Università degli studi di Trieste Facoltà di Scienze Politiche Corso di

Università degli studi di Trieste
Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche
Tesi di Laurea
in
Diritto Amministrativo Comparato
"LA RAPPRESENTANZA MILITARE DEL MINISTERO DELLA
DIFESA: FUNZIONI, COMPITI E DIFFERENZE RISPETTO
ALLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI DI CATEGORIA.
ASPETTI INNOVATIVI DEL PROGETTO DI RIFORMA"
Laureando:
(Cap.) Bernardino GAMBONI
Relatore:
Prof. R. SCARCIGLIA
Correlatrice: Dott.ssa C. BATZU
Anno Accademico 2003 - 2004
A Maria Fiore,
mia Madre
INDICE
NOTE INTRODUTTIVE…………………………………...………………
pag. 1
CAPITOLO PRIMO
“LA RAPPRESENTANZA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEL PERSONALE MILITARE”
1. LA CONDIZIONE MILITARE
a.
Lo “status” di militare ……………………………………..………… pag. 5
b.
La disciplina militare……………………………………..…………..
pag. 7
2. LA TUTELA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEL PERSONALE MILITARE
a.
Il mutamento sociale della condizione militare …………..………..
pag. 9
b.
La spinta alla sindacalizzazione…………..…………………………
pag. 11
c.
Posizioni teoriche sulla problematica…………..……………………
pag. 12
3. LA NASCITA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE IN ITALIA
a.
L’evoluzione storica……………………………………..……………
pag. 14
b.
Le prime iniziative della classe politica…………..…………………
pag. 15
c.
La legge n. 382 del 1978…………..…………………….……………
pag. 16
d.
L’’evoluzione giuridica della Rappresentanza Militare….………… pag. 18
CAPITOLO SECONDO
“GLI ORGANI DEL SISTEMA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE”
1. CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA FISIONOMIA DELLA RAPPRESENTANZA
MILITARE
a.
Considerazioni preliminari sulla legge n. 382 del 1978…………..…… pag. 22
b.
Scopo e natura del sistema……………………………………………… pag. 23
c.
Suddivisione del personale……………………………………………… pag. 24
d.
Competenze……………………………………………………………… pag. 25
e.
Campi d’interesse………………………………………………..……… pag. 27
f.
Facoltà e limiti del mandato……………………………………….…… pag. 28
g.
Durata del mandato………………………………………………..……
pag. 29
h.
Cessazioni…………………………………………………………..……
pag. 30
i.
Dimissioni………………………………………………………..………
pag. 31
j.
Rapporti tra delegati nel corso delle riunioni…………………………
pag. 31
2. IL CONSIGLIO DI BASE DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE
a.
Composizione e collocazione………………………………………..…
pag. 32
b.
Competenze…………………………………………………………..…
pag. 32
c.
Attività a livello di base……………………………………………..…
pag. 33
d.
COBAR per istituti di formazione………..………………………..…
pag. 34
e.
COBAR speciali all’estero…………………………………………….
pag. 35
II
3. IL CONSIGLIO INTERMEDIO DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE
a.
Composizione e collocazione…………………………………………… pag. 36
b.
Competenze…………………………………………….……………..…
c.
Attività a livello intermedio…………………………………………..… pag. 37
pag. 37
4. IL CONSIGLIO CENTRALE DELLA RAPPRRESENTANZA MILITARE
a.
Composizione e collocazione………………………….……………..…
pag. 38
b.
Competenze…………………………………………………………..…
pag. 38
c.
Attività a livello centrale……………………...……………………..…
pag. 39
5. FUNZIONAMENTO DEI CONSIGLI
a.
Convocazione dei Consigli…………………………………………...…
pag. 40
b.
Modalità e periodicità delle riunioni………………………………..…
pag. 40
c.
Validità delle assemblee……………………………………………..…
pag. 41
d.
Programmi di lavoro…………………………………………………..
pag. 41
e.
Modifiche all’ordine del giorno delle riunioni………………….….…
pag. 41
f.
Maggioranza delle deliberazioni…………………………………....…
pag. 41
g.
Trasmissione delle deliberazioni…………………………..………..…
pag. 42
h.
Pubblicità delle deliberazioni…………………………………….....…
pag. 42
III
CAPITOLO TERZO
“LE ORGANIZZAZIONE SINDACALE”
1. DISCIPLINA COSTITUZIONALE DEL DIRITTO DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE
a.
Brevi cenni storici sul riconoscimento della libertà sindacale……… pag. 43
b.
La legislazione sociale di protezione dei lavoratori……………….… pag. 44
c.
L’ordinamento corporativo………………………………………...… pag. 45
d.
I principi costituzionali…………………………………………..…… pag. 49
e.
L’inattuazione delle disposizioni costituzionali sul
sindacato con personalità giuridica………………………………….. pag. 50
2. L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE
a.
Gli statuti sindacali e le organizzazioni complesse………………..… pag. 51
b.
Pluralismo sindacale e modelli organizzativi………………………… pag. 52
c.
La libertà sindacale………………………………………………….… pag. 54
3. IL RICONOSCIMENTO COSTITUIZIONALE AL DIRITTO ALLO SCIOPERO
a.
Limiti al diritto di sciopero………………………………………….… pag. 56
b.
Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali………………………….… pag. 57
4. LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE SINDACALE PER I MILITARI
a.
Pareri contrari all’estensione dell’art. 39 della Costituzione
alle Forze Armate……………………………………………………… pag. 57
b.
Argomentazioni favorevoli all’estensione dell’art. 39 della
Costituzione alle Forze Armate………………………………………… pag. 59
c.
Conseguenze dell’estensione alle Forze Armate dello spirito
democratico, in base all’art. 52 comma 3 della Costituzione…….…
d.
pag. 61
Tutela internazionale del diritto di associazione sindacale e
obblighi nazionali……………………………………………………… pag. 64
e.
Sentenza n. 5 del 1966 del Consiglio di Stato………………………… pag. 65
IV
f.
La riforma della Pubblica Sicurezza: la smilitarizzazione……….… pag. 66
g.
La sentenza n. 449 del 1999 della Corte Costituzionale……………
V
pag. 70
CAPITOLO QUARTO
“LA CONTRATTAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO DEL PERSONALE ALLE DIPENDENZE DELLE
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE ”
1. LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO
a.
La legge 29 marzo 1983, n. 93………………………………………… pag. 74
b.
Il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29……………..…………… pag. 76
c.
Struttura e procedimento della contrattazione……………………… pag. 77
2. IL COMPARTO “SICUREZZA”
a.
“Istituzione del Comparto Sicurezza” ……………………….……… pag. 81
b.
Le procedure negoziali………………………………………….….…
c.
I negoziatori…………………………………………………………… pag. 87
pag. 83
3. LE FASI DELLA NEGOZIAZIONE
a.
Fase zero: il rapporto negoziale e la nascita dell’occasione
negoziale…………………………………………………………….…
pag. 89
b.
Fase uno: la preparazione della trattativa…………………………..
pag. 90
c.
Fase due: la trattativa vera e propria……………………………..…
pag. 91
d.
Fase tre: la “stretta finale e stesura dell’accordo” …………………
pag. 92
VI
CAPITOLO QUINTO
“ LA NECESSITÀ DI UN PROCESSO DI RIFORMA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE”
1. LE INIZIATIVE DELLE LEGISLATURE PRECEDENTI ALLA XIII
a. Indagine conoscitiva sul funzionamento della rappresentanza
militare. presso la IV commissione Difesa della Camera dei
Deputati del 21 gennaio 1992……………………………………..………… pag.95
b. Proposta di legge n. 1150 del 26 giugno 1992: “Istituzione
dell’ufficio del Commissario parlamentare alle Forze e armate” ………… pag. 96
c. Proposta di legge n. 2287 del 23 febbraio 1993:“Riforma
della rappresentanza militare……………………………………………… pag. 98
2. LE INIZIATIVE DELLA XIII LEGISLATURA
a. Disegno di legge n. 2337 del 10 aprile 1997: “Riforma della
rappresentanza militare e diritto di associazione del personale
delle Forze armate” ………………………………………………………… pag.100
b. Disegno di legge n. 3464 approvato dalla IV Commissione
permanente (Difesa) della Camera dei deputati il 21 luglio
1998: ”Nuove norme sulla rappresentanza militare” ……………………
pag. 102
c. Disegno di legge n. 4685 del 28 giugno 2000:“ Nuove norme
sulla rappresentanza militare” …………………………………….……… pag. 104
3. LE INIZIATIVE DELLA LEGISLATURA ATTUALE (XIV)
a. Il testo unico di riforma dell’11 novembre 2003………………….……… pag. 107
b. Testo unificato del 30 giugno 2004, derivante dalla conclusione
dei lavori della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati
in sede referente…………………………………………………….……… pag. 108
c. L’istituzione del comparto autonomo “Difesa e Sicurezza” …….……… pag. 111
VII
CONSIDERAZIONI ………………………………………..…...…………………. pag. 113
BIBLIOGRAFIA…………………………………...……………………….……… pag. 117
VIII
NOTE INTRODUTTIVE
PREMESSA
La trasformazione del nostro strumento militare si sta realizzando attraverso un processo di
riforma, caratterizzato da passaggi successivi, graduali e coerenti, che ha trovato, e trova,
un ampia e condivisa adesione nei vari provvedimenti legislativi che hanno interessato il
mondo della Difesa a partire dalla fine degli anni ottanta, a seguito dei mutati scenari
geopolitici determinatisi con la caduta del muro di Berlino, il frazionamento dell’URSS e il
suo “arretramento” dall’Europa e dal Mediterraneo.
A partire dall’anno 1989 infatti, il collasso dell’impero sovietico, ha portato alla caduta
della percezione della minaccia militare tradizionale, con conseguenze evidenti anche sulla
dimensione dello strumento di difesa che è stato interessato da generale processo di
riconfigurazione sul piano funzionale e di ridimensionamento sul piano territoriale (si
consideri ad esempio che fino a quel periodo il settanta per cento dei reparti era dislocato
nel Nord Est dell’Italia).
Intanto l’instabilità strategica prodotta dall’esplosione delle tensioni etniche, politiche ed
economiche fino ad allora sopite, che vennero affrontate con l’internazionalizzazione dei
conflitti e la legittimazione degli interventi multinazionali, hanno imposto alle Forze
Armate la proiettabilità anche a grandi distanze e per lunghi tempi che hanno creato i
presupposti per il graduale passaggio dal servizio militare di leva a quello professionale.
Tale clima di generale cambiamento ha peraltro suscitato un’ improvvisa attenzione
dell’opinione pubblica nei confronti “dell’universo militare”, fino a quel momento forse
troppo “marginalizzato” e trattato con diffidenza da una buona parte del Paese.
In tale clima di cambiamento generale, anche le esigenze e le aspettative del personale
militare si sono evolute ed hanno visto sempre maggiormente interessato l’istituto della
Rappresentanza Militare, quale strumento di tutela degli interessi del personale militare
delle Forze Armate (Esercito, Marina ed Aeronautica) e dei Corpi Armati dello Stato
(Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza). Tale organismo, interno all’ordinamento
militare, è stato istituito con la legge 11 luglio 1978, n. 382 (artt. 18, 19 e 20) “ Norme di
principio sulla disciplina militare”, con funzione propositiva e consultiva finalizzata a
concorrere alla formazione della volontà dei Comandanti ai vari livelli ordinativi.
1
A differenza delle organizzazioni sindacali di categoria, che operano in regime di diritto
privato, la Rappresentanza militare è un’ istituto a carattere pubblicistico e non è dotato di
autonomia amministrativa.
Esso è composto da organi collegiali composti da rappresentanti di tutte le categorie:
Ufficiali, Sottufficiali, Militari di truppa ed è strutturato su tre livelli:
-
Consiglio di Base (COBAR) a livello locale;
-
Consiglio Intermedio (COIR) a livello areale;
-
Consiglio Centrale (COCER)a livello nazionale,
con competenze in merito alla condizione, il trattamento, la tutela – di natura giuridica
economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale – dei militari.
L’istituto della Rappresentanza Militare, rispetto all’originario quadro di riferimento
fissato dalla legge n. 382 del 1978, ha conosciuto in questi ultimi anni significativi sviluppi
derivanti da successivi interventi normativi, assumendo, a partire dalla legge n. 216/1992,
una funzione consultiva e propositiva nell’ambito della trattazione e formazione delle
norme di legge relative soprattutto alla sfera del trattamento economico del personale
militare.
In tale contesto il suo ruolo risulta sempre più determinante, essendo previsto
l’intervento del Consiglio Centrale nella delegazione interministeriale finalizzata alla
concertazione sugli emanandi strumenti legislativi in materia di trattamento economico del
personale militare non dirigente.
SCOPO
Questo studio sul “sindacalismo militare”, che prende lo spunto dall’attuale dibattito che è
all’attenzione del Parlamento sulla necessità di procedere ad una riforma dell’Istituto della
Rappresentanza Militare, si prefigge il duplice scopo di:
1. fornire un quadro generale sul funzionamento, sui compiti, e le peculiarità degli organi
di tutela del personale militare evidenziando, sia le differenze rispetto alle
organizzazioni sindacali di categoria, con particolare riferimento all’esercizio del
diritto di sciopero, sia le procedure connesse con la disciplina del rapporto di lavoro;
2. evidenziare come sia nata l’esigenza di procedere ad una riforma e quali potrebbero
essere le conseguenze derivanti dall’approvazione dell’attuale testo di riforma
2
all’esame degli organi parlamentari (a. C. n. 932 ed altri, recante: “Nuove norme sulla
Rappresentanza Militare”).
METODOLOGIA DI LAVORO
Al fine di poter mettere in luce gli obiettivi che ci si è prefissati con il presente lavoro,
dopo l’analisi dei principali studi che sono stati condotti e della normativa esistente in
materia, è stata effettuata una ricerca in ambito Parlamentare, al fine di verificare
l’esistenza di disegni di legge, di proposte di legge, di indagini conoscitive ed audizioni da
parte delle Commissioni Parlamentari sull’argomento.
ARTICOLAZIONE DELL’ELABORATO
Le conclusioni del presente studio, sono state riportate nei cinque capitoli che seguono, i
quali possono essere così sinteticamente riassunti:
-
parte prima: analisi della condizione militare, riflessioni sul “sindacalismo militare” e
la nascita dell’Istituto della Rappresentanza Militare in Italia;
-
parte seconda: organizzazione, articolazione, funzionamento e competenze dell’Istituto
della Rappresentanza Militare;
-
parte terza: principi costituzionali del diritto di sciopero, osservazioni sulle
organizzazioni sindacali, approfondimenti sulla libertà di associazione sindacale per il
personale militare;
-
parte quarta: considerazioni in merito alla disciplina del rapporto di lavoro nel pubblico
impiego, procedure negoziali del “comparto sicurezza”;
-
parte quinta: nascita, evoluzione e contenuti delle iniziative parlamentari in merito alla
necessità di procedere ad una rivisitazione dell’Istituto della Rappresentanza Militare;
aspetti maggiormente significativi del processo di riforma in atto.
3
CAPITOLO PRIMO
“LA RAPPRESENTANZA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEL PERSONALE MILITARE”
1. LA CONDIZIONE MILITARE
Quando si parla di “condizione militare” si fa riferimento a una situazione “atipica”,
che caratterizza un insieme di liberi cittadini, quali sono i militari. Questi risultano
soggetti, (non certo con intenti punitivi ma per evidenti ragioni funzionali), a un
complesso di obblighi e limitazioni del tutto peculiari, tali da comportare addirittura un
“affievolimento” di alcuni diritti costituzionali, come peraltro si evince con chiarezza
dalla formulazione dell’art. 1 del “Regolamento di Disciplina Militare”, approvato con
D.P.R. n. 545/1986.
In sostanza, per il personale militare, il legislatore ha delineato, nel tempo, un quadro
normativo speciale, individuando doveri e vincoli precisi – non riferibili ad altre realtà
– al cui mancato rispetto corrispondono sanzioni disciplinari, di corpo e di stato, e
fattispecie di reato anch’esse assolutamente particolari.
a. Lo status di militare
La condizione militare discende quindi da uno status che rappresenta una sorta di
“anomalia” o meglio una specificità nel panorama giuridico e comporta riflessi sul
piano sociale.
A comporre tale complesso ordinamento concorrono un’articolata varietà di
prescrizioni che per semplicità di trattazione possono essere suddivise in due
categorie: quelle propriamente riferite alla stato giuridico (principalmente la L. n.
113/1954 per gli Ufficiali e la L. n. 599/1954 per i Sottufficiali, oggi applicata
anche ai Volontari in Servizio Permanente per effetto del D.Lgvo n. 196/1995) e
quelle relative, in senso generale, alla “disciplina militare” (ossia la L. n. 382/1978
e le connesse norme attuative, vale a dire il citato Regolamento di Disciplina
Militare).
Lo stato giuridico può essere definito come il complesso dei diritti e dei doveri
attinenti al grado (art. 1 della L. n. 113/1954 e della L. n. 599/1954). Tra gli aspetti
degni di nota appare il caso di evidenziare:
4
− l’incompatibilità della professione di Ufficiale, salvo i casi previsti da
disposizioni speciali, con l’esercizio di ogni altra professione, nonché
l’esercizio di attività imprenditoriali e commerciali, l’assunzione della carica di
amministratore, consigliere, sindaco o altra consimile, retribuita o non, in
società costituite ai fini di lucro; analoga limitazione è prevista anche per i
Sottufficiali e i Volontari in servizio Permanente1. Caso particolare sono da
considerarsi invece le attività artistiche e culturali che non si configurano come
1
Art. 16 della L. n. 113/1954 , art. 12 del D.P.R. n. 599/1954 ed art. 24, comma 2 del D.Lgvo n. 196/1995.
In senso generale l’art. 58 del D.Lgvo n. 29/1993, come modificato dall’art. 26 del D.Lgvo 80/1998,
dispone che i “dipendenti pubblici (compresi i militari) non possano svolgere incarichi retribuiti che non
siano conferiti o preventivamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza”. Ai sensi del comma
6, “gli incarichi retribuiti…anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri di ufficio, per i quali
è previsto sotto qualsiasi forma un compenso. Sono esclusi i compensi derivanti:
a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
b) dalla utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni
industriali;
c) dalla partecipazione a convegni e seminari;
d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in condizione di aspettative, di comando o
di fuori ruolo;
f) (…omissis…).
In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione
all’esercizio di incarichi che provengono da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza,
ovvero da società o persone fisiche, che svolgono attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai
rispettivi organi competenti secondo i criteri oggettivi e predeterminai, che tengono conto della specifica
professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buona
andamento della pubblica amministrazione”.
Per quanto specificatamente attiene alle autorizzazioni per il personale militare, sulla base delle norme
sopra indicate: gli Ufficiali, i Sottufficiali e Volontari in servizio permanente, possono svolgere, dietro
specifica autorizzazione dell’Amministrazione della Difesa, attività extraprofessionali retribuite al di fuori
dell’adempimento degli obblighi di servizio inerenti al rapporto d’impiego, esclusivamente a condizione
che le attività in oggetto siano:
− compatibili con al dignità del grado e con i doveri d’ufficio, nel rispetto dei contenuti della L. n.
