I Sensi ed il corporeo “Il corpo del terapeuta nella relazione clinica” Carolina Panosetti Per la stesura di questo mio articolo mi sono rivolta, principalmente, a testi fenomenologici e all'autore M.M.Ponty, ma allo stesso tempo, ho consultato anche testi filosofici, che si occupano della questione dell'alterità e del rapporto tra filosofia e psicoanalisi. Questo per cercare di evidenziare gli eventuali punti di contatto, tra fenomenologia e psicoanalisi. Ovviamente, questo mio lavoro di ricerca, vuole essere soprattutto uno spunto di riflessione e non vuole essere certo esaustivo di un argomento che rimane molto complesso. Un'introduzione al corpo “Il corpo è uno dei dati costitutivi ed evidenti dell'esistenza umana: è nel corpo e tramite il corpo che ciascuno di noi è nato, vive, muore; ed è nel corpo e per suo tramite che ci s'inserisce nel mondo e si incontrano gli altri” 1. Attraverso le parole di Michela Marzano s'intuisce l'imprescindibile importanza del corpo in tutte le nostre relazioni umane. A questo proposito, però, prima di entrare nello specifico dell'argomento, vorrei ripercorrere, brevemente, lo sviluppo del concetto “corpo” attraverso lo svolgersi del pensiero filosofico. Partendo dal pensiero del dualismo platonico-cartesiano, che“....impone una vera e propria logica disgiuntiva che separa la trascendenza dall'immanenza, il pensiero dalla materia, l'anima dal corpo” 2. Si arriva a sostenere che il corpo è altro da noi, appunto disgiunto e separato, anzi, a lui e ai suoi bisogni, l'uomo deve sottomettersi. Inoltre, il corpo viene pensato come ostacolo al puro ragionamento, infatti, solo quando esso tace, si possono scoprire elementi della realtà. Successivamente, il pensiero di Cartesio si ritrova a riconoscere l'unione di corpo e anima, attraverso l'esperienza di vita quotidiana, così, egli stesso prova a proporre una soluzione, 1 2 . M.Marzano , La filosofia del corpo, Il melangolo, Genova, 2010, p. 7. . ibid. p.14. in“Le passioni dell'anima” (1649), “appoggiandosi alle sue conoscenze fisiologiche...” 3. Cartesio sostiene che “esiste una sede privilegiata in cui l'anima esercita le sue funzioni, la ghiandola pineale” 4. A questo punto, la questione è solo spostata, ma non risolta, così, il tentativo da parte di Cartesio di risolvere il problema, sembra, invece, spianare la strada al “monismo metafisico di Spinoza, dove materia e pensiero [corpo e anima] non sono due sostanze diverse e separate, ma due manifestazioni distinte di una medesima sostanza...” 5, dall'altra parte, invece, si affacciano differenti forme di riduzionismo materialista, come La Mettrie (1709-1751) che sosteneva la materialità dell'anima come elemento corporeo allo stesso titolo di altri organi . Diversamente, nel XIX secolo, nasce il pensiero di Nietzsche (1844-1900), che “ tenta di assegnare alla filosofia un nuovo punto di partenza: anziché prendere le mosse dall'anima e dalla coscienza, la filosofia dovrà d'ora in poi “partire dal corpo vivente” 6. Nietzsche ripropone la centralità del corpo con un senso nuovo, un corpo sovrano, che è egli stesso pulsione ed affetto. Fino ad arrivare alla fine del XIX secolo, con “La rivoluzione fenomenologica [che ha] radicalmente trasformato la concezione filosofica del corpo” 7. Il corpo diventa “corpo-soggetto (leib), ossia un corpo fisico e proprio di ciascuna persona. Husserl (1859-1938) è stato il primo filosofo a delineare un'autentica filosofia della carne, (…) il corpo è una metafora, (…), un oggetto intenzionale con cui possiamo orientarci nel mondo. La stessa coscienza, è per Husserl qualcosa di incarnato e porta in sé il sigillo della corporeità” 8. Successivamente, al lavoro di Husserl sul corpo in “Le mediazioni Cartesiane” (1931), si mostra il pensiero di M.M.Ponty, attraverso una delle sue opere più significative la “Fenomenologia della percezione” (1945), percezione, che ha una dimensione attiva in quanto apertura primordiale, innata e strutturale, al mondo della vita ( Lebenswelt). Nella