INTERVISTA AL PROF. MICHELE MAIO Direttore Immunoterapia Oncologica del Policlinico Santa Maria alle Scotte Università di Siena 1) Quali sono gli aspetti più importanti che emergono dagli studi KEYNOTE-006 e KEYNOTE-001 nel melanoma avanzato presentati al Congresso ASCO? I dati dei due studi sono estremamente importanti perché confermano che i pathway, cioè le via di checkpoint immunitario, PD-1 e PD-L1 sono superiori rispetto a CTLA-4. Lo studio KEYNOTE-006 in particolare compara l’efficacia di pembrolizumab a ipilimumab, che fino a poco tempo fa ha rappresentato la miglior terapia immuno-oncologica a disposizione per trattare il melanoma. La sopravvivenza globale a 2 anni nello studio KEYNOTE-006 si è mostrata chiaramente superiore in entrambi i dosaggi utilizzati, raggiungendo il 55% con pembrolizumab rispetto al 43% con ipilimumab. Questi risultati sono rilevanti perché evidenziano che, quando l’immuno-oncologia funziona, la sua efficacia è duratura nel tempo. Gli altri endpoint (ad esempio risposta oggettiva, sopravvivenza libera da progressione ecc…) possono essere considerati importanti solo se si accompagnano a un effettivo aumento della sopravvivenza globale a lungo termine. I dati del KEYNOTE-001 (studio registrativo di Fase 1) confermano il dato sul prolungamento della sopravvivenza. A due anni, la stima di sopravvivenza è del 49%, ovvero 1 su 2 pazienti trattati con pembrolizumab ha la possibilità di essere ancora vivo a distanza di 24 mesi. La stima di sopravvivenza a 3 anni è pari al 40% e arriva al 45% nei pazienti che non hanno ricevuto precedenti trattamenti. Siamo di fronte ad una ulteriore conferma del valore dell’immunooncologia: le persone che sopravvivono al secondo e terzo anno dall’inizio della terapia entrano in un plateau di sopravvivenza, con la possibilità che siano vive anche a 5 anni e 10 anni. Alla luce dei dati dei due studi presentati all’ASCO, possiamo quindi prevedere che la sopravvivenza a lunghissimo termine si manterrà più elevata con pembrolizumab rispetto al trattamento con i farmaci anti CTLA-4, rappresentando il nuovo standard di cura. 2) All’ASCO è presentato anche lo studio KEYNOTE-010 nel tumore del polmone non a piccole cellule. Cosa ha dimostrato e qual è la relazione tra i livelli di espressione del PD-L1 e gli outcome dello studio? I dati dello studio KEYNOTE-010 dimostrano ancora una volta, nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, la superiorità dell’immuno-oncologia rispetto alla chemioterapia convenzionale (docetaxel), utilizzata a lungo come trattamento standard nei pazienti colpiti da questa neoplasia. Questo significa che in alcuni setting di malattia abbandoneremo sempre più il trattamento chemioterapico a favore dell’immuno-oncologia. Nello studio era già stato evidenziato un significativo vantaggio di pembrolizumab verso la chemioterapia sul prolungamento della sopravvivenza complessiva. Lo studio aveva valutato pazienti che esprimevano il PD-L1, ovvero un biomarcatore utilizzato per aumentare la possibilità di identificare i pazienti responsivi. I risultati avevano già mostrato che i pazienti con l’espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali rispondono meglio al trattamento. I risultati presentati all’ASCO, quest’anno, confermano il beneficio di pembrolizumab in tutta la popolazione di pazienti che esprime PD-L1. Dobbiamo considerare con attenzione questi dati poiché dimostrano come, attraverso l’analisi dell’espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali, è possibile identificare i pazienti in grado di ottenere, in generale, maggiori vantaggi dal trattamento con l’immuno-oncologia e, in particolare nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, un maggiore beneficio dal pembrolizumab. 