
studiare i geni specifici coinvolti nel processo di fibrosi polmonare è l’uso di topi geneticamente inge-
V. Della Latta et al.: La fibrosi polmonare idiopatica: dall’approccio sperimentale alla clinica
gnerizzati che permette di attivare o disattivare
l’espressione del gene d’interesse in tipi cellulari differenti. Il modello più comunemente utilizzato a tal
fine è basato sul sistema dell’operone della tetraciclina con la conseguente esposizione a tetraciclina o
doxiciclina. Questi modelli transgenici mostrano
quindi espressione circoscritta a particolari tipi cellulari, grazie all’utilizzo di uno specifico promotore
cellulare. Purtroppo, questi modelli transgenici non
sono immediatamente disponibili e hanno costi molto elevati, oltre alla difficoltà di ingegnerizzazione
del modello animale. Inoltre, nonostante la sovraespressione di un gene specifico porti allo sviluppo
dell’evento fibrotico, tale meccanismo potrebbe alterare i pathway naturali coinvolti durante la fibrosi e il rimodellamento tissutale13,14.
Dall’approccio sperimentale ai trial clinici
La IPF è una patologia i cui meccanismi patogenetici e molecolari rimangono tuttora scarsamente conosciuti. Per tale motivo sono stati messi
a punto i vari modelli animali per l’induzione della
malattia. Questi modelli, e in particolare quello che
prevede l’induzione della fibrosi polmonare mediante somministrazione della bleomicina, hanno
lo scopo di mettere in luce alcune delle componenti
molecolari implicate nella patologia. Lo scopo principale dell’utilizzo dei modelli animali è perciò quello di studiare l’attività di cellule che sembrano essere strettamente implicate nel processo fibrotico,
come quelle dell’epitelio alveolare e polmonare e i
fibroblasti polmonari la cui proliferazione/migrazione a miofibroblasti porta alla formazione dei foci fibrotici caratteristici della malattia. Fattori prodotti e rilasciati da tali cellule sono, per esempio,
le citochine pro-fibrotiche, come TGF-β,TNF-α, IL1, PDGF, chemochine, e l’endotelina 1 (ET-1). Tutti questi fattori sono anche coinvolti in patologie
correlate alla fibrosi polmonare, come l’asma cronica, la pneumopatia cronica ostruttiva (chronic obstructive pulmonary disease - COPD) e l’ipertensione polmonare arteriosa (pulmonary arterial hypertension - PAH), meglio caratterizzate rispetto
all’IPF. Pertanto, l’approccio sperimentale può portare alla definizione delle singole componenti molecolari e genetiche implicate nella patologia e, verosimilmente, a una maggiore comprensione dell’intero processo patogenetico responsabile dell’evento fibrotico. Proprio l’induzione della fibrosi
polmonare nel modello murino mediante bleomicina potrebbe permettere di studiare anche un possibile meccanismo di risoluzione spontanea della
patologia, condizione propria del modello murino e
completamente assente nell’uomo. La sperimentazione animale rappresenta il punto di partenza per
ipotizzare e studiare trattamenti farmacologici specifici contro IPF, andando a valutare il ruolo delle
singole componenti molecolari, in quanto a oggi
l’unica terapia efficace rimane il trapianto polmonare. Infatti, la IPF è caratterizzata da un decorso
progressivo fatale ed è destinata, nel giro di 3-5 an-
ni dalla diagnosi, a evolvere verso gravi forme di
insufficienza respiratoria, spesso associate a cuore
polmonare. Il trapianto polmonare rimane quindi
l’unica valida opzione terapeutica che permette di
incrementare di circa il 50% la sopravvivenza dei
soggetti affetti a cinque anni dal trapianto. Generalmente il trapianto del polmone viene riservato a
pazienti attentamente selezionati in base all’età e
al quadro clinico: sono infatti sottoposti a intervento i soggetti più giovani senza altre patologie associate a IPF. Questa procedura, oltre a essere molto
complessa, ha tempi di attesa molto lunghi, legati
alla carenza di donazioni. Inoltre, dopo il trapianto
i pazienti devono essere attentamente sorvegliati e
sottoposti a frequenti controlli di broncoscopia con
lo scopo di identificare complicanze infettive e infiammatorie, al fine di evitare il rigetto dell’organo
trapiantato18.