formazione di Merleau-Ponty è importante l'influenza del pensiero di Edmund Husserl, che però egli interpreta in maniera originale, infatti, Merleau-Ponty rinuncia alla postulazione husserliana («ogni coscienza è coscienza di qualche cosa») ed estende la tesi secondo la quale «ogni coscienza è coscienza percettiva». Egli indica, così, uno sviluppo teorico diverso all'interno della fenomenologia, definendo che la concettualizzazione deve essere riesaminata alla luce della preminenza della percezione. “Ciascuno è il suo proprio corpo poiché l'anima non se ne serve. All'opposto essa esiste “tramite il corpo”...” 9. 3 4 5 6 7 8 9 . ibid. p.19 . ivi . M.Marzano , La filosofia del corpo, Il melangolo, Genova, 2010, p. 33 . Ibid. p.39 . Ibid. p.40 . Ibid.p.41 . Ivi Il corpo non è più di ostacolo al pensiero e alla conoscenza, ma diventa fondatore dell'esistenza e la percezione, secondo il pensiero di M.M.Ponty, diventa esperienza del mondo dell'intersogggettività. Infine, con l'avvento, nel XX secolo, delle nuove scoperte nelle neuroscienze, nasce l'idea che “gli stati mentali siano stati del sistema nervoso centrale e che un cervello […] sia la sede naturale di tali facoltà” 10 . Una delle scoperte più significative in questo ambito è sicuramente quella dei neuroni a specchio che dimostrerebbe, “come una delle principali modalità con cui ci mettiamo in contatto con gli altri e ne comprendiamo l'agire sia quella empatica, qualcosa che sentiamo vicino e che comprendiamo più e meglio delle inferenze logiche e delle sofisticate operazioni metarappresentazionali che, secondo una lunga tradizione di pensiero in psicologia, sole spiegherebbero in cosa consista l'intersoggettività” 11. Dopo la suddetta scoperta “si è cominciato ad indagare neuroscientificamente l'intersoggettività e le sue alterazioni patologiche anche da questa prospettiva più di base e legata alla corporeità. Ciò ha anche contribuito non poco a riattualizzare e rivitalizzare tradizioni filosofiche quali la fenomenologia che negli ultimi 50 anni erano state ingiustamente emarginate. Il tema dell'intersoggettività non può essere affrontato e risolto in modo univoco né dalla sola filosofia né dalle neuroscienze o dalla psicologia, ma richiede invece un approccio multidisciplinare” 12. Oggi sembrerebbe che il corpo sia al centro di questo approccio multidisciplinare, “il pensiero contemporaneo, ha la convinzione che il legame intersoggettivo, il riconoscimento dell’altro siano essenziali per l’individuo e per la società. Si è verificata pertanto una convergenza tra una linea di ricerca – sviluppata in particolare nell’ambito della fenomenologia francese da Maurice Merleau-Ponty – sulla percezione, considerata non semplicemente un assemblaggio di dati sensibili (visivi, uditivi o altro), ma un vero dialogo con il mondo esterno (cose e persone) in cui il corpo è protagonista, esprime attraverso il proprio movimento intenzioni e preferenze e insieme conosce il mondo esplorandolo” 13. Al termine di questo breve excursus filosofico, risulta in modo ancor più pregnante l'importanza del corpo, del terapeuta come del paziente, nella relazione clinica, relazione particolare, forse, in qualche modo privilegiata. Il corpo in ambito clinico Come sostenuto da M.M.Ponty, il corpo è un “corpo vivo”, un “corpo proprio”, un corpo che 10 11 12 13 .Ibid.p.38 .www.aitsam.it “Intervista a Vittorio Gallese”. .Ibid. .www.aitsam.it “Intervista a Laura Boella”. non è nello spazio, ma “abita lo spazio” 14. Il corpo, infatti, occupa spazio all'interno dell'orizzonte dell'altro, così, “la nostra corporeità è il primo luogo che presentiamo all'altro, irrompendo nella sua esistenza” 15 Partendo da queste affermazioni, ho colto che il corpo del terapeuta, può essere inteso come un ipotetico “passaggio”, che ci avvicina al nostro vivere dentro e fuori di noi, quindi, prima di tutto noi ci ritroviamo a fare i conti con il nostro corpo. Partendo da questa affermazione, ho immaginato, ancora, il corpo