Disfunzione miocardica in corso di sepsi: epidemiologia, significato

RASSEGNA
Disfunzione miocardica in corso di sepsi:
epidemiologia, significato prognostico e trattamento
Giorgia Paoli1, Serafina Valente2, Diego Ardissino1, Gian Franco Gensini2
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U.O.C. di Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Parma
Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
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About 50% of patients with sepsis show myocardial involvement characterized by biventricular enlargement,
reduced contractility and diastolic dysfunction. This increases the risk of death and leads to an extremely poor
prognosis in the case of severe sepsis or septic shock, with full recovery of cardiac function seen in survivors
at 7-10 days. The pathogenesis of myocardial dysfunction has long been investigated and, although it is still
not fully understood, seems not to be due to reduced coronary flow, but to circulating substances released
by pathogens (e.g. endotoxins) and host immuno-inflammatory responses (e.g. cytokines and mechanisms related to nitric oxide). First-line therapy is causal and consists of antibiotics plus the surgical excision of the infectious focus; in the presence of severe sepsis or septic shock, it is also necessary to promptly start circulatory and multiorgan support treatment.
This review describes current knowledge concerning the instrumental and clinical characteristics, pathophysiology, prognosis and therapy of myocardial dysfunction during sepsis, and briefly considers possible future
therapeutic perspectives.
Key words. Myocardial dysfunction; Sepsis; Septic shock.
G Ital Cardiol 2011;12(10):645-651
La sepsi rappresenta una condizione clinica di frequente riscontro in terapia intensiva (10-20% dei pazienti) e di complessa gestione; è infatti gravata da elevata mortalità quando
si complica con insufficienza d’organo (20-50%) o stato di
shock (40-70%). I dati epidemiologici disponibili sono eterogenei in quanto risentono dell’applicazione, in passato, di definizioni non uniformi circa i vari stadi della sepsi. Dati relativamente recenti stimano che l’incidenza di sepsi severa negli Stati Uniti sia di 750 000 nuovi casi/anno, con una mortalità annuale di 210 000 soggetti1. In uno studio tedesco condotto su
454 terapie intensive, l’incidenza di sepsi severa è stata stimata essere 76-110 nuovi casi/anno per 100 000 abitanti2 con un
rilevante impatto economico3.
La sepsi è causata da un’infezione che si accompagna a segni di infiammazione sistemica e/o danno d’organo e/o squilibri
emodinamici e/o ipoperfusione tissutale. La storia naturale della sepsi manifesta la frequente progressione verso la sepsi grave e lo shock settico che sovente precede l’exitus4 (Tabella 1).
Nello shock settico il decesso precoce si accompagna a due
pattern emodinamici differenti: può avvenire in corso di shock
distributivo (caratterizzato da basse resistenze periferiche con
portata cardiaca inizialmente normale o aumentata, ma con
anormale distribuzione del flusso microvascolare) o per la comparsa di shock cardiogeno, caratterizzato da riduzione della por-
© 2011 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 13.05.2011; nuova stesura 05.08.2011; accettato 05.08.2011.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr.ssa Giorgia Paoli U.O.C. di Cardiologia, Azienda OspedalieroUniversitaria, Via Gramsci 14, 43100 Parma
e-mail: [email protected]
tata cardiaca e vasocostrizione periferica. Dopo i primi giorni, il
decesso tardivo può avvenire per disfunzione multiorgano5.
Il cuore è coinvolto in circa il 50% dei casi. Sebbene da molti decenni la depressione miocardica in corso di sepsi sia stata
oggetto di studio e già dagli anni ’90 sia stato osservato che
nella sepsi la mortalità aumenta dal 20% al 70-90% se vi è interessamento cardiaco6, solo di recente è stata ufficialmente riconosciuta l’importanza del coinvolgimento cardiaco. Difatti,
la International Sepsis Definitions Conference7 ha rivisto il ruolo della disfunzione cardiaca, inserendola tra i fattori che identificano la sepsi grave (Tabella 1).
CENNI STORICI E CARATTERISTICHE
CLINICO-STRUMENTALI
La depressione miocardica nella sepsi è stata per la prima volta
studiata con la tecnica della cineangiografia a radionuclidi e monitoraggio emodinamico invasivo (arterioso e polmonare mediante catetere di Swan-Ganz)8 in 20 pazienti con un quadro di
shock settico. In virtù del trattamento con liquidi, la portata cardiaca era normale/aumentata e di conseguenza l’indice cardiaco falsamente normale. I ricercatori osservarono che, alla cineangiografia, il 50% dei pazienti (10 dei 13 sopravvissuti) aveva
una significativa riduzione della frazione di eiezione (FE) ed un
aumento del volume telediastolico (e quindi un volume di eiezione sistolico conservato). Tali alterazioni risultarono reversibili
in alcuni giorni. I ricercatori osservarono inoltre, con sorpresa,
che i paziente con normale FE non sopravvivevano. A spiegazione di questo fenomeno fu inizialmente ipotizzato che nei sopravvissuti la dilatazione ventricolare fosse un meccanismo di
compensazione con funzione protettiva in quanto permetteva di
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CHIAVE DI LETTURA
Ragionevoli certezze. Il coinvolgimento
miocardico in corso di sepsi è sempre un fattore
prognostico pesantemente negativo sull’outcome.
Nonostante i pazienti con sepsi grave/shock
settico abbiano un’ipovolemia relativa,
classicamente, la disfunzione miocardica non è
causata da un ridotto flusso coronarico. Ad oggi
non esiste una terapia miocardio-specifica in
grado di prevenire e/o contrastare la disfunzione
in questo contesto.
Questioni aperte. Diversi meccanismi, solo in
parte conosciuti, concorrono nello sviluppo della
disfunzione miocardica che sembra essere più
funzionale che strutturale, almeno per i pazienti
che mostrano un completo recupero ed hanno
prognosi favorevole. Dagli studi sperimentali
condotti negli ultimi decenni, spesso su modelli
animali, si evince che la risposta infiammatoria,
attraverso una cascata di mediatori e citochine,
gioca un ruolo primario nella patogenesi della
depressione miocardica.
Le ipotesi. In considerazione delle premesse
fisiopatologiche, una promettente area di
investigazione scientifica è rappresentata dalle
molecole che esercitano effetti antinfiammatori.
Le statine, per il loro effetto pleiotropico, sono
state analizzate su modelli settici in studi preclinici
mostrando risultati interessanti che meritano di
essere misurati in studi clinici randomizzati, su
larga scala, condotti su pazienti con sepsi, sepsi
severa e shock settico.
mantenere il volume di eiezione sistolico e quindi la portata costanti. La popolazione dei deceduti mostrava anche resistenze
periferiche significativamente più basse.
