33-40 Rass - Cozzolino - Recenti Progressi in Medicina

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Rassegna
Recenti Prog Med 2013; 104: 33-40
Ruolo della vitamina D nei pazienti con malattia renale cronica
Mario Cozzolino, Francesca Brunini, Valentina Capone, Flavia Ricca, Younes Kwaidri,
Emanuele Montanari, Daniele Cusi
Riassunto. L’insufficienza renale cronica (IRC) rappresenta
oggigiorno un importante problema di salute pubblica in
considerazione della sua prevalenza in aumento e della
morbilità e mortalità correlate alle sue complicanze. Sebbene l’IRC sia asintomatica fino agli stadi terminali di malattia, precocemente si manifestano importanti anomalie
dell’omeostasi minerale che comprendono i livelli sierici di
calcio, fosforo, vitamina D e paratormone (PTH). Queste alterazioni metaboliche hanno un forte impatto sulla storia
clinica e sulla prognosi dei pazienti affetti da IRC, dal momento che sono correlate con lo sviluppo di complicanze
cardiovascolari. Il termine Chronic Kidney Disease-Mineral
Bone Disease (CKD-MBD) è stato coniato per dare una nuova definizione alla malattia ossea in corso di CKD, connotandola come un disordine sistemico strettamente legato
allo sviluppo di calcificazioni vascolari e all’insorgenza di
problematiche cardiovascolari. Il deficit di vitamina D ha un
ruolo centrale nella patogenesi della CKD-MBD. La vitamina
D, infatti, mediante il legame con suoi specifici recettori
(VDRs), ubiquitari nell’organismo, esercita numerose azioni
pleiotropiche quali la inibizione sullo sviluppo dell’iperparatiroidismo secondario, effetti anti-ipertensivi, anti-infiammatori, anti-fibrotici, immunomodulanti, anti-proliferativi, anti-diabetici ed anti-proteinurici. Questi meccanismi
spiegano, almeno in parte, come lo stato della vitamina D
possa influenzare in modo rilevante lo sviluppo di complicanze cardiovascolari e la progressione del danno renale in
corso di CKD. Tali osservazioni confermano l’importanza di
una diagnosi precoce dei disturbi dell’omeostasi minerale in
corso di CKD e la necessità di correggere il deficit di vitamina D per evitare lo sviluppo di problematiche cardiovascolari e degli eventi maggiori ad esse correlate.
Role of vitamin D in the pathogenesis of chronic kidney disease.
Parole chiave. Malattia renale cronica, outcome cardiovascolare, proteinuria, vitamina D.
Key words. Cardiovascular outcome, chronic kidney disease, proteinuria, vitamin D.
Introduzione
La nuova classificazione prevede sei diversi stadi basati sul livello di eGFR e tiene inoltre in considerazione i livelli di albuminuria come importante fattori predittivi di progressione del danno
renale e di sviluppo di eventi cardiovascolari1.
La CKD è attualmente un problema di salute
pubblica di grande rilevanza, in considerazione sia
della sua prevalenza in aumento in tutto il mondo
sia dell’alto tasso di morbilità e mortalità correlato alle complicanze.
L’insufficienza renale cronica (CKD: Chronic
Kidney Disease) è definita come danno della funzionalità renale con riduzione del filtrato glomerulare (eGFR) al di sotto dei 60 ml/min per 1,73 m2 di
superficie corporea per più di 3 mesi a prescindere
dalle cause. La stadiazione della malattia renale
cronica è stata rivisitata nel 2010 dalla KDIGO con
il razionale di darle un significato prognostico.
Summary. Chronic kidney disease (CKD) is a relevant health
problem due to its worldwide increasing prevalence and
the morbidity and mortality linked to its complications.
Since the early stages of CKD, although patients are completely asymptomatic, important mineral homeostasis disorders occur. These disorders, involving serum levels of calcium, phosphorus, parathyroid hormone, and vitamin D,
have a striking impact on patient prognosis as they affect
the cardiovascular system. The new term of Chronic Kidney
Disease-Mineral Bone Disease (CKD-MBD) was introduced
to label bone disease during CKD as a systemic disorder
tightly linked to cardiovascular calcifications and disabilities. Vitamin D deficiency has a main role in the pathogenesis of CKD-MBD, throughout the pleiotropic actions of this
hormone. Vitamin D receptors (VDRs) are ubiquitous and
their activation has shown protective effects against secondary hyperparathyroidism development and anti-hypertensive, anti-inflammatory, anti-fibrotic, immunomodulating, anti-proliferative, anti-diabetic and anti-proteinuric
properties. These mechanisms explain, at least in part, vitamin D status influence in avoiding and delaying cardiovascular disease and CKD progression. These findings strongly
support the importance of an early diagnosis of mineral
homeostasis disorders in CKD and the need for correction of
vitamin D deficiency to prevent related disabilities and major events.
Divisione Renale, Dipartimento di Scienze della Salute, Ospedale San Paolo, Università di Milano.
Pervenuto il 30 ottobre 2012.
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Studi epidemiologici stimano che circa il 10%
della popolazione mondiale sia colpita da un qualche deficit della funzione renale ed un 5% da CKD
vera e propria. Solo in Italia si parlerebbe di 3 milioni di individui affetti2,3.