382/1978 e del D.P.R. n. 545/1986;
− svolte al di fuori dell’orario di servizio;
− effettuate senza carattere di continuità ed assiduità nonché senza eccessivo impegno temporale, in modo
tale da non pregiudicare la capacità lavorativa ed il rendimento in servizio;
− meramente isolate e saltuarie.
Non necessitano di autorizzazioni ministeriali le attività svolte a titolo gratuito o con percezione del solo
rimborso delle spese documentate, nonché quelle retribuite contemplate dal citato D.Lgvo n. 23/1993.
Particolare attenzione viene invece riconosciuta dal legislatore alle attività di volontariato e tutelate dalla L.
n. 266/1991 che le definisce «attività prestate in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite
organizzazioni di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per i fini
di solidarietà» (art. 2, comma 1).
Le stesse possono essere svolte dal personale militare in assenza di preventiva autorizzazione a condizione
che le stesse rispettino le predette condizioni e vengano svolte all’interno di organizzazioni di volontariato
iscritte negli appositi registri generali istituiti e gestiti dalle Regioni e Province Autonome ai sensi dell’art.
6 della L. n. 266/1991.
Non necessitano, inoltre di autorizzazione alcuna le attività cui il personale militare può essere chiamato a
svolgere in qualità di consulente tecnico nell’ambito delle attività disciplinate dal codice di procedure
penale e civile, eccezion fatta per la consulenza tecnica di parte, quest’ultima soggetta ad autorizzazione da
parte dell’A.D..
5
professione, industria o commercio o, comunque, come attività lavorative in
senso stretto.
Tali attività, che costituiscono libera estrinsecazione della sfera privata
e
rientrano nell’impiego del tempo libero, sono peraltro riconosciute dalla più
volte citata L. n. 382/1978 che prevede che «…i militari possono liberamente
pubblicare i loro scritti, tenere conferenze e, comunque manifestare
pubblicamente il proprio pensiero…»2.
− il possesso delle condizioni fisiche tali da risultare idonei al servizio militare
incondizionato per poter prestare servizio ovunque3;
− la continua valutazione da parte della catena gerarchica, sotto il profilo morale,
caratteriale, intellettuale e tecnico – professionale, con conseguenti possibilità
di essere collocati in congedo in caso di insufficienza di tali qualità.
Per quanto concerne invece le limitazioni che, in armonia con i principi
costituzionali, vengono imposte a i militari rispetto agli altri cittadini della
Repubblica, assumono particolare rilievo:
− il divieto di partecipazione a riunioni e manifestazioni politiche e di svolgere
propaganda politica nel corso di attività di servizio, in luoghi destinati al
servizio, in uniforme o qualificandosi come militari4;
− il divieto di scioperare e di costituire associazioni professionali a carattere
sindacale o aderire ad associazioni sindacali5;
− i “paletti” posti dal diritto di riunione6, di associazione7, di pubblica
manifestazione del pensiero, di allontanamento dalla località di servizio e di
espatrio8.
2
Sono peraltro ammessi gli incarichi di insegnamento universitario, ai sensi dal combinato disposto degli
artt. 8 del T.U. n. 311/1958 e 105 del T.U. n. 1592/1933 che prevede il cumulo tra l’ufficio del professore di
ruolo con quello di Ufficiale superiore, purchè l’attività venga svolta al di fuori dell’orario di servizio e con
modalità tali da non pregiudicare il rendimento in servizio.
Per tutte le altre forme di insegnamento e di incarichi di professore universitario non di ruolo, come anche
quelle rientranti nell’ambito della collaborazione tecnico-scientifica, non essendo disposte da un
provvedimento ufficiale di assegnazione di cattedra universitaria, l’esercizio potrà avvenire previa
autorizzazione da parte dell’A.D..
3
Art. 19 del della L. n. 113/1954. Il personale militare viene pertanto sottoposto a visite mediche periodiche
al fine di accertarne il buon stato di salute richiesto per la citata idoneità.
4
Artt. 5 e 6 della L. n. 382/1978.
5
Art. 8 della L. N. 382/1978.
6
Art. 7 della L. n. 382/1978.
7
Art. 9 della L. n. 382/1978.
8
Artt. 8 e 9 della L. n. 382/1978.
6
b. La disciplina militare
Per quanto attiene invece alla “disciplina militare”, la stessa potrebbe definirsi
come l’osservanza consapevole delle norme afferenti allo stato di militare, in
relazione ai compiti istituzionali delle Forze Armate9, dalla quale derivano vincoli
quali:
− l’osservanza, per tutto il periodo in cui si presta servizio attivo, del
Regolamento di Disciplina Militare10, la cui violazione comporta sanzioni di
gravità crescente11. In concreto, questo significa che i militari sono tenuti, tra
l’atro a:
a) l’assoluto dovere di obbedienza, nei limiti posti dalla legge e nell’ambito
del rapporto di subordinazione gerarchica12;
b) l’impegno senza riserve e, se necessario, fino al sacrificio della vita per
l’assolvimento dei compiti istituzionali ovvero per la salvaguardia dei valori
che hanno giurato di difendere13;
c) un comportamento irreprensibile e tale da fungere da esempio, anche fuori
dal sevizio14;
d) il dovere dell’iniziativa, in assenza di specifici ordini15;
e) indossare l’uniforme, quando e come prescritto16;
f) mantenere un aspetto esteriore decoroso17;
g) la tutela del segreto ed al riserbo sulle questioni militari18.
Questa elencazione, necessariamente sintetica, non è di per sé sufficiente a
delineare completamente lo status o meglio la “condizione militare”; basti pensare,
ad esempio, alle problematiche connesse con la soggezione dei militari a sanzioni
disciplinari specifiche o alle questioni relative all’applicazione dei codici penali e
procedurali “ad hoc”, differenziati a seconda che ci si trovi in stato di pace o di
guerra19.
9
Art. 12 della L. n. 382/1978.
Art. 5 della L. n. 382/1978.
11
Art. 13 della L. n. 382/1978.
12
Art. 4 e 5 del D.P.R. n. 545/1986.
13
Art. 9 del D.P.R. n. 54571986.
14
Art. 10 D.P.R. n. 545/1986.
15
Art. 13 del D.P.R. n. 545/1986.
16
Art. 17 del D.P.R. n. 545/1986.
17
Art. 18 del D.P.R. n. 545/1986.
18
Art. 19 D.P.R. n. 545/1986.
19
Non di rado accade che il militare sia sottoposto, per la stessa ipotesi di reato, a un doppio procedimento,
da parte della magistratura militare e dal parte di quella ordinaria.
10
7
Va poi considerato che dallo status di militare discendono situazioni di impiego
connotate sempre, sia pure in misura differente a seconda dei casi, da disagi, rischi
e responsabilità parimenti peculiari.
E che dire, ancora, della “mobilità spinta” cui i militari sono soggetti per effetto dei
frequenti trasferimenti nell’arco della carriera e dell’impiego temporaneo in
operazioni e attività addestrative in territorio nazionale ed estero, con tutte le
immaginabili difficoltà che ne derivano per i coniugi, specie se lavoratori, per i figli
e per le famiglie in generale. Ciò senza dimenticare l’usura fisica e mentale che la
vita militare comporta.
2. LA TUTELA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEL PERSONALE MILITARE
Sorto e sviluppatosi agli inizi del secolo nei Paesi scandinavi, dove sono nate anche le
prime esperienze di democrazia industriale, il fenomeno rappresentativo del personale
militare è stato dapprima considerato un fatto privato, tollerato dallo Stato, pur con
qualche contrasto iniziale, nel quadro generale delle ampie libertà garantite da quei
sistemi di democrazia avanzata. Soltanto in un secondo tempo gli organismi sindacali
del personale militare hanno cominciato ad essere regolamentati e riconosciuti, in
maniera non dissimile dagli altri sindacati di categoria, seppur con talune differenze.
Questo processo, nei Paesi scandinavi, è stato graduale e può considerarsi completato
più o meno all’epoca della seconda guerra mondiale. Ma nello stesso periodo storico la
caduta dei regimi totalitari e la conseguente ampia democratizzazione dell’Europa
Occidentale, la scomparsa della funzione garantistica che alcune forme di governo o
regimi esercitavano nei confronti dei professionisti “in uniforme”, nonché la generale
smilitarizzazione delle singole società nazionali, hanno allargato il problema
rappresentativo più o meno in tutti i Paesi europei ove era possibile la libera
espressione delle esigenze e delle volontà dei cittadini.
L’ aspetto essenziale di questo “mutamento” deve necessariamente essere analizzato
anche alla luce dell’evoluzione subita dal modo di condurre le guerre, sia in termini di
portata che di armamenti impiegati, che ha determinato:
− nell’opinione pubblica, un maggior senso di vulnerabilità ed una conseguente
maggiore propensione alla difesa;
− negli eserciti, la necessità di procedere ad un cambiamento del mestiere delle armi.
8
In tale quadro di radicale cambiamento, la compagine militare ha peraltro subito una
caduta di prestigio e di apprezzamento sociale che ha determinato, nel personale, un
generale senso di frustrazione.
In tale situazione, espressione, si è delineata una netta contrapposizione tra tendenze
conservatrici, che hanno ritenuto incompatibile l’ istituzione militare con qualsiasi
forma di sindacalizzazione del personale, e tendenze innovatrici, che con la scomparsa
dell’esercito regio e dell’esercito castale, hanno ritenuto possibile e necessario un
allineamento di quella militare alle altre professioni ed occupazioni civili.
a. Il mutamento sociale della condizione militare
Alcuni autori, tra i quali Philippe Manigart, sostengono come l’istituzione militare
sia stata interessata, a partire dalla fine dei conflitti bellici mondiali, da un
generalizzato e continuo scadimento del livello di vita, combinato con la tendenza
generale verso un nuovo tipo di relazioni tra superiore ed i subordinati, che ha
determinato la nascita di nuove aspettative tra il personale. Ciò anche nell’ottica
dell’evoluzione subita dai rapporti di lavoro nelle società occidentali, caratterizzata
da una maggiore partecipazione dei cittadini alla tutela dei propri interessi e dal
graduale passaggio dai rapporti di lavoro individuale a quelli collettivi.
Un ulteriore aspetto del cambiamento viene individuato da Roger J. Arango20 nella
mutata estrazione sociale degli ufficiali, provenienti in misura sempre maggiore da
quelle classi o ceti sociali già abituati alla sindacalizzazione.
Che la spinta sindacale sia sorta, in maniera diretta, da un mutamento di posizioni
sociali, è reso particolarmente evidente dagli esempi, opposti nei risultati, di due
Paesi ove non vi sono stati cambiamenti istituzionali. Secondo Victor Werner21
infatti in Belgio, mentre prima della 1ª Guerra Mondiale la professione militare
godeva di uno status abbastanza invidiabile, occupando le Forze Armate una
posizione privilegiata rispetto ad ogni altra nella gerarchia sociale, dopo il secondo
conflitto mondiale, la carriera militare non è stata più oggetto delle attenzioni e
delle preoccupazioni da parte dello Stato. «Sul piano concreto, l’attenzione si
sposta verso la rinascita del Paese, verso le problematiche relative all’occupazione
e le spettacolari conquiste sociali nel settore del lavoro industriale. La posizione
20
William J. Taylor, Roger J. Arango, and Robert S. Lockwood: “Participation and the Future Management
of the Armed Forces” in Military Unions for the United States. Beverly Hills: Sage Publications pag.
28-50.
21
Werner Victor: ”Les militaires de carriere et le droit syndacal” Pallas 4/1964, pagg. 5-10.
9
materiale del personale in servizio permanente diviene, sotto questo aspetto,
sempre meno vantaggiosa».
Vi è dunque un cambiamento sociale che, prescinde anche dai cambiamenti
istituzionali, muta gli equilibri pre-esistenti, fa scomparire i sistemi precedenti di
tutela e produce quindi nuove istanze anche in ambito militare.
Un esempio contrario si ha invece nella situazione inglese, ove, ad una permanenza
della forma di governo e del regime, si è accompagnato, pur in presenza di un
mutamento sociale in generale, un sostanziale mantenimento delle posizioni,
soprattutto nelle forme di tutela precedentemente vigenti per il personale militare in
servizio permanente. Scrive infatti, a proposito del problema sociale in Gran
Bretagna, G. Harries Jennkins22 che nel suo Paese le Forze Armate hanno «una
particolare relazione con il potere civile, nella quale i diritti ed i privilegi del
gruppo sociale dominante sono automaticamente garantiti agli appartenenti alla
istituzione militare; in tale situazione non vi è la necessità di ricercare una
sindacalizzazione che tuteli i diritti politici, sociali ed economici dei membri della
organizzazione: essi infatti saranno sempre protetti da quella elite del potere alla
quale l’istituzione militare è strettamente legata». Ma quando parla in generale
della situazione europea, anche questo autore rileva come la spinta sindacale nasca,
in ambito militare, «dalla percezione che le forze armate, nel confronto con le altre
istituzioni della società, hanno perso il loro status precedente ed hanno subito una
ingiusta aliquota di privazioni».
Una ulteriore causa alla tendenza a sindacalizzare le forze armate viene da David
Cortright23 individuata, con riferimento alla realtà americana, nella notevole
crescita avutasi negli anni ’60 della sindacalizzazione del pubblico impiego,
crescita che non poteva non avere un effetto trainante anche nei confronti del
personale militare. Tuttavia, osserva ancora questo autore, non bisogna neanche
dimenticare che la spinta sindacale nelle forze armate non è creata dai sindacalisti,
non sono essi che creano il malcontento e le frustrazioni. Questi fattori sono insiti
nelle quotidiane condizioni di lavoro e dipendono dalla possibilità o dalle capacità
che la catena di comando ha di venire incontro e risolvere i problemi delle diverse
categorie di personale.
22
Van Doorn, Jacques., J. Van Doorn and G. Harries Jenkins: “The Military and the Loss of Legitimacy” in
eds. The Military and the Problems of Legitimacy. (London: Sage), pag. 19
23
David Cortright: “Soldier in rivolt” ANCHOR PRESS, New York 1975, pag. 33.
10
b. La spinta alla sindacalizzazione
Il processo maggiormente assimilabile alle manifestazioni verso la tutela di
interessi collettivi da parte del personale militare è quello che vede l’estensione di
problematiche di tal tipo nelle classi medie, in settori di attività impiegatizie,
intellettuali o tecniche. La diffusione di sensibilità collettive è sicuramente da porsi
in relazione alla crescente differenziazione socio-culturale delle società avanzate.
Ciò ha comportato la frammentazione degli interessi e la “nascita della
corporativizzazione” necessaria per il riconoscimento e la tutela di ruoli sempre
più professionalizzati e sempre meno tutelabili in forma aggregata attraverso le
strutture tradizionali del sindacato operaio.
Nel quadro della generalizzata convergenza tra istituzione militare e società civile
in atto, che ha profondamente avvicinato i due ambienti di vita e di lavoro, la spinta
alla negoziazione sindacale delle forze armate si sviluppa tuttavia in un clima di
sostanziali opposizioni.
La motivazione fondamentale va ricercata nella specificità dell’istituzione militare,
che viene così sintetizzata da David R. Segal: «…a causa della unicità della sua
funzione sociale, l’istituzione militare richiede al suo personale un grado di
dedizione assai diverso da quello richiesto dalle altre moderne organizzazioni. Il
personale militare, a differenza di quello civile, stabilisce un contratto di portata
illimitata con il proprio datore di lavoro. Tale personale infatti non può porre
termine al proprio rapporto di lavoro quando vuole, esso è soggetto a spostarsi e a
lavorare in ogni ambiente dove il servizio lo renda necessario; ad esso è richiesto
collocare le esigenze di servizio al di sopra di quelle familiari ed è frequentemente
soggetto a lunghi periodi di separazione. Esso è spesso chiamato a svolgere
un’attività di lavoro al di là delle otto ore giornaliere, senza ricevere alcun
compenso straordinario; in tempo di guerra poi esso deve affronatare prolungate
situazioni di pericolo, e può anche perdere la vita. E’ evidente come all’uomo sulla
linea del fuoco è richiesta una dedizione di natura del tutto diversa da quella
richiesta all’uomo sulla catena di montaggio».
11
c. Posizioni teoriche sulla problematica
Molto efficace nel differenziare il “lavoro militare” da quello civile è anche
Bernard Boene24:«La specificità militare non risiede soltanto nel campo dei rischi
a cui si suppone il combattente sia assoggettato, ma anche nei limiti di
applicazione della comune razionalità nel combattimento e nella situazione di
abituale trasgressione di norme sociali che esso comporta. Ciò implica un
particolare tipo di socializzazione……Malgrado parziali analogie, anche le
emergenze civili non appartengono allo stesso campo del reale di quelle militari.
Un ufficiale in particolare non è un ordinario impiegato pubblico: egli deve
rispondere ad una “chiamata”, fatta di un particolare interesse per le cose
militari, dedizione al bene comune, accettazione del rischio della vita,
sottomissione ad una serie di obblighi peculiari della professione militare».
David Segal25, a seguito di una indagine campionaria, constata che in assenza di un
sindacato per il personale militare, «ciascun cambiamento ottenuto attraverso
interventi dall’alto (della istituzione), tuttavia è probabile non risolva ma, anzi,
incrementi la discrepanza tra il ruolo che il personale militare gradirebbe avere e
quello che effettivamente ha». La sindacalizzazione potrebbe pertanto risolvere
questo problema; essa presenta comunque alcuni pericoli che vanno attentamente
esaminati: il primo è che essa tenda ad estendere la propria influenza anche su
aspetti di gestione e direzione dell’apparato militare; il secondo è che essa comporti
una politicizzazione del personale.
Gwyn Harries Jennkins26 esamina le conseguenze che una sindacalizzazione
avrebbe sulla efficienza operativa delle forze armate, individuandone alcuni tra i
quali la creazione di una struttura di autorità duale. Infatti «dal momento che vi è
stato un mutamento nelle basi della autorità e della disciplina militare
nell’establishment militare ed uno spostamento da un comando autoritario ad un
più largo ricorso alla manipolazione, alla persuasione e al consenso di gruppo,
una sindacalizzazione estenderà i confini di questo mutamento; ciò porterà nelle
forze armate il pieno effetto della rivoluzione organizzativa che pervade la società
24
Bernard Boenee: “How inique sshould the military be?” relazione presentata alla “IUS Conference”,
Baltimore 1989.
25
Op. cit..
26
Gwyn Harries Jenkins: “Trade union in armed forces” in military union (A.V.), Beverly Hills/London
1977, pagg. 54 – 73.”
12
contemporanea, creando una struttura dell’’autorità duale, modificando le basi
tradizionali della subordinazione».