Successivamente, altri lavori, su casistiche limitate, utilizzarono per lo studio della funzione cardiaca l’ecocardiogramma
transtoracico e transesofageo confermando il frequente interessamento cardiaco (45-90% a seconda delle casistiche); l’alterazione più frequentemente descritta nei diversi lavori è la riduzione globale della contrattilità del ventricolo sinistro. Ulteriori studi hanno messo in evidenza che esiste anche una compromissione della fase diastolica9-11 e il coinvolgimento del ventricolo destro12,13.
Parker et al.13 hanno studiato il comportamento del ventricolo destro in rapporto alle alterazioni emodinamiche e al comportamento del ventricolo sinistro in 39 pazienti con shock settico. Rispetto ai pazienti deceduti (n = 17), i 22 sopravvissuti
mostrarono un ripristino della funzione ventricolare destra e sinistra con una concordanza tra il comportamento dei due ventricoli superiore all’80%. Da un punto di vista emodinamico gli
stessi pazienti mostrarono un miglioramento della pressione venosa centrale, della pressione polmonare media e della pressione di incuneamento capillare rispetto ai non sopravvissuti. I
ricercatori non trovarono alcuna correlazione tra la FE e l’an-
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damento delle resistenze e della pressione polmonare probabilmente perché la compromissione della performance ventricolare destra (come per il ventricolo sinistro) è un fenomeno
globale secondario a molteplici meccanismi fisiopatologici più
che all’aumento del postcarico polmonare. In aggiunta l’ipertensione polmonare è un reperto variabile nella sepsi14 che si
associa di solito alla presenza di severa disfunzione respiratoria15.
Uno studio più recente ha valutato l’andamento temporale della disfunzione miocardica del ventricolo destro in un modello endotossiemico animale di shock settico osservando che
nei primi 30 min l’aumento del postcarico ventricolare destro si
associa ad un aumento della contrattilità e che tale condizione
però non si mantiene dopo 90 min, verosimilmente a causa del
depauperamento energetico dovuto ai molteplici processi fisiopatologici che concorrono nello sviluppo della disfunzione
miocardica, come descritto nei paragrafi successivi16.
Riassumendo, dopo i primi studi si ipotizzò che la depressione miocardica fosse un “fattore protettivo” di compensazione allo shock ma uno studio osservazionale più recente17
condotto su pazienti con sepsi severa o shock settico ha invece documentato che il peptide natriuretico cerebrale (BNP) risulta significativamente aumentato nei pazienti che presentano una funzione miocardica depressa e che poi vanno incontro
ad esito infausto. Alla luce di queste discrepanze è stato ipotizzato che la FE non sia l’indice più accurato nello studio della
depressione miocardica in quanto può essere influenzata da
fattori “esterni” come la caduta delle resistenze periferiche (un
indicatore prognostico negativo che ne determina una sovrastima). Nelle fasi iniziali della sepsi severa la vasodilatazione che
si realizza è importante e le resistenze periferiche possono essere significativamente ridotte. Infatti un’analisi retrospettiva di
42 pazienti con shock settico ha dimostrato che la mortalità
era significativamente associata a basse resistenze periferiche18.
Infine è probabile che i pazienti oggetto dei vari studi fossero,
al momento della valutazione cardiaca, in differenti contesti clinici (differenti fasi dello shock, differenti profili emodinamici e
differenti trattamenti in corso).
MARCATORI PROGNOSTICI
Marcatori strumentali
In una cospicua casistica di pazienti in shock settico, Parker et
al.19 hanno osservato che avere una frequenza cardiaca (FC)
<106 b/min alla presentazione o FC <95 b/min e resistenze periferiche corrette per la superficie corporea >1529 dyne.s/
cm5.m2 a 24h dalla presentazione correlava positivamente con
la sopravvivenza.
In considerazione del fatto che i pazienti con shock settico
hanno una minore responsività adrenergica, è stato osservato
che la persistenza di una riserva contrattile da stimolo catecolaminergico, come in corso di stress farmacologico con dobutamina, correla con un outcome favorevole20,21.
Biomarker: troponine e peptidi natriuretici
Le troponine cardiache ed i peptidi natriuretici sono biomarker
di largo utilizzo, già da diversi anni, nella diagnosi e nella stratificazione del rischio, rispettivamente, delle sindromi coronariche acute e dello scompenso cardiaco.
In uno studio22 condotto su 46 pazienti con sepsi grave/shock
settico fino al 50% aveva un aumento della troponina correlato
CUORE E SEPSI
Tabella 1. Definizioni della sepsi.
Infezione
Presenza e moltiplicazione di microrganismi che invadendo i tessuti provocano una reazione immunitaria locale.
SIRS
Infiammazione sistemica in risposta ad insulti aspecifici sia di tipo infettivo che non infettivo (es. ustioni,
pancreatite).
Sepsi - principali
parametri validi per gli adulti
Infezione (sospetta o documentata) + alcuni dei seguenti segni:
• Generali:
– Temperatura corporea <36 o >38.3°C
– Tachicardia: >90 b/min o >2 DS del valore atteso per età
– Tachipnea: frequenza respiratoria >30 atti/min
– Alterazioni dello stato mentale
– Edemi significativi o bilancio idrico positivo (>20 ml/kg/24h)
– Iperglicemia (>110 mg/dl o 7.7 mM/l) in assenza di diabete
• Infiammatori:
– Leucocitosi: numero di globuli bianchi nel sangue >12 000/mm3, oppure aumento >10% di forme
immature di neutrofili
– Leucopenia: numero di globuli bianchi nel sangue <4000/mm3.
– Proteina C-reattiva plasmatica >2 DS del valore normale
– Procalcitonina plasmatica >2 DS del valore normale
• Emodinamici
– Ipotensione arteriosa (PAS <90 mmHg o MAP <70 mmHg o caduta di PAS >40 mmHg o <2 DS del
valore normale per età)
– Saturazione venosa mista di ossigeno >70%
– Indice cardiaco >3.5 l/min/m2
• Disfunzione d’organo
– Ipossiemia arteriosa (PaO2/FiO2 <300)
– Oliguria acuta (diuresi <0.5 ml/kg/h or 45 mM/l per almeno 2h)
– Aumento della creatinina ≥0.5 mg/dl
– Anomalie della coagulazione (INR >1.5 o aPTT >60 s)
– Ileo
– Trombocitopenia: conta piastrinica <100 000/µl
– Iperbilirubinemia (bilirubina totale >4 mg/dl o 70 mmol/l)
• Perfusione tissutale
– Iperlactacidemia (>3 mmol/l)
– Ridotto riempimento capillare
Sepsi grave
Sepsi complicata da disfunzione d’organo o ipoperfusione tissutale tra cui anche la disfunzione cardiaca
(all’ecocardiogramma).