La sua prevalenza rimane, però, difficile da stabilire, dal momento che gli stadi iniziali di malattia sono asintomatici. Nonostante ciò, già nelle fasi precoci si assiste ad un’alterazione dell’omeostasi minerale, coinvolgente i livelli circolanti di
calcio, fosforo, paratormone (PTH), e vitamina D,
che ha grande impatto sulla storia clinica e prognosi dei pazienti affetti da CKD4.
Da qui l’importanza di una diagnosi precoce che
consenta il trattamento e la prevenzione delle complicanze.
Alterazioni del metabolismo minerale
nella malattia renale (CKD-MBD)
l’ipocalcemia, quest’ultima favorita sia dal ridotto
riassorbimento intestinale di calcio secondario al
deficit di calcitriolo, sia dall’azione chelante del fosforo che induce la precipitazione di fosfato di calcio
(figura 1).
Tali alterazioni di laboratorio, però, compaiono
tardivamente nel corso della CKD, dal momento
che il nostro organismo mette in moto meccanismi
deputati a ristabilire l’omeostasi del calcio-fosforo:
già a livelli di eGFR pari a 60-90 ml/min si assiste,
su stimolo dell’iperfosforemia, ad un aumento dei
livelli sierici di FGF-23 (Fibroblast Grow Factor
23, un ormone fosfaturico di sintesi osteoblastica)
e successivamente del PTH (eGFR 30-60 ml/min),
entrambi deputati ad aumentare l’escrezione renale di fosforo6. Anche la carenza di vitamina D attiva – direttamente, e indirettamente attraverso
l’ipocalcemia – rappresenta un importante ed indipendente stimolo cronico all’aumento della secrezione del PTH in corso di CKD7.
Con l’avanzare dell’insufficienza renale, l’iperparatiroidismo perde progressivamente il significato fisiologico-protettivo che ha nelle fasi iniziali
di malattia e le paratiroidi diventano insensibili ai
segnali regolatori.
Lo squilibrio dell’omeostasi minerale a cui si assiste nella CKD non ha impatto solamente sul sistema scheletrico, ma ha una forte correlazione con
lo sviluppo di calcificazioni vascolari e complicanze cardiovascolari (CV),
principale causa di morte in
questa sottopopolazione2.
Alla luce di queste nuove
evidenze è stato coniato nel
2006 il termine Chronic
Filtrato
Kidney Disease-Mineral Boglomerulare
ne Disease, che consente di
inserire la patologia ossea in
corso di CKD, tradizionalmente denominata osteodiFGF 23
1 idrossilasi
strofia ossea, in un’entità
clinico patologica più complessa.
È definita Mineral Bone
Disease (CKD-MBD) un diCalcitriolo
Escrezione di fosforo
sordine sistemico del metaCalcificazioni
vascolari
bolismo minerale, causato
dall’insufficienza renale cronica, caratterizzato da tre
Fosforemia
manifestazioni presenti da
sole o in associazione: alteCalcemia
razioni biochimiche di calFosforemia
cemia, fosforemia, PTH e vitamina D, anomalie ossee in
Calcemia
termini di turnover, mineralizzazione e volume; calcificazioni vascolari o in altri
Turnover
tessuti molli5.
osseo
La perdita progressiva
della funzionalità renale
VDR
PTH
CaSR
porta ad una riduzione della capacità del rene di eliminare fosforo e di sintetizzare vitamina D attiva (calFigura 1. Chronic Kidney Disease - Mineral Bone Disease: disordine sistemico del metabolismo micitriolo).
nerale causato dall’insufficienza renale cronica.
Le immediate conseguenze sono l’iperfosforemia e
M. Cozzolino et al.: Ruolo della vitamina D nei pazienti con malattia renale cronica
Il deficit di vitamina D ha un ruolo centrale
nello sviluppo dell’iperparatiroidismo secondario,
causando una riduzione a livello delle paratiroidi
e degli specifici recettori della vitamina D e dei
recettori sensibili al calcio (CaSR). Si riducono così gli stimoli inibitori sulla secrezione del PTH e
si altera il set-point per il calcio con diminuzione
della sensibilità paratiroidea al calcio ionizzato.
Indirettamente, inoltre, tramite l’ipocalcemia, la
carenza di vitamina D porta ad un aumento dell’espressione di fattori di crescita, promuovendo
l’iperplasia e l’ipertrofia delle paratiroidi. Si instaura quindi un circolo vizioso in cui, da un lato,
l’iperfosforemia e la carenza di vitamina D aggravano nel tempo la resistenza delle paratiroidi
all’azione inibitrice della vitamina D stessa, dall’altro la sintesi di quest’ultima viene ulteriormente compromessa dalla riduzione di parenchima renale funzionante e dall’azione inibitrice dell’FGF-23 sull’1-α idrossilasi, deputata alla sintesi di vitamina D attiva. Nelle fasi avanzate di
CKD si assiste, quindi, ad un aumento del riassorbimento osseo, mediato dall’iperparatiroidismo
secondario, che porta ad una ridotta densità minerale ossea complessiva e ad alterazioni strutturali dell’apparato scheletrico con conseguente
notevole compromissione della qualità di vita di
questi pazienti in termini di rischio di fratture ossee e disabilità8. Un sistema osteoscheletrico così
compromesso e caratterizzato da un alterato turnover non riesce più ad agire come sistema tampone e si assiste allo sviluppo di ipercalcemia ed
iperfosforemia9. La conseguenza più grave di questo squilibrio del metabolismo minerale è il deposito del calcio e fosforo in eccesso a livello dei tessuti molli ed in particolare nei vasi sanguigni, con
drammatici risvolti dal punto di vista dell’aumento della frequenza di morbilità e mortalità
cardiovascolare.