In quest’ultimo decennio, a causa dell’aumentata incidenza, della prognosi scadente e della
mancanza di efficaci trattamenti terapeutici contro la IPF, sono aumentate le attività di sperimentazione clinica rivolte verso la ricerca di una
terapia efficace contro IPF (tabella 3). Molti farmaci sono stati sperimentati senza risultati confortanti. I primi tentativi farmacologici hanno visto l’utilizzo di corticosteroidi, come il prednisone,
e agenti immunosoppressori, come per esempio
l’azatioprina e l’N-acetilcisteina che sono stati sperimentati sia separatamente sia in combinazione;
nonostante ciò, non sono stati dimostrati benefici
sostanziali e i trial clinici interrotti per gli scarsi
effetti sulla riduzione della mortalità19,20. Lo stesso esito è stato dimostrato per trial incentrati sulla somministrazione di farmaci come il talidomide,
per le sue capacità antinfiammatorie e antifibrotiche19,20. Il warfarin, per il ruolo della cascata coagulativa nella fibrosi polmonare, è stato somministrato a pazienti con IPF, ma ha mostrato un aumento dell’ospedalizzazione e della mortalità19,20.
Due trial clinici (BUILD-1 e BUILD-3), che vedevano la somministrazione del bosentan, antagonista del recettore dell’endotelina (il cui ruolo nella
IPF sembra essere legato a promuovere la proliferazione dei fibroblasti), non hanno avuto l’esito
sperato; la somministrazione del farmaco era ben
tollerata ma non sono stati ottenuti significativi
miglioramenti nel trattamento della malattia19,20.
Anche altri farmaci, come ambrisentan, macitentan e sildenafil, non hanno mostrato benefici in
pazienti affetti da IPF19,20. La stessa sorte è toccata a etanercept, una proteina di fusione che agisce da recettore legando il TNF-α con più alta affinità degli altri recettori solubili; purtroppo, anche la sua somministrazione non è consigliata per
il trattamento terapeutico dei pazienti con
IPF19,20. Si è pensato anche a un inibitore del recettore per PDGF come l’imatinib, ma anche in
questo caso la somministrazione del farmaco è stata interrotta a causa di effetti avversi19,20.
A oggi, solamente un farmaco, il pirfenidone,
una piridina somministrata per os, è stato approvato a livello mondiale per il trattamento della IPF.
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Tabella 3. Trial clinici completati e in atto (modificata da Scotton e Chambers11 e Rafii et al.19).
Trattamenti
Potenziale meccanismo
d’azione
Combinazione
con altri agenti
Acronimi
Status e risultati
Ambrisentan
Antagonista del recettore per
Endotelina e selettivo per
Endotelina-A
Azatioprina
Inibisce l’adenina deaminasi e Azatioprina+
IFIGENIA
riduce la proliferazione
Predisolone
cellulare (leucocitaria); azione con/senza NAC
antinfiammatoria
Trial terminato; negativo per
riduzione della mortalità
BIBF 1120
Inibitore dell’angiochinasi,
targeting proliferativo dei
fattori di crescita dei
fibroblasti
TOMORROW
Trial completato e risultati in
attesa
INPULSISTM-1
INPULSISTM-2 Trials
Trial in corso
/
/
ARTEMIS-IPF
Trial terminato; efficacia non
documentata
Bosentan
Antagonista del recettore
/
per Endotelina-A e -B;
antiangiogenico e antifibrotico
BUILD-I e BUILD-III
Trial terminato; efficacia non
documentata
CC-930
Inibitore di JNK
c-Jun N-terminal kinases)
/
/
Trial terminato; efficacia non
documentata
Cellule staminali
mesenchimali
Potenziale attività
di ri-epitelizzazione alveolare
/
/
Trial in corso
Ciclofosfamide
Agenti alchilanti con
proprietà antinfiammatorie
/
/
Nessuna evidenza di benefici
terapeutici; potenziali effetti
avversi
CNTO 888
Anticorpo anti-CCL2
(Chemochina)
/
Centocor
Trial completato; risultati in
attesa
Corticosteroidi
Immunosoppressori
e antinfiammatori
/
/
Nessuna evidenza di benefici
terapeutici
CXCR4/CXCL12
Anticorpi contro
CXCR4/CXCL12
(potenziale ruolo di bloccare
il reclutamento dei fibrociti)
/
/
Nel modello murino sembrano
attenuare la fibrosi indotta da
bleomicina
Doxicilina
Inibitore delle MMP
(metalloproteinasi)
/
/
Trial terminato. Nessuna
evidenza di benefici.
Eparina
Anticoagulante attraverso
inibizione della trombina e
altre proteasi
/
/
Trial terminato; adeguata
anticoagulazione senza
significativi effetti avversi
Etanercept
Inibitore del TNF-α;
antinfiammatorio
e antifibrotico
/
/
Trial terminato; efficacia non
documentata
Everolimus
(Rapamicina)
Immunosoppressori e
inibitore proliferazione
/
ANZCTR
Trial terminato, allunga il tempo
della progressione della
malattia
FG-3019
Azione antifibrotica contro
fattore di crescita del tessuto
connettivo
/
Fibrogen
È ben tollerato. Futuri trial in
programma
GC 1008
Anticorpo monoclonale che
neutralizza TGF-β1, TGF-β2 e
TGF-β3; azione antifibrotica
/
/
Studi su modelli animali
mostrano un potenziale effetto
terapeutico
GS-6624
Anticorpo anti-LOXL2
(Lysyl oxidase homolg 2)
/
/
Fase I completata e risultati in
attesa; Fase II programmata
Imatinib
Inibitore della tirosina chinasi; /
attività antifibrotica
/
Efficacia non documentata;
effetti indesiderati
segue
V. Della Latta et al.: La fibrosi polmonare idiopatica: dall’approccio sperimentale alla clinica
segue Tabella 3. Trial clinici completati e in atto (modificata da Scotton e Chambers11 e Rafii et al.19).