Secondo Willam Taylor e Roger Arango27, in uno studio effettuato negli USA negli
anno ’80, molte delle motivazioni pro o contro una sindacalizzazione del personale
militare «appaiono retoriche e non sufficientemente indagate. Coloro che si
pongono su una posizione di critica negativa, ad esempio affermano che una
sindacalizzazione porterebbe un degrado della disciplina, una minaccia alla catena
gerarchica e, soprattutto, minerebbe la capacità dello strumento militare di
adempiere alla missione che gli è affidata». Attraverso una analisi concreta sul
campo, questi autori ritengono di poter mettere in luce i vantaggi e gli svantaggi di
tale processo. Tra i primi l’ acquisizione di un maggior senso di sicurezza
individuale, una valorizzazione della dignità dei singoli, una migliorata
comunicazione sociale, una maggiore competitività con le altre occupazioni e
professioni nel reclutamento del personale. Gli svantaggi reali si ridurrebbero
essenzialmente a due: un pericolo di divisione interna alle unità, per una acquisita
conflittualità intercategoriale, un incremento dei costi del personale.
Secondo Carlo Jean28 la creazione di sindacati determinerebbe inevitavibilmente
un’amplificazione della conflittualità, senza quest’ultima, infatti i rappresentanti
sindacali non avrebbero né prestigio né credibilità. L’autore non ritiene comunque
che il problema maggiore sia quello di minare la coesione interna alle forze armate
e alla loro capacità, ma piuttosto si determinerebbe una inaccettabile forza
corporativa, che inevitabilmente si contrapporrebbe prima o poi al potere politico.
«Il pericolo che comporta un sindacato dei militari per la società civile è, a parer
mio, molto maggiore delle sue implicazioni negative sull’efficienza dell’organismo
militare».
Tale aspetto era stato peraltro già affrontato da Cortright29, il quale, da un lato
sosteneva che il sindacalismo nelle forze armate contribuirebbe a prevenire ogni
forma di separatezza verso la società civile, dall’altro osservava come sia stata
posta poca attenzione alla possibilità che il sindacalismo rafforzi sostanzialmente la
27
Willam Taylor e Roger Arango: “Military effectiveness: the basic issue of military unionizatio in military
union”, Sage pubblicatios, Beverly Hills/London 1977, pagg. 254-256.
28
Carlo Jean: “Tentazioni restauratrici e tentazioni sindacali nella professione militare”, Il Mulino 277/1981,
pagg. 746-760.
29
Op. cit..
13
capacità di influenza dello strumento militare. Infine, Mandeville30, si interroga su
come risponderebbero in battaglia truppe sindacalizzate. Egli infatti concepisce le
forze armate come un corpo separato rispetto alla società civile ed il personale
militare non assimilabile alle restanti categorie di forza lavoro, ed avanza infine il
timore che una rappresentanza degli interessi del personale militare porterebbe il
bilancio della difesa a livelli inaccettabili.
3. LA NASCITA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE IN ITALIA.
Verso la metà degli anni ’70 si aprì in Parlamento, un ampio dibattito politico sul tema
del riconoscimento di taluni diritti essenziali (civili, politici e sindacali) dei militari e
sulle ragioni che giustificano le particolari limitazioni opponibili all’esercizio di tali
diritti, con specifico riferimento anche al fondamento giuridico dell’assoggettamento
dei militari al regolamento di disciplina militare.
Uno dei punti centrali e più qualificanti del dibattito era costituito, comunque, dalla
ricerca della soluzione da dare al problema della tutela degli interessi collettivi del
personale, considerando che all’epoca qualsiasi espressione collettiva del pensiero era
vietata dal regolamento di disciplina militare e, in presenza di altri elementi, era
perseguito come reato militare.
a. L’evoluzione storica
Così come in altri Paesi, anche in Italia il primo tentativo di tutelare gli interessi del
personale di carriera delle Forze Armate venne effettuato da associazioni
professionali di categoria, composte però esclusivamente da personale in congedo,
costituite negli anni ’50. Fu però alla fine degli anni ’60 che alcune tra di esse
dettero vita ad una vera e propria associazione con caratteristiche sindacali,
l’ANAM (settembre 1969), aperta anche a personale in servizio delle tre Forze
armate (Esercito, Marina ed Aeronautica). Tali associazioni condussero le loro
battaglie attraverso periodici associativi, quali il “corriere dell’aviatore”,
“L’aiutante ufficiale” che divenne nel 1972 “il giornale dei militari” ed “il nuovo
pensiero militare”.
Contemporaneamente si sviluppò sulla stampa militare (le tre riviste di forza
armata), soprattutto nei primi anni ’70, un intenso dibattito che non riguardava
30
Lucine Mandeville: “Il problema della rappresentanza collettiva”, in Politica militare 12/1982.
14
soltanto gli aspetti rappresentativi degli interessi professionali, ma più in generale
la democratizzazione delle Forze Armate31. La stampa nazionale si dimostrava in
quegli anni generalmente diffidente, cauta, spesso poco informata, qualche volta
decisamente contraria a forme di tutela nelle Forze Armate.
Nel 1969 fu un Ufficiale in servizio a muoversi, l’Ammiraglio Marengo, che,
attenendosi al regolamento di disciplina vigente, chiese l’autorizzazione al Ministro
della Difesa di costituire una associazione sindacale tra gli ufficiali di Marina.
L’autorizzazione non venne concessa, ma innescò le prime interrogazioni
parlamentari (On.le Niccolai ed in seguito On.le Tocco), una prima proposta di
legge sull’esercizio dei diritti civili e politici dei cittadini appartenenti alle forze
armate – che parlava per la prima volta, di sindacato per il personale militare.
b. Le prime iniziative della classe politica.
Nel 1970, l’allora presidente del Consiglio, On.le Andreotti, aveva sottolineato32 il
disagio del personale militare che, non possedendo un proprio sindacato, non aveva
modo di sostenere e difendere le proprie esigenze rivendicative: ciò poneva la
categoria in una posizione di relativa inferiorità che il Parlamento, nella sua
sensibilità politica, avrebbe dovuto colmare.
Successivamente un parlamentare democristiano, On.le Ettore Spora, nel maggio
del 1973 presentò un disegno di legge composto di soli quattro articoli, diretto ad
autorizzare il personale militare ad iscriversi ad associazioni sindacali, più tardi
seguito da una articolata proposta si legge di un deputato del Movimento Sociale
Italiano, l’On.le Niccolai, che si era già occupato del tema con la poc’anzi citata
interrogazione parlamentare.
Il dibattito politico che ne seguì, in merito all’eventualità di una rappresentanza
sindacale del personale militare, si inserisce nel più ampio processo di riforma del
regolamento di disciplina, del codice penale militare e sulla eventuale istituzione di
un Commissario Parlamentare delle Forze Armate; ciò nell’ottica di quella
democratizzazione dello strumento militare in atto.
31
Si tenga presente che in questo periodo, si erano manifestati in alcuni reparti fenomeni contestatari, che
originavano, da una lato, dalla maturazione politica dei giovani di leva dopo le lotte operaie e studentesche
del ’68 69, dall’altro – tra i militari di carriera – dalla presa di coscienza «sindacale» di un gruppo
professionale ben definito quale quello dei sottufficiali dell’Aeronautica. Il maggiore partito di
opposizione e il più grande sindacato confederale non sostennero mai il movimento che ne scaturì,
considerato espressione di sterili ed anzi pericolose posizioni protestatorie.
32
In data 17 aprile, in sede di dichiarazione di voto di fiducia al Governo, alla Camera dei Deputati.
15
Il primo disegno di legge presentato dal Governo (Ministro della Difesa l’On.le
Lattanzio), n. 407/1976, unitamente ad analoghe proposte presentate da due
rappresentanti dell’opposizione (n. 526/1976 e n. 625/1976)33 veniva portato
all’esame della Commissione Difesa della Camera dei Deputati, in sede referente,
in data ottobre 1976. Tale iniziativa governativa, contemplava per la prima volta la
figura di organi di rappresentanza interni all’istituzione militare, che sebbene
atipica rispetto alla altre soluzioni europee, sembrava ispirarsi in senso lato, al
modello francese, seppur differenziandosi per quanto attiene all’elezione dei
membri dei consigli di rappresentanza mediante il sistema dell’elezione in tre stadi
in luogo del sorteggio.
Il dibattito parlamentare si concentrò soprattutto sul divieto di iscrizione del
personale militare ai sindacati: la posizione contraria alla sindacalizzazione della
Democrazia Cristiana e degli altri partiti di centro trovò le sinistre divise, con i
socialisti e i radicali favorevoli ad una libertà sindacale ed i comunisti invece
decisamente contrari. Tali posizioni vengono mantenute, in linea di massima, anche
nelle votazioni sulla legge, che verrà approvata, in via definitiva, il 21 giugno del
1978, con il voto favorevole di comunisti, democristiani, liberali, repubblicani,
socialdemocratici e quello contrario di costituente di destra, demoproletari, missini,
radicali. Si asterrà invece il Partito Socialista che aveva visto accantonato la
proposta relativa all’istituzione del commissario parlamentare delle forze armate.
La legge è divenuta esecutiva l’11 luglio 1978 con il numero 382 recante “Norme
di principio sulla disciplina militare”.
c. La legge n. 382 del 1978
L’associazione sindacale tra i militari è oggi consentita nella maggior parte dei
Paesi europei, due dei quali (Austria e Svizzera) ammettono anche lo sciopero34.
Il legislatore italiano del 1978 ha invece conservato il divieto per i militari di
organizzarsi sindacalmente. Gli interessi collettivi della categoria trovano pertanto
espressione in un sistema istituzionale, interno, di organi collegiali elettivi35.
33
34
Dall’esame dei citati provvedimenti ne risulta che la tesi secondo cui le forme di associazione sindacale
sarebbero incompatibili con l’organizzazione tipica delle Forze Armate fu condivisa in gran parte dalle
forze politiche di sinistra. Soltanto i radicali e la sinistra più estrema sostennero la posizione della
sindacalizzazione.
Si veda l’Istituto del Commissario Parlamentare per le Forze armate in Germania, organo che esercita
funzioni di “sindacato ispettivo” a tutela dei diritti fondamentali della persona.
16
Essi sono il Consiglio Centrale di rappresentanza (COCER), a carattere nazionale; i
Consigli intermedi (COIR), costituiti presso gli Alti comandi36; i Consigli di base,
costituiti presso le unità a livello minimo compatibile con le strutture di ciascuna
Forza Armata o Corpo Armato37.
Sono previste alcune garanzie a favore dei componenti degli organi di
rappresentanza nell’esercizio del mandato38, anche se, complessivamente, le norme
che disciplinano il funzionamento degli organi rappresentativi sembrano rivolte più
a circoscrivere di cautele, che ad agevolare, la partecipazione al sistema
rappresentativo39.
La legge stabilisce inoltre precisi limiti per atti e competenze40 della rappresentanza
nonché per i rapporti dell’organo centrale con il vertice politico41. Altre limitazioni
sono poste all’attività esterna degli organi di rappresentanza42.
35
La peculiarità della scelta del legislatore è derivata dal meditato rifiuto dell’opzione sindacale, espresso
dall’art. 8, comma 1 della legge, e motivato dalla considerazione che i militari non possono in alcun
momento sentirsi controparte rispetto allo Stato della cui conservazione e del cui funzionamento sono
tutori e garanti (relazione On. De Zan, atto Senato n. 873-A). Conseguentemente è stata adottata la
soluzione di una rappresentanza interna all’ordinamento militare ed al servizio del processo decisionale
dell’ autorità gerarchica, riassumibile del concetto della partecipazione del personale, per il tramite dei
propri organi di rappresentanza, alla formazione delle volontà delle autorità militari in determinate materie
non interferenti con le relazioni gerarchiche e l’attività operativa/addestrativa, affermando pertanto il
principio che i comandanti non solo devono comandare, ossia pensare ed ordinare in termini di operazioni
e/o addestramento, ma anche pensare e provvedere alla cura degli interessi morali e materiali dei propri
dipendenti.
36
Regioni Militari, aeree, dipartimenti marittimi ed equiordinati.
37
Essi dovrebbero rappresentare, accanto alla linea gerarchica, un flusso di istanze, pareri e richieste, dalla
base fino ai vertici, per favorire lo spirito di partecipazione e collaborazione e mantenere elevate le
condizioni morali e materiali nel superiore interesse dell’Istituzione.
38
Bisogna sottolineare al riguardo che la previsione iniziale della legge 382/1978, secondo cui i trasferimenti
ad altre sedi di servizio devono essere concordati con l’organo di rappresentanza è stata contraddetta
dall’art. 13 del regolamento di attuazione della rappresentanza militare (D.P.R. n.691/1979) che contempla
la possibile prevalenza di superori esigenze di impiego.
39
A cominciare dalla limitata durata del mandato o dalla previsione di non immediata rieleggibilità. Vanno
peraltro sottolineate le ulteriori previsioni volte ad individuare le cause di cessazione automatica dal
mandato, al potere di censure che può essere esercitato dal parte del presidente dell’organo, alle sanzioni
previste in casi di trattazione di argomenti preclusi alla rappresentanza o di attività individuali prive di
autorizzazione. In ogni caso le garanzie approntate non appaiono in alcun caso confrontabile con le
previsioni della legge n. 300 del 1970 in merito alla tutela dei rappresentanti sindacali.
40
Le competenze attengono quasi esclusivamente alla vita interna della forze armate: trattamento economico,
tutela di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale, compresa la conservazione dei
posti di lavoro durante il servizio militare, le condizioni alloggiative, la promozione sociale. Restano
escluse quelle concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logisitico operativo, il
rapporto gerarchico funzionale e l’impiego del personale.
41
Gli atti del COCER sono comunicati al Capo di Stato Maggiore della Difesa ovvero ai Capi di Stato
Maggiore di Forza Armata/Comandanti Generali.
42
Una menzione particolare merita la vicenda relativa ai limiti di divulgazione delle deliberazioni e più in
generale ai rapporti degli organi di rappresentanza con i media.
17
L’orizzonte operativo degli organismi in questione è peraltro definito anche sotto il
profilo finanziario. Le spese per il funzionamento degli organismi gravano infatti
intermante sul bilancio del Ministero della Difesa43.
La normativa sulla rappresentanza si completò con la emanazione di un
regolamento di attuazione, previsto dall’art. 20 della legge n. 382, emanato con
D.P.R. 4 novembre 1979, n. 691 e con titolo “Regolamento di attuazione della
rappresentanza militare” (RARM).
d. L’evoluzione giuridica della rappresentanza militare
Nella primavera del 1980 ebbero luogo le prime elezioni dei membri dei consigli
rappresentativi ai vari livelli. Avrebbero dovuto far seguito, a norma dell’art. 20
della legge n. 382/1978, un decreto ministeriale che emanasse il regolamento
interno per l’organizzazione ed il funzionamento della rappresentanza militare e,
contemporaneamente, stabilisse le norme di collegamento con le categorie in
congedo.
Tuttavia, per il contenzioso sorto tra COCER e amministrazione difesa su detto
regolamento, i due decreti uscirono in tempi diversi. Il primo a vedere la luce fu il
Decreto del Ministro ella Difesa 5 agosto 1982, “Norme di collegamento con i
rappresentanti delle categorie in congedo e dei pensionati”. Con esso si stabilisce:
− la istituzione di un albo ministeriale delle associazioni abilitate a svolgere
funzione rappresentativa nei confronti del personale in congedo44;
− le norme e le modalità per le riunioni congiunte COCER/associazioni;
− la audizione annuale da parte del Ministro dei rappresentanti delle associazioni
iscritte all’albo.
Il “Regolamento interno per l’organizzazione e il funzionamento della
rappresentanza militare” ha visto invece la luce con Decreto del Ministero della
difesa ottobre 1985 (RIRM)45.
43
Ciò concreta una fondamentale differenza rispetto alle organizzazioni sindacali, la cui primaria fonte di
finanziamento è costituita dalle contribuzioni sociali.
44
L’elenco delle associazioni iscritte all’albo subirà poi una serie di aggiornamenti con i D.M. 1/10/1983,
25/10/1984/, 25/11/1985, 12/5/1986, 30/10/1986.
45
Il primo confronto tra il COCER e l’Amministrazione della Difesa si è sviluppato a partire dal 1983 ed ha
riguardato la adozione del regolamento interno per l’organizzazione ed il funzionamento della
rappresentanza militare. Tale regolamento, il RIRM, doveva a mente del 3 comma dell’art. 20 della legge
382/1978, essere adottato dal COCER ed emanato successivamente dal Ministro con proprio decreto. Il
Ministro della Difesa interpretò la norma come l’esercizio di un sindacato di legittimità, e fors’anche di
merito, sul testo approvato dall’organo di rappresentanza, e così, quando, all’inizio del 1983, ricevette per
18
Per quanto riguarda il regolamento di attuazione D.P.R. n. 691/1979 (RARM) lo stesso
ha subito due successive modifiche. La prima disposta con D.P.R. 30 ottobre 1984, n.
912, che ha mutato il numero e la composizione dei consigli intermedi dell’Esercito e
della Guardia di Finanza, per adeguarli alla nuova ripartizione territoriale adottata dalle
due Forze Armate e la seconda, assai più sostanziale, disposta con D.P.R. 28 marzo
1986, n. 136. essa ha previsto, oltre una serie di precisazioni e modifiche organizzative
minori:
− la possibilità di modificare il numero e la composizione dei COIR con decreto
ministeriale, anziché decreto del Presidente della Repubblica;
− il ricorso ad elezioni straordinarie per reintegrare gli organi di rappresentanza, ove
ciò non sia stato possibile con l’ordinario meccanismo del primo dei non eletti;
− due possibilità di incontro dei COBAR con la base dei rappresentanti (uno a metà
del mandato ed uno al termine, per un rendiconto finale);
la seconda volta – il primo tentativo era stato fatto dal consiglio del mandato precedente – il testo del
RIRM approvato dal COCER, apportò ad esso una serie sostanziale e piuttosto estesa di modifiche (esse
riguardavano 15 su 33 articoli). Il COCER contestò l’esercizio di una tale atto di sindacato e, per dirimere
la controversia, il Ministro richiese, in data 28 aprile 1983, un parere al Consiglio di Stato, ponendo i
seguenti quesiti:
1. l’art. 20 della legge 382/1978 consente un sindacato di legittimità sul RIRM da parte del Ministro?
2. in caso affermativo, le modifiche che l’amministrazione della Difesa ha apportato al testo, sono
corrette?
3. in caso affermativo, può il Ministro emanare il RIRM così modificato senza rinviarlo al COCER per
ulteriore approvazione?
La III Sezione del Consiglio di Stato espresse il proprio pensiero affermando (parere n. 593/83 in data 14
giugno 1983):
1. non si poteva ritenere che il legislatore avesse voluto conferire al Ministro un sindacato di legittimità e
di merito sul RIRM: solo e se il COCER fosse uscito dai suoi limiti di competenza propri di un
regolamento interno, il Ministro poteva esercitare un sindacato di legittimità;
2. tale caso non sembrava ricorrere nella totalità degli articoli emendati dall’Amministrazione della
Difesa. In ogni caso, i rilievi in tal senso dovevano dal Ministero essere inviati al COCER perché esso
ne tenesse conto;
3. il Ministro non poteva emanare un testo di regolamento interno diverso da quello adottato dal
COCER.
