Semeiotica medica Prof: Antonella Mandas Lezione n°22 04-05-13 Roberta Carboni Per quanto riguarda l’onda R, la durata massima dell’onda, è di 100 ms, che significa che come durata non deve superare i 2,5 quadratini piccoli. Mentre il complesso QRS in toto non deve superare assolutamente i 0,12 secondi, quindi deve avere una durata non superiore ai 3 quadratini piccolini. L’ampiezza invece dipende dalle derivazioni, in particolare, per quanto riguarda le derivazioni periferiche, l’onda R non c’è in AVR, il che significa che in AVR avremo un complesso QRS prevalentemente negativo e quindi una predominanza delle onde Q ed S. Quindi il complesso QRS in AVR è negativo, mentre l’onda R in AVL e AVF è positiva e deve avere un’ampiezza in AVL non maggiore a 13 quadratini e in AVF non deve superare i 20 quadratini piccoli. L’onda S è l’ultima parte della depolarizzazione dei ventricoli, quindi la parte conclusiva del complesso QRS, ed è un’altra deflessione negativa, e in questo caso la durata non dev’essere superiore ai 60ms. Per quanto riguarda l’onda T deve avere come regola generale un’ampiezza che dev’essere inferiore all’onda R successiva, e dev’essere positiva quando il complesso QRS è prevalentemente positivo. Ricordatevi che l’onda T può essere sia positiva, sia negativa o isodifasica e può non avere un significato patologico; questo significa che quando vediamo un’onda T che non è positiva, nonostante il complesso QRS è prevalentemente positivo, non necessariamente ha un significato patologico. Può essere presente un’altra onda che è l’onda U (più evidente nella derivazione V6), d’origine incerta; è necessario conoscerne l’esistenza perché può diventare particolarmente evidente nel caso in cui ci sia un’importante ipokaliemia (può essere evidente non solo nella derivazione V6 ma anche nelle altre derivazioni nel caso di un’ipokalemia). Andiamo a vedere la morfologia del complesso QRS in virtù delle derivazioni periferiche e poi di quelle precordiali; la morfologia del complesso QRS dipende dalla posizione in cui avviene la registrazione, quindi si ha la deflessione verso l’alto (positiva) o verso il basso (negativa) se la risultante ,ossia il vettore medio elettrico, si allontana o si avvicina all’elettrodo. Abbiamo in AVL, in D1 (soprattutto) un’espressione prevalentemente difasica, tant’è vero che , quando abbiamo preso in considerazione la metodica per il calcolo dell’asse elettrico, abbiamo preso proprio D1, perché per effettuare il calcolo dell’asse elettrico dobbiamo andare ad individuare quello che è complesso QRS che maggiormente si avvicina alla condizione difasica. Osservando in maniera adeguata le rappresentazioni dei complessi QRS nelle derivazioni periferiche, quelli che maggiormente si avvicinano alla condizione difasica sono quelli che si ottengono in D1 (così come abbiamo un componente prevalente negativo invece in AVR e una rappresentazione prevalentemente positiva in D2 e in AVF) . Nelle derivazioni precordiali noi andiamo a valutare quella che è la proiezione su un piano trasverso dell’attività elettrica e quindi dei vettori medi; per quando riguarda la depolarizzazione della massa muscolare ventricolare abbiamo una depolarizzazione prima del setto, poi della parte apicale, poi della parte basale degli atri. La direzione della depolarizzazione del setto interventricolare e del ventricolo destro va verso destra, mentre quella del ventricolo sinistro va verso sinistra. È importante conoscere questo per capire perché si realizza questa specifica morfologia del complesso QRS nelle derivazioni precordiali. Partiamo dalla prima derivazione precordiale nella quale il primo elettrodo viene posizionato in corrispondenza del quarto spazio intercostale lungo la linea margino sternale destra. Questo significa che la derivazione V1 guarda il cuore da destra e lo vedrà come un’attività elettrica che si avvicina verso l’elettrodo e di conseguenza una deflessione positiva. Mentre l’attività elettrica che va verso sinistra, rappresentata dal vettore medio della depolarizzazione del ventricolo sinistro, andando verso sinistra in corrispondenza di V1, vedrà quell’attività che si allontana e quindi negativa e da qui si capisce perché la deflessione del QRS in V1 è prevalentemente negativa. Mettendoci invece dal lato opposto, quindi nell’ultima derivazione precordiale (in V6), questa sta guardando il cuore verso sinistra, di conseguenza il vettore medio della depolarizzazione del ventricolo sinistro si avvicina verso