Shock settico
Stato di insufficienza circolatoria acuta caratterizzato dalla persistenza di ipotensione arteriosa non
spiegabile con altre cause.
aPTT, tempo di tromboplastina parziale attivato; DS, deviazione standard; FiO2, frazione di ossigeno inspirata; INR, international normalized ratio;
MAP, pressione arteriosa media; PaO2, pressione parziale di ossigeno; PAS, pressione arteriosa sistolica; SIRS, sindrome da risposta infiammatoria
sistemica.
ad uno score di gravità elevato (Acute Physiology and Chronic
Health Evaluation o APACHE II) e alla disfunzione ventricolare
misurata all’ecocardiografia transesofagea (78% i pazienti con
troponina positiva e disfunzione miocardica, p<0.0001). Anche
altri autori hanno confermato l’associazione tra positività della
troponina e riduzione della FE, dimostrando la correlazione con
la severità della sepsi23 e la prognosi24 (mortalità del 22.4% nei
troponina-positivi e del 5.2% nei troponina-negativi, p<0.018).
In questi studi venivano esclusi i pazienti con cardiopatia ischemica anamnestica, eco-stress positivo e quelli con riscontro autoptico di coronaropatia significativa. L’ipotesi biologica è che
nella sepsi diversi meccanismi patogenetici, tra i quali anche la
trombosi microvascolare, concorrano nel provocare il danno miocitario. A tal proposito risulta interessante notare che nei pazienti
con sepsi severa trattati con dotregocin-α i livelli di troponina si
mantenevano più bassi che nei pazienti non trattati25.
A differenza di quanto riportato per la troponina, lo studio
del rialzo del BNP nei pazienti critici ha portato a risultati non
univoci nei vari studi.
In uno studio limitato ai pazienti con sepsi severa e/o shock
settico il BNP era marcatamente più alto in quelli con funzione sistolica depressa (p<0.05); dopo 48h un BNP >190 pg/ml
era in grado di differenziare i non sopravvissuti con valori di
sensibilità del 70% e di specificità del 67% (p<0.05)17. Per contro McLean et al.26 osservarono che le concentrazioni di BNP
aumentavano in generale nei pazienti con sepsi o shock settico indipendentemente dalla presenza di disfunzione cardiaca
e che a differenza di quanto avviene nello scompenso, né il valore assoluto né le modificazioni nel tempo erano in grado di
aggiungere un valore prognostico circa l’outcome dei pazienti. Infine, lo studio FINNSEPSIS27, condotto in 24 terapie intensive finlandesi per un totale di 254 pazienti con sepsi o shock
settico, ha dimostrato che i livelli di porzione N-terminale del
pro-BNP (NT-proBNP) all’ingresso erano significativamente più
alti nei pazienti che non sopravvivevano (mediana del valore
7908 pg/ml) rispetto ai sopravvissuti (mediana del valore 3479
pg/ml; p=0.002) e che tale differenza persisteva dopo 72h
(p=0.002).
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Fino al 2008 gli esperti28 raccomandavano la determinazione routinaria della troponina, ma non del BNP, nei pazienti con
sepsi, per prevedere la disfunzione sistolica e contribuire alla stratificazione prognostica dei pazienti. Con la pubblicazione dello
studio finlandese (nel 2008) anche il BNP dovrebbe essere rivalutato nella stratificazione prognostica dei pazienti con sepsi.
MECCANISMI FISIOPATOLOGICI
Come schematizzato nella Figura 1, in corso di sepsi sono stati proposti o individuati molteplici meccanismi che concorrono
nel determinare la disfunzione miocardica.
Ischemia globale
I primi investigatori proposero che un’ipoperfusione miocardica diffusa fosse alla base della depressione globale della contrattilità miocardica; tale ipotesi fu poi confutata da due studi.
In un elegante lavoro degli anni ’8029 è stato misurato, con metodologia invasiva, il flusso coronarico in 7 pazienti con shock
settico, dimostrando che, rispetto ai controlli, risultava normale o aumentato, indipendentemente dalla presenza o meno di
disfunzione miocardica (4 pazienti su 7); questi pazienti mostravano anche una ridotta estrazione di ossigeno dimostrata
da una maggior saturazione nel sangue del seno coronarico.
Altri autori hanno confermato, su un più ampio numero di pazienti con shock settico, l’aumento del flusso coronarico per riduzione delle resistenze periferiche, ed uno shift del metabolismo dei substrati cellulari in favore del lattato e a sfavore del
glucosio e degli acidi grassi30. Queste alterazioni riflettono quello che avviene anche in periferia nello shock settico.
Inoltre, l’instabilità emodinamica che caratterizza questi pazienti può favorire o precipitare l’ischemia miocardica distrettuale nei pazienti che presentano una concomitante coronaropatia aterosclerotica (ischemia secondaria). Infine, anche le alterazioni del microcircolo, secondario alla disfunzione endoteliale, sono in grado di concorrere all’ischemia miocardica31.
Sostanze circolanti che deprimono la contrattilità
Nel 1985 fu per la prima volta dimostrato in vitro che il siero dei
pazienti con sepsi determinava una riduzione della contrattili-
tà dei miociti di ratto e che questo effetto non si aveva con il
siero degli stessi pazienti una volta superata la fase acuta o se
veniva ottenuto da pazienti critici, ma non settici32. Come vedremo tra poco sono molteplici i mediatori di infezione/risposta infiammatoria in grado di determinare in vitro o in vivo (su
cavia o adulto sano) depressione miocitaria e cardiaca. Questo
rende ragione del fatto che ad oggi i tentativi terapeutici, volti
a bloccare un solo mediatore, misurati su endpoint hard, sono
tutti falliti33.
