Cura e politica. Per una nuova idea della cittadinanza
Luisella Battaglia
Università di Genova
La riflessione delle donne, in questi anni si è basata sulla presa di coscienza che le teorie etiche
tradizionali non riescono a render conto del fatto che nasciamo e ci sviluppiamo in contesti
relazionali affettivi e simbolici, che l’autonomia di ciascuno si mantiene grazie a relazioni di cura e,
infine, che non tutte le relazioni tra individui sono riducibili a casi di contrattazioni tra eguali. Da
qui la necessità di ridiscutere l'idea stessa di cittadinanza. E' ancora sufficiente il contratto sociale
oppure occorre pensare a una visione che integri il valore della cura? E quale può essere il ruolo
delle donne in questa prospettiva?
La questione della cura, dei bisogni cui risponde, delle relazioni cui dà luogo, è al centro da decenni
del dibattito femminista. Ancora una volta: se la cura è <l'opera che sostiene la vita>, è, dunque,
un'attività umana necessaria e fondamentale, perché è assente dal nucleo dei valori sociali e politici,
perché è confinata nel privato, nella vita familiare e domestica? Probabilmente, siamo condizionati
da un'immagine del cittadino che ci deriva da secoli di pensiero sociale contrattualista: quella
appunto di un individuo autonomo, razionale, capace di stipulare patti o scambi vantaggiosi con
controparti in grado di reciprocare. E' vero che il contratto sociale considera i contraenti come se
fossero liberi, eguali e indipendenti: i cittadini della società bene ordinata di Rawls si associano in
base ai principi dei mutuo vantaggio ma, in tal modo, vengono omesse dalle scelte politiche e
sociali le forme estreme di bisogno e di dipendenza di cui ogni individuo può, nel corso della sua
vita, fare esperienza.
Una politica che sia ispirata alla cura s’impegna a tutelare i diritti dei soggetti deboli, che rischiano
di essere retrocessi a cittadini di serie B perché non hanno ancora o non hanno più le capacità
paradigmatiche (autosufficienza, razionalità, autonomia) previste per la piena cittadinanza.
Soggetti e oggetti di cura: tali sono gli esseri umani, capaci insieme, uomini e donne, di dare e
ricevere cura. Ciascuno di noi, nella sua vita, ne ha fatto e ne farà esperienza: nella prima infanzia,
abbiamo avuto bisogno delle cure parentali; nella maturità siamo bisognosi di accudimento per
incidenti di percorso (per malattia, inabilità temporanea etc.); nella vecchiaia, saremo tutti
inevitabilmente meno autosufficienti, meno capaci, più dipendenti. Ma in ogni stagione della vita, è
giusto esigere che la nostra dignità venga riconosciuta. Se consideriamo i cittadini nostri simili in
un’ottica solo contrattualistica, non saremo mai in grado di riconoscere pienamente il valore e la
dignità di una serie di persone--dai disabili agli anziani—che non possono contare sulle stesse
abilità nell’utilizzare le proprie risorse e quindi rischiano di non poter esercitare quei diritti
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fondamentali di cui pure sono nominalmente titolari. L’idea di uno scambio reciprocamente
vantaggioso tra contraenti adulti e capaci, dai bisogni sostanzialmente simili, impedisce inoltre alle
parti di pensare come esse potrebbero provvedere ai bisogni di cittadini che non sono dotati delle
loro stesse facoltà. In tal modo vengono omesse le forme più estreme di bisogno e di dipendenza di
cui gli esseri umani possono fare esperienza. Viene qui colto un limite essenziale dell’etica
contrattualistica: lo schema della reciprocità in campo etico blocca la nostra immaginazione morale,
impedendoci di allargare il nostro sguardo a tutti quei soggetti—appunto, i pazienti morali—che
non sono in grado di reciprocare. Laddove l’etica della cura, asimmetrica per definizione, cerca di
rispondere a questa difficoltà: estende la nostra visione, attiva l’attenzione, potenzia
l’immaginazione, quella facoltà che c’insegna a vedere l’umanità dell’altro, specie di coloro che
sono colpiti da disabilità e hanno bisogni fuori dall’ordinario.
In tal modo si profila una nuova idea della giustizia, nuova perché rimette in questione poteri
consolidati e, soprattutto, perché riconosce diritti di soggetti diversamente deboli che rischiano di
essere esclusi da una cittadinanza composta solo da contraenti competenti e informati ,capaci di far
valere i propri diritti. Una cittadinanza--quella fondata sull’idea del contratto tra eguali, tra cittadini
standard--che esclude o emargina le varie forme di dipendenza :minori, anziani, disabili, etc.. Su
quel contratto era, ed è, fondata la società liberale, una società che ha avuto grandi meriti—
riconoscere i diritti dell’uomo, promuovere le libertà fondamentali, separare i poteri, difendere
l’individualità—ma che oggi, dinanzi a nuove sfide (allungamento della vita, nuovi poteri indotti
dalla medicina, problemi inediti posti dalle biotecnologie) richiede un’integrazione di quel
contratto, che accetti finalmente il valore della cura.
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