come un“ponte”, appunto “un passaggio cioè come qualcosa che unisce due sponde, lontane e diverse, però appartenenti ad uno stesso fiume” 16. Successivamente, ho pensato al corpo del terapeuta come a una “zona di confine”, infatti, il corpo rappresenta “una sorta di interfaccia tra l'io e il mondo e qui ha origine il ruolo determinante che il corpo vivo gioca nell'intersoggettività” 17 A questo proposito, mi sembra utile citare Freud, quando sostiene che “l'Io è anzitutto un essere corporeo; non è soltanto un'entità superficiale, ma è esso stesso la proiezione di una superficie” 18 Come se, il nostro corpo nella relazione clinica, fosse in una “posizione di confine”, da una parte esposto verso l'altro, verso l'esterno, ma allo stesso tempo, esposto inevitabilmente verso la nostra interiorità. Inoltre, la “posizione limite” del corpo ci segnala la separatezza che c'è tra me e l'altro, nel senso che, è sul limite, sul confine del mio corpo, che scopro che l'altro è inevitabilmente diverso da me. Così inteso, il “corpo” nell'incontro clinico può divenire il luogo del “sentire”, un sentire come strumento terapeutico, che ci avvicina e nello stesso istante ci spinge lontano dall'altro. Per fare un ulteriore passo avanti nella trattazione di questo argomento, può esserci utile citare, ancora, M.M.Ponty, che scrive: “La teoria del corpo è già una teoria della percezione, [e ancora che] il luogo fondamentale dell'esistenza è nell'esperienza vissuta della percezione(...)” 19, quest'ultima visceralmente legata al corpo, che diviene così, “luogo” privilegiato di osservazione. Infine, in questa prospettiva il significato di percezione assume un significato altro, dobbiamo tener presente che “noi, non riconosciamo con la vista ciò che tutta via abbiamo visto spesso, mentre riconosciamo immediatamente la rappresentazione visiva di ciò che nel nostro corpo ci è 14 15 16 17 18 19 . M.M.Ponty, La fenomenologia della percezione, Bergamo, Studi Bompiani, 2005, p.194. L.Boella, Sentire l'altro, Milano, Raffaello Cortina Edit., 2006, p.31 Resnik,Levis,Boccanegra,Taquini,Cheng, Le strutture corporee della vita, Cafoscarina, 2005,p.100. L.Boella, Sentire l'altro, Milano,Raffaello Cortina Edit.,2006, p.34 S. Freud, L'io e l'Es, Torino, Biblioteca Boringhieri, 1991, p.39 M.M.Ponty, La fenomenologia della percezione, Studi Bompiani, Bergamo, 2005, p.275. invisibile” 20 questo ci rimanda l'importanza delle nostre percezioni corporee all'interno della relazione clinica. Empatia, controtransfert e percezioni corporee Ho scelto di introdurre il rapporto tra empatia, controtransfert e percezioni corporee, utilizzando le parole di L. Boella, che scrive: “L'incontro dei corpi è il punto di partenza indispensabile per innescare il movimento dell'empatia.” 21, quindi, anche la percezione corporea può diventare possibilità di sentire l'altro, “ed è prossima a due strumenti psicologici a disposizione della soggettività del terapeuta, che sono l'empatia e il controtransfert” 22. Come sostenuto da alcuni Autori, “L’attivazione della sensibilità empatica del terapeuta offre la possibilità di rilevare, osservare e comprendere i (propri) fenomeni corporei” 23. Nel senso che la comunicazione affettiva del paziente “prende la via del racconto e del contenuto, ma il nostro canale percettivo è aperto alla percezione di elementi stilistici, alla percezione emotiva della voce, dei silenzi, ai segnali di un'affettività espressiva e a molto altro, quindi, contemporaneamente, anche la nostra risposta al paziente è sintonizzata sui registri della nostra parola-emozione e sulla nostra visceralità” 24. Da qui l'importanza di una sensibilità empatica orientata sui fenomeni corporei, che può essere una “condizione facilitante di una certa osmosi (emotiva- affettiva, ideativa, linguistica) tra me e il paziente” 25, osmosi che può essere funzionale alla costituzione e al consolidamento di un alleanza terapeutica. Inoltre, “Buie (1981) [sottolinea come l’empatia] sia fondata su fenomeni