Rischio cardiovascolare e CKD-MBD
Negli ultimi decenni si è presa sempre più coscienza dello stretto legame tra malattie renali e
cardiovascolari, dal momento che disfunzioni insorte in uno di questi organi portano inevitabilmente a conseguenze negative sull’altro; proprio
alla luce di questa nuova evidenza si parla oggi di
sindromi cardio-renali. È ormai noto come i pazienti affetti da insufficienza renale cronica abbiano un maggior rischio di morte per causa cardiovascolare, ben 15 volte superiore, rispetto alla popolazione generale e come circa la metà dei pazienti in End Stage Renal Disease (ESRD, ovvero
lo stadio V della malattia renale cronica) muoiano
per complicanze cardiovascolari8.
Lo squilibrio del metabolismo minerale in corso
di CKD ha suscitato un interesse crescente come
fattore di rischio cardiovascolare non tradizionale,
aggiungendosi, come elemento preponderante, agli
altri fattori di rischio già noti del paziente affetto
da insufficienza renale cronica (l’ipertensione, l’at-
tivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone [RAAS], la disfunzione endoteliale, l’anemia,
l’alterazione dell’equilibrio acido-base, la microinfiammazione)7.
La CKD-MBD si associa allo sviluppo di calcificazioni vascolari9. In base alle osservazioni di un
trial randomizzato, queste sarebbero presenti nel
69% dei pazienti emodializzati10.
La patogenesi delle calcificazioni vascolari vede il fosforo come suo attore principale.
In primo luogo l’ampliamento del pool dei fosfati che si verifica in corso di CKD-MBD favorisce
la deposizione di fosfato di calcio nei tessuti molli
e nei vasi sanguigni portando ad un loro ispessimento parietale e ad un restringimento luminale.
In secondo luogo, studi in vitro hanno dimostrato
che il fosforo ha un ruolo attivo come fattore eziologico delle calcificazioni; l’aumento del fosforo intracellulare tramite Pit-1, un cotrasportatore sodio-fosfato, stimolerebbe l’espressione di geni quali Cbfα1 (Core binding factor α1) e di conseguenza
dell’osteocalcina nelle cellule della muscolatura liscia vasale, promuovendone la differenziazione in
cellule simil-osteoblastiche (trans-differenziazione
osteoblastica)11. Oltre al fosforo, anche il sovraccarico di calcio è stato dimostrato contribuire in vitro
allo sviluppo di calcificazioni, favorite soprattutto
da un ambiente uremico e dai processi apoptotici
che si verificano in corso di disturbo del metabolismo minerale12.
Le calcificazioni vascolari nei pazienti affetti da
CKD possono presentarsi sotto varie forme: calcificazioni della tonaca media di vasi di grande calibro,
placche aterosclerotiche dell’intima, calcificazioni
delle valvole cardiache e calcifilassi, rappresentando
quest’ultima una condizione rara12. Le calcificazioni
sono un rischio cardiovascolare indipendente da
quelli tradizionali, anche nella popolazione generale; nei pazienti con CKD, in particolare, queste sono
accelerate e progressive e sono un indice prognostico negativo, soprattutto se si tratta di calcificazioni
intimali, rispetto a quelle della tonaca media. La
perdita di elasticità con irrigidimento (arterial stiffness) che queste determinano a livello dei vasi arteriosi potrebbe inoltre promuovere lo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra (LVH), mentre le calcificazioni cardiache, direttamente correlate con la mortalità cardiovascolare e con l’insorgenza di infarto
del miocardio, potrebbero promuovere patologie valvolari e dilatazione del ventricolo sinistro8.
Le calcificazioni vascolari non sono però l’unico
meccanismo attraverso il quale il disequilibrio del
metabolismo minerale induce aumentato rischio CV.
Infatti, in alcuni studi, i livelli di PTH e vitamina D sono stati associati ad ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemia ed altri fattori
di rischio CV13,14.
In particolare, la carenza di vitamina D attiva,
che è stata dimostrata in uno studio prospettico osservazionale (SEEK) precedere nel tempo l’aumento di PTH, calcemia, e fosforemia in corso di CKD,
sembra svolgere un ruolo chiave nella promozione
e progressione del danno cardiovascolare e renale15.
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Vitamina D
La vitamina D è una molecola steroidea esistente in due diverse forme inattive:
– l’ergocalciferolo (vitamina D2) che deriva specialmente da precursori di origine vegetale;
– il colecalciferolo (vitamina D3) presente in
alimenti di origine animale (pesci, mammiferi), ma
soprattutto prodotto a livello cutaneo per esposizione del 7-deidrocolesterolo ai raggi UVB.