quella derivazione e verrà registrato come deflessione positiva, mentre la depolarizzazione del setto interventricolare e del ventricolo destro verrà registrata come una deflessione negativa perché quella si allontana. Temporalmente il ventricolo destro si depolarizza prima rispetto al ventricolo sinistro quindi c’è un lieve ritardo, anche perché la massa muscolare del ventricolo sinistro è superiore a quella del ventricolo destro, di conseguenza c’è una massa muscolare maggiore che deve depolarizzarsi e quindi abbiamo un certo ritardo rispetto alla massa muscolare ventricolare destra. Per quanto riguarda la progressione dell’onda R nelle derivazioni toraciche, abbiamo che in V1 e in V2 il complesso QRS è prevalentemente negativo, poi abbiamo V3 che ha un aspetto tendenzialmente difasico, mentre in V4, V5, V6 abbiamo un progressivo aumento dell’ampiezza dell’onda R e quindi un complesso QRS prevalentemente positivo. Se c’è un tessuto polmonare che sovrasta in maniera importante la porzione muscolare cardiaca, V6 potrebbe avere un’ampiezza dell’onda R minore rispetto a V5; oppure ci può essere un’ipertrofia ventricolare sinistra determinante una deviazione dell’asse elettrico verso sinistra , con conseguente spostamento della massa cardiaca e un allontanamento di quella che è la massa rispetto al posizionamento del sesto elettrodo nelle derivazioni precordiali. Questa elettrocardiografia è quella standard, a 12 derivazioni: 6 periferiche e 6 precordiali. In realtà quelle precordiali possono diventare fino a 8 derivazioni nel senso che si può fare anche un V7 e un V8 ma in condizioni specifiche particolari che non rientrano ovviamente nell’ambito di quella che è la conoscenza di base dell’elettrocardiografia . Qui vediamo la progressione dell’onda R segnata con la linea rossa nelle varie derivazioni precordiali e la progressione sempre più positiva dell’onda R. Per quanto riguarda l’ampiezza del complesso QRS abbiamo visto in particolare l’onda R nelle derivazioni periferiche, dove abbiamo visto che l’onda R non deve superare i 13 quadretti o i 20 quadretti a seconda della registrazione periferica, mentre il voltaggio massimo dell’onda R in assoluto lo osserviamo nelle derivazioni precordiali, tant’è vero che l’onda R di massima ampiezza non deve superare i 27 mm quindi i 27 quadratini piccoli. L’Onda S più profonda che osserviamo nelle derivazioni precordiali, non deve superare i 30 mm (30 quadratini piccoli). Ricordatevi che la somma algebrica tra l’onda R di massima ampiezza con l’onda S di massima ampiezza non deve superare i 40mm e che la durata massima del complesso QRS nelle derivazioni toraciche (quindi precordiali) non deve superare i 0,10 secondi (cioè i 2,5 quadratini piccoli). Invece in quelle periferiche la durata massima del complesso QRS poteva arrivare fino a 0,12 secondi cioè quindi fino a 3 quadratini piccoli. Il segmento S-T è il segmento che intercorre tra la fine della depolarizzazione dei ventricoli e l’inizio della ripolarizzazione dei ventricoli; questo tratto è ben definito in alcune derivazioni precordiali, in particolare in V4, V5, V6. Il tratto S-T non dev’essere slivellato rispetto alla linea isoelettrica di più di 1mm, significa che rispetto al tratto TP che è il tratto isoelettrico, il tratto S-T non deve avere una deflessione, sia positiva, sia negativa, maggiore di un quadratino, cioè maggiore di 0,1mV. Questo è un carattere importante da valutare perché come vedremo , tra i segni che possono essere presenti in caso si ischemia miocardica e infarto acuto del miocardio c’è proprio lo slivellamento del tratto S-T. Torniamo alla lettura dell’elettrocardiogramma e vediamo quali sono gli step da seguire per poter valutare un elettrocardiogramma. Dobbiamo andare a vedere prima di tutto quella che è la frequenza , se è regolare oppure no; la metodica per andare a calcolare la frequenza, nel caso ci sia un ritmo regolare, consiste nel valutare quante onde R sono registrate in 10 secondi, per poi moltiplicarle per 10 nel caso in cui ci sia un ritmo non regolare. Una frequenza cardiaca normale è compresa tra i 60 e i 90 battiti al minuto, anche se parliamo di vera tachicardia quando c’è una frequenza che arriva e supera i 100 battiti al minuto, mentre parliamo di bradicardia nel caso in cui ci sia una frequenza cardiaca al di sotto dei 60 battiti al minuto. Dopo aver valutato la frequenza andiamo a valutare se il ritmo è sinusale oppure no; avremo un ritmo sinusale nel caso in cui tutte le onde P sono