Trattamenti
Potenziale meccanismo
d’azione
Combinazione
con altri agenti
Acronimi
Status e risultati
Interferone
(IFN γ1b)
Limita la proliferazione dei
fibroblasti e la sintesi di
collagene
/
INSPIRE
Trial interrotto prematuramente
Losartan
Inibitore dell’angiotensina II
/
/
Stato del trial sconosciuto
Macitentan
Antagonista del recettore per
endotelina-A e –B
/
MUSIC TRIAL
Trial terminato; efficacia non
documentata
Monossido di
carbonio
Attività antiproliferativa
/
/
Trial in corso
N-acetilcisteina
(NAC)
Attività antiossidante,
immunosoppressore,
antinfiammatoria
NAC con/senza Panther-IPF
azatioprina +
predisolone
Trial terminato; negativo
per riduzione della mortalità
Octeotride
Analogo della somatostatina
/
/
Efficacia non documentata
Pirfenidone
Inibitore antifibrotico
di TGF-β1, attività
antinfiammatoria
e antiossidante
/
CAPACITY 1
e
CAPACITY 2
Miglioramento della capacità
vitale
Prostaglandine
E2 e I2
E2: potente attività
antifibrotica; I2 : riduce
ipertensione polmonare
/
/
Attuale reclutamento dei
pazienti
QAX576
Anticorpo anti-IL13
/
/
Trial completato e risultati in
attesa
SAR 156597
Anticorpo anti-IL13 e –IL4
/
/
Trial in corso
Sildenafil
Inibitore della fosfodiesterasi 5 /
Step-IPF
Efficacia non documentata
Statine
Induce apoptosi dei
fibroblasti e inibisce
l’espressione di CTGF;
attività antifibrotica
/
/
Efficacia non documentata
STX-100
Anti-integrina αvβ6
/
Stromedix
Fase I completata e risultati in
attesa; Fase II in corso
Talidomide
Antiangiogenico,
antinfiammatorio, inibitore
del signalling di TGF-β1 a
dell’espressione di VEGF
/
/
Trial completato e risultati in
attesa
Tetratiomolibdato
Attività antiangiogenica
/
/
Trial completato e risultati in
attesa
Tralokinumab
Anticorpo anti-IL13
/
/
Trial in corso
Warfarin
Anticoagulante attraverso
inibizione/riduzione della
vitamina K
/
ACE-IPF Trial
Eccesso di ospedalizzazione e
mortalità nei trattati
Wnt signaling
Farmaco inibente il pathway
di Wnt (antifibrotico)
/
/
Ipotesi di trial clinico
Zileuton
Inibitore della lipossigenasi-5; /
attività antifibrotica
/
Attenua il danno polmonare
bleomicina-indotto
nel modello murino
583
584
Recenti Progressi in Medicina, 104 (11), novembre 2013
È un agente antinfiammatorio e antiossidante che
è capace di inibire il TGF-β, che stimolerebbe la
sintesi di collagene; inoltre, agisce come antifibrotico, diminuendo la sintesi della ECM da parte di
fibroblasti/miofibroblasti. Nei modelli animali di
fibrosi polmonare, questo farmaco attenua una serie di mediatori profibrotici, mentre down-regola
marker istologici di proliferazione cellulare.
Dopo la sua approvazione e commercializzazione in vari paesi del mondo, recentemente l’AIFA ha
comunicato che il pirfenidone verrà commercializzato in regime di rimborso anche in Italia. Questo
sembra essere un primo passo in avanti nella messa a punto di un approccio terapeutico efficace di
una patologia rara, la cui incidenza negli anni è comunque in aumento, gravata da una importante
morbilità e mortalità e da costi sociali molto elevati19,20. I risultati deludenti dei trial clinici condotti fino a oggi suggeriscono la necessità di una
migliore comprensione dei meccanismi fisiopatologici della malattia: è verosimile che la sperimentazione in modelli animali possa offrire le risposte
necessarie per terapie personalizzate.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Veronica Della Latta
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Fisiologia Clinica
Via Moruzzi 1
56124 Pisa
E-mail: [email protected]
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