La forma attiva della vitamina D viene ottenuta attraverso due successive idrossilazioni: la prima avviene a livello epatico per l’azione della 25
idrossilasi (CYP2R1) e porta alla sintesi del 25idrossicolecalciferolo (calcifediolo). Una parte di
calcifediolo viene filtrata a livello glomerulare e
trasformata dall’1 α idrossilasi renale (CYP27B1)
ad 1-25 didrossicolecalciferolo (calcitriolo), dopo
essere stata riassorbita a livello del tubulo prossimale tramite un meccanismo di endocitosi mediato dalla proteina megalina. Una porzione più consistente di 25 OH colecalciferolo rimane invece in
circolo, legata per la maggior parte alla D Binding
Protein (DBP), per una parte minore all’albumina, e viene parzialmente attivata dalle 1α idrossilasi periferiche, presenti a livello di vari tessuti ed
organi: endotelio, cellule muscolari lisce vascolari,
cellule dendritiche, linfociti, pancreas, cute.
Le azioni biologiche del calcitriolo sono mediate da recettori specifici ad azione selettiva, i VDRs
(Vitamin D Receptors). I VDRs sono dei recettori
intracellulari e appartengono alla superfamiglia
dei recettori degli ormoni steroidei. Il legame del
calcitriolo con il VDR determina una traslocazione
nucleare del complesso ligando-recettore ed un legame di quest’ultimo col recettore specifico dell’acido retinoico (RXR). L’eterodimero così ottenuto si legherà, tramite il dominio DNA-binding del
VDR, a determinate sequenze del DNA del promotore dei geni target (VDREs: Vitamin D Responsive Elements), richiamando cofattori nucleari.
L’equilibrio finale tra coattivatori e corepressori
determinerà l’attivazione o l’inibizione della trascrizione dei geni bersaglio16.
Effetti classici della vitamina D
La vitamina D è storicamente riconosciuta come un importante regolatore del metabolismo minerale ed osseo. Le nostre conoscenze a riguardo si
sono rivoluzionate negli ultimi anni con la dimostrazione della presenza dei VDRs in quasi tutti i
tessuti umani.
Il ruolo principale del calcitriolo negli organi
classicamente coinvolti nel metabolismo minerale
è la regolazione della calcemia.
A livello dell’epitelio intestinale aumenta il
riassorbimento di calcio, e collateralmente di fosforo, inducendo l’espressione di canali del calcio
apicali (TRPV6 e TRPV5), di proteine citoplasmatiche leganti il calcio (calbindina, PMCA1b, Nα1)
che promuovono il trasporto trans cellulare di cal-
cio, e di proteine basalolaterali che permettono la
sua espulsione nel torrente circolatorio (pompa
Ca++ ATPasi, scambiatore Na+/Ca++).
A livello renale, il calcitriolo, da una parte, stimola il riassorbimento di calcio a livello del tubulo distale promuovendo la sintesi di proteine transmembrana e citoplasmatiche in esso coinvolte
(TRPV5, calbindina, pompa Ca++ATPasiPMCA1b, scambiatore Na+/Ca++ -NCX1) e potenziando l’effetto riassorbitivo sul calcio del PTH;
dall’altra, controlla la sua stessa omeostasi; agisce
infatti inibendo l’enzima 1α idrossilasi e stimolando la 24 idrossilasi. La vitamina D attiva, inoltre,
regola il turnover osseo, rappresentando un elemento cruciale per la sua normale formazione e
mineralizzazione e quindi per l’omeostasi minerale: da un lato, essa promuove il riassorbimento osseo stimolando sugli osteoblasti l’espressione del
ligando RANK-L che, legandosi al recettore RANK
dei pre-osteoclasti, ne determina la maturazione
in osteoclasti; dall’altro lato induce la sintesi di
osteoprotegerina, un decoy receptor di RANK-L
che ne impedisce il legame con RANK e quindi la
maturazione degli osteoclasti. Modula inoltre la
sintesi osteoblastica di proteine di matrice ossea
quali l’osteopontina e l’osteocalcina. Recente è l’evidenza di un’azione diretta del calcitriolo sulle paratiroidi nella riduzione dei livelli sierici di PTH
sia a breve termine, inibendone la secrezione, sia a
lungo termine, riducendo i livelli dell’espressione
dell’mRNA che lo codifica e sopprimendo la proliferazione delle cellule paratiroidee17. Negli ultimi
anni è emerso come il calcitriolo abbia effetti pleiotropici slegati dal metabolismo calcio-fosforo la
cui base biologica è l’ubiquitarietà dell’espressione
dei VDRs.
Effetti pleiotropici della vitamina D
VITAMINA D E SISTEMA CARDIOVASCOLARE
Ridotti livelli di calcitriolo sono molto frequenti nei pazienti con malattie cardiache croniche e sono un indice prognostico negativo per aumentata
incidenza di infarto del miocardio e ridotta sopravvivenza8.
Abbiamo già visto il ruolo centrale della carenza di vitamina D nel rischio cardiovascolare per il
suo convolgimento nello sviluppo di iperparatiroidismo secondario e nella formazione di calcificazioni vascolari.