Anche il Parlamento si espresse, successivamente (risoluzione del 26 gennaio 1984), nello stesso senso,
invitando il Ministro ad emanare il RIRM nel testo predisposto dal COCER.
Ma l’Amministrazione della Difesa non concordava con quella parte, non trascurabile, dell’articolato in
che tendeva ad attribuire maggiori spazi di azione di quelli che gli erano stati concessi dal RARM. Tali
spazi riguardavano, in particolare, tematiche che compaiono più volte come oggetto di contenzioso, quali
la presidenza dei consigli dei delegati, la diffusione delle delibere a mezzo stampa, la rilevanza esterna
della rappresentanza militare. Per questa opposizione dell’Amministrazione il Consiglio di Stato venne
attivato una seconda volta dal Ministro (richiesta parere dell’8 agosto 1984) con la trasmissione dello
schema di regolamento approvato dal COCER, accompagnato da una relazione che sindacava gli articoli
imputati di uscire dai limiti propri di un regolamento interno, secondo la lina indicata dallo stesso
Consiglio nella sua precedente risoluzione.
Questa volta (parere n. 1504/84 dell’11 dicembre 1984) il massimo organo di giustizia amministrativa
dello Stato concordò con le osservazioni mosse dall’Amministrazione su diversi articoli (12 per
l’esattezza) ed il testo venne, dalla stessa, rinviato al COCER per essere emendato. L’approvazione
definitiva avvenne, come detto, in data 6 giugno 1985 e l’emanazione con D.M. 9 ottobre 1985.
19
− maggiori possibilità di collegamento e di confronto fra gli organi di rappresentanza
ai diversi livelli;
− la costituzione di COBAR speciali per il personale in servizio all’estero;
− l’abolizione della previsione normativa di una revisione biennale del regolamento
di attuazione (RARM).
Nello stesso anno 1986, con una legge dedicata ad un’altra tematica, la legge 24
dicembre 1986, n. 958 sul servizio militare di leva, venne apportata una modifica
sostanziale alla precedente normativa, inserendo nel COCER i rappresentanti del
personale in servizio di leva. Detti rappresentanti, con mandato semestrale, eletti nella
misura di due militari di truppa ed un ufficiale di complemento per ogni forza armata e
corpo armato, portarono il Consiglio Centrale ad una forza complessiva di 79 unità.
Ancora tra le normativa che ha inciso sulla rappresentanza militare, si può citare il
D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, con il quale è stato approvato il nuovo “Regolamento di
disciplina militare”, ove prevede tra i comportamenti che possono essere puniti con la
consegna di rigore, le mancanze commesse nell’esercizio della rappresentanza
militare46.
Il RIRM ha subito, nel periodo in esame, una sola modifica, voluta dal COCER e
diretta a snellire il funzionamento dell’organo. Essa ha stabilito infatti che la assemblea
dei Consigli di rappresentanza poteva, in seconda convocazione, considerarsi
validamente costituita con la presenza della metà più uno dei componenti il Consiglio,
emendando la precedente previsione che richiedeva sempre la presenza di due terzi dei
delegati.
Una modifica sostanziale alla legge 382/1978 è stata infine apportata con
l’approvazione, in Commissione Difesa in sede deliberante, del prolungamento del
mandato dei delegati eletti tra i militari di carriera da due a tre anni.
Tra i vari provvedimenti normativi modificativi della norma istitutiva della
rappresentanza militare, occorre peraltro ricordare:
− la legge 1 aprile 1981, n. 121, concernente il riordino della Polizia di Stato;
− il decreto legge 7 gennaio 1992, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
marzo 1992, n. 216 che, istituendo apposita concertazione interministeriale per la
disciplina del rapporto d’impiego del personale, ha previsto la partecipazione degli
organismi della rappresentanza militare a tale attività;
46
Ciò per quanto attiene, ad esempio, alla divulgazione delle deliberazioni dei consigli al di fuori del relativo
ambito di competenza.
20
− il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195 che, in attuazione della legge n. 216
del 1992, ha regolato le procedure di concertazione interministeriale.
21
CAPITOLO SECONDO
“GLI ORGANI DEL SISTEMA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE”
1. CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA FISIONOMIA DELLA
RAPPRESENTANZA MILITARE
a. Considerazioni preliminari sulla legge n. 382 del 1978
La disamina dell’istituto della Rappresentanza Militare deve essere compiuta
tenendo in debita considerazione la novità dell’intero contenuto della legge che la
istituisce, poiché in essa si assiste al primo tentativo di adeguamento
dell’ordinamento delle Forze Armate alla Costituzione.
In questa legge, infatti, per la prima volta nella storia della Repubblica si prevede
una normativa organica riguardante rispettivamente «i principi fondamentali della
disciplina militare, il rapporto gerarchico nell’interno delle Forze Armate ed in
genere tutto lo status del cittadino” che “presta servizio nell’organismo militare»1.
La filosofia di questa legge può essere desunta già dall’art. 3, che prevede
l’attribuzione ai militari dei diritti generalmente riconosciuti ai cittadini, salva la
possibilità di limitazioni per la salvaguardia delle funzioni delle Forze Armate. Da
tale disposizione è stato ritenuto si possa ricavare che i diritti del militare possono
essere limitati solo in casi eccezionali, che siano strettamente connessi ai compiti
assegnati a tali organi dello Stato.2 In tutte le altre ipotesi, rientranti nella normalità,
i diritti potranno essere goduti liberamente.
Il legislatore, per quanto riguarda il diritto di associazione sindacale ha optato per
una scelta mediata tra quella di chi sosteneva l’applicazione del principio della
democraticità delle Forze Armate in base all’art. 523 Cost. e di chi invece ne
sosteneva l’incompatibilità con le funzioni attribuite all’istituzione militare.
E’ stato quindi stabilito rispettivamente:
− il divieto di sciopero,
______________
1
Stegagnini: Le rappresentanze militari, Firenze, 1981, pag. 23.
Stegagnini, op. cit., pag. 24.
3
Vds .Capitolo I, paragrafo 3, sottoparagrafo b. pag. 13.
2
22
− il divieto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale e di
adesione ad altre associazioni sindacali già costituite.
Per mitigare l’esclusione di tale categoria dall’associazionismo sindacale sono
state, pertanto istituite le organizzazioni rappresentative dei militari le cui funzioni
dovrebbero essere sostituiva dell’organizzazione sindacale.
L’istituzione ed il funzionamento di detti organi sono previsti dagli artt. 18, 19, 20
della legge 11 luglio 1978, n. 382“ Norme di principio sulla disciplina militare”,
ma per conoscere completamente la normativa che riguarda gli organismi di cui ci
stiamo occupando bisogna anche fare riferimento ad una altra serie di atti normativi
quali:
-
il “Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare”, D.P.R. 4
novembre 1979, n. 691 (RARM);
-
il
“Regolamento
per
l’organizzazione
ed
il
funzionamento
della
Rappresentanza Militare”, D.M. 9 ottobre 1985 (RIRM);
-
il “Regolamento di disciplina militare”, D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545 (RDM).
b. Scopo e natura del sistema
La Rappresentanza Militare è un organismo interno all’ordinamento militare, con
funzione propositiva e consultiva finalizzata a concorrere alla formazione della
“volontà” dei Comandanti ai vari livelli ordinativi.
Lo scopo dell’istituto rappresentativo è chiaramente esplicitato dal discendente
“Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare”, che all’art. 1 prevede
di:
-
favorire lo spirito di partecipazione e di collaborazione dei militari all’interno
dei reparti;
-
contribuire a mantenere elevate le condizioni morali e materiali del personale
dell’istituzione.
Fermo restando che la cura degli interessi del personale rientra fra i doveri del
Comandante, tale organismo, seppur limitatamente ad alcune materie, interviene in
una ottica di più ampia collaborazione dialettica, trasparenza ed intesa a sostegno e
stimolo
del
processo
decisionale
dell’autorità
gerarchica
configurandosi,
implicitamente, come uno strumento idoneo alla tutela degli interessi collettivi
propri della condizione militare.
23
Tale facoltà è limitata esclusivamente ad alcune materie specifiche, così come
stabilito dall’art. 19 del citato provvedimento.
c. Suddivisione del personale
Il sistema della rappresentanza interessa il personale militare4 dell’Esercito, della
Marina, dell’Aeronautica, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di
Finanza, e nei vari consigli in cui esso si articola è composto da rappresentanti di
tutte le categorie, nella fattispecie:
-
categoria “A”: Ufficiali e aspiranti Ufficiali in servizio permanente, in ferma
volontaria, trattenuti o richiamati in servizio;
-
categoria “B”: Sottufficiali in servizio permanente, in ferma volontaria, in
rafferma, trattenuti o richiamati in servizio;
-
categoria “C”: volontari (Allievi delle Accademie Militari, Allievi delle Scuole
Militari, Allievi Sottufficiali, Allievi Carabinieri e Finanzieri, graduati e militari
di truppa in servizio continuativo e in ferma volontaria, in rafferma, trattenuti o
richiamati in servizio5);
-
categoria “D”: Ufficiali e aspiranti Ufficiali di complemento in servizio di
prima nomina;
-
categoria “E”: militari e graduati di truppa in servizio di leva, compresi gli
Allievi Carabinieri ausiliari.
Tra i delegati non rientrano i Cappellani militari e gli Ufficiali del Corpo della
giustizia militare: i primi in quanto non sono militari ai sensi della legge n.
512/1961 e successive modificazioni e integrazioni pur essendo assoggettati alla
giurisdizione penale militare ed alle norme del Regolamento di disciplina militare, i
secondi in quanto il loro status è assimilabile a quello dei funzionari civili.
Gli organi della Rappresentanza Militare sono strutturati su tre livelli e prendono il
nome di:
-
Consiglio di Base (COBAR)
a livello locale;
-
Consiglio Intermedio (COIR)
a livello areale;
-
Consiglio Centrale (COCER)
a livello centrale.
Solo con una struttura così articolata è possibile dare una possibilità di compiuta
espressione a tutte le esigenze del personale militare.
______________
4
5
Art. 2 e 3 del D.P.R. 4 novembre 1979, n. 691 “Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare”.
Compresi i VFA (Volontari in ferma annuale).
24
Non necessariamente infatti le istanze dei militari riguardano atti legislativi o
decisioni ministeriali, e cioè atti che rientrano logicamente nella competenza
dell’organo centrale. Spesso invece i problemi, peraltro di rilevante importanza,
riguardano questioni amministrative o di altra natura, che vanno trattati con i
comandi periferici.
Le elezioni avvengono presso dei seggi con l’utilizzazione di procedure simili a
quelle utilizzate in genere nelle assemblee democratiche. Sono previste delle
precauzioni per garantire la segretezza del voto6.
L’elettorato dei COBAR è diverso da quello dei COIR e COCER, poiché i delegati
dei COBAR vengono eletti direttamente dai militari della propria categoria presenti
in forza presso l’unità di base7, mentre i delegati degli altri due organismi vengono
designati rispettivamente da: gli eletti nei COBAR per i componenti dei COIR di
appartenenza e da gli eletti nei COIR per i componenti del COCER.
Ogni candidato, che deve possedere determinate caratteristiche (fra le quali non
aver svolto incarichi di rappresentanza nel mandato immediatamente precedente a
quello cui le elezioni si riferiscono), prima delle elezioni può rendere noti i propri
orientamenti personali, essendo riconosciutagli la possibilità di effettuare una
propaganda elettorale. Tale propaganda, che non potrà vertere sugli argomenti
esclusi dalla competenza della R.M.8, potrà essere orale o scritta9 e dovrà svolgersi
nel corso di assemblee di categoria.
d. Competenze
In merito alle tematiche oggetto di trattazione degli organismi della Rappresentanza
Militare, il “legislatore” ha inteso, nell’indicare in maniera puntuale le competenze
del predetto organismo, prevedere altresì gli argomenti che non possono formare
oggetto di trattazione, ciò al fine di impedire che in qualche maniera potesse essere
contrastata l’efficacia e l’effettività delle funzioni delle Forze Armate e delle
strutture militarmente organizzate per attendere al compito primario di difesa dello
Stato o più semplicemente interferire nelle competenze riservate ai comandanti ai
vari livelli ordinativi.
______________
6
Il voto è nominativo e segreto (art. 15 del D.P.R. n. 691/1978).
Definibile come elemento fondamentale del sistema rappresentativo.
8
Vds. sottopragarfo successivo.
9
In tal caso la diffusione, per la successiva affissione nelle apposite bacheche, è di competenza
dell’amministrazione militare, che ne sostiene anche le relative spese.
7
25
L’art. 19 della legge 11 luglio 1978, n. 382 “Norme di Principio sulla Disciplina
Militare” prevede infatti al comma 410 che: «…le competenze dell’organo centrale di
rappresentanza riguardano la formulazione di pareri, proposte e di richieste su tutte
le materie che formano oggetto di norme legislative o regolamenti circa la
condizione, il trattamento, la tutela – di natura giuridica economica, previdenziale,
sanitaria, culturale e morale – dei militari…» ed al comma 7 « … dalle competenze
degli organi rappresentativi sono comunque escluse le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto
gerarchico-funzionale e l’impiego del personale…».
Nell’ambito di tali tematiche di cui al comma 4 della citata norma, già a partire
dall’anno 1992 il “legislatore” ha stabilito, con l’emanazione della legge n.
216/199211, che alla Rappresentanza Militare12, fosse conferito un potere più ampio
di quello iniziale prevedendo che la stessa fosse sentita per la formulazione di pareri
e fosse inserita all’interno di una delegazione interministeriale finalizzata alla
concertazione sugli emanandi strumenti legislativi in materia di trattamento
economico del personale militare non dirigente, ma di questo se ne parlerà
successivamente.
Dalla lettura dello stesso provvedimento, può facilmente rilevarsi, a conferma di
quanto detto sulle competenze dell’organismo, che non rientrano tra le stesse:
-
la trattazione dei lavori degli uffici e delle strutture;
-
le procedure per la costituzione, modificazione di stato giuridico e l’estinzione
del rapporto di pubblico impiego, compreso il trattamento di fine servizio;
-
la mobilità ed impiego del personale;
-
le sanzioni disciplinari ed il relativo procedimento;
-
la determinazione delle dotazioni organiche;
-
i modi di conferimento della libertà dei diritti fondamentali del personale.
______________
10
Vds. anche art. 8, 9 e 10 del D.P.R. n. 691/1979 “Regolamento di attuazione della Rappresentanza
Militare”.
11
Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 7 gennaio 1992, n. 5, recante “Autorizzazione
di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri in
relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 227 del 3-12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati,
nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle
altre Forze di Polizia. Delega al Governo per disciplinare i contenuti del rapporto d’impiego delle Forze
di Polizia e del personale delle Forze armate nonché per il riordino delle relative carriere, attribuzioni e
trattamenti economici” (pubblicata nella G.U. 7 marzo 1992, n. 56).
Con l’emanazione del D.Lgvo 12 maggio 1995, n. 195, sono state apportate alcune modifiche ed
integrazioni all’art. 2 della predetta legge.
12
A livello centrale.
26
Successivamente, con l’emanazione del D.Lgvo n. 195/1995, il “legislatore” ha
inteso estendere alla Rappresentanza Militare la trattazione di ulteriori problematiche
in sede di concertazione, ed in particolare:
-
la durata massima dell’orario di lavoro settimanale;
-
le licenze;
-
l’aspettativa per motivi privati e per infermità;
-
i permessi brevi per esigenze personali;
-
il trattamento economico di missione, di trasferimento e di lavoro straordinario;
-
il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, ai sensi
dell’articolo 26, comma 20, della legge 23 dicembre 1998, n. 448;
-
i criteri per l’istituzione di organi di verifica della qualità e salubrità dei servizi di
mensa e degli spacci, per lo sviluppo delle attività di protezione sociale e di
benessere del personale, compresi l’elevazione e l’aggiornamento culturale, nonché
per la gestione degli enti di assistenza del personale;
-
l’istituzione di fondi integrativi al Servizio Sanitario nazionale, ai sensi dell’art.
9 del Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 29913.
e. Campi d’interesse
Sempre l’art. 19 delle “Norme di principio sulla Disciplina Militare”, stabilisce al
comma 8 i campi d’interesse degli organi rappresentativi14:
-
conservazione dei posti di lavoro durante il servizio militare, qualificazione
professionale, inserimento nell’attività lavorativa di coloro che cessano dal
servizio militare;
-
provvidenze per gli infortuni subiti e per le infermità contratte in servizio e per
causa di servizio;
-
attività assistenziali, culturali, ricreative e di promozione sociale, anche a favore
dei familiari;
− organizzazione delle sale convegno e delle mense;
-
condizioni igienico-sanitarie;
-
alloggi.
Occorre precisare che tra i campi di interesse e le competenze di cui al precedente
sottoparagrafo, non esiste né una mera distinzione né una divisione, ma piuttosto le
______________
13
14
Successivamente intervenuto ad integrazione dell’art. 5.del D.Lgvo n. 195/1995.
Vds. anche art. 8 e 9 del D.P.R. n. 691/1979 “Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare”.
27
prime, stante la loro portata più generale e la sfera di applicazione, interessano il
Consiglio Centrale della RM mentre le seconde, di portata più limitata, i Consigli di
Base piuttosto che quelli Intermedi.
Non può tuttavia escludersi, a priori, che talune iniziative o proposte, di portata più
generale, possano originarsi a livello periferico per essere poi successivamente
portate all’attenzione dell’organo centrale per il tramite degli intermedi, secondo le
modalità che verranno successivamente trattate.
f. Facoltà e limiti del mandato
Il delegato, quale militare eletto dalla categoria di appartenenza, espleta le
operazioni inerenti alla rappresentanza per motivi di servizio.
Con il voto espresso, egli riceve il mandato di rappresentare, in seno al Consiglio di
cui fa parte, i propri colleghi sempre e comunque nell’ambito delle materie di
competenza, con determinate facoltà e limiti.
Nell’espletamento del suo incarico mantiene tutti i diritti e doveri tipici della
condizione militare e, fatte salve le esigenze operative e quelle di servizio
inderogabili, deve essere messo nella condizione di espletare al meglio il proprio
mandato, avendo a sua disposizione il tempo che si rende necessario15. In caso di
trasferimento di un delegato durante il periodo del suo mandato, non conseguente
all’applicazione di altre leggi vigenti16, che possa pregiudicare l’esercizio delle sue
funzioni, deve essere sentito il Consiglio di cui fa parte, il cui parere peraltro non è
vincolante per l’Amministrazione17.
Sulla base di quanto già detto ai precedenti sottopara c. e d., egli non può trattare
argomenti che esulino da quelli espressamente previsti dalle norme citate e pertanto
non può avanzare alcuna istanza né proposta in tal senso.