seguite da un complesso QRS, significa che l’attività di depolarizzazione dei ventricoli avviene regolarmente dopo che è avvenuta la depolarizzazione degli atri. Vi possono essere delle alterazioni se il ritmo origina dal nodo del seno, oppure vi possono essere dei ritmi extra sinusali , il che significa che l’impulso può originare in tessuto extranodale e quindi possiamo avere un ritmo che origina a livello del nodo atrio ventricolare o addirittura un ritmo idioventricolare. Nel caso in cui ci sia un blocco atrioventricolare completo, come il blocco di terzo grado, significa che l’attività elettrica atriale non viene trasmessa a livello ventricolare e di conseguenza l’attività elettrica ventricolare origina per l’insorgenza di un ritmo ectopico a livello ventricolare. La struttura preposta all’insorgenza dell’impulso cardiaco, per poi trasmetterlo, è il nodo del seno atriale, che è il naturale pace maker del cuore. Ovviamente la frequenza aumenterà nel momento in cui mettiamo in atto un incremento del lavoro muscolare e quindi c’è una maggior richiesta di ossigeno a livello tissutale, ricordandovi ovviamente che il pace maker naturale è assolutamente sotto il controllo simpatico e parasimpatico del nostro sistema nervoso autonomo. Ma in caso di necessità l’impulso elettrico può per esempio prendere origine a livello del nodo atrio ventricolare oppure a livello ventricolare. Quello che caratterizza queste serie ectopiche di insorgenza del ritmo cardiaco è che hanno una frequenza minore rispetto a quella del nodo del seno. Dopo aver verificato se il ritmo osservato nella registrazione è sinusale oppure no dobbiamo andare a verificare se nel tracciato elettrocardiografico sono presenti delle alterazioni del ritmo e in particolare se sono presenti, per esempio: aritmie sinusali, battiti ectopici (che vengono identificati con il termine comune di extrasistoli e possono avere sia un’origine atriale sia un’origine ventricolare, nel primo caso parleremo di battito ectopico sopraventricolare indicato dall’acronimo BEVS, oppure BEV=battito ectopico ventricolare, nel caso in cui l’extrasistole ha un’origine ventricolare), oppure possono esserci alterazioni del ritmo a livello per esempio atriale ed essere nella situazione di una tachiaritmia quale può essere il flutter atriale e la fibrillazione atriale. Le tachiaritmie, sia di flutter, sia di fibrillazione, possono realizzarsi anche a livello ventricolare ma queste sono delle tachiaritmie a elevatissima frequenza tanto che, se si realizzano a livello ventricolare e si ha un’inefficacia funzionale ventricolare, rappresentano una seria emergenza nell’ambito della quale, se attraverso la cardioversione elettrica non riusciamo a interrompere rapidamente questa grave tachiaritmia, l’individuo andrà rapidamente incontro ad exitus. Possiamo avere oltre alle alterazioni del ritmo alterazioni della conduzione dell’impulso cardiaco, nel senso che possono esserci dei ritardi nella conduzione oppure dei blocchi. Dopo aver verificato le eventuali alterazioni bisogna andare a vedere quelle che sono gli aspetti morfologici delle onde, dei tratti e degli intervalli, per capire se ci sono dei segni che possono indicarci per esempio un’ insufficiente circolazione coronarica o se ci sono dei dati che possono invece indicarci la localizzazione e l’estensione di un eventuale infarto del miocardio. Nell’ambito di queste valutazioni non bisogna scordare la valutazione dell’asse elettrico. Ora iniziamo a valutare il ritmo del tracciato elettrocardiografico , se è sinusale oppure no. Parliamo di ritmo sinusale ogni qualvolta tutte le onde P sono condotte , cioè ad ogni onda P segue un complesso QRS. La durata dell’onda P non deve superare i 3 quadratini piccolini (0,12 secondi) mentre l’ampiezza i 2,5 quadratini piccolini. Per quanto riguarda l’intervallo P-Q intendiamo il tempo che trascorre dall’inizio della depolarizzazione atriale all’inizio della depolarizzazione ventricolare o il tempo che trascorre dalla trasmissione dell’impulso dagli atri ai ventricoli e ha una durata che varia da 0,12 a 0,20 secondi. Quindi se noi osserviamo per esempio in questo tracciato elettrocardiografico dell’intervallo P-Q vediamo che è 0,13 secondi quindi una condizione di assoluta normalità. Se invece osserviamo quest’altro tracciato elettrocardiografico dove l’intervallo P-Q è di 0.10 secondi vuol dire che c’è una lieve riduzione dell’intervallo P-Q (in questo caso osservato nella derivazione periferica unipolare