Oltre a questo aspetto, la vitamina D è stata associata a numerosi altri effetti protettivi sul sistema cardiovascolare (figura 2 alla pagina seguente).
In primo luogo contrasta lo sviluppo di ipertrofia cardiaca, inibendo la proliferazione e l’apoptosi cardiomiocitaria e regolando il turnover della matrice extracellulare miocardica a favore dei
fattori antifibriotici (BMP2-7, MM8, metalloproteinasi), vs i fattori profibrotici (TGF-β1, collagene I-III).
M. Cozzolino et al.: Ruolo della vitamina D nei pazienti con malattia renale cronica
•
PTH: Calcificazioni vascolari
-
Secrezione
Sintesi di m RNA
• Antiproliferativa
- Inibizione di proliferazione e apoptosi dei cardiomiociti
- Inibizione della proliferazione e migrazione delle cellule muscolari lisce vascolari
• Antinfiammatoria/immunomodulatoria
- Inibizione del TACE
- Inibizione dell’espressione di molecole di adesione
- Self tolerance: Th1
Th2; induzione e attivazione T regolatori
- Inibizione della formazione di cellule macrofagiche schiumose
- Inibizione del RAAS: NFkB
• Antifibrotica
- Spostamento del turnover della matrice verso fattori antifibrotici (BMP-2-7; MM 8,
metalloproteinasi) vs profibrotici (TGF1-β, collagene III-I)
- Inibizione del RAAS: TGFβ
• Antipertensiva
-
compliance della muscolatura liscia vascolare (
vascular stiffness)
- ANP 16
- Inibizione RAAS
• Antidiabetica
- Inibizione del RAAS: inibizione della disfunzione e della riduzione di numero delle β cellule
- sensibilità periferica all’insulina: VDR nel muscolo scheletrico e adipociti
• Antiproteinurica
- Inibizione del RAAS
- Protezione dei podociti: espressione di nefrina
- espressione di megalina
Figura 2. Effetti cardio- e reno-protettivi della vitamina D.
La vitamina D è inoltre indispensabile per la
funzionalità endoteliale ed ha un importante effetto antiaterosclerotico: inibisce infatti la proliferazione e migrazione delle cellule muscolari lisce
dei vasi sanguigni, la formazione delle cellule macrofagiche schiumose e sopprime l’espressione di
molecole d’adesione endoteliali stimolate da fenomeni infiammatori18.
Le proprietà immunomodulatorie della vitamina D sono un altro elemento fondamentale per il
rallentamento della progressione del danno cardiovascolare da infiammazione sistemica, caratteristica delle patologie croniche.
Diversi sono i meccanismi attraverso cui si
esplica tale effetto. In primo luogo è stata recentemente dimostrata l’attività inibitoria della vitamina D sull’enzima di conversione del TNFα (TACE),
citochina profibrotica e proinfiammatoria; TACE
media inoltre il rilascio in circolo di molecole d’adesione quali sICAM-1 e sVCAM-119.
In secondo luogo la vitamina D ha un’ azione diretta sulle cellule del sistema immunitario, che
esprimono un proprio VDR; macrofagi, cellule dendritiche e cheratinociti possiedono inoltre una particolare 1α idrossilasi sensibile alle citochine e non
agli stimoli classici (PTH, calcitriolo). L’azione immunomodulatrice della vitamina D consiste nella regolazione della funzione macrofagica e delle cellule
dendritiche a favore della self-tolerance, nell’induzione dell’attivazione dei linfociti T regolatori, e nella promozione della differenziazione dei linfociti T
helper verso il fenotipo Th2 piuttosto che Th1. Queste sue proprietà contrastano quindi non solo i fenomeni infiammatori, ma anche quelli autoimmuni.
Polimorfismi dei VDRs sono stati associati con la suscettibilità e la severità di patologie autoimmuni17.
La vitamina D contribuirebbe anche ad un’azione protettiva sul sistema cardiovascolare andando
a modificare importanti fattori di rischio, primo fra
tutti l’ipertensione arteriosa.
La vitamina D è coinvolta nella regolazione della pressione arteriosa e del volume plasmatico attraverso la sua capacità di modulare la sensibilità
delle cellule della muscolatura liscia vascolare, oltre
a quella di promuovere la natriuresi tramite l’induzione dei recettori del peptide natriuretico atriale tipo A17. Il meccanismo principe e il più interessante
è però l’inibizione del RAAS, che la vitamina D esercita riducendo l’espressione del gene codificante la
renina nelle cellule iuxtaglomerulari, tramite un aumento di calcio intracellulare20. Oltre alla sua azione antipertensiva, l’inibizione del RAAS ha importanti risvolti nefro- e cardio-protettivi da essa indipendenti. L’angiotensina II, promuovendo l’attivazione del fattore di trascrizione NF-kB, è infatti un
potente induttore della sintesi di citochine e chemochine pro-infiammatorie (MCP-1, PAI); stimola inoltre la sintesi di proteine pro-fibrotiche (TNF-β) ed è
coinvolta nella regolazione del ciclo cellulare come
promotore dell’ipertrofia cellulare. L’attivazione del
RAAS è quindi alla base dei processi di danno, riparazione ed ipertrofia, che hanno una centralità nella progressione delle patologie cardio-renali21,22.