Al singolo delegato non è consentito:
-
rilasciare dichiarazioni o comunicati a mezzi di stampa e informazione;
-
effettuare all’esterno del predetto organismo attività di rappresentanza;
______________
15
16
17
Vds. art. 12 D.P.R. n. 691/1979.
Non è il caso, ad esempio, del trasferimento a domanda in applicazione della legge n. 104/1992 “legge
quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
Il trasferimento del delegato potrebbe essere sospeso se lo stesso non potrà essere sostituito o dal militare
che segue immediatamente dopo nella graduatoria degli eletti ovvero non possa essere sostituito da nuovo
eletto a seguito di elezioni straordinarie.
28
-
svolgere attività che sono proprie del Consiglio nella sua collegialità.18
In materia di comunicati stampa, a seguito dell’emanazione del D.P.R. n. 520/1992, il
“legislatore” ha inteso depenalizzare tale inosservanza, per la quale era prevista la
possibilità di sottoporre il delegato a procedimento disciplinare per l’eventuale
irrogazione della sanzione della consegna di rigore, prevedendo, esclusivamente per il
COCER nella sua collegialità, la possibilità di rilasciare comunicati stampa e
dichiarazioni ai mezzi d’informazione limitatamente alle materie di propria
competenza. Al riguardo bisogna sottolineare che tale facoltà è da rinvenirsi
esclusivamente nel Consiglio, previa deliberazione19.
Un’ulteriore prescrizione posta in capo ai delegati consiste nel divieto di
promuovere e raccogliere sottoscrizioni ai fini dell’esercizio della Rappresentanza
Militare ed inoltre assumere iniziative, di qualsiasi genere, che possano inficiare
l’estraneità delle Forze Armate dalle competizioni politiche.
Ciò premesso ai delegati deve essere comunque data la possibilità di espletare il
proprio mandato, fermo restando che l’inosservanza delle norme contenute nella
legge 11 luglio 1978, n. 382, e del D.P.R. n. 691/1979 è da considerarsi come grave
mancanza disciplinare.
g. Durata del mandato
La durata del mandato, varia a seconda della categoria che i delegati rappresentano:
-
gli Ufficiali ed i Sottufficiali (cat. “A” e “B”) durano in carica 3 anni, così come
i volontari in servizio permanente20;
-
i volontari in ferma annuale durano in carica dalla loro nomina fino al
congedamento;
-
6 mesi per i militari delle categorie “D” ed “E” (militari di leva e Ufficiali di
complemento in servizio di prima nomina).
______________
18
19
20
Emblematico è il caso dei comunicati stampa che il singolo delegato o taluni delegati potrebbero rilasciare
agli organi di stampa e comunicazione, configurandosi, nel caso di specie, una inosservanza dell’art. 12
del D.P.R. 691/1979 e come tale passibile di censura da parte dell’Amministrazione Militare.
L’invio dei comunicati stampa viene effettuato a cura e spese dell’Amministrazione Militare.
Dall’inosservanza di tale prescrizione, può derivare una censura da parte dell’Amministrazione Militare, e
seppur non rientrante nei casi per l’irrogazione della massima sanzione disciplinare, può sicuramente
configurarsi come presupposto per l’eventuale irrogazione di un provvedimento disciplinare di Corpo.
L’art. 13 del D.P.R. n. 691/1979 “Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare” (RARM)
prevedeva inizialmente che il mandato dei volontari delle Forze Armate fosse di 6 mesi, ma
successivamente, con l’emanazione del D.P.R. n. 169/2001, lo stesso è stato elevato a tre anni. Si
evidenzia, altresì, che, al fine di allineare il mandato delle categorie in servizio permanente effettivo, è
stata emanata la legge 2 marzo 2004, n. 62 che ha prorogato il mandato della categoria “C” di un anno.
29
Un caso particolare è quello dei delegati frequentatori delle scuole e dei Consigli di
base istituiti all’estero. La durata dei delegati allievi delle scuole coincide infatti
con la durata del corso e comunque non può superare l’anno, mentre per i Consigli
istituiti all’estero la durata del mandato coincide con la permanenza del personale
in tale contesto e deve comunque essere almeno di 6 mesi per un massimo di 2
anni21.
Ai sensi dell’art. 2 del D.M. 9 ottobre 1985 “Regolamento interno per
l’organizzazione e il funzionamento della Rappresentanza Militare”, i delegati allo
scadere del mandato, rimangono in carica fino alla proclamazione dei nuovi eletti
nei rispettivi Consigli di rappresentanza.
La nomina a membro di organo della rappresentanza forma, ai sensi dell’art. 36 del
D.P.R. n. 691/1979, oggetto di apposita annotazione matricolare; per tale mandato
deve essere inoltre redatta apposita nota a cura del compilatore nella
documentazione caratteristica di ciascun delegato22.
h. Cessazioni
Il militare eletto, quale rappresentante, può concludere anticipatamente il suo
mandato23 per i seguenti motivi:
-
cessazione dal servizio;
-
passaggio ad altra categoria;
-
trasferimento, ad esclusione dei delegati COCER se ciò avviene in ambito
nazionale e dei delegati COIR se assegnati ad altro reparto sempre nella stessa
area d’impiego;
-
irrogazione di condanne per delitti non colposi o sanzioni disciplinari di stato;
-
coincidenza con l’incarico di Comandante dell’unità di base;
-
irrogazione di una o più punizioni di consegna di rigore per inosservanza della
legge n. 382/1978;
-
sottoposizione a misure di carcerazione preventiva;
- sospensione dall’impiego o collocamento in aspettativa;
______________
21
22
23
Vds. artt. 7 e 7bis del D.P.R. n. 691/1979 “Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare”
(RARM)
In tale contesto (Compilazione dei documenti caratteristici – “eventuali note aggiuntive”), la dicitura da
menzionare obbligatoriamente è: “dal …… al …….. ha svolto le mansioni di delegato presso il Consiglio
di Rappresentanza ………… - cat. …………….”
Vds. artt. 13 e 19 del D.P.R. n. 691/1979 “Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare”
(RARM)
30
-
permanenza all’estero per un periodo superiore a 6 mesi;
-
dimissioni volontarie da uno o più Consigli.
Al pari della nomina, anche la cessazione comporta un’annotazione nella
documentazione matricolare del delegato e deve riportarne anche la motivazione.
i. Dimissioni
L’istituto delle dimissioni volontarie è il diritto che la legge concede al singolo
delegato di poter concludere anticipatamente il proprio mandato; tale facoltà può
essere esercitata in ogni momento. In caso di rassegna delle dimissioni il delegato
le trasmette all’Autorità affiancata per il tramite del Presidente del Consiglio, senza
doverne indicare le motivazioni.
Seppur la normativa in vigore non preveda espressamente che il delegato
dimissionario possa ritirarle, gli orientamenti giurisprudenziali in materia,
sembrano affermare che la revoca possa eventualmente intervenire prima della
surrogazione del nuovo delegato in seno al Consiglio di Rappresentanza.
Il delegato dimissionario potrà riacquistare tale carica solo a seguito di nuove elezioni,
fermo restando quanto disposto al sesto comma dell’art. 19 del “Regolamento di
attuazione della Rappresentanza Militare” (RARM).
j. Rapporti tra delegati nel corso delle riunioni
Nel corso delle riunioni dei Consigli di Rappresentanza, il delegato più anziano di
ciascun organo assume la carica di Presidente24.
In tutti gli organi di Rappresentanza, in assenza del presidente, le relative funzioni
vengono esercitate dal vice presidente o presidente vicario che si identifica nel
delegato più elevato in grado o, a parità di grado, più anziano presente alle riunioni.
Il presidente ha il dovere di mantenere l’ordine durante le riunioni e deve informare
le autorità gerarchiche competenti per l’irrogazione di sanzioni a seguito delle
infrazioni commesse dai delegati, anche ai fini di un’eventuale loro cessazione dal
mandato, secondo quanto stabilito dall’art.13 lett. e del RARM.
Il presidente dirige le riunioni avvalendosi dei poteri riservatigli ed attenendosi ai
doveri attribuitigli dal regolamento interno.
______________
24
Il Presidente, quale delegato più elevato in grado, ha inoltre l’obbligo di far osservare tutte le disposizioni
peculiari dell’ordinamento militare.
31
Nell’ambito del Consiglio Centrale di Rappresentanza, in occasione delle riunioni
di categoria, le stesse sono presiedute dal delegato più elevato in grado o più
anziano di ciascuna categoria.
2. IL CONSIGLIO DI BASE DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE
Il COBAR rappresenta l’unità elementare della Rappresentanza Militare ed è collocato
presso le unità di base con il criterio di affiancarlo ad una autorità gerarchica che abbia
la competenza per deliberare in ordine alle problematiche di carattere locale.
Le unità di base interforze sono stabilite, secondo la competenza, dal Capo di Stato
Maggiore della Difesa o dal Segretario Generale della Difesa, che stabiliscono anche a
quali Alti Comandi di Forza Armata ciascuna unità di base interforze è collegata ai fini
della Rappresentanza Militare.
Per gli Enti direttamente dipendenti dal Ministro della Difesa le rispettive unità di base
saranno stabilite dallo stesso Ministro.
Le unità di base dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, dell’Arma dei
Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza sono stabilite dai rispettivi Capi di
Stato Maggiore di Forza Armata e Comandanti Generali.
Di massima sono presenti a livello di complesso infrastrutturale (purché l’unità ivi
collocata non sia inferiore al battaglione o livello ordinativo corrispondente), nave,
base aerea o navale o unità equivalenti, salvo casi particolari che ne richiedano una
diversa collocazione.
a. Composizione e collocazione
I Consigli di Base della Rappresentanza Militare sono l’insieme più piccolo in cui
si articola la Rappresentanza e sono costituiti da rappresentanti delle categorie “A”,
“B”, “C”, “D” ed “E”.
b. Competenze
Le competenze dei COBAR attengono prioritariamente ad istanze di carattere
collettivo e di natura locale che possono trovare soluzione attraverso il solo
rapporto tra gli organi della rappresentanza e le autorità militari competenti25.
______________
25
Art. 8 del D.P.R. n. 691/1979“Regolamento di attuazione della Rappresentanza Militare” (RARM).
32
Le materie di interesse, già precedentemente descritte ed elencate al precedente
sottopara 1.d., sono disciplinate dall’art. 10 del RARM.
Nell’ambito delle problematiche degli organi periferici, i Consigli hanno la facoltà
di adire le amministrazioni locali al fine di concordare con l’amministrazione
militare programmi finalizzati all’integrazione del personale militare all’interno
della comunità civile in cui è inserito ma anche diretti alla ricerca di ogni possibile
agevolazione a favore dei militari e dei loro familiari.
In particolare tali forme di collaborazione potrebbero essere rivolte a:
-
utilizzazione di impianti pubblici e privati;
-
accesso con agevolazioni economiche a manifestazioni teatrali e sportive,
musicali e culturali patrocinate dal Comune, dalla Provincia e dalla Regione;
-
programmazione di conferenze culturali e proiezioni cinematografiche anche
all’interno della caserma;
-
promozione di iniziative varie per la prevenzione delle tossicodipendenze;
-
organizzazione di gite culturali anche con la partecipazione di studenti civili, di
visite varie, ecc..
Il COBAR, attraverso i suoi delegati, è inserito nell’ambito di un “nucleo di
sostegno alle famiglie dei militari impiegati fuori area”, al fine sia di diventare un
valido interlocutore con le stesse sia per fornire informazioni e supporto nel
disbrigo di pratiche di carattere amministrativo nonché come organo di
collegamento con le strutture sanitarie in caso di urgenze e malattie gravi.
c. Attività a livello di base
L’attività, come già più volte accennato, è rivolta essenzialmente ai problemi
collettivi di carattere locale che, nella maggior parte dei casi, possono trovare
soluzione per intervento o autonoma decisione dell’autorità militare dello stesso
livello.
La trattazione delle problematiche, in molti casi, oltre agli eventuali aspetti
riguardanti la singola categoria, interessa l’intera collettività in cui il COBAR è
inserito.
A tal fine la normativa consente ai delegati di categoria di concordare con il
comandante, a metà del loro mandato, un incontro con i militari rappresentati al fine
di raccoglierne le istanze oltre a relazionarne sull’attività svolta.
33
Nell’ambito dell’attività del Consiglio di Base, le conclusioni cui perviene devono
essere contenute in apposito verbale sottoposto dal Presidente all’attenzione del
comandante dell’unità, che dovrà, entro un mese, fornire risposta a quanto richiesto
motivando ogni eventuale mancato accoglimento.
Diversamente, il COBAR, ritenute le argomentazioni meritevoli di ulteriore esame,
potrà sottoporle all’attenzione del Consiglio Intermedio di Rappresentanza, sulla
base di quanto disposto dal Regolamento interno sulla Rappresentanza Militare.
Occorre tenere presente al riguardo l’art. 24 del D.P.R. n. 691/1979, dove, al
comma 5, precisa « …Fatte salve le esigenze di servizio, le forme e le modalità per
l’applicazione delle presenti procedure e per la trattazione delle materie inerenti la
rappresentanza vengono concordate dal COBAR con il Comandante dell’unità
corrispondente, con particolare riguardo alla date, alla sede ad alla durata delle
riunioni...».
Le delegazioni COBAR, qualora il COIR rispettivo ne faccia richiesta e ne ottenga
l’autorizzazione dall’Autorità affiancata, possono essere sentite dal predetto
organismo periferico.
d. COBAR per istituti di formazione
Un discorso particolare deve essere fatto per i Consigli di Base degli istituti di
formazione.
La norma di cui all’art. 7 del D.P.R. n. 691/1979 infatti consente ai frequentatori di
corsi di durata superiore ai novanta giorni, di rappresentare autonomamente e in
forma diretta le proprie esigenze, atteso che potrebbero essere sostanzialmente
diverse da quelle del quadro permanente dell’Istituto o Reparto in cui si trovano.
Fermo restando il possesso dei requisiti di cui all’art. 19 della citata norma, per
essere eletti i frequentatori dei corsi devono permanere presso l’Istituto o Reparto
almeno ulteriori sessanta giorni dalla data delle elezioni.
Presso ciascun Istituto è costituito un solo COBAR Allievi che comprende i
rappresentanti dei corsi in svolgimento.
Non devono essere effettuate nuove elezioni all’inizio di un nuovo corso qualora
sia già in carica un rappresentante della categoria interessata.
34
e. COBAR speciali all’estero
Analoga distinzione deve essere fatta per i Consigli di Base di Rappresentanza
all’estero. Essi sono infatti a carattere interforze, istituiti presso le Rappresentanze
Militari Italiane all’estero e presso i Comandi Permanenti Nato all’estero e sono
collegati direttamente con il COCER interforze.
I criteri di eleggibilità dei suoi componenti sono i medesimi in vigore per gli altri
COBAR. Oltre ai requisiti di eleggibilità, il personale, per essere eletto, deve
permanere all’estero almeno sei mesi.
Il loro mandato coincide con il periodo di permanenza degli stessi all’estero e
comunque non può superare il periodo di due anni.
35
3. IL CONSIGLIO INTERMEDIO DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE
a. Composizione e collocazione
I Consigli Intermedi di Rappresentanza rappresentano il secondo anello dell’organo
consultivo.
La loro articolazione è stata recentemente modificata dal Decreto Interministeriale
Difesa - Economia e Finanza del 13 dicembre 2001, “Varianti alle tabelle «A» e
«B» del regolamento di attuazione delle rappresentanze militari” .
DENOMINAZIONE
Cat.
A
Categorie rappresentanti
Militari di
leva
Cat. Cat.
Cat.
Cat.
B
C
D
E
Totale
Gli stessi sono così suddivisi secondo il prospetto di seguito riportato:
Esercito:
1. Comando Operativo delle Forze Terrestri
2. Ispettorato per la Formazione e la specializzazione
3. Ispettorato Logistico
4. Ispettorato delle Infrastrutture
5. Ispettorato per il Reclutamento e il Completamento
3
2
2
2
2
6
2
2
2
2
7
2
7
2
2
2
2
2
2
2
2
5
25
10
10
10
13
Marina:
1. Cincnav Area Nord
2. Cincnav Area Sud
3. Maridipart Alto Adriatico
4. Maridipart Alto Tirreno
5. Maridipart Basso Tirreno
6. Maridipart Jonio e Canale d’Otranto
7. Marisicilia
8. Marisardegna
9. Capitanerie di Porto
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
10
10
10
10
10
10
10
10
10
Aeronautica:
1. Comando della Squadra Aerea
2. Comando Logistico
3. Comando Generale delle Scuole
2
2
2
6
5
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
14
13
10
Arma dei Carabinieri:
1. Comando delle Scuole dell’Arma dei Carabinieri
2. Comando Interregionale “PASTRENGO”
3. Comando Interregionale “VITTORIO VENETO”
4. Comando Interregionale “PODGORA”
5. Comando Interregionale “OGADEN”
6. Comando Interregionale “CUALQABER”
7. Comando Unità Mobili e Spec.te “PALIDORO”
2
2
2
2
2
2
2
2
3
3
5
4
3
2
2
4
3
6
4
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
10
13
12
17
14
12
10
Guardia di Finanza:
1. Comando Interregionale dell’Italia Nord-Occidentale
2. Comando Interregionale dell’Italia Nord-Orientale
3. Comando Interregionale dell’Italia Centro Settentrionale
4. Comando Interregionale dell’Italia Centrale
5. Comando Interregionale dell’Italia Meridionale
6. Comando Interregionale dell’Italia Sud Occidentale
7. Comando Reparti Speciali
8. Ispettorato per gli Istituti d’istruzione
2
2
2
2
2
2
2
2
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
11
10
10
10
10
10
10
10
36
Sono costituiti da rappresentanti di tutte le categorie eletti tra i delegati dei
dipendenti COBAR
b. Competenze
Oltre alle competenze generali sulla rappresentanza, si rileva che le norme
riservano ai COIR una specifica funzione di tenuta dei rapporti con gli Enti locali in
materia di attività assistenziale, culturale, ricreativa, di promozione sociale anche a
favore dei familiari dei militari.
Sulla base di quanto stabilito dal D.P.R. n. 394/1995 i Consigli Intermedi di
Rappresentanza devono essere sentiti dal COCER in ordine alla predisposizione
della bozza di documento di concertazione economica per il personale militare non
dirigente.
c. Attività a livello intermedio
L’attività del COIR è afferente alle problematiche che possono essere risolte dai
Vertici d’Area cui sono affiancati e potrebbero interessare sia argomenti a carattere
generale sollevati dai COBAR dipendenti sia argomenti non risolti a livello di unità
di base.
I COIR possono inoltre trattare problematiche di competenza della rappresentanza
che meritano di essere sottoposte all’attenzione del COCER.
Analogamente a quanto avviene nelle unità di base, le conclusioni cui perviene il
COIR sono verbalizzate e sottoposte all’attenzione dell’autorità militare affiancata
che, entro trenta giorni, deve fornire risposta motivando ogni eventuale mancato
accoglimento.
In caso di mancata risposta, quanto prospettato può essere portato all’attenzione del
COCER, per il tramite della Sezione di F.A..