Citochine
In uno studio della fine degli anni ’9034, si osservò che quando
i miociti di ratto venivano esposti ad ultrafiltrato ottenuto da
pazienti settici si aveva una riduzione della contrattilità che non
era riproducibile se si usava l’ultrafiltrato di volontari sani. La
successiva analisi dell’ultrafiltrato dei pazienti settici rivelò elevate concentrazioni di interleuchina (IL)-1, IL-8 e frazione C3a
del complemento. Studi successivi hanno ribadito l’importanza
delle citochine infiammatorie nella disfunzione miocardica in
corso di sepsi. In particolare l’IL-1, sintetizzata da monocitimacrofagi e neutrofili in risposta al fattore di necrosi tumorale
(TNF)-α, gioca un ruolo centrale nella risposta immunitaria e
sembra deprimere la contrattilità cardiaca attraverso la stimolazione della sintesi di ossido nitrico (NO)35. Il TNF-α agirebbe sia
attraverso la stimolazione della produzione di NO che alterando l’omeostasi del calcio36. Mentre le citochine giustificano ampiamente la depressione miocardica precoce, non ne spiegano
il perdurare che invece potrebbe essere il risultato dell’intervento di altri mediatori come prostanoidi e NO37.
Endotossina batterica e toll-like receptor 4
Le endotossine sono componenti strutturali dei batteri che possono diffondersi nell’organismo ospitante in seguito alla morte dei patogeni per lisi. Per valutare l’effetto dell’endotossina sul
sistema cardiocircolatorio nell’uomo alcuni ricercatori hanno
iniettato un bolo di endotossina a 9 volontari sani misurando
variabili emodinamiche prima e 3h dopo il bolo. Rispetto al
gruppo di controllo, i volontari che avevano ricevuto l’endotossina andavano incontro ad un aumento dell’indice cardiaco
(del 53%) e della FC (36%, p<0.008) e a riduzione significati-
Figura 1. Meccanismi alla base della disfunzione cardiaca in corso di sepsi.
NO, ossido nitrico; TLR, toll-like receptor.
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va (del 46%, p=0.004) delle resistenze sistemiche e dopo modico carico di liquidi anche un aumento dei diametri cardiaci
(p=0.007) e una relativa riduzione della FE (p=0.008)14. Nella
realtà solo una minima parte dei pazienti settici presenta livelli
dosabili di endotossina, perciò è altamente improbabile che
l’endotossina di per sé possa avere un effetto cardiotossico diretto. Inoltre, la latenza tra l’esposizione all’endotossina e l’effetto cardiotossico suggerisce che altre citochine o il sistema
dei recettori toll-like siano coinvolti. Per esempio il toll-like receptor 4 (TLR4) è responsabile del riconoscimento dell’endotossina batterica per la clearance del patogeno. La protezione
immediata, fornita da questi recettori, si basa sull’attività di molecole di ossigeno reattivo e di azoto intermedio, peptidi antimicrobici, citochine, chemochine, molecole di adesione e proteine della fase acuta. Alcuni ricercatori hanno dimostrato, in vitro, che solo i miociti di ratto che esprimono il TLR4 (rispetto alle cavie knockout) vanno incontro a riduzione della contrattilità e riduzione della funzione mitocondriale ad opera del lipopolissacaride38.
Ossido nitrico
L’NO è una piccola molecola, altamente reattiva, con un’emivita di pochi secondi, sintetizzata per conversione dell’arginina
in citrullina da parte dell’NO-sintetasi (NOS). La NOS esiste in tre
isoforme; la NOS1 (neuronale) e la NOS3 (endoteliale) sono isoforme costitutive, mentre la NOS2 è inducibile, altamente sensibile alle citochine pro-infiammatorie. L’NO ha un effetto bivalente sulla funzione cardiaca. A basse dosi ha un effetto inotropo positivo attraverso l’ottimizzazione della curva di FrankStarling, limitando gli effetti di un’eccessiva stimolazione betaadrenergica, aumentando il flusso coronarico e la contrattilità.
I meccanismi studiati in vitro e su animali per spiegare l’effetto
inotropo positivo includono l’attivazione diretta dell’adenilato
ciclasi e l’inibizione delle fosfodiesterasi con aumento dei livelli di AMPc. L’AMPc favorisce l’accoppiamento eccitazione-contrazione ed aumenta la sensibilizzazione al calcio39.
Nello shock settico lo stimolo antigenico infiammatorio causa l’induzione della NOS2 in un’ampia varietà di cellule, anche
dove di solito non viene espresso come le cellule miocardiche.
L’NO, ad alte concentrazioni tissutali, influenza negativamente
la funzione contrattile40,41. Inoltre, negli studi con endotossemia sperimentale o dopo somministrazione di citochine infiammatorie che aumentano i livelli miocardici di NO, si assiste
ad una perdita di contrattilità che risulta reversibile con l’inibizione delle NOS41. I principali meccanismi proposti per spiegare l’effetto cardiodepressivo dell’NO si riconducono a due
aspetti distinti:
–
–
l’eccessiva vasodilatazione con conseguente instabilità
emodinamica;
la formazione di radicali liberi, come il perossido di nitrito,
composti instabili e con elevato potere ossidante. Il perossido di nitrito è altamente citotossico per la sua facilità ad
interagire con DNA, lipidi, proteine e mitocondri, alterando
quindi le componenti strutturali e modulatorie della cellula
nonché la catena respiratoria e la produzione di energia.
Danno da radicali, ipossia e apoptosi sono pertanto le vie finali che mediano il danno tissutale.
Disfunzione mitocondriale
L’ipossia tissutale gioca un ruolo predominante nella genesi della disfunzione d’organo e del danno miocardico nei pazienti
con sepsi grave e shock settico. Questo sembra essere dovuto
più all’incapacità cellulare di utilizzare l’ossigeno (ipossia citopatica) che alla sua ridotta disponibilità (per ipoperfusione o
ipossiemia)42, come confermato anche da studi che dimostrano come un approccio clinico volto all’ottimizzazione dell’ossigenazione tissutale non migliori l’outcome43.
Essendo i mitocondri i principali fruitori dell’ossigeno cellulare, da molti decenni particolare attenzione è stata rivolta allo
studio delle loro alterazioni morfo-funzionali in corso di sepsi.
Ci sono diversi meccanismi che possono condurre ad un ridotto utilizzo di ossigeno in corso di sepsi tra cui:
–
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–
inibizione della piruvato deidrogenasi;
consumo del cofattore NADH (principale riducente della
fosforilazione ossidativa);
inibizione dei complessi enzimatici della catena respiratoria
ad opera di NO e perossinitrito;
aumento della permeabilità della membrana mitocondriale
a grosse molecole normalmente interdette al passaggio con
dissipazione del gradiente protonico (disaccoppiamento
proteico)42.
Le prime evidenze scientifiche risalgono agli anni ’70 e riportano sia alterazioni strutturali che una riduzione dell’attività della catena respiratoria in modelli settici animali44.