Un’ulteriore conferma dell’attivazione del RAAS e della modificazione del profilo delle citochine
infiammatorie come meccanismo di correlazione
tra deficit di vitamina D e rischio cardiovascolare
viene dallo studio di pazienti affetti da scompenso
cardiocircolatorio in cui si è osservata una relazione tra rischio di morte ed ospedalizzazione e livelli di vitamina D; questi a loro volta correlano con i
livelli di attività reninica plasmatica (PRA) e di
proteina C reattiva (PCR)8.
VITAMINA D, NEFROPROTEZIONE E PROTEINURIA
Il deficit di vitamina D, molto frequente nei pazienti affetti da CKD, rappresenta un fattore di rischio indipendente per la progressione del danno
renale18,22.
La vitamina D e i suoi metaboliti esercitano numerose azioni nefroprotettive attraverso le loro
proprietà antinfiammatorie antifibrotiche, l’inibizione del RAAS, di cui abbiamo già discusso nei
precedenti paragrafi, e la sua attività antiproteinurica (figura 2).
La vitamina D esercita la sua azione antiproteinurica, oltre che inibendo il RAAS, preservando
l’integrità e la funzionalità dei podociti, a livello
dei quali è stata riscontrata l’espressione, seppur
minima, dei VDRs19.
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Questa osservazione è confermata dalla dimostrazione in vitro che il calcitriolo induce in colture
podocitarie l’espressione della nefrina, una proteina costitutiva dei diaframmi dell’epitelio viscerale
dei capillari glomerulari, elementi fondamentali
per la selettività della membrana di filtrazione22.
La riduzione dei livelli di proteinuria mediati
dal calcitriolo è parzialmente spiegata anche dalla
sua azione induttrice sull’espressione di megalina,
un recettore multiligando del tubulo renale prossimale che non solo è coinvolto nel riassorbimento
dell’albumina urinaria, ma media l’endocitosi attiva del complesso 25OH vitamina D-DBP. Il riassorbimento del calcifediolo è fondamentale per evitare la sua perdita con le urine; è quindi indispensabile sia per la sua attivazione tramite la 1α idrossilasi renale, sia per il suo eventuale ritorno nel torrente circolatorio che ne consente l’attivazione nei
tessuti periferici extrarenali e il mantenimento dei
livelli sierici. Da queste osservazioni, dimostrate su
modelli di megalin-null mouse, risulta chiaro come
il deficit di calcitriolo, anche in individui sani, provoca una riduzione del riassorbimento del suo stesso precursore, generando un circolo vizioso; può
inoltre darci una parziale spiegazione dello stretto
legame tra carenza di vitamina D e proteinuria19.
Conferme in questo senso sono arrivate anche
da diversi studi clinici.
Studi osservazionali hanno correlato bassi livelli di vitamina D con la prevalenza di CKD e di
proteinuria. È stata inoltre osservata una relazione longitudinale inversa ed indipendente tra i livelli di 25 OH vitamina D e la progressione del
danno renale in pazienti con CKD (stadio 2-5) non
in terapia dialitica sostitutiva. L’utilizzo degli attivatori dei VDRs (VDRAs) è stato inoltre associato con un miglioramento degli indici di sopravvivenza in diversi trials20.
Tra gli studi d’intervento, un recente trial randomizzato controllato a doppio cieco, il VITAL study (selective VITamin D receptor activation for reduction of ALbumnuria in patients with type 2 diabetes), effettuato su una coorte di pazienti affetti
da DM tipo 2 e insufficienza renale al III e IV stadio, ha dimostrato l’efficacia del paracalcitolo
(2mcg/die), un VDRA, nel ridurre i livelli di albuminuria, in aggiunta alla terapia con ACE-inibitore e/o sartani23. Questo studio correla il deficit di
vitamina D con importanti surrogati della progressione del danno renale (proteinuria), supportando l’utilizzo degli attivatori dei VDRs per ridurre i livelli di albuminuria nei pazienti diabetici in associazione alla terapia tradizionale. Ulteriori studi saranno necessari per valutare gli effetti a lungo termine di questo trattamento sugli
end-point definitivi: il tempo di progressione del
danno renale e l’ingresso in dialisi20.
VITAMINA D E DIABETE
La vitamina D potrebbe avere un ruolo nella patogenesi del diabete mellito (DM) di tipo I e di tipo II.
Il primo meccanismo coinvolto è l’inibizione del
RAAS mediata dalla vitamina D: i livelli di attivazione del RAAS intrapancreatici e sistemici provocano una disfunzione e riduzione di massa e delle
cellule pancreatiche, confermata in vitro e su modelli murini, ed una riduzione della sensibilità periferica all’insulina20.
La vitamina D è direttamente responsabile del
mantenimento dei livelli di calcio intracellulare
nelle cellule pancreatiche e quindi nello stimolo alla secrezione di insulina. Ha inoltre un’importante azione sui tessuti periferici coinvolti nel metabolismo glucidico e lipidico (muscolo scheletrico,
adipociti) che possiedono propri VDRs; la loro attivazione aumenta l’espressione dei recettori per
l’insulina a livello di questi tessuti, sensibilizzandoli alla sua azione.