di percezione ordinati” 26, come un processo di “risonanza” basato sulla capacità di dare risposte in cui il corpo diventa luogo di risonanza. Allo stesso modo anche quando si parla di controtransfert, “la disponibilità all’ascolto dei messaggi provenienti da qualsiasi parte e da qualsiasi livello, consente - anche in assenza di emozioni e affetti - di cogliere anche le proprie sensazioni corporee, di accettarle come un dato essenziale e ineludibile del contesto, discriminarle ed eventualmente ricollegarle all’insieme o al momento dell’esperienza con quel paziente o anche considerarle indicative” 27 della sua sofferenza. In alcuni casi, “gli eventi corporei possono prendere il posto delle interpretazioni. La verbalizzazione diventa quindi, il secondo stadio di un 20 21 22 23 24 25 26 27 Ibid., p.213. L.Boella, Sentire l'altro, Raffaello Cortina Edit., Milano, 2006, p.34 Www.psicologi-psicoterapeuti.info, Gli strumenti di rilevazione dei fenomeni corporei. Ibid. Ibid. Ibid. Ibid. Ibid. processo costituito di due stadi, entrambi necessari perché si possa giungere a una vera introspezione, ma di cui il secondo è efficace in quanto è il risultato del primo, cioè dell’evento corporeo” 28. Si può pensare che controtransfert, empatia e percezioni corporee, a disposizione del terapeuta nell'incontro clinico, sono tra di loro in stretta comunicazione, e a volte, le percezioni corporee possono essere di fondamentale importanza per guidarci nei diversi tentativi di comprensione dell'altro. Vignetta clinica Riporto la descrizione di una parte di colloquio, con una paziente, all'interno della quale, seguire la mia percezione corporea mi è stato d'aiuto. “La paziente inizia a parlarmi del padre, lo descrive come un uomo originale, con una passione per la musica, per i modellini degli aerei, per gli uccelli, per la letteratura, un uomo colto e stimato nel paese e anche al lavoro, per la sua onestà e per il suo spirito di sacrificio. Un padre che con lei parlava poco, ma che lei spiava da lontano, un uomo bello, intelligente, dal linguaggio forbito, che però sapeva utilizzare anche la saggezza della semplicità popolare. Un uomo dai principi saldi, con il quale difficilmente si poteva sgarrare, che pretendeva rispetto e sincerità. Un padre che era riuscito a trasmetterle i valori fondamentali del lavoro, della famiglia, ma anche dell'amore per l'arte e per la musica. Un uomo politicamente impegnato, a cui piaceva colloquiare e confrontarsi con chi la pensava diversamente da lui... Mentre, la paziente continua a descrivere minuziosamente il padre, io percepisco una luce gialla luminosa intorno a noi, che ci avvolge e invade la stanza, penso: “sarà il sole che entra dalla finestra alle mie spalle...?”. Questa luce mi fa male agli occhi, non riesco a capire cosa sia in realtà, la paziente se ne accorta? o è solo una mia percezione? Inizio ad immaginare scenari luminosi, lucenti, brillanti. Questa luce che mi acceca gli occhi, mi rimanda ad un personaggio luminoso, come ad una magia, ad un uomo “magico”, glielo dico e lei si ILLUMINA, dice: “ si!, un padre magico!”. Ho la netta sensazione di aver usato la parola “giusta”...” Riporto questa situazione clinica perché, aver seguito la mia percezione visiva, di qualcosa che bene non riuscivo a capire, mi è stato d'aiuto, nel senso che, ho potuto poi attraverso l'interpretazione, comunicare alla paziente, ciò che sentivo e vedevo a livello percettivo. In questo senso, l'evento corporeo, a volte, è precedente all'intervento verbale, anzi, lo veicola, fornendo una lettura privilegiata del senso delle parole di chi ci sta di fronte. In particolare, 28 Ibid. nel percorso con questa paziente, questo mio intervento è servito per dare una svolta, perché da quel momento in poi, la paziente è riuscita ad avvicinarsi, seppur faticosamente, ai suoi contenuti più dolorosi fin lì quasi negati. Percepire l'altro attraverso il corpo Ho inteso questa predisposizione percettiva del terapeuta, coinvolto nella relazione