L’evento, la mancanza Di Donatella Bassanesi L’evento Tra l’uno e l’altro c’è l’evento, che “non è tanto un segmento di tempo, quanto, in fondo, il punto d’intersezione tra due durate, due velocità, due evoluzioni, due linee storiche” (M. Foucault, Il discorso, la storia, la verità, Torino, Einaudi, 1972, 1977, 2001, p. 224). L’evento è ciò che interviene tra l’uno e l’altro. La necessità di uscire allo scoperto, interessarsi a ciò che avviene fuori, tra l’uno e l’altro è la questione dello sguardo verso le cose, e verso l’altro, va in un senso e in doppio senso, per reciprocità. Corrisponde al fatto di essere uno (unico) ed essere altro – essere altro da ciò che sta di fronte al di là, altro per chi sta di fronte al di là. Perché è l’altro a interrogarci, ponendoci domande ci spinge a guardarci, riconsiderarci-riconsiderare, giudicarci-giudicare. Ciò che produce, provoca il movimento sono gli eventi, quelli “sotto il cui segno siamo nati”, quelli che continuano “ad attraversarci” (ibid. 216), “ancora segnano il nostro presente”, “eventi segreti che scintillano nel passato e che ancora segnano il nostro presente” (ibid. 217). Pensando che nella parola evento c’è la parola vento, l’evento si mostra nel suo carattere tumultuoso trascinante improvviso sconvolgente. L’evento che nel XVIII sec. in Occidente ha modificato radicalmente le cose è stata la fine di uno Stato fondato sulla religione e la formazione di uno Stato ateo che è la condizione per la possibilità di uno Stato filosofico (M. Foucault), quello in cui spostando lo sguardo è possibile rendere visibile ciò che non vediamo ma è visibile. L’evento come rappresentazione, implica la questione della scena. L’interesse per la messa in scena si colloca in quella zona intermedia che sta tra il vedere e l’essere visti. Di questo generalmente la filosofia non si è occupata. Osserva Foucault: “credo che la svalutazione del teatro all’interno della filosofia occidentale e un certo modo di porre la questione dello sguardo siano (...) tra loro collegati” (ibid. p. 213). Gli eventi interessano gli storici, raramente i filosofi. È Nietzsche a collegare la storia alla filosofia nel pensare la filosofia come “attività che serve a sapere quel che accade, e quel che accade adesso” (ibid. p. 216). E quel che accade (intorno a noi, altrove) è l’evento. Foucault si rifiuta di soffermarsi al campo simbolico e all’ambito delle strutture significanti, privilegia un’analisi che tenga presenti “rapporti di forza”, “sviluppi strategici”, “tattiche” (ibid. p. 215), dunque non relazioni di senso ma di potere. Intende “cogliere un evento (...) importante per la nostra attualità, anche se si tratta di un evento già verificatosi” (ibid. p. 216). Importanza della ripetizione e del ritorno. Perché “non esiste una sola e unica storia, (...) ve ne sono innumerevoli, con molteplici tempi, molteplici durate, molteplici velocità, che si concatenano (...), che giungono ad incrociarsi, formando proprio così gli eventi” (ibid. p. 224). Così gli eventi “si fanno insensibilmente discorso dispiegando il segreto della propria essenza” (ibid. p. 28), gioco di segni, brusio confuso che nasconde e insieme rivela, che nel nascondere rivela, cancellando giochi della lingua, passaggi, sovrapposizioni, salti di pensiero. La mancanza La mancanza è l’introvabile centro che l’individuo non sa di sé, strada del desiderio. La mancanza è il contrario dell’evento ma realmente non gli si oppone, è ciò che lo richiama, anche disperatamente, a ragione di una distanza che può essere definitiva e incolmabile. Intorno alla mancanza si avvicina il perduto, il dimenticato si rende visibile. Quando la mancanza è incolmabile allora è perdita di ciò che non è più, il passato, i morti che tuttavia entrano nel presente silenziosamente quasi inavvertitamente. Il loro silenzioso ritorno è la loro santità pur non essendo in loro alcuna soggettiva bontà, anche se mancano nella storia della loro vita momenti di bontà. La mancanza è attesa-timore del ritorno come dell’incontro perché l’incontro è sempre rito di ritorno nella somiglianza di un passato. La mancanza sa di non potersi tradurre in ricerca di esaudimento, sarebbe realizzazione dell’impossibile, perché la mancanza ha il tratto dell’assoluto del desiderio – che è l’impossibile del suo esaudimento. Così la mancanza è opposta al bisogno (che può essere appagato). La mancanza suscita impressioni che indefinite prendono rilievo, un profilo, possono diventare mancanza di qualche cosa che prende corpo, sono la cosa che prende corpo. Intorno alla mancanza si avvicina il perduto, il dimenticato si rende visibile. La mancanza arricchisce il presente che è il tempo, è il vuoto che rende l’immagine del tempo come s-fondo, dà consistenza rilievo. La mancanza provoca paura del vuoto che è paura del presente (del tempo), del suo passaggio rischioso quando la materia consumata nell’essere viva diventa motore, il fare, l’agire. La mancanza si mostra nel discorso come ricerca della verità, nei vuoti del discorso. Così “un’etica della conoscenza (...) non promette la verità” solo “il desiderio della verità”, “il potere di pensarla” (ibid. p. 27). Può disporre “di segni, di impronte, di tracce” (ibid. p. 28) che producono il riconoscimento di una primaria appartenenza al mondo, aprono la strada alla conoscenza, che è approssimazione alla verità, il mormorio delle cose. Vuoti, incongruenze nel discorso alludono a un percorso vietato, impossibile da raggiungere o da compiere. Quando l’assoggettamento del discorso a una qualche costrizione, potere implicito di chi lo detiene – di chi lo subisce (lo assorbe) costituisce un sistema insieme occludente e invalicabile – con assegnazioni di ruoli che determinano categorie di soggetti e forme dell’essere.