Successivamente Cowley et al.45 hanno analizzato postmortem organi umani di pazienti deceduti per sepsi riscontrando rigonfiamento mitocondriale e degenerazione delle
membrane a livello di cuore, reni, pancreas e polmoni. Con
l’avvento delle tecniche non invasive di monitoraggio in vivo
dei parametri bioenergetici è stato possibile documentare una
riduzione dei livelli di ATP in vari organi vitali, in modelli settici46. È stato ipotizzato che un deficit bioenergetico possa essere alla base della depressione miocardica in corso di sepsi: a
seguito della ridotta disponibilità di ATP si assisterebbe ad una
down-regulation del metabolismo dei cardiomiociti con ipocontrattilità secondaria, evento che ricorda la risposta adattativa
dei miociti all’ischemia nota come ibernazione miocardica47.
I mediatori dell’infiammazione, come il TNF-α, componenti batteriche e forme reattive dell’ossigeno, come il radicale superossido e l’NO, esercitano un effetto tossico sulle membrane
sui componenti mitocondriali e sul DNA mitocondriale, alterando il normale svolgimento dei processi subcellulari48.
La morte cellulare può essere sia dovuta a fenomeni apoptotici che a un improvviso eccessivo depauperamento energetico (come nello shock settico) che conduce alla lisi cellulare che
a sua volta promuove un’ulteriore cascata infiammatoria perpetuando il circolo vizioso del danno tissutale49.
L’entità della disfunzione mitocondriale dipende da svariate
caratteristiche dell’ospite (età, stato nutrizionale, comorbilità,
stato emodinamico), dalla noxa patogena e dalla sede primitiva
di infezione ed è alla base della disfunzione multiorgano. Inoltre, è correlata con la severità del quadro clinico, l’entità della
disfunzione miocardica e con la prognosi del paziente49-52.
Apoptosi
L’apoptosi è una morte cellulare programmata che si realizza
sia nei tessuti normali che in corso di svariati stati di malattia,
attraverso l’attivazione di una specifica cascata di geni. Sembra
giocare un ruolo importante anche nel determinismo della cardiomiopatia in corso di sepsi. Un grosso contributo alle conoscenze in tale direzione è stato fornito da Buerke et al.53 che
hanno dimostrato come esista una forte e significativa assoG ITAL CARDIOL | VOL 12 | OTTOBRE 2011
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ciazione tra l’esposizione alla principale tossina dello Staphylococcus aureus (tossina α) e la riduzione della contrattilità miocitaria, l’aumento dell’espressione di mediatori pro-apoptotici
come il p53 e il TNF-α e l’incremento percentuale dei miociti
apoptotici. Tale associazione è stata dimostrata sia nei cuori
isolati di ratto che in vivo rispetto ai controlli non esposti alla
tossina.
È stato inoltre osservato, in pazienti deceduti per shock settico, la presenza di apoptosi neuronale e gliale dei centri cerebrali autonomici coinvolti nell’omeostasi cardiovascolare54.
Questo potrebbe rappresentare uno dei meccanismi alla base
della disfunzione autonomica che, nella sepsi, tipicamente precede lo shock settico e l’insufficienza multiorgano55,56.
Endoteline
Le endoteline (ET) sono peptidi dotati di una spiccata attività
vasocostrittrice e pro-infiammatoria che vengono rilasciate dalle cellule endoteliali in risposta a stimoli indotti da diversi fattori,
quali l’adrenalina, l’angiotensina II, la vasopressina, il cortisolo,
alcune citochine e l’ipossia. A tutt’oggi sono stati identificati
tre diversi peptidi appartenenti al gruppo delle ET, denominati
ET-1, ET-2 e ET-3 e due recettori, A e B (ETA e ETB); entrambi i recettori sono presenti sulle cellule endoteliali e muscolari lisce
delle pareti vascolari dove intervengono nel meccanismo della
vasocostrizione e vasodilatazione. Nel cuore è predominante
l’ET-1 ed i recettori A e B sono stati rinvenuti nel miocardio, nell’endocardio, nelle coronarie e nel sistema di conduzione.
Schuetz et al.57 hanno dosato i precursori (più stabili dei rispettivi peptidi circolanti) dell’ET-1 e dell’adrenomedullina (un peptide endotelio-derivato con proprietà vasorilassanti) in 95 pazienti critici ricoverati in terapia intensiva (47 pazienti con sindrome da risposta infiammatoria sistemica, 33 pazienti con sepsi, 15 pazienti con shock settico), riscontrando che il loro incremento nelle prime 24h correlava significativamente con la
severità dell’infezione. Inoltre il rapporto tra i due precursori
peptidici (pro-ET-1/pro-adrenomedullina) ha mostrato un’accuratezza prognostica nel predire l’outcome simile allo score APACHE II (mortalità aumentata per valori bassi del rapporto). Da
un punto di vista fisiopatologico lo squilibrio tra i due peptidi
vasoattivi potrebbe contribuire alla perdita dell’omeostasi microvascolare condizionando una disomogeneità nella perfusione d’organo. Inoltre, è stato dimostrato che l’aumento dell’espressione cardiovascolare dell’ET-1 su cavie determina un
aumento dell’espressione delle citochine infiammatorie e favorisce lo sviluppo di una cardiomiopatia infiammatoria che condiziona scompenso e morte58.
Anafilotossina C5a
Lo stato infiammatorio sistemico caratteristico della sepsi passa anche attraverso l’attivazione del complemento che a sua
volta lo perpetua attraverso la liberazione di fattori tra cui il C5a
costituisce uno dei più potenti peptidi pro-infiammatori59,60.
Il segnale generato dall’interazione tra C5a e il suo recettore
svolge un ruolo essenziale nella patogenesi dello shock settico
come confermato da studi animali che dimostrano una riduzione della batteriemia, un miglioramento dello stato funzionale dei neutrofili e dell’outcome clinico a seguito di un trattamento anti-C5a61,62.
Il contributo del complemento allo sviluppo della cardiomiopatia settica è stato studiato da Niederbichler et al.63 che
hanno valutato l’impatto del C5a e del relativo blocco sulla disfunzione miocardica in corso di sepsi sia in vivo (valutazione
6
G ITAL CARDIOL | VOL 12 | OTTOBRE 2011
della funzione ventricolare su cavie) che in vitro (performance
contrattile dei sarcomeri). Dopo aver osservato un aumento
progressivo della sintesi del C5a nei cardiomiociti ed a seguire
la comparsa di disfunzione miocardica, gli studiosi hanno per la
prima volta dimostrato che quest’ultima poteva essere prevenuta mediante il blocco preventivo del C5a. Lo stesso gruppo
ha successivamente confermato tali risultati in altri modelli di
shock settico64.