clinica, intendendo “la clinica come spazio tematizzato dalla sofferenza soggettiva” 29, come la possibilità del terapeuta di “perdersi”, tenendosi ancorato al limite del corpo in una sorta di spaesamento. La parola Spaesamento o meglio Unheimlich, racchiude un significato particolare, infatti, utilizzata da Freud, con il significato di perturbante, è utilizzata anche da Heidegger, con il significato appunto di spaesamento. Chiarendo che “lo spaesamento è un tratto che non solo riguarda la soggettività di ciascuno di noi, ma ne è l'elemento costitutivo ed essenziale (...) ritrovando attraverso lo spaesamento lo spazio per agire” 30 . Premesso questo, riporto la questione all'interno della relazione clinica, citando le parole di L. Boella che scrive: “la sofferenza dell'altro si presenta immediatamente, come un evento che accade lì di fronte a me, (...) al confine tra la mia interiorità e l'immagine esterna” 31. Come se, l'esperienza della sofferenza dell'altro passasse, anche, attraverso le percezioni corporee che avvengono nel terapeuta, le quali potrebbero essere causate dal nostro “spaesamento” difronte a ciò che ci è straniero, alieno, come a volte può apparirci la sofferenza dell'altro, quindi, uno spaesamento derivato dall' “irruzione dello straniero in casa nostra” 32. Casa all'interno della quale non ci si orienta più, è in questo spaesamento che il corpo può diventare terra di confine, una terra “dove forze opposte si confrontano, spesso si scontrano, altre volte si incontrano, comunque entrano in crisi” 33. Questo nostro spaesamento di fronte all'altro può essere inteso, secondo Freud come “L'Io che non è padrone a casa propria; [dall'altra]” per Heidegger “il Dasein (l'esistenza), sempre ancorato a se stesso, è lontano da sé. È il luogo della vertigine: ...questo non implica la cancellazione della “casa”” 34, ma il corpo in quanto nostra “casa esistenziale”, può diventare ricettacolo di percezioni 29 30 31 32 33 34 L.Patarnello, Introspezioni, Unipress, Padova, 2002, p.9. G.Berto, Freud Heidegger lo spaesamento, Studi Bompiani, Milano, 2002, p.XI L.Boella, Sentire l'altro, Raffaello Cortina Edit., Milano, 2006, p.22 G.Berto, Freud Heidegger lo spaesamento, Studi Bompiani, Milano, 2002, p.XIII P.Zanini, Significati del confine, Bruno Mondadori, Milano, p.12. G.Berto, Freud Heidegger lo spaesamento, Studi Bompiani, Milano, 2002, p.6 corporee, che sono nostre e che, forse, ci svelano qualcosa dell'altro. Quindi, lo spaesamento, o appunto il perturbante, può essere inteso come: “quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è famigliare”, quindi come “una famigliarità finora rimasta nascosta, in quanto scambiata con la superficie dell'ovvio, dell'abituale, e che affiora nella sua alterità...” 35. Tutto questo per poter supporre che lo spaesamento che possiamo sentire, difronte alla sofferenza dell'altro non sia, in verità, a noi così alieno, ma attivi le nostre percezioni corporee, le quali possono definire quello spazio, quella zona di confine, che ci permette in realtà di sentire autenticamente noi stessi, e forse, anche chi ci sta di fronte, senza perdere il contatto con la dimensione reale. Quindi, provare a stare sul confine del corpo con le sue percezioni, vuol dire accettarne le contraddizioni, la sconfinata vivacità e l'angosciosa incertezza. Così, come sostenuto all'inizio, prima di tutto noi ci ritroviamo a fare i conti con il nostro corpo. Per questa ragione, dopo aver percorso questo breve viaggio, tentando di descrivere la terra di confine del corpo, sul quale affacciarsi per sentire l'altro, uguale e diverso, ritengo importante sottolineare che il sentire, come sostenuto nel libro di L. Boella comporta il “cercare una familiarità con il proprio corpo, implica un'avventura nell'ignoto e nell'inconfessabile” 36. L'avventura del “rendersi conto”, passa attraverso diversi luoghi interiori, scoperti in parte attraverso strumenti come l'analisi personale e le supervisioni. La “vista” delle emozioni