I COIR possono inoltre richiedere pareri ai COBAR corrispondenti e convocarli,
previo consenso dell’autorità affiancata.
Allo stesso modo le delegazioni COIR possono esser convocate dal COCER, previo
consenso dell’autorità affiancata, per acquisire spunti in merito a problematiche di
competenza della Rappresentanza Militare, fatto salvo quanto già precedentemente
detto in merito ai lavori sui provvedimenti di concertazione economica.
37
4. IL CONSIGLIO CENTRALE DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE
a. Composizione e collocazione
Il Consiglio Centrale si articola in 5 sezioni (Esercito, Marina, Aeronautica,
Carabinieri e Guardia di Finanza) ed è costituito da rappresentanti di tutte le
categorie.
La loro composizione, in base decreto Decreto Interministeriale Difesa - Economia
e Finanza del 13 dicembre 2001, “Varianti alle tabelle «A» e «B» del regolamento
di attuazione delle rappresentanze militari”, risulta essere secondo il propspetto di
seguito riportato:
F.A. o C.A.
Categoria
Ufficiali
Sottufficiali
Volontari
Totale
Esercito
Marina
Aeronautica
Carabinieri
3
5
8
16
2
2
2
6
2
4
2
8
2
7
9
18
Guardia di
Finanza
2
6
4
12
Totale
11
24
25
60
b. Competenze
Il COCER può formulare pareri, proposte e richieste su materie che formano
oggetto di norme legislative o regolamentari circa la condizione, il trattamento e la
tutela di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale
dei militari.26
Tali pareri, proposte e richieste sono comunicate al Ministro della Difesa che li
trasmette per conoscenza alle competenti Commissioni permanenti delle due
Camere, a richiesta delle medesime.
Le stesse Commissioni possono chiedere di ascoltare l’organo centrale sulle
materie di pertinenza della Rappresentanza Militare27.
______________
26
27
Art. 19, commi 4 e 8 della legge n. 382/1978.
Tra le attribuzioni del COCER/E.I., vi è anche quella di proporre allo Stato Maggiore dell’Esercito un
Ufficiale da inserire nel Consiglio di Amministrazione della Cassa Ufficiali dell’Esercito, ai sensi della
legge 8 agosto 1996, n. 416.
38
c. Attività a livello centrale
L’organo centrale si riunisce normalmente in sessione congiunta con tutte le sezioni
costituite. Tale sessione si aduna, ai sensi dell’art. 19 legge n. 382/1978, almeno
una volta all’anno per formulare il programma di lavoro e per verificarne
l’attuazione.
Le
riunioni
delle
sezioni
costituite
all’interno
dell’organo
centrale
di
rappresentanza sono convocate ogniqualvolta i pareri e le proposte da formulare e
le richieste da avanzare riguardino esclusivamente le singole Forze Armate o Corpi
Armati.
Sono altresì previste riunioni delle commissioni di categoria all’interno dell’organo
centrale per formulare pareri e proposte su argomenti specifici della stessa.
Le conclusioni cui perviene il COCER in merito a questioni a carattere interforze
vengono presentate, con verbale, al Capo di Stato Maggiore della Difesa.
Il Capo di SMD risponde entro due mesi, motivando ogni eventuale mancato
accoglimento.
In assenza di risposta, ritenendo il COCER che le argomentazioni siano meritevoli
di ulteriore esame, le sottopone all’attenzione del Ministro della Difesa.
Le conclusioni cui perviene ciascuna sezione del COCER sulle tematiche relative
alla singola Forza Armata, vengono sottoposte all’at-tenzione del Capo di Stato
Maggiore di Forza Armata o Comandante Generale, che, analogamente a quanto
detto precedentemente, deve fornire risposta entro due mesi, motivandone
l’eventuale mancato accoglimento.
In caso di mancata risposta, ritenendo la sezione che la tematica sia meritevole di
ulteriore approfondimento/trattazione, viene sottoposta all’attenzione del Presidente
del COCER per il successivo inoltro al Ministro della Difesa.
I lavori ed i risultati cui pervengono le commissioni di categorie in merito a
specifiche tematiche vengono resi noti per iscritto con apposito verbale e portati
all’attenzione del COCER, per il successivo inoltro al Capo di Stato Maggiore della
Difesa.
39
5. FUNZIONAMENTO DEI CONSIGLI
a. Convocazione dei Consigli
Il Consiglio dei delegati, a qualunque livello (COBAR, COIR, COCER) è
convocato28:
-
dal Presidente d’intesa con il Comitato di presidenza;
-
dal Presidente, di sua iniziativa nei casi d’urgenza;
-
a richiesta di un quinto dei delegati.
La convocazione è comunque subordinata all’autorizzazione che l’Autorità
affiancata deve rilasciare a ciascun consiglio.
A cura del presidente dovranno essere comunicati a ciascun delegato, almeno
cinque giorni prima:
-
la data, l’ora ed il luogo della riunione;
-
l’ordine del giorno;
-
la durata presumibile di svolgimento.
b. Modalità e periodicità delle riunioni
Di regola29 i COBAR si riuniscono una volta al mese, i COIR una volta ogni due
mesi ed il COCER di Sezione di F.A. una volta ogni tre mesi.
Il COCER interforze si riunisce almeno una volta all’anno, nella prima adunanza di
ciascun anno stabilisce il programma di lavoro e procede alla verifica circa
l’attuazione del programma precedente; analoga procedura viene adottata dalla
Sezione Esercito del COCER.
Alla luce delle sempre maggiori incombenze attribuite alla RM, i Consigli,
soprattutto a livello centrale, tenuto conto dei molteplici impegni derivanti
dall’attività di concertazione, hanno dovuto necessariamente incrementare la
periodicità delle riunioni fino al punto di richiedere ed ottenere, in alcuni periodi
dell’anno, anche la convocazione mensile.
______________
28
29
Vds.: art. 33 del RARM ed art. 12 del RIRM.
Art. 33 del RARM.
40
c. Validità delle assemblee
Il Consiglio di Rappresentanza è formalmente riunito quando sono presenti alla
prima convocazione almeno i due terzi dei delegati; in seconda convocazione, entro
le 24 ore successive, è invece sufficiente la maggioranza assoluta30.
Se manca il numero legale il Presidente rinvia l’adunanza ad altra data in aderenza
a quanto stabilito dell’art. 33 del RARM.
d. Programmi di lavoro
I lavori dell’assemblea sono organizzati mediante programmi e calendari.
Il COCER stabilisce all’inizio di ciascun anno il programma di lavoro di massima
da trattare e procede a verificare l’attuazione di quello precedente.
e. Modifiche all’ordine del giorno delle riunioni
Gli argomenti all’ordine del giorno e la sequenza di trattazione, stabiliti dal
comitato di presidenza, possono, a mente dell’art. 17 del RIRM, essere modificati
anche su richiesta di un solo delegato; tale istanza viene portata all’attenzione del
Consiglio per il successivo voto.
La norma ammette anche l’inserimento di nuovi argomenti rispetto a quelli previsti
dall’ordine del giorno, purché tale richiesta venga presentata da almeno un quinto
dei delegati presenti.
Le richieste di modifica e quella di inserimento di nuovi argomenti all’ordine del
giorno devono essere fatte all’inizio della riunione ovvero alla fine della trattazione
di un argomento.
f. Maggioranza delle deliberazioni
Le deliberazioni del Consiglio sono valide se votate dalla maggioranza dei presenti,
salvo i casi in cui sono richieste maggioranze speciali31.
A parità di voto prevale quello del presidente.
Le votazioni avvengono per alzata di mano, per appello nominale in ordine
alfabetico, per sorteggio, a giudizio del presidente o a richiesta di un delegato su
deliberazioni dell’assemblea32.
______________
30
31
Art. 34 del RARM.
Art. 20 del RIRM .
41
Per le elezioni del comitato di presidenza e per la formalizzazione di incarichi e
funzioni a persone, la votazione avviene per scrutinio segreto.
Lo svolgimento delle operazioni di voto non può essere interrotto, sospeso, nè tanto
meno può essere più concessa la parola ai delegati fino alla proclamazione del
voto33.
Le operazioni di voto possono essere annullate a cura del presidente qualora vengano
sollevati dubbi da parte dei delegati in merito alla loro regolarità.
g. Trasmissione delle deliberazioni
Le deliberazioni, approvate dall’assemblea in seno a ciascun Consiglio, devono
essere portate all’attenzione dell’autorità militare cui l’organo di rappresentanza è
affiancato, per il tramite del comitato di presidenza34.
Negli ultimi tempi, soprattutto per quanto riguarda il Consiglio Centrale di
Rappresentanza, è invalso l’uso di inviare, a guadagno di tempo, le delibere “a
stralcio verbale” senza attendere che venga chiuso ed approvato il verbale da parte
dell’organo collegiale.
Tale procedura, ormai consolidata, è finalizzata a portare all’attenzione
dell’autorità affiancata problematiche e/o richieste che rivestono carattere
d’urgenza.
h. Pubblicità delle deliberazioni
Al fine di diffondere fino ai minori livelli ordinativi le deliberazioni cui pervengono
i vari Consigli, la normativa ha previsto che l’amministrazione militare, a sua cura
e spese, provveda ad inserire le medesime in apposite bacheche all’uopo riservate.
Le deliberazioni devono rimanere affisse fino alla formulazione delle risposte e
successivamente vi permangono per ulteriori trenta giorni per poi essere in seguito
custodite ed eventualmente messe a disposizione di chiunque ne faccia richiesta.
32
33
34
Art. 21 del RIRM .
Art. 22 del RIRM.
Art. 25 del RIRM.
42
CAPITOLO TERZO
“L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE ”
1. DISCIPLINA COSTITUZIONALE DEL DIRITTO DI ORGANIZZAZIONE
SINDACALE
A monte dell’analisi delle particolarità dell’istituto della Rappresentanza Militare
bisogna considerare la disciplina costituzionale riguardante il diritto di organizzazione
sindacale, onde verificare l’astratta possibilità di applicazione dello stesso agli
appartenenti delle Forze Armate.
a. Brevi cenni storici sul riconoscimento della libertà sindacale
La storia del diritto del lavoro contemporaneo inizia con la rivoluzione industriale
che, a partire dalla metà del XVIII secolo, quando ormai il consolidamento degli
stati nazionali e le navigazioni oceaniche avevano da tempo allargato i mercati ed
investì, seppur in tempi diversi, tutte le società occidentali. Si tratto di un fenomeno
sociale dirompente caratterizzato dal rapido estendersi della produzione di massa,
mediante uno sviluppo capitalistico impetuoso fondato sulla divisione del lavoro,
sulla diffusione delle macchine e sul bassissimo costo della manodopera che
consentì un forte accumulo di capitale per nuovi investimenti.
Nel processo produttivo venivano impiegati, senza riguardo, anche i fanciulli e le
donne, denominati mezzeforze per il loro minore apporto cui conseguiva un minor
compenso. E così in un clima segnato dal pensiero illuminista e dall’esaltazione
della libertà individuale, la rivoluzione francese del 1979 spazzo via la struttura
corporativa affermando l’ideologia liberale che considerava dannoso qualsiasi
corpo intermedio tra i cittadini e lo Stato e qualsiasi vincolo alla libertà di
contrattazione ed alla libera concorrenza.
Anche gli strumenti giuridici si orientarono verso la valorizzazione delle parti
individuali in nome dell’uguaglianza formale dei contraenti e del rispetto della loro
volontà, con conseguente sfrenato dominio della parte economicamente più forte, e
43
si determinarono, un assenza di protezione legale nella disciplina del rapporto di
lavoro.
Quella che ne risultò è una situazione di spaventoso degrado, materiale e spirituale
della classe lavoratrice per la mancanza di qualsiasi protezione giuridica che dette
vita alla questione sociale. I lavoratori riuniti nella fabbrica e quindi compartecipi
delle medesime condizioni di lavoro e di vita, avvertirono l’interesse comune e la
conseguente spinta ad associarsi per tutelarlo efficacemente, eliminando la
concorrenza reciproca con la fissazione di un vincolo minimo alle richieste
salariali.
Sorsero così, dopo le prime coalizioni episodiche, le leghe di resistenza con lo
scopo di ottenere dall’imprenditore migliori condizioni di lavoro mediante il rifiuto
collettivo di lavorare fino a quando non fossero state concesse. In tal modo, ed a
condizione che il vincolo fosse rispettato da tutti, alla debolezza del singolo si
sostituiva la forza della coalizione che ristabiliva una tendenziale parità tra le parti
della contrattazione. L’insostenibilità del conflitto sociale che si determinò finì per
agevolare, quasi dappertutto, il riconoscimento della libertà sindacale. In Italia il
codice penale Zanardelli del 1889 considerò leciti lo sciopero e la serrata se non
attuati con violenza e minaccia, pur permanendo la qualificazione civilistica
dell’inadempimento degli obblighi
derivanti dal contratto di lavoro con
conseguente esposizione degli scioperanti, ed in particolare dei promotori, a
rappresaglie del datore di lavoro sul piano del rapporto. Nonostante ciò il metodo
della contrattazione collettiva cominciò a diffondersi inizialmente con riferimento
alla condizione salariale da che il nome di contratti o concordati di tariffa. Il
movimento sindacale ebbe una larga affermazione e nel 1906 i sindacati si
riunirono della Confederazione generale italiana del lavoro fondata sul principio
della lotta di classe contro il capitalismo, mentre dopo qualche anno sorse la
Confederazione italiana ispirata alla dottrina sociale della chiesa.
b. La legislazione sociale di protezione dei lavoratori
Parallelamente al riconoscimento della libertà sindacale e per le stesse ragioni di
apertura riformistica fu gradualmente abbandonato l’altro caposaldo del sistema
liberale puro (astensione della legge sulle condizioni di contratto) e cominciò a
formarsi la legislazione sociale di protezione dei lavoratori.
In Italia le prime leggi interessarono:
44
− il lavoro dei fanciulli, si stabilì l’età minima di 9 anni (legge 11 febbraio 1886,
n. 3657);
− l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (legge 17 marzo
1898, n. 80);
− il lavoro femminile (legge 19 giugno 1902, n. 242);
− l’istituzione di un Ufficio del lavoro e di un Consiglio superiore del lavoro con
compiti consultivi e di studio per il miglioramento delle condizioni di lavoro
(legge 29 giugno 1902, n. 246);
− il riposo settimanale e festivo (legge 7 luglio 1907, n. 489);
− l’istituzione degli Ispettori dell’industria e del lavoro con compiti di vigilanza
sull’applicazione della legislazione sociale (legge 22 novembre 1912, n. 1361);
− l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia, dapprima volontaria (leggi del
1989 e del 1907) e poi obbligatoria (d.l.21 aprile 1919, n. 603);
− l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria (d.l. 19
ottobre 1919, n. 2214).
La maggior parte dei ricordati interventi normativi riguardavano esclusivamente gli
operai, ritenuti più bisognosi di tutela a causa delle diffusa disoccupazione e del
basso livello culturale, mentre per gli impiegati, all’epoca non sindacalizzati,
provvide la successiva ed importante legge sull’impiego privato (r.d.l. 13 novembre
1924, n. 1825, convertito in legge 18 marzo 1926, n. 562, ma già D.lgt. 9 febbraio
1919, n. 112) sulla base di una proposta di cui era stato relatore Vittorio Emanuele
Orlando nel 1912. Invece i funzionari pubblici godettero sin dalle origini di un loro
speciale regime.
c. L’ordinamento corporativo.
Dopo la prima guerra mondiale, per le conseguenti difficoltà economiche ed in un
clima condizionato nelle speranze e nei timori dalla rivoluzione russa del 1917, si
intensificarono le lotte sociali, anche con l’occupazione delle fabbriche, cui rispose
il movimento fascista, che una volta preso il potere (1922), diede origine al sistema
corporativo1.
1
Le Corporazioni sono state costituite con Decreti del Capo del Governo del 29 maggio, del 9 e del 23
giugno
1934.
Esse
sono
22,
e
si
distinguono
nei
seguenti
tre
gruppi.
1) Corporazioni a ciclo produttivo, agricolo, industriale e commerciale: dei Cereali; della Orto-florofrutticoltura; Vitavinicola; Olearia; delle Bietole e dello Zucchero; della Zootecnia e della Pesca; del
Legno;
dei
Prodotti
Tessili.
45
Già con il Patto di palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 la Confindustria e la
Confederazione dei sindacati fascisti si riconobbero la rappresentanza esclusiva
delle categorie professionali ed abolirono le commissioni interne di fabbrica assai
combattive e difficili da addomesticare. Seguì l’introduzione dell’ordinamento
corporativo (legge 3 aprile 1926, n. 563 ed altri provvedimenti successivi), nel
quale per ogni categoria autoritativamente predeterminata era attribuita personalità
pubblica ad un solo sindacato di lavoratori e ad un solo sindacato di imprenditori
riuniti nella Corporazione che era organo dello Stato. Tali sindacati avevano la
rappresentanza legale esclusiva della categoria e conseguentemente stipulavano tra
loro contratti collettivi con efficacia generale per tutti gli appartenenti alla categoria
medesima a prescindere dall’affiliazione sindacale. I contratti collettivi erano fonti
del diritto in senso formale, come risulta anche dall’art. 1 delle disposizioni
preliminari al codice civile del 1942 in cui furono riportate (artt. 2060 e seguenti) le
linee essenziali della disciplina corporativa delle attività professionali.
La Carta del lavoro, approvata dal Gran Consiglio del fascismo nel 1927 e le cui
dichiarazioni divennero principi generali dell’ordinamento con la legge 30 gennaio
1914, n. 14, ammetteva la libertà sindacale anche nel rispetto dei principi dell’OIL
(organizzazione Internazionale del Lavoro)2, cui l’Italia partecipava, ma di fatto gli
2) Corporazioni a ciclo produttivo industriale e commerciale della Metallurgia e della Meccanica; della
Chimica; dell'Abbigliamento; della Carta e della Stampa; delle Costruzioni Edili; dell'Acqua, del Gas e
dell'Elettricità;
delle
industrie
Estrattive;
del
Vetro
e
della
Ceramica;
3) Corporazioni per le attività produttrici di Servizi: della Previdenza e del Credito; delle Professioni e delle
Arti; del Mare e dell'Aria; delle Comunicazioni Interne; dello Spettacolo, dell'Ospitalità.
Le Corporazioni sono costituite per grandi rami di produzione e, salvo quelle delle attività produttrici di
servizi, in base al criterio del ciclo produttivo. Tale criterio implica che in ciascuna Corporazione sono
rappresentate tutte le attività interessate al ciclo economico per cui essa è costituita e che vanno dalla
produzione della materia prima alle sue successive trasformazioni fino al prodotto finito e pronto per il
consumo.
2
L’OIL, con sede a Ginevra, è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che persegue la promozione
della giustizia sociale e il riconoscimento universale dei diritti umani nel lavoro.
L’OIL formula, sotto forma di Convenzioni e di Raccomandazioni, le norme internazionali in materia di
lavoro.