Ad oggi non è noto come i prodotti di attivazione del complemento possano essere legati allo sviluppo della cardiomiopatia in corso di sepsi; ma tra le teorie più avvallate vi sono il
contributo del complemento alla messa in circolo di sostanze
deprimenti la funzione cardiaca e più nello specifico l’ipotesi
che l’interazione tra il C5a e il suo recettore altererebbe la disponibilità del calcio intracellulare64.
Microcircolo
Il sistema microcircolo è rappresentato dai vasi di diametro
<100 µm (arteriole, letto capillare e venule post-capillari) e svolge il ruolo di assicurare un’adeguata ossigenazione tissutale.
L’alterazione della microcircolazione è un evento distintivo
della sepsi, interviene nei suoi processi fisiopatologici e consiste
nella riduzione del flusso ematico e nell’eterogeneità di perfusione tissutale che vede zone con veri e propri stop circolatori
a fianco di zone iperperfuse (shunt microcircolatorio)65.
Tale fenomeno è stato osservato sperimentalmente anche
a livello miocardico, in un modello canino di shock endotossiemico dove, seppur in presenza di conservata perfusione cardiaca globale, accanto a zone con flusso ematico aumentato ve
ne erano altre con flusso nettamente ridotto. Questo fenomeno potrebbe generare ischemie circoscritte e compromettere la
funzione contrattile globale66.
Il fenomeno dell’eterogeneità di perfusione si realizza anche
in assenza di alterazioni emodinamiche sistemiche (esempio
normale pressione arteriosa)67 in quanto riflette eventi intrinseci che si realizzano nei microvasi che in ultima analisi determinano un’ipossia tissutale per ridotta disponibilità e rilascio di
ossigeno.
L’alterazione del microcircolo è da ricondurre alla disfunzione endoteliale sepsi-indotta e, come già accennato nei
paragrafi precedenti, l’NO ha un ruolo importante nel determinare la perdita dell’integrità e della funzione endoteliale con
conseguente riduzione della pervietà microvascolare e comparsa di eterogeneità di perfusione68.
In condizioni fisiologiche, l’endotelio infatti è un organo
estremamente dinamico che provvede alla regolazione dell’emostasi microvascolare, della risposta infiammatoria e della
chemiotassi leucocitaria, del tono, della permeabilità e dell’integrità di parete microvascolare69.
In corso di sepsi il danno endoteliale determina uno sbilanciamento verso uno stato procoagulante, un’alterazione del
tono vasomotore ed una esagerata risposta infiammatoria locale attraverso l’aumentato rilascio di citochine pro-infiammatorie che perpetuano il danno microvascolare; inoltre si realizza una perdita di integrità delle giunzioni cellulari con comparsa di edema tissutale che aggrava ulteriormente l’ipossia70.
L’ipossia, a sua volta aumenta l’espressione e la sintesi del fattore di crescita vascolare endoteliale, il cui aumento è stato
correlato, nella sepsi, all’entità della disfunzione d’organo e alla mortalità71.
L’attivazione delle cellule endoteliali favorisce l’adesione delle cellule ematiche e riduce la deformabilità dei globuli rossi che
CUORE E SEPSI
aumentano la viscosità ematica locale, riducendo ulteriormente il flusso ed aggravando l’ipossia72.
Con l’avvento delle tecniche di videomicroscopia in vivo è
ora possibile studiare il microcircolo anche nei pazienti in corso di sepsi. Il riscontro e la persistenza di alterazioni severe del
microcircolo sono state correlate positivamente con la severità
della sepsi lo sviluppo di disfunzione multiorgano e la bassa sopravvivenza73-76.
Fluidoterapia
La rianimazione con fluidi consiste nell’infusione di cristalloidi
e colloidi naturali o artificiali. Una corretta fluidoterapia richiede la definizione di 4 componenti:
Altri meccanismi
Altri fattori possono essere corresponsabili del danno miocardico in corso di sepsi: alterazioni del flusso del calcio intracellulare e danneggiamento diretto dell’apparato contrattile con
effetto negativo sulla contrattilità77; down-regulation dei recettori beta-adrenergici e una ridotta produzione di GMPc in
risposta alle catecolamine78,79.
Infine, è stato proposto che la disfunzione miocardica associata alla sepsi sia una risposta adattativa per preservare la
vitalità, similmente a quanto si realizza nel miocardio ibernato,
attraverso una riduzione delle funzioni cellulari e del consumo
di ossigeno80. Questa teoria è avallata dal fatto che esistono
analogie strutturali e metaboliche tra le due condizioni come
l’accumulo di glicogeno, l’aumento dell’uptake del glucosio e
l’up-regulation dei trasportatori del glucosio.
L’ipovolemia relativa è tipica della sepsi e può essere molto
severa, tanto da richiedere la somministrazione endovenosa anche di molti litri nelle prime 6h con boli di 500 ml (challenge dei
fluidi). In considerazione del fatto che la funzione cardiaca è
compromessa nel 40% dei casi, è opportuno monitorare attentamente sia la risposta al trattamento che il peggioramento
degli scambi all’emogasanalisi al fine di prevenire l’edema polmonare acuto iatrogeno. Sebbene cristalloidi e colloidi siano
soluzioni con composizioni e volumi di distribuzione estremamente differenti, ad oggi i trial clinici che li hanno confrontati
hanno fallito nel dimostrare la superiorità di una classe sull’altra83,84.
STRATEGIE TERAPEUTICHE NELLA DISFUNZIONE
MIOCARDICA IN CORSO DI SEPSI
Sebbene l’interessamento cardiaco costituisca un preciso marker di aggravamento, non esiste ad oggi una terapia causale
specifica. La principale terapia, e l’unica patogenetica, è rappresentata da una precoce ed adeguata terapia antibiotica associata alla ricerca e alla rimozione del focolaio infettivo. Gli
step successivi sono rappresentati dal precoce supporto cardiocircolatorio e della funzione respiratoria e renale. Accanto
alle terapie consolidate vi sono però incoraggianti lavori che,
partendo dallo studio della fisiopatologia della disfunzione miocardica in corso di sepsi, hanno proposto molecole in grado di
contrastare gli esaltati processi infiammatori alla base del danno miocardico.