sinistra, quindi dell’arto superiore sinistro e quindi in AVL). Se nelle altre derivazioni l’intervallo P-Q è normale anche se in AVL avete l’evidenza di una riduzione è comunque una condizione di normalità. Se invece abbiamo un’ulteriore riduzione, quindi un intervallo P-Q ad esempio di 0,08 secondi, significa che abbiamo una conduzione atrio ventricolare accelerata, in tempi più brevi , e questo può significare che l’impulso può originare in una posizione diversa dal nodo del seno e cioè può originarsi in un punto del sistema di conduzione più vicino ai ventricoli; di conseguenza impiega meno tempo per raggiungere il nodo atrio ventricolare e quindi i ventricoli. Oltre alla condizione di trasmissione più rapida ci può essere un’altra condizione dove l’impulso può essere trasmesso più velocemente nonostante origini a livello del nodo del seno; nel caso in cui ci sia un fascio anomalo (quello rappresentato dalla linea nera nella diapositiva) che bypassa il nodo atrioventricolare, mette direttamente in contatto senza il potenziale blocco atrio ventricolare (rappresentato appunto dal nodo atrioventricolare) il sistema di conduzione atriale con quello ventricolare. Questa è una condizione potenzialmente molto grave ed è quella che rientra nella sindrome di wolff parkinson white, che espone il soggetto ad un più elevato rischio di morte improvvisa, perché quando vi ho accennato le tachiaritmie vi ho detto che se sono a livello ventricolare (come il flutter o la fibrillazione) e se non si interviene rapidamente con una cardioversione, il paziente va incontro ad exitus. Mentre la flutter o la fibrillazione atriale è un’importante tachiaritmia ma può non creare problemi dal punto di vista emodinamico significativo al paziente, perché il nodo del seno ha la funzione di creare un blocco nella trasmissione degli impulsi dagli atri ai ventricoli. Significa che in caso di tachiaritmia atriale solo un numero limitato di impulsi passeranno dagli altri ai ventricoli, cioè si mette in atto un blocco atrio ventricolare ovviamente non completo dove si avrà un blocco di 3 a 1, 4 a 1 e così via, significa che vi è una trasmissione dell’impulso a livello ventricolare una P ogni 3 o una P ogni 4. In questo caso invece essendoci un fascio anomalo che non passa dal nodo atrio ventricolare, se voi osservate l’andamento delle fibre di conduzione a livello atriale, convergono tutte poi a livello del nodo atrioventricolare, il che significa quindi che c’è un continuo controllo di tutti gli impulsi che arrivano dall’atrio che vengono poi convogliati in corrispondenza del nodo atrio ventricolare. Se c’è un fascio anomalo significa che una tachiaritmia atriale può essere trasmessa senza filtro attraverso questo fascio anomalo, quindi questa è la condizione che viene indicata dalla sindrome di wolff parkinson white e questa è una condizione che può essere evidenziata elettrocardiograficamente, perché c’è un intervallo P-Q più breve della norma, con un’eventuale comparsa di un’onda chiamata onda delta evidenziata nella fase ascendente dell’onda R, e un complesso QRS che ha una durata più lunga rispetto alla norma. Ma allora queste possono essere alterazioni talmente tipiche che ci permettono di individuare facilmente la sindrome di wolff parkinson white nella registrazione elettrocardiografica? La sindrome da pre-eccitamento ventricolare si realizza in maniera tale che lo stimolo, che viene trasmesso direttamente al ventricolo, origina appunto in una posizione vicina al ventricolo. Ovviamente abbiamo una diminuzione dell’intervallo P-Q, ma non sempre si realizza quest’accorciamento, quindi la sindrome da pre-eccitamento ventricolare in realtà può avvenire per un fascio anomalo senza che ci sia una modificazione importante sia dell’intervallo P-Q, senza che ci sia l’insorgenza dell’onda delta e l’aumento della durata del complesso QRS. Quindi in questo caso, per l’evidenza della sindrome di wolff parkinson white, saranno necessari degli studi elettrofisiologici specifici e particolari. Ma quando si realizza nella modalità che vi ho illustrato, possiamo vedere la corrispondente evidenza nel tracciato elettrocardiografico, attraverso la riduzione della durata dell’intervallo P-Q, la presenza dell’onda delta e la durata aumentata e quindi il tempo aumentato della depolarizzazione ventricolare, tanto che supera i 0,12 secondi. E come vedete riportato in questa diapositiva il complesso QRS di quest’esempio di sindrome di wolff pakinson white è di 0,14 secondi.