altrui, il sentire le emozioni altrui, “mi insegna a conoscere le mie, questo scambio reciproco aiuta a chiarire alcuni aspetti del vivere rimasti inavvertiti” 37. Sentire l'altro “comporta una nostra inevitabile ricerca interna, spaventati e spinti andiamo verso qualcosa che non ci sembrava poter essere nostro,” 38 e invece accade, appare, sul limite del nostro corpo e del nostro modo di stare al mondo. Come sostiene Cotrufo nel suo testo “è necessaria un'inclusione, con attenta consapevolezza, del corpo che vive e che sente, perchè “l'immediatezza della improvvisa percezione del proprio respiro, del proprio movimento, della propria voce può essere il veicolo che ci conduce all'attimo presente, nel qui ed ora. Le nostre diversità non ci separano ma ci invitano alla intimità della scoperta, del conoscere e dell'essere conosciuti” 39. Ancora, Cotrufo scrive che: “La mente e il corpo del paziente, egualmente ed inestricabilmente,” si esprimono attraverso i loro linguaggi, “purché l'orecchio si apra realmente all'ascolto, prestando totale attenzione. Un tale ascolto apre ai sapori, al tatto, alla vista, all'odorato, alla 35 36 37 38 39 Ibid, p.15. L.Boella, Sentire l'altro, Raffaello Cortina Edit., Milano, 2006, p.97 Ibid., p.80. Ibid.p.96. P.Cotrufo, Il corpo e la psicoanalisi, Borla, Roma, 2008, p.51. memoria e all'anticipazione, all'essere pienamente presenti nel momento fuggente” 40. Tutto questo richiama l'attenzione al nostro “corpo vivo”, un corpo che va ricercato e vissuto, per essere atteso e ascoltato nel suo esperire l'altro. Tenendo presente che l'esperienza dell'altro è strettamente legata alla conoscenza di noi stessi, o meglio alla nostra attitudine e “abitudine” a spingerci in quei nostri luoghi, dove l'incertezza e la mancanza di coordinate è caratteristica essenziale. A questo, ancora, si legano le parole di Cotrufo che afferma: “Ciò a cui sono giunti Groddeck e Ferenczi, si potrebbe dire, fu la psicoanalisi come “listening cure” (...). La cura dell'ascoltare apre alla natura stessa dell'essere, sia attraverso parole che in loro assenza. E parte dell'essere in assenza di parole è il corpo che percepisce ed è percepito” 41. Così, per praticare la cura dell'ascolto diviene fondamentale ascoltarsi, sia all'interno dello spazio clinico, sia come proprio bisogno o attitudine personale all'interno del rapporto con se stessi e quindi con il proprio corpo. Infine, riporto ancora le parole di Laura Boella, per me particolarmente significative, “L'incontro con l'altro (…) non è una fusione mistica, né un'esperienza diretta di autenticità o di verità, piuttosto è inquietudine, scompiglio, relazione con un mistero refrattario a ogni luce, sperimentazione del massimo abbandono di ogni pretesa di possesso, di conoscenza” 42. BIBLIOGRAFIA M.M.Ponty (2005), “La fenomenologia della percezione”, Studi Bompiani, Bergamo. S. Freud (1991), “L'Io e l'Es”, Biblioteca Boringhieri, Torino. P. Zanini (1997), “Significati del confine”, Bruno Mondadori, Milano. S. Resnik (2001), “Persona e psicosi”, Biblioteca Enaudi, Torino. L.J.Kaplan (1996), “Voci dal silenzio”, Raffaello Cortina Editore, Milano. M.Gorkin R.R.Greenson (1996), “I sentimenti del terapeuta”, Bollati Boringhieri, Torino. 40 Ibid. p.46. 41 Ibid., p.47. 42 L.Boella, Sentire l'altro, Raffaello Cortina Edit., Milano, 2006, p.XXIV H.F. Searles L.Boella (2004), “La grammatica del Sentire Compassione Simpatia Empatia”, Milano, Cuem. G. Berto (2002), “Freud Heidegger Lo spaesamento”, Studi Bompiani, Milano. L.Boella (2006), “Sentire l'altro”, Raffaello Cortina Editore, Milano. P. Cotrufo (2008), “Corpo e psicoanalisi”, Borla, Roma. M.Marzano (2010), “La filosofia del corpo”, Il melangolo, Genova. L. Patarnello (2002), “Introspezioni”, Unipress, Padova. “Gli strumenti di rilevazione dei fenomeni corporei” dal sito www.psicologi-psicoterapeuti.info. “ Intervista a Vittorio Gallese” dal sito, www.aitsam.it “ Intevista a Laura Boella”, dal sito www.aitsam.it Dott.ssa Panosetti Carolina