Rianimazione iniziale nei pazienti con sepsi grave
e shock settico
Nel 2001 Rivers et al.81 hanno pubblicato uno studio randomizzato monocentrico che ha cambiato l’approccio terapeutico alla sepsi grave/shock settico. I pazienti venivano randomizzati, al dipartimento d’emergenza, al trattamento standard o a
un protocollo di precoce rianimazione a step mediante infusione di fluidi, vasopressori ed inotropi mirato al raggiungimento
di 4 obiettivi principali entro 6h. Gli autori osservarono con il
trattamento sperimentale una riduzione dell’endpoint primario mortalità del 16% (da 46.5% a 30.5%, p=0.009). Questo
lavoro rappresenta una pietra miliare delle linee guida82 che, rifacendosi ai punti chiave del protocollo di Rivers, raccomandano di raggiungere i seguenti obiettivi nelle prime 6h dalla diagnosi:
–
–
–
–
pressione venosa centrale tra 8-12 mmHg;
pressione arteriosa media ≥65 mmHg;
diuresi oraria ≥0.5 ml/kg/h;
saturazione venosa centrale o saturazione venosa mista di
ossigeno ≥70%.
–
–
–
–
tipo di fluido (cristalloide vs colloide);
la dose e la velocità di infusione;
gli obiettivi;
i limiti di sicurezza.
Agenti vasoattivi
I vasopressori sono utilizzati al fine di garantire un’adeguata
perfusione tissutale nei pazienti che restano ipotesi (pressione
arteriosa media <65 mmHg) nonostante un’adeguata fluidoterapia.
Ad oggi non vi sono evidenze scientifiche che facciano propendere verso un’amina piuttosto che verso un’altra85, e pertanto le linee guida82 raccomandano l’uso di noradrenalina o
dopamina come vasopressori di prima scelta, l’uso di adrenalina per i non-responder ai primi due, l’uso di vasopressina come farmaco di seconda scelta sempre in aggiunta alla noradrenalina. Il razionale farmacologico della raccomandazione all’utilizzo della noradrenalina è rappresentato dal suo potente
effetto vasocostrittore e scarsamente tachicardizzante; la dopamina è preferita in caso di depressione della funzione sistolica anche se più tachicardizzante ed aritmogena rispetto alla
noradrenalina. Uno studio prospettico, multicentrico, randomizzato in doppio cieco, condotto su 330 pazienti con shock
settico ha confrontato adrenalina vs noradrenalina in aggiunta
alla dobutamina sulla mortalità totale a 28 giorni (endpoint primario). Ancora una volta l’endpoint primario non è risultato significativamente differente nei due gruppi (40 vs 34%,
p=0.31). Tuttavia il calcolo del campione è stato stimato su una
mortalità attesa del 60% nel gruppo adrenalina con un effect
size di riduzione dell’evento del 20% nel gruppo noradrenalina + dobutamina. Lo studio risulta quindi ampiamente sottodimensionato in quanto sarebbe necessario arruolare 5000 pazienti per riscontrare una differenza statisticamente significativa con la percentuale di eventi raggiunta86.
La vasopressina è una molecola di grande interesse nello
shock settico87; il suo effetto è quello di stimolare i recettori
V1 sulle cellule muscolari lisce dei vasi provocandone la contrazione. Nei pazienti refrattari ad altri vasopressori può essere d’aiuto per aumentare la pressione arteriosa media. Il razionale che rafforza il suo utilizzo è che nei pazienti in shock
settico è stato dimostrato un deficit relativo di vasopressina
endogena per alterazioni dei baroriflessi e della sua sintesi e
trasporto88; clinicamente nei pazienti con sepsi avanzata/shock
settico, che non rispondono bene ai vasopressori di prima scelta, è stata osservata una buona risposta alla vasopressina perG ITAL CARDIOL | VOL 12 | OTTOBRE 2011
7
G PAOLI ET AL
ché probabilmente non risente della ridotta sensibilità allo stimolo adrenergico89. Per il possibile effetto di ischemia miocardica, riduzione della portata cardiaca e del flusso epato-splancnico, i trial eseguiti escludevano i pazienti con indice cardiaco <2 o 2.5 l/min e il farmaco non dovrebbe essere usato nei
pazienti con disfunzione cardiaca. Questa molecola è tuttora
oggetto di forte interesse per il potenziale effetto benefico sulla mortalità quando associata ai corticosteroidi90 e per il suo
effetto favorente la diuresi e di prevenzione della progressione dell’insufficienza renale91 mediata dalla stimolazione dei recettori renali V2.
Inotropi
Le linee guida82 raccomandano la dobutamina come inotropo
di prima scelta nei pazienti con sospetta disfunzione miocardica se dopo adeguato riempimento e somministrazione di vasocostrittori restano ipotesi e con saturazione di ossigeno
<70%. Grazie all’effetto beta1-selettivo, aumenta il volume di
eiezione, la FC e la portata nei pazienti settici92. Tuttavia, in corso di sepsi grave vi può essere una ridotta sensibilità alla stimolazione adrenergica e quindi una minore responsività del
miocardio alle catecolamine. In questo contesto, agenti inotropi come il levosimendan o gli inibitori delle fosfodiesterasi (milrinone) che agiscono indipendentemente dai recettori betaadrenergici, possono avere un ruolo nel trattamento della disfunzione miocardica in corso di sepsi. Infatti, il levosimendan
ha un duplice meccanismo d’azione che lo rende un farmaco
con proprietà inodilatatrici: aumenta la contrattilità cardiaca
sensibilizzando la troponina C nei confronti del calcio (senza alterare la fase diastolica) e favorisce la vasodilatazione coronarica e periferica attraverso l’apertura dei canali del potassio ATPdipendenti a livello della muscolatura liscia vascolare. In un contesto di ipossia cellulare e di depauperamento energetico, il levosimendan sarebbe in grado incrementare la gittata cardiaca senza aumentare il consumo di ossigeno93.
Sebbene vi siano molti studi sperimentali su animali con il
levosimendan in corso di sepsi, sono molto poche le evidenze
sull’uomo. Tra le più significative una casistica di 6 pazienti con
shock settico refrattario nonostante la terapia standard, che dopo infusione di levosimendan, mostrarono un miglioramento
della funzione cardiaca e dei parametri emodinamici94 ed un
piccolo trial prospettico randomizzato95 di confronto con la dobutamina che ha dato esito favorevole su endpoint strumentali indicativi della funzione cardiocircolatoria e renale.