Un ulteriore argomento a favore di questa osservazione è la maggior prevalenza di sindrome metabolica nei pazienti con carenza di vitamina D16.
Uno studio caso-controllo (EURODIAB) ha associato la supplementazione con vitamina D in infanzia ad un minor rischio relativo di sviluppare
DM tipo 1; questo effetto potrebbe essere mediato
dalle proprietà immunomodulatrici della vitamina
D, ma mancano studi conclusivi.
Più dati sono disponibili riguardo al DM tipo 2: in
studi osservazionali su un’ampia coorte i metaboliti
della vitamina D sono stati inversamente associati
con i livelli di emoglobina glicata e la prevalenza e
l’incidenza a 5 anni di diabete mellito. Altri studi su
pazienti affetti da DM tipo 2 hanno associato i livelli di vitamina 25OH D con quelli dell’adiponectina,
un ormone circolante implicato nella sensibilità all’insulina, che potrebbe essere uno dei meccanismi
di correlazione tra diabete e vitamina D.
Non ci sono, però, studi definitivi sufficienti e
un disegno specifico per indagare il legame tra vitamina D, controllo glicemico, diabete e la loro relazione causale. I nuovi studi dovrebbero tenere
conto dei fattori confondenti quali il body mass index (BMI), che correla sia con i livelli di vitamina
D, sia con l’insorgenza di diabete, e l’intake dietetico di sodio che influenza sia l’attività del RAAS
sia la sensibilità all’insulina20.
Strategie nel trattamento del deficit di vitamina D
Dalle osservazioni precedenti risulta chiara
l’importanza di uno stato di sufficienza di vitamina D non solo nei pazienti affetti da nefropatia, ma
anche nella popolazione sana.
La carenza di vitamina D è molto diffusa; in
particolare ha un’altissima prevalenza nei pazienti affetti da CKD, in cui alle cause tradizionali di
deficit (scarsa esposizione alla luce solare, ridotto
introito dietetico), si aggiungono quelle proprie dell’insufficienza renale cronica (riduzione della sintesi cutanea, perdita urinaria di 25 OH vitamina D
e DBP, perdita della massa renale e riduzione del
GFR, ridotta attività dell’1α idrossilasi, aumento
dell’FGF-23, tossine uremiche).
M. Cozzolino et al.: Ruolo della vitamina D nei pazienti con malattia renale cronica
In questa sottopopolazione il deficit aumenta
con la progressione del danno renale, raggiungendo il suo picco nei pazienti in terapia dialitica sostitutiva18.
Il deficit di vitamina D coinvolge sia la sua forma attiva, la 1-25 OH vitamina D (calcitriolo), che
ha un’affinità molto maggiore per il VDR rispetto
ai precursori, sia la vitamina D nativa (ergocalciferolo e calciferolo) e la 25 OH vitamina D (calcifediolo).
Il calcifediolo ha una concentrazione ematica e
un’emivita plasmatica notevolmente maggiori rispetto al calcitriolo (15-18 gg vs 3-7gg) ed è la sua
concentrazione sierica ad essere tenuta in considerazione come parametro per stabilire lo stato
complessivo di vitamina D di un individuo.
Non c’è un valore soglia universalmente riconosciuto che stabilisca i livelli di sufficienza di vitamina D; però diversi studi definiscono come carenza valori al di sotto dei 20 ng/ml (50 nmol/l),
con valori normali al di sopra dei 30 ng/ml (75
nmol/l)24.
Nella terapia di supplementazione del paziente nefropatico sono da considerare due approcci.
Il primo è la supplementazione con vitamina
D nativa o con 25 OH vitamina D, che ha un significato di recupero dello stato nutrizionale. Nel
soggetto con CKD, portatore di numerose anomalie della sintesi e del catabolismo della forma
attiva di vitamina D sia renale che extrarenale,
la somministrazione di vitamina D nativa non è
sufficiente a normalizzare i livelli sierici di calcitriolo a meno di non utilizzare dosaggi così elevati da risultare dannosi. Livelli di 25 OH vitamina D ≥150 ng/ml risultano tossici e associati
con calcificazioni vascolari e dei tessuti molli.
Piccoli studi sulla supplementazione con vitamina D nativa sono stati effettuati per lo più sulla
popolazione generale, ma anche in pazienti con
CKD, ed hanno mostrato miglioramento del metabolismo minerale, riduzione del PTH, miglioramento dei parametri infiammatori, e del metabolismo glucidico; una metanalisi comprendente
sostanzialmente soggetti anziani la associa inoltre con la riduzione di mortalità da tutte le cause. Mancano trials randomizzati a conferma di
questi risultati e mancano soprattutto studi che
prendano in considerazione gli outcomes cardiovascolari18.
La supplementazione con calcitriolo o suoi
analoghi rappresenta il secondo approccio terapeutico ed è fondamentale per normalizzare i livelli di vitamina D attiva sia in maniera diretta,
sia perché favorisce la sintesi endogena di calcitriolo a livello renale e periferico. Abbiamo infatti già discusso di come il calcitriolo sia indispensabile per il riassorbimento del calcifediolo urinario tramite la megalina e quindi per la sua attivazione renale e di come un suo deficit porterebbe ad un ulteriore peggioramento dello stato
carenziale di vitamina D. Anche a livello periferico il calcitriolo risulta fondamentale per la sua
stessa sintesi: è infatti un importante stimolo per
potenziare l’internalizzazione della 25 OH vitamina D nei macrofagi, cellule dendritiche e cheratinociti, tutte cellule dotate di una propria 1α
idrossilasi19.