3) È possibile utilizzare i biomarcatori per garantire l’accesso alle nuove immunoterapie e la migliore appropriatezza prescrittiva? È possibile cioè individuare a priori il farmaco giusto per il paziente giusto, razionalizzando in questo modo anche le risorse economiche disponibili? È un punto cruciale perché la ricerca si sta concentrando sull’identificazione dei biomarcatori (con particolare attenzione per PD-L1) come potenziali strumenti per selezionare i pazienti che potranno ottenere la migliore risposta a un determinato trattamento. È un’area di grande rilevanza scientifica perché vorremmo che si aumentasse la percentuale di pazienti in grado di rispondere alle terapie in funzione delle caratteristiche del tumore da cui sono colpiti. L’espressione di PD-L1 in questo momento rappresenta il marcatore che ci consente di identificare meglio la popolazione di pazienti che risponderanno a pembrolizumab. Ciò porterà grandi vantaggi al sistema sanitario, sarà infatti possibile in questo modo razionalizzare le risorse perché potremo trattare con il farmaco giusto i pazienti selezionati in base alla espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali. In oncologia la conoscenza del PD-L1 diventa una condizione determinante per permettere una sempre maggiore personalizzazione dei trattamenti, garantendone la sostenibilità e potenziando gli effetti terapeutici per i pazienti. Pembrolizumab apre nuovi scenari terapeutici in moltissimi altri tipi di tumore. Quali sono le prospettive future in base agli studi presentati all’ASCO? Il meccanismo di azione di pembrolizumab è legato alla modulazione del sistema immunitario. I tumori, infatti, si rendono “invisibili” alle nostre cellule della difesa immunitaria che perdono la capacità di proteggerci dalla neoplasia stessa. Pembrolizumab è in grado di riattivare il sistema immunitario e, come tale, potenzialmente utilizzabile in moltissimi tumori solidi ed ematologici. Pembrolizumab ha già dimostrato la sua efficacia in molte neoplasie come, ad esempio, il melanoma, il tumore del polmone, i tumori della testa e del collo e alcune neoplasie ematologiche. Il grande valore di pembrolizumab è quello di aver dimostrato un beneficio in termini di risposta e sopravvivenza in molte neoplasie orfane di trattamenti o con possibilità di cura molto limitate. Tra queste, il mesotelioma pleurico, i tumori della vescica, i tumori della mammella. E’ estremamente importante, per i pazienti affetti da queste neoplasie, poter accedere a programmi sperimentali con farmaci come pembrolizumab che possono rappresentare una nuova opzione terapeutica. Alcuni di questi studi sono chiamati ‘basket’ perché includono persone con diversi tipi di tumore. A Siena, ad esempio, sono molte le sperimentazioni attive, in particolare è in corso uno studio ‘basket’ con pembrolizumab in 10 tumori di tipo diverso (alcuni molto rari), il Keynote 158. Questo studio è stato disegnato per i risultati significativi del precedente basket trial, il KEYNOTE 028, che, proprio quest’anno, saranno presentati all’ASCO. Nei pazienti con tumore delle ghiandole salivari che esprimevano PD-L1, ad esempio, il 70% dei pazienti trattati con pembrolizumab è risultato ancora vivo a distanza 6 mesi. Dallo stesso studio, il 100% dei pazienti affetti da tumore della tiroide è risultato ancora vivo a distanza di 6 mesi e quasi il 60% non ha mostrato progressione della malattia. Il risultati sono ancor più interessanti se si considera il buon profilo di tollerabilità di pembrolizumab e che questi pazienti avevano già ricevuto, senza successo, precedenti trattamenti. Risultati analoghi (con sopravvivenza complessiva a 6 mesi tra il 60 e il 70%) sono stati mostrati nei tumori ginecologici. E partiranno ulteriori studi su pembrolizumab in associazione con altre molecole immunooncologiche. A Siena negli ultimi 2 anni sono stati trattati con pembrolizumab più di 200 pazienti con patologie diverse. Da un lato utilizziamo nella pratica clinica farmaci innovativi studiati negli scorsi anni che sono oggi a disposizione di tutti i pazienti. Dall’altro ci concentriamo sugli studi di associazione e sequenza con numerose molecole prevalentemente immunologiche, per non lasciare inesplorata nessuna opzione che possa essere di beneficio ai pazienti ed aumentare il numero dei cosiddetti lungo-sopravviventi.