La Costituzione dell’OIL fa parte dei trattati di pace della Conferenza di Versailles, alla fine della Prima
Guerra Mondiale ; la prima Conferenza internazionale del lavoro si tiene a Washington nell’ottobre del
1919.
Gli anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale sono per l’OIL di intensa attività normativa: vengono
adottate ben 67 Convenzioni e 66 Raccomandazioni, soprattutto in materia di condizioni e di orari di
lavoro.
Obiettivi e finalità dell’organizzazione vengono confermati e nuovamente definiti nel 1944 quando la
Costituzione
originaria
è
affiancata
dalla
cosiddetta
Dichiarazione
di
Filadelfia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’iniziativa dell’OIL si caratterizza per il lancio dei programmi di
cooperazione tecnica e per un deciso impulso alla promozione dei diritti umani, che culmina nella
Dichiarazione sui principi e diritti fondamentali nel lavoro (1998).
46
unici sindacati operanti erano quelli fascisti, ai quali veniva in concreto riservato il
riconoscimento pubblico ed i cui iscritti avevano la precedenza nel collocamento.
L’ordinamento corporativo rispettava l’iniziativa economica privata, ma intendeva
superare il conflitto tra capitale e lavoro, che dovevano collaborare nel superiore
interesse dell’economia nazionale pubblicistica. Lo sciopero e la serrata erano,
conseguentemente, vietati e puniti come delitti contro l’economia pubblica (artt.
502 e ss del codice penale del 1930)3, mentre l’abbandono collettivo di pubblici
impieghi e servizi era considerato reato contro la pubblica amministrazione. Nel
caso assai raro di mancato accordo per la conclusione del contratto collettivo era
previsto l’intervento della corte d’Appello in funzione di magistratura del lavoro, la
quale risolveva la controversia collettiva economica con una sentenza che non
applicava, ma creava la norma equità, tenendo conto dell’interesse superiore della
produzione. Alla stessa magistratura erano devolute anche le controversie collettive
giuridiche per l’interpretazione e l’applicazione delle legge e dei contratti collettivi,
nonché le controversie individuali in grado d’appello.
L’ordinamento corporativo riconosceva, dunque la necessità di tutelare i lavoratori
ed, in effetti, in quel periodo furono realizzati seri miglioramenti delle condizione
del lavoro sia mediante i contratti collettivi, sia mediante apposite leggi, come
quelle sull’orario di lavoro (r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692), sul riposo settimanale e
festivo (legge 22 febbraio 1934, n. 370), sull’istituzione del libretto di lavoro (legge
10 gennaio 1935, n. 112) e in materia di previdenza sociale (istituzione
dell’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi nel 1927 e contro la malattia
della gente di mare nel 1929; estensione dell’assicurazione contro gli infortuni
anche alle malattie professionali nel 1929; riordino della legislazione
antinfortunistica,
dell’assicurazione
per
l’invalidità
e
la
vecchiaia
e
dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria nel 1943). Di grande
rilievo, infine, l’incorporazione nel codice civile del 1942 di importanti disposizioni
(artt. 2087, 2094 e ss., 2239) sul rapporto di lavoro e sulla previdenza, molte delle
quali sono ancora oggi vigenti.
Tuttavia l’esigenza di coordinare queste tutele con l’interesse superiore della
produzione nazionale, cui rispondeva la stessa impresa, sfociava nella impostazione
pubblicistica, gestita dalla classe dominante, con sostanziale soffocamento della
3
Il codice penale vigente, chiamato codice Rocco, fu promulgato con Regio Decreto il 19 ottobre 1930 con
n. 1398 e reso esecutivo il 1° gennaio 1931.
47
libertà sindacale e di qualsiasi contropotere dei lavoratori in azienda. I più decisi
oppositori abbandonarono l’Italia e la stessa Chiesa Cattolica, pur continuando ad
auspicare una collaborazione tra i fattori della produzione, riaffermò la necessità di
una effettiva libertà sindacale con l’enciclica Quadragesimo Anno di Pio XI del
19314.
Subito dopo la caduta del fascismo furono soppresse le corporazioni e
commissariati i relativi sindacati. Sebbene non furono espressamente abrogate le
norme del codice penale incriminatici dello sciopero e della serrata, di cui sarebbe
4
(92) Recentemente, come tutti sanno, venne iniziata una speciale organizzazione sindacale e corporativa,
la quale, data la materia di questa Nostra Lettera enciclica, richiede da Noi qualche cenno e anche
qualche opportuna considerazione.
(93). Lo Stato riconosce giuridicamente il sindacato e non senza carattere monopolistico, in quanto che
esso solo, così riconosciuto, può rappresentare rispettivamente gli operai e i padroni, esso solo concludere
contratti e patti di lavoro. L'iscrizione al sindacato è facoltativa, ed è soltanto in questo senso che
l'organizzazione sindacale può dirsi libera; giacché la quota sindacale e certe speciali tasse sono
obbligatorie per tutti gli appartenenti a una data categoria, siano essi operai o padroni, come per tutti
sono obbligatori i contratti di lavoro stipulati dal sindacato giuridico. Vero è che venne autorevolmente
dichiarato che il sindacato giuridico non escluse l'esistenza di associazioni professionali di fatto. (94). Le
Corporazioni sono costituite dai rappresentanti dei sindacati degli operai e dei padroni della medesima
arte e professione, e, come veri e propri organi ed istituzioni di Stato, dirigono e coordinano i sindacati
nelle cose di interesse comune.
(95). Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono accordare, interviene il Magistrato.
(96). Basta poca riflessione per vedere i vantaggi dell'ordinamento per quanto sommariamente indicato;
la pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti, l'azione
moderatrice di une speciale magistratura. Per non trascurare nulla in argomento di tanta importanza, ed
in armonia con i principi generali qui sopra richiamati, e con quello che inibito aggiungeremo, dobbiamo
pur dire che vediamo non mancare chi teme che lo Stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi
alla necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia
carattere eccessivamente burocratico e politico, e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa
servire a particolari intenti politici piuttosto che all'avviamento ed inizio di un migliore assetto sociale.
(97). Noi crediamo che a raggiungere quest'altro nobilissimo intento, con vero e stabile beneficio generale,
sia necessaria innanzi e soprattutto la benedizione di Dio e poi la collaborazione di tutte le buone volontà.
Crediamo ancora e per necessaria conseguenza che l'intento stesso sarà tanto più sicuramente raggiunto
quanta più largo sarà il contributo delle competenze tecniche, professionali e sociali e più ancora dei
principi cattolici e della loro pratica, da parte, non dell'Azione Cattolica (che non intende svolgere attività
strettamente sindacali o politiche), ma da parte di quei figli Nostri che 1'Azione Cattolica squisitamente
forma a quei principi ed al loro apostolato sotto la guida ed il Magistero della Chiesa; della Chiesa, la
quale anche sul terreno più sopra accennato, come dovunque si agitano e regolano questioni morali, non
può dimenticare o negligere il mandato di custodia e di magistero divinamente conferitole.
(98). Se non che, quanto abbiamo detto circa la restaurazione e il perfezionamento dell'ordine sociale, non
potrà essere attuato in nessun modo, senza una riforma dei costumi come la storia stessa ce ne dà
splendida testimonianza. Vi fu un tempo infatti in cui vigeva un ordinamento sociale che, sebbene non del
tutto perfetto e in ogni sua parte irreprensibile, riusciva tuttavia conforme in qualche modo alla retta
ragione, secondo le condizioni e la necessità dei tempi. Ora quell'ordinamento è già da gran tempo
scomparso; e ciò veramente non perché non abbia potuto, col progredire, svolgersi e adattarsi alle mutate
condizioni e necessità di cose e in qualche modo venire dilatandosi, ma perché piuttosto gli uomini induriti
dall'egoismo ricusarono di allargare, come avrebbero dovuto, secondo il crescente numero della
moltitudine, i quadri di quell'ordinamento, o perché, traviati dalla falsa libertà e da altri errori e
intolleranti di qualsiasi autorità, si sforzarono di scuotere da sé ogni restrizione.
(99). Resta adunque che, dopo aver nuovamente chiamato in giudizio l'odierno regime economico, e il suo
acerrimo accusatore, il socialismo, e aver dato giusta ed esplicita sentenza sull'uno e sull'altro,
indaghiamo più a fondo la radice di tanti mali e ne indichiamo il primo e più necessario rimedio, cioè la
riforma dei costumi.
48
occupata molti anni dopo la Corte Costituzionale, di fatto si ristabilì un regime di
piena libertà sindacale.
d. I principi costituzionali.
L’accoglimento del principio di libertà sindacale nel nostro ordinamento risulta
dalla disposizione precettiva dell’art. 395, c. 1, della Costituzione, secondo cui
“l’organizzazione sindacale è libera”.
La libertà sindacale vuol dire facoltà di iniziativa, scelta, adesione e partecipazione
all’attività della coalizione. Ed in questo senso è tutelata sia la libertà positiva di
costituire o aderire ad un sindacato, sia la libertà negativa di non affiliarsi ad alcun
sindacato, che la scelta del tipo di organizzazione che gli interessati intendono dare
alla loro coalizione. Sicché sono ammesse sia aggregazioni occasionali, sia
aggregazioni stabili, che di solito assumono forma associativa. Non a caso il dettato
costituzionale utilizza l’ampia espressione “organizzazione”.
Non può essere condivisa la tesi per cui la libertà sindacale protetta dall’art. 39
Cost. sarebbe solo quella dei lavoratori, mentre le associazioni imprenditoriali
troverebbero più limitata tutela nelle disposizioni degli artt. 18 e 41 Cost. Infatti
l’art. 39 Cost. non solo non distingue tra sindacati contrapposti, ma li considera
espressamente sullo stesso piano nella disciplina, pur finora inattuata, dei commi
secondo e seguenti, anche perché i contratti collettivi di categoria sono egualmente
necessari i sindacati di entrambe le parti. Non si può negare che le organizzazioni
che le associazioni imprenditoriali siano storicamente di “risposta” all’azione
sindacale dei lavoratori, che potrebbe comunque esplicarsi nei confronti dei singoli
datori di lavoro, dei quali ciascuno è già in sé protagonista del conflitto collettivo,
essendo parte di una pluralità di rapporti di lavoro. Questa considerazione, al pari di
quella del tutto ovvia per cui è la sola libertà sindacale dei lavoratori ad
abbisognare di tutela nei rapporti interpretativi, non è sufficiente a scalfire il
principio di bilateralità della libertà sindacale.
5
«L'organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali,
secondo le norme di legge.
É condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base
democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei
loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle
categorie alle quali il contratto si riferisce».
49
La libertà sindacale è riconosciuta non solo ai dipendenti privati ed a quelli degli
enti pubblici economici tradizionalmente a disciplina privatistica (art. 2093 cod.
civ.), ma anche ai dipendenti degli enti pubblici non economici dello Stato.
Infatti dopo la caduta dell’ordinamento corporativo, nonostante la costruzione
all’epoca del rapporto del pubblico impiego come rapporto non contrattuale ma
autoritario funzionalizzato agli interessi della pubblica amministrazione e
conseguentemente disciplinato esclusivamente da atti eteronomi quali la legge e il
regolamento, fu consentita la costituzione di sindacati di pubblici dipendenti ai
quali furono anche riconosciuti il diritto di sciopero e, in prosieguo di tempo, diritti
di attività sindacale nei luoghi di lavoro.
Tuttavia questi sindacati non potevano stipulare contratti collettivi, esclusi dal
novero delle fonti di disciplina del rapporto del pubblico impiego, sicché operavano
con pressioni sul potere politico-amministrativo che conducevano ad accordi
informali sul trattamento che sarebbe stato previsto dalle fonti eterenome a ciò
deputate. A questa clandestinità di rapporti si aggiungeva la partecipazione di
rappresentanti del personale ai consigli di amministrazione delle pubbliche
amministrazioni, poi eliminata solo con l’art. 48 del d.lgs n. 29 del 1993, sicché
quasi inevitabilmente si venne determinando un clima di connivenza tra politici,
amministratori pubbliche sindacalisti non sempre portatore di fattori di efficienza.
Solo con alcune leggi di settore a partire dal 1968, poi assorbite dalla legge quadro
n. 93 del 1983, gli accordi sindacali per la disciplina del pubblico impiego furono
riconosciuti formalmente.
e. L’inattuazione delle disposizioni costituzionali sul sindacato con personalità
giuridica.
Attualmente è preclusa la costituzione di sindacati con personalità giuridica. Sono
rimaste inattuale le disposizioni dell’art. 39, c. 2 – 4, Cost., che prevedono il
riconoscimento della personalità ai sindacati provvisti di registrazione, la cui unica
condizione è l’ordinamento interno a base democratica, nonché la possibilità per i
sindacati così registrati, rappresentanti unitariamente in proporzione ai rispettivi
iscritti, di stipulare contratti collettivi con efficacia generale.
Le ragioni storiche di questa inattuazione costituzionale sono state: il timore
sindacale di ingerenze da parte dello Stato, in anni ancora troppo vicini
all’esperienza corporativa; il rifiuto da parte dei sindacati meno numerosi di contare
50
comparativamente gli iscritti, passando così da una situazione di normale parità ad
una situazione di attestata minoranza; il rifiuto sindacale della regolazione per
legge del diritto di sciopero prevista dall’art. 40 Cost., la cui attuazione avrebbe
probabilmente accompagnato quella dell’art. 39; la obiettiva difficoltà di istituire
un’anagrafe sindacale.
I sindacati attuali sono costituiti, dunque, come associazioni non riconosciute,
disciplinate dalle disposizioni degli art. 36 e ss. cod. civ. In tal modo i sindacati
possono operare senza alcuna limitazione, come se avessero la personalità
giuridica, con la sola esclusione del potere di stipulare contratti collettivi con
efficacia generale.
Invero le associazioni non riconosciute hanno una propria soggettività e un proprio
fondo comune, possono stare in giudizio (art. 36, c. 2, cod. civ.).
La differenza fondamentale rispetto alle associazioni con personalità giuridica è che
queste hanno autonomia patrimoniale perfetta, mentre delle obbligazioni assunte
dalle associazioni non riconosciute rispondono, oltre la fondo comune, anche
personalmente solidalmente le persone fisiche che hanno agito in nome e per conto
dell’associazione (art. 38 cod. civ.). Tuttavia per il sindacato, il cui scopo di tutelare
interessi collettivi professionali non comporta impegni economici esorbitanti,tale
differenza non è particolarmente rilevante. Risulta invece decisiva, ed ha consentito
un rigoglioso sviluppo dell’attività sindacale per nell’inattuazione del disposto
costituzionale, è la possibilità per il sindacato associazione non riconosciuta di
stipulare contratti collettivi di diritto comune.
Si comprende così l’importanza dell’opera della dottrina e della giurisprudenza,
che, mediante le categorie civilistiche dell’associazione non riconosciuta e del
contratto, sono riuscite ad inquadrare adeguatamente il fenomeno sindacale
nonostante il vuoto legislativo.
2. L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE
a. Gli statuti sindacali e le organizzazioni complesse.
I fini, l’organizzazione ed il funzionamento delle associazioni non riconosciute
sono regolati dagli accordi degli associati (art. 36, c. 1, cod. civ.), da qui la
51
rilevanza degli statuti sindacali, le cui clausole sono accettate da ciascun socio al
momento dell’iscrizione.
La libera determinazione del contenuto dello statuto costituisce una delle principali
manifestazioni dell’autonomia collettiva, che riguarda anche la disciplina dei
rapporti interni all’associazione sindacale.
Gli statuti regolano l’ordinamento del sindacato e, quindi, gli organi dello stesso
(assemblea, comitato direttivo, segreteria, collegio sindacale, collegio dei probiviri,
ecc.), le rispettive modalità di formazione e competenze. Possono essere anche
costituite associazioni molto complesse, che raggruppano altre associazioni, sicché
si qualificano associazioni di primo grado quelle composte da singoli, mentre le
associazioni di associazioni sono di secondo grado e, se si riuniscono al loro volta,
danno luogo ad associazioni di terzo grado. Può essere previsto dagli statuti che i
singoli siano contemporaneamente soci della associazione di primo grado e di
quelle di rado superiore.
Non necessariamente le organizzazioni più vaste sono composte da altre
associazioni,
essendo
consentito
anche
un
decentramento
organico
di
un’associazione che riamane unica.
I singoli possono in qualsiasi momento recedere dall’associazione, senza però
diritto di esigere una quota del fondo comune. Lo statuto può prevedere il
differimento degli effetti del recesso, ma solo ai fini del pagamento della quota
associativa sino alla scadenza del periodo stabilito, mentre per il resto il principio di
libertà sindacale garantisce l’immediatezza della cessazione del vincolo con piena
facoltà di aderire ad altro sindacato.
Le delibere delle associazioni possono essere impugnate dal singolo socio per
contrarietà ala legge, allo statuto o all’atto costitutivo, in base alla disposizione
dell’art. 23, c. 1. cod. civ., ritenuta applicabile anche alle associazioni non
riconosciute.
b. Pluralismo sindacale e modelli organizzativi
In Italia, a differenza dei Paesi ove il movimento sindacale si presenta in forma
tendenzialmente unitaria (Gran Bretagna, Germania), esistono numerosi sindacati
in concorrenza tra loro.
Questa situazione già emerge dalla coesistenza di sindacati per ramo d’industria,
costituiti per la cura e gli interessi di tutti gli addetti ad una determinata attività
52
economica (ad es. chimici, bancari, metalmeccanici), e di sindacati di mestiere, in
cui i lavoratori si coalizzano in ragione della loro particolare professionalità
all’interno di un determinato settore (ad es. medici, piloti, macchinisti ferroviari,
insegnanti, giornalisti) oppure trasversalmente ai diversi settori (dirigenti, quadri).
Ma il pluralismo sindacale si manifesta in modo davvero macroscopico nella
presenza di più sindacati per ogni ramo d’industria, come conseguenza della
divisione del movimento sindacale in confederazioni ideologicamente rispecchianti
le divisioni politiche del Paese. Da una Costituzione di compromesso non potevano
che venir fuori partiti tutti autoqualificantisi come rappresentanti degli interessi
politici anche dei lavoratori dipendenti, seppur secondo diverse impostazioni
(marxismo, riformismo laico, dottrina sociale cristiana). Sicché in questo contesto,
era realisticamente impensabile una unità sindacale, nonostante le ripetute
dichiarazioni di facciata circa la autonomia dei sindacati dai partiti (rifiuto della
concezione del sindacato come “cinghia di trasmissione”), puntualmente smentiti
dai fatti ad ogni snodo critico delle vicende politiche.
A queste confederazioni (CGIL, CISL, UIL, UGL)
se ne aggiungono altre
cosiddette “autonome” (CISAL; CONFSAL), nonché importanti sindacati non
confederali (ad es. la FABI nel settore del credito, lo SNALS nel settore della
scuola), risultandone un pluralismo assai accentuato, anche se sovente finiscono per
collocarsi da un alto CGIL, CISL e UIL unite nella concertazione consociativa con
il governo attenta agli equilibri macroeconomici e dall’altro lato sindacati più legati
agli interessi delle specifiche categorie rappresentate.