Il calcitriolo ha però tra i suoi effetti secondari
la comparsa di ipercalcemia e iperfosforemia, con
peggioramento della progressione delle calcificazioni vascolari. L’utilizzo degli attivatori selettivi
dei VDRs (VDRAs, es paracalcitolo) ha invece un
minor effetto sull’aumento del calcio e fosforo sierici; infatti agisce soprattutto a livello paratiroideo
migliorando l’iperparatiroidismo secondario e
l’ipertrofia delle paratiroidi, mentre l’effetto a livello del riassorbimento intestinale di calcio e fosforo e sulla loro mobilitazione ossea è molto ridotto. Rispetto al calcitriolo questi nuovi analoghi
hanno sicuramente un margine terapeutico maggiore16.
Diversi studi clinici hanno riscontrato un’associazione tra supplementazione con vitamina D attiva o VDRs e riduzione di mortalità da tutte le
cause in pazienti con CKD in dialisi e non; almeno
nei pazienti in dialisi la supplementazione di calcitriolo è stata correlata con un miglioramento della struttura e funzionalità miocardica18. Il confronto in termini di sopravvivenza tra calcitriolo e
VDRAs è stato effettuato in pazienti in dialisi: un
grande studio controllato ha messo in evidenza un
vantaggio in termini di sopravvivenza dei pazienti che ricevevano paracalcitolo iv rispetto al calcitriolo iv; lo stesso si è verificato nei pazienti che sono stati smistati dalla terapia con calcitriolo a
quella con paracalcitolo. Osservazioni simili sono
state fatte per pazienti con CKD stadio III-V, ma
c’è necessità di ulteriori studi per avere delle evidenze esaustive24.
Il paricalcitolo ad alte dosi (2 mcg) è stato inoltre associato nello studio VITAL sopramenzionato
ad una riduzione dell’albuminuria in pazienti con
DM tipo 2.
La supplementazione di vitamina D attiva non
sostituisce comunque quella con vitamina D nativa che rimane fondamentale per fornire il substrato per la sintesi del calcitriolo sia attraverso
l’1α idrossilasi renale sia attraverso le 1α idrossilasi periferiche, garantendo inoltre l’attivazione
paracrina dei VDRs a livello locale.
La supplementazione del deficit di vitamina D
nel paziente nefropatico dovrebbe dunque realizzarsi con la terapia combinata di vitamina D nativa e attiva. Studi preliminari su ratti nefrectomizzati per 5/6 hanno dimostrato un vantaggio in
termini di outcomes cardiovascolari e miglioramento della funzione renale nel gruppo in trattamento con basse dosi di paracalcitolo e vitamina
D nativa rispetto a quelli in monoterapia. Comunque risulta importante tenere in considerazione che i livelli sufficienti di vitamina D per
un’ottimizzazione della funzione vascolare hanno
una finestra stretta19.
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Recenti Progressi in Medicina, 104 (1), gennaio 2013
Conclusioni
Lo squilibrio dell’omeostasi minerale cui si assiste nella malattia renale cronica ha una forte correlazione con l’insorgenza di complicanze cardiovascolari.
Questo concetto è ben espresso dal termine
CKD-MBD che racchiude in un’unica entità clinico-patologica le alterazioni dei livelli di calcemia,
fosforemia, PTH, vitamina D, anomalie ossee, e
calcificazioni vascolari che si verificano nel contesto della malattia renale cronica.
La vitamina D ha un ruolo centrale nella patogenesi della CKD-MBD e nella protezione da eventi cardiovascolari nel soggetto nefropatico.
In primo luogo, il deficit di vitamina D in corso
di CKD è coinvolto nella patogenesi dell’iperparatiroidismo secondario e, di conseguenza, nello sviluppo delle calcificazioni vascolari. Queste ultime,
accelerate e progressive nel paziente nefropatico,
rappresentano la complicanza più grave dell’iperparatiroidismo secondario per il loro impatto prognostico negativo in termini di morbilità e mortalità cardiovascolare.
La carenza di vitamina D ha, inoltre, un ruolo
come fattore di rischio cardiovascolare non classico nella malattia renale cronica, indipendentemente dal suo coinvolgimento nella formazione
delle calcificazioni vascolari.
I meccanismi coinvolti nella sua azione cardioprotettiva e allo stesso tempo nefroprotettiva sono
numerosi, comprendendo l’inibizione della proliferazione cellulare, della fibrosi, dei fenomeni infiammatori, della proteinuria e importanti proprietà anti-diabetiche ed anti-ipertensive. Alla luce di queste osservazioni, risulta chiaro che il mantenimento di adeguati livelli sierici di vitamina D
è un obiettivo imprescindibile nella terapia della
malattia renale cronica.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Mario Cozzolino
Ospedale San Paolo
Dipartimento di Scienze della Salute
Divisione Renale
Via A. di Rudinì, 8
20142 Milano
E-mail: [email protected]