Approcci terapeutici non convenzionali
Contropulsatore aortico
Sebbene l’uso del contropulsatore aortico sia approvato dalla
Food and Drug Administration per varie forme di shock (incluso lo shock settico), in letteratura i dati positivi sulla sopravvivenza e sul miglioramento emodinamico si evincono solo da studi condotti su modelli animali di shock settico96,97. Infatti, sull’uomo sono stai pubblicati solo casistiche98,99 di alcuni decenni fa che sono gravate da complicanze ischemiche,
emorragiche ed infettive legate alla tecnica di inserzione (antecedente l’era dell’inserimento percutaneo) e all’utilizzo di dispositivi di prima generazione. Uno studio più recente sempre
condotto su un modello canino di shock settico, in cui il campione presentava indice cardiaco ridotto, ha dimostrato che
l’utilizzo dei contropulsatori aortici di ultima generazione prolungano il tempo di sopravvivenza e riducono l’utilizzo dei vasopressori100.
8
G ITAL CARDIOL | VOL 12 | OTTOBRE 2011
Betabloccanti
Recentemente i betabloccanti sono stati usati con estrema cautela per cercare di ridurre la FC nei pazienti che necessitano di
terapia inotropa. In particolare è stata pubblicata una casistica
in cui i pazienti con depressione miocardica in corso di sepsi
(senza manifesta insufficienza cardiaca) venivano trattati con il
milrinone associato a betabloccanti a basse dosi101. I pazienti
andavano incontro a una riduzione significativa della FC e del
dosaggio dei vasopressori; l’indice cardiaco rimaneva invariato,
mentre la gittata cardiaca aumentava (p=0.002). Sono necessari studi prospettici randomizzati per valutare l’efficacia e la sicurezza dei betabloccanti sulla disfunzione miocardica in corso
di sepsi e per meglio indagare le potenzialità dei loro effetti antinfiammatori.
Immunoterapie
L’inappropriata risposta infiammatoria e l’aumento delle citochine circolanti hanno un ruolo chiave nella fisiopatologia del
danno d’organo e della disfunzione miocardica in corso di sepsi. Pertanto una promettente area di investigazione scientifica
è rappresentata dalle molecole che presentano effetti antinfiammatori.
Le statine hanno proprietà antiossidanti e antinfiammatorie,
migliorano la funzione endoteliale, il microcircolo ed aumentano la biodisponibilità di NO, indipendentemente dall’effetto
ipolipemizzante. L’impiego delle statine nella disfunzione miocardica in corso di sepsi si limita, allo stato attuale, a studi sperimentali condotti su modelli animali nei quali il trattamento
con simvastatina si è dimostrato in grado di preservare la funzione cardiaca e lo stato emodinamico102. È stato inoltre osservato che il pretrattamento con simvastatina preserva la funzione cardiaca anche attraverso una riduzione dell’apoptosi miocitaria in corso di sepsi53.
Antagonisti recettoriali dell’endotelina
Il blocco dei recettori dell’ET si è dimostrato produrre effetti
emodinamici favorevoli nei pazienti con scompenso cardiaco103.
In virtù del coinvolgimento dell’ET-1 anche nella disfunzione
miocardica in corso di sepsi, un recente lavoro ha sperimentato due dosi differenti di tezosentan (antagonista recettoriale
ETA ed ETB) in un modello porcino di shock endotossiemico104.
Il piccolo gruppo trattato con basse dosi (7 animali) ha mostrato un miglioramento degli indici di funzionalità cardiaca dei parametri emodinamici periferici e dei parametri metabolici rispetto ai controlli (20 animali). Tuttavia il gruppo trattato con il
dosaggio più alto (10 animali) ha mostrato un deterioramento
della performance cardiaca e un aumento della mortalità. Questo lavoro lancia un importante spunto per investigare ulteriormente il potenziale terapeutico degli antagonisti dell’ET-1.
CONCLUSIONI
La disfunzione miocardica costituisce un aspetto clinico rilevante nella sepsi e nello shock settico sia per il suo frequente
riscontro che per le implicazioni prognostiche che ne conseguono.
La “cardiomiopatia settica” deriva dalla combinazione di
disfunzione sistolica e diastolica alla base delle quali vi è
un’eziologia complessa e multifattoriale dove le citochine infiammatorie e l’NO svolgono ruoli chiave.
La terapia attuale è volta al mantenimento della perfusione
CUORE E SEPSI
e dell’ossigenazione tissutale attraverso la rianimazione mediante fluidi, vasopressori e supporto inotropo.
La ricerca scientifica, in gran parte ancora rappresentata da
studi in vitro o su modelli animali, ha fino ad oggi contribuito
all’approfondimento della conoscenza dei processi patogenetici, più che a creare “svolte terapeutiche”. Riteniamo che questo possa rappresentare il punto di partenza per avere a disposizione, in un prossimo futuro, nuove opzioni terapeutiche mirate alla specifica prevenzione e cura del danno miocardico in
corso di sepsi.
sfavorevole in presenza di sepsi grave o shock settico, mentre nei
pazienti che sopravvivono la disfunzione miocardica regredisce in
7-10 giorni. La patogenesi della disfunzione miocardica è in fase di
studio da molte decadi e sebbene non sia completamente chiarita,
non sembra essere causata da una riduzione del flusso coronarico,
ma da sostanze circolanti che derivano dai patogeni (ad es. endotossine) e dalla risposta immunitaria ed infiammatoria dell’ospite (ad
es. citochine e meccanismi legati all’ossido nitrico). La terapia di
prima linea è causale ed è rappresentata dalla terapia antibiotica associata alla rimozione chirurgica del focus infettivo; in caso di sepsi
severa o shock settico deve inoltre essere iniziata prontamente
una terapia di supporto circolatoria e multiorgano.
RIASSUNTO
Questa revisione propone le conoscenze attuali circa le caratteristiche clinico-strumentali, la fisiopatologia, la prognosi e la terapia
della disfunzione miocardica in corso di sepsi con un breve accenno sulle possibili prospettive terapeutiche future.
Circa il 50% dei pazienti con sepsi presenta segni di interessamento
cardiaco caratterizzato da dilatazione biventricolare, riduzione della
contrattilità e disfunzione diastolica. Questo comporta un aumentato rischio di mortalità e si associa ad una prognosi estremamente
Parole chiave. Disfunzione miocardica; Sepsi; Shock settico.
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Questo studio clinico monocentrico randomizzato ha dimostrato che nei pa-
zienti con sepsi severa/shock settico
una precoce e sistematica rianimazione
a step subordinata al raggiungimento
di precisi obiettivi clinici determina una
riduzione della mortalità del 16%.
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consolidata e fornisce raccomandazioni
e livelli di evidenza sui molteplici approcci terapeutici che devono essere
messi in atto in corso di sepsi.
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