Altra caratteristica fondamentale del fenomeno sindacale in Italia è la prevalenza
del modello associativo nella organizzazione territoriale, ove anche le aggregazioni
spontanee e provvisorie (CUB, COBAS) tendono nel tempo ad assumere la forma
stabile dell’associazione non riconosciuta.
Invece l’organizzazione interna alle aziende si realizza di solito in forme non
associative, il che determina, nonostante varie modalità di collegamento con i
sindacati esterni, un doppio canale di rappresentanza dei lavoratori, funzionale
all’esigenza di dare adeguato spazio ai fermenti della base.
53
c. La libertà sindacale
La libertà sindacale è riconosciuta, innanzitutto nei confronti dello Stato, che non
può, quindi, né vietare od ostacolare la costituzione dei sindacati e la loro attività,
né assorbirli nella propria organizzazione come è accaduto in passato.
Libertà sindacale significa, quindi, dopo il superamento delle tesi pubblicistiche
ancora autorevolmente sostenute negli anni ’50, riconoscimento dell’autonomia
privata collettiva, cioè del potere dei sindacati, liberi soggetti di diritto privato, di
creare regole sia per la disciplina dei rapporti interni tra gli affiliati, sia per
disciplina dei rapporti con la controparte, sia per la disciplina dei rapporti
individuali di lavoro, che costituisce il fine esenziale del fenomeno sindacale.
Dal primo punto di vista vengono in rilevo gli statuti sindacali, mentre per gli alti
due profili si deve far riferimento alle clausole, rispettivamente obbligatorie e
normative, dei contratti collettivi.
La libertà sindacale opera ormai anche nei rapporti interpretativi, in particolare nei
confronti del datore di lavoro, i forza delle disposizioni del titolo II dello statuto dei
lavoratori6, anticipate dal solo art. 4 della legge n. 604 del 19667, attuative del
principio costituzionale fino ad allora privo di efficacia diretta sul rapporto di
lavoro. Tant’è che, prima dell’entrata in vigore di tali disposizioni, era ritenuto
legittimo il licenziamento di un lavoratore intimato in ragione della sua attività
sindacale, sostenendosi l’irrilevanza del motivo del recesso ad nutum8 ex art. 2118
cod. civ..
La norma decisiva è quella dell’art. 15 dello statuto dei lavoratori che sancisce il
divieto degli atti discriminatori del datore di lavoro che colpiscono un lavoratore
per motivi sindacali, essendo strumentalmente vietate anche le indagini sulle
opinioni sindacali del lavoratore.
6
Legge 20 maggio 1970, n. 300 (in Gazz. Uff., 27 maggio, n. 131). “Norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento”.
7
«Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dell'appartenenza ad un
sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacabili è nullo, indipendentemente dalla motivazione
adottata».
8
Cioè la possibilità per il datore di licenziare senza alcun vincolo di giustificazione.
54
3. IL RICONOSCIMENTO COSTITUIZIONALE AL DIRITTO ALLO SCIOPERO
La disposizione dell’art. 40 della Costituzione prevede che «il diritto di sciopero si
esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano»9, ma tali leggi non sono state
emanate, salvo alcune norme particolari per gli addetti agli impianti nucleari (artt. 49 e
129 d.p.r. n. 185 del 1964) e per il personale di assistenza al volo /art. 4 legge n. 42 del
1980), mentre la disciplina, anch’essa settoriale, dello sciopero nei servizi pubblici
essenziali (legge n. 146 del 1990) è arrivata dopo oltre quaranta anni dalla
Costituzione.
Il diritto di sciopero, riguardato dal punto di vista del contratto di lavoro, è esattamente
definito come diritto potestativo del lavoratore di sospendere l’esecuzione della
prestazione, al quale corrisponde la posizione dell’imprenditore, soggetto passivo che
deve subire tale sospensione.
In una prospettiva più ampia, che considera la funzione dello sciopero nell’ambito del
sistema della Costituzione, si può parlare di diritto assoluto di libertà per la difesa di
fondamentali interessi della persona. Viene, così, in rilievo il collegamento della
disposizione dell’art. 40 Cost. con il principio dell’art. 3, c. 2, Cost., nel senso che
l’esercizio del diritto di sciopero costituisce uno dei principali strumenti per la
rimozione delle disuguaglianze di fatto, che impediscono lo sviluppo della persona e la
partecipazione sociale dei lavoratori.
Questa funzione è comune sia al tradizionale sciopero economico a fini contrattuali,
attuato contro il datore di lavoro che ha la disponibilità della pretesa, sia allo sciopero
economico – politico, diretto a premere sui pubblici poteri per l’adozione di
provvedimenti cui sono interessati i lavoratori in quanto tali.
Nel fenomeno dello sciopero si intrecciano la posizione del gruppo, cui fa capo
l’interesse collettivo difeso come mezzo di conflitto, e la posizione del singolo, che
liberamente sceglie se partecipare o non all’astensione.
La titolarità del diritto di sciopero è stata, così riconosciuta ai singoli lavoratori, poiché
a ciascuno di essi spetta, di volta in volta, la decisione sul concreto esercizio del diritto.
9
Nel descrivere brevemente, nel corso del presente studio, l’evoluzione storica del diritto del lavoro si è già
ricordato brevemente l’originario divieto penale dello sciopero, è venuto meno con il codice Zanardelli,
entrato in vigore il 1 gennaio 1980, che sostituì quello in vigore, il Sardo, tale codice, non contenendo
espliciti divieti allo sciopero, ne sanciva tacitamente la legittimità
55
Ma è stato altresì rilevato che lo sciopero può essere attuato solo per la difesa di un
interesse collettivo, la cui valutazione è rimessa al gruppo. Pertanto l’esercizio del
diritto da parte del singolo è condizionato alle determinazioni del gruppo, dal che la
qualificazione dello sciopero come diritto individuale ad esercizio collettivo,
affermandosi anche la necessaria pluralità degli scioperanti10
a. Limiti al diritto di sciopero
Il diritto di sciopero incontra limiti esterni (relativi cioè ad eventuali contrasti tra
l’interesse garantito dal diritto di sciopero con altri interessi costituzionalmente
tutelati) ed interni (derivanti cioè dalla stessa nozione di sciopero).
Quanto ai primi, la necessità di assicurare il godimento di diritti costituzionalmente
garantiti ha comportato l’esclusione della titolarità del diritto di sciopero per tutti
quei lavoratori occupati in attività connesse o strumentali alla tutela di tali diritti. In
specie si discute circa l’ammissibilità dello sciopero per le seguenti categorie di
lavoratori:
−
pubblici dipendenti: qualche dubbio rimane soltanto per i magistrati, ferma
restando l’ammissibilità dello sciopero per i dipendenti pubblici in seguito alla
“privatizzazione” del pubblico impiego (D.Lgs. 29/93);
− militari e forze di polizia: si ritiene inammissibile;
− marittimi: occorre valutare la possibile configurabilità del reato di
ammutinamento di cui all’art. 1105 del codice della navigazione;
−
avvocati: essendo liberi professionisti, si discute se le astensioni collettive degli
avvocati possano essere legittimamente chiamate “scioperi”.
Per quanto riguarda i possibili limiti oggettivi al diritto di sciopero, la Corte
Costituzionale ha stabilito la legittimità dello sciopero politico (inteso quale modo
di partecipazione dei lavoratori alle decisioni politiche) purché esso non sia inteso a
sovvertire l’ordinamento costituzionale ed impedire od ostacolare il libero esercizio
dei legittimi poteri nei quali si esprime la sovranità popolare.
10
La giurisprudenza, che intervenuta più volte sull’argomento, ha obiettato che, sebbene sarebbe ammissibile
anche lo sciopero di un solo lavoratore, purchè a difesa di un interesse collettivo, tale ipotesi è da ritenersi
tuttavia marginalissima, poiché lo sciopero p intrinsecamente un fenomeno collettivo. In tale ottica il rifiuto
della prestazione da parte del singolo lavoratore prima dell’inizio dell’astensione collettiva, potrebbe
pertanto costituire inadempimento contrattuale.
56
b. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali
Al fine di “contemperare l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici
essenziali con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati,
alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione,
all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione”
è stata emanata la L. 146/90.
Il diritto di sciopero, nei servizi pubblici essenziali, è consentito nel rispetto di tre
condizioni:
− adozione di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni
indispensabili;
− preavviso minimo non inferiore a 10 giorni e comunicazione al pubblico
almeno 5 gg. prima attraverso i media;
−
indicazione preventiva della durata delle astensioni dal lavoro.
I soggetti che promuovono lo sciopero devono garantire un minimo esercizio del
servizio, nonché le prestazioni indispensabili. Inoltre, una apposita Commissione
permanente nominata dal Presidente della Repubblica, deve procedere ad un
tentativo di conciliazione fra le parti. Nel caso in cui lo sciopero possa recare gravi
pregiudizi ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, la pubblica autorità
può precettare le organizzazioni sindacali ed i singoli lavoratori, affinché il servizio
non sia sospeso. Infine, sono previste sanzioni in caso di inosservanza delle
prescrizioni legislative per i prestatori di lavoro (è escluso tuttavia il
licenziamento), le organizzazioni sindacali e di datori di lavoro.
4. LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE SINDACALE PER I MILITARI
a. Pareri contrari all’estensione dell’art. 39 della Costituzione alle Forze Armate
Interessante ed utile alla nostra indagine è citare, a questo punto della trattazione,
l’opinione secondo la quale, partendo dalla necessità di effettività insita nel
concetto di azione sindacale, si arriva a negare la possibilità di estensione del diritto
di esercizio della stessa, e conseguentemente del diritto di organizzazione sindacale
per alcune categorie di lavoratori quali gli appartenenti alle Forze Armate ed alle
Forze di Polizia.
57
Tale ragionamento parte dalla considerazione che il concetto di sindacalità sia
individuato da due aspetti, e cioè dall’accesso alla contrattazione collettiva e
dall’esercizio del diritto di sciopero, caratteristica inequivocabile dell’esercizio
dell’autotutela, se non ritenuta addirittura uno dei compiti primari del sindacato.
Al riguardo la lettura dell’artt. 39 e 40 Cost. deve porsi necessariamente in
relazione agli altri diritti ugualmente o maggiormente protetti a livello
costituzionale posti per la salvaguardia dello Stato, in applicazione del principio
non scritto in base al quale non si può andare contro altri beni costituzionalmente
protetti, quali la pubblica sicurezza interna ed esterna, l’incolumità ed integrità
della vita e della personalità dei singoli nonché dei loro beni patrimoniali.
In tutti gli altri casi in cui non esistono altri diritti parimenti protetti a livello
costituzionale, l’esercizio dello sciopero non subirà limitazione alcuna; per le Forze
di Polizia come per i militari, mentre si deve ritenere esistente, anche per una quasi
pacifica autolimitazione da parte degli stessi i interessati, una mancanza assoluta di
titolarità del diritto di sciopero, in ragione della esigenza di salvaguardia dei beni
essenziali di interesse pubblico. Secondo il ragionamento che stiamo qui esponendo
ad una associazione sindacale di militari, alla quale per le considerazioni già fatte
non è riconosciuto il diritto di sciopero, sembra difficile attribuire la qualifica di
sindacale, poiché della sindacalità rimarrebbe unicamente l’accesso alla
contrattazione collettiva.
Ecco quindi il motivo per cui è stato ritenuto che l’attribuzione della sindacalità a
tale organizzazione sarebbe possibile solamente in base ad una concezione,
piuttosto superata, di una configurazione “statica
e vetero – associativa del
sindacato”, considerato questo come coalizione che trova la sua unità in un insieme
di interessi comuni, così da far ritenere associazione sindacale qualsiasi
associazione di categoria11.
Secondo tale opinione l’associazione professionale della polizia (ma il
ragionamento può essere esteso anche per i militari) poteva solo essere collocata
nell’ambito extra-sindacale, con necessaria conseguenza che le garanzie per
l’organizzazione e la costituzione della stessa andavano cercate nell’art. 18 Cost,. e
non nell’art. 39 Cost..
11
Ghera: “Libertà Sindacale e ordinamento di polizia”, in Giur. Cost., 1976, pag. 262.
58
Tale opinione riflette il particolare momento storico cui fa riferimento, in cui non
esisteva una disciplina che regolamentava il diritto di sciopero, con il risultato che
l’attribuzione del diritto di organizzazione sindacale ai soggetti di cui ci stiamo
occupando avrebbe portato necessariamente anche alla concessione della titolarità
del diritto di sciopero, con conseguenze pregiudizio dei citati diritti che la
costituzione ha riconosciuto essere ugualmente degli di tutela.
Tutti questi argomenti venivano sostenuti in ordine logico sia nei confronti del
personale di polizia, a sostegno della tesi in parola, sia come minaccia per eventuali
pretese da parte degli appartenenti alle Forze Armate.
A favore dell’incompatibilità dell’art. 39 Cost. con la condizione militare veniva
sostenuto anche un altro argomento, e cioè l’esigenza di continuità che deve
caratterizzare l’attività propria degli appartenenti a tali istituzioni, continuità che
non permette “pause e cessazioni” del servizio; la particolare funzione svolta dalle
forze armate, cioè la “difesa della Patria”, abbisogna di tutela maggiore rispetto a
tutti gli altri diritti/beni garantiti dalla Costituzione.
b. Argomentazioni favorevoli all’estensione dell’art. 39 Costituzione alle Forze
Armate
Una tesi a sostegno dell’associazionismo sindacale dei militari ha ritenuto che
l’appartenenza del diritto di associazione, previsto dall’art. 18 Cost. (e
corrispondentemente anche il diritto di organizzazione sindacale tutelato dall’art.
39 Cost., considerato una specificazione dell’art. 18 Cost.), ai diritti inviolabili
derivi dalla correlazione tra l’art. 18 e l’art. 2 Cost., che salvaguarda la persona non
solo nella sua dimensione individuale, ma anche nella sua manifestazione sociale12.
Unico limite esplicito che può essere posto al diritto in argomento in base all’art. 18
è individuato dai fini perseguiti, e cioè dalle eventuali trasgressioni alla legge
penale.
Ciò comunque non fa escludere l’esistenza di altri limiti impliciti, data
l’insussistenza di quelli espliciti, i quali possono essere individuati facendo
riferimento a ciò che è stato deliberato dalla Corte Costituzionale (sentenza 10
luglio 1968 n. 98), e cioè all’esigenza di contemperamento con altri diritti
ugualmente
12
garantiti.
Non
sarà
invece
considerabile
Giacobbe: “Forze Armate e diritto di associazione”, in Dir. Soc., 1979, pag. 373.
59
limite
implicito
l’incompatibilità del diritto dell’art. 39 con i doveri che sorgono in capo al cittadino
militare in base all’art. 52 Cost13 e cioè il dovere di difesa della Patria, in quanto
due situazioni diverse e non contrastanti che permettono a questa particolare
categoria di dipendenti dello Stato il godimento dell’uno e il contemporaneo
espletamento dell’altro.
Inoltre è stato sostenuto che non esiste alcuna motivazione di carattere soggettivo
per escludere i militari dall’accesso al diritto di sciopero, venendo così meno uno
degli argomenti su cui ci si basava per escludere il carattere sindacale a qualsiasi
associazione professionale di militari. Infatti, data la mancanza a livello
costituzionale di una norma che consenta limitazioni soggettive del diritto di
sciopero, tale diritto deve considerarsi inviolabile. Il legislatore ordinario potrà
quindi adottare una regolamentazione del diritto di sciopero in base all’art.40 Cost.,
ma non rientrerà tra le sue facoltà la possibilità di esclusione di tale diritto per
un’intera categoria di lavoratori14.
Nell’ambito di tale regolamentazione potranno di fatto trovare espressione limiti
intrinseci al diritto di sciopero, ma tali dovranno essere considerati, in quanto
dovuti al contemperamento con altri fini di primaria rilevanza costituzionale.
Non esistendo quindi limiti soggettivi al diritto di sciopero per i militari, non può
considerarsi esistente un motivo di esclusione degli stessi dall’associazionismo
sindacale, secondo le premesse precedentemente esposte. Se si ritiene, nonostante i
ragionamenti precedentemente esposti, che il diritto allo sciopero non possa essere
riconosciuto ai militari, può comunque essere sostenuto che lo sciopero è si lo
strumento politico più idoneo per il sostegno delle rivendicazioni dei lavoratori ma
non l’unico, potendosi ricorrere ad altri mezzi ugualmente validi. Inoltre in base a
tale teoria non si deve ritenere che l’attività sindacale si fermi unicamente alle
rivendicazioni. Ritenuto infondato anche questo ragionamento, le conclusioni
dell’Autore sono per la concessione della titolarità del diritto di associazione anche
ai militari alla pari di ogni altro cittadino, pur riconoscendosi la necessità di una
particolare normativa dettata dalla funzione svolta dai soggetti interessati.
13
«La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.
Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non
pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, nè l'esercizio dei diritti politici.
L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica»
14
Giacobbe, op. cit., pag. 57.
60
Un orientamento non molto dissimile formulato nel 1966, in corrispondenza di una
sentenza che sarà commentata successivamente sosteneva che le funzioni tipiche
del sindacato sono la stipulazione dei contratti collettivi e l’organizzazione del
diritto di sciopero. Ai tempi della sentenza però esistevano limitazioni alla
contrattazione nel pubblico impiego, ragion per cui rimaneva soltanto la titolarità
dell’organizzazione dello sciopero come requisito per l’attribuzione della qualifica
sindacale ad una associazione dei dipendenti delle forze armate. Su tali premesse si
poteva addivenire a due conclusioni, a seconda che le limitazioni al diritto di
sciopero per alcune categorie del pubblico impiego fossero ritenute oggettive,
dettate cioè dal rispetto di altre fondamentali esigenze tutelate dalla Costituzione,
oppure soggettive, previste cioè specificatamente per determinate categorie. Nel
primo casi in particolare non rimanevano ostacoli per il riconoscimento della
sindacalità a tali associazioni.
c. Conseguenze dell’estensione alle Forze Armate dello spirito democratico, in
base all’art. 52 comma 3 della Costituzione.
Uno degli argomenti in base ai quali è stato sostenuto che l’art. 39 Cost. è
applicabile anche ai militari ha fatto riferimento all’art. 52 Cost. comma 3, dove si
dispone che «l’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico
della Repubblica».
Una teoria interpreta il concetto di democraticità da un lato come esortazione
diretta al legislatore affinchè adotti una normativa che faccia inserire l’istituzione
militare nel contesto democratico dello Stato, dall’altro come criterio per
l’individuazione delle situazioni soggettive che fanno capo al “cittadino soldato”,
nei casi di adozione di normative che vanno ad interessare i diritti
costituzionalmente garantititi.
Significativa è l’interpretazione data dal relatore a questa norma durante i lavori di
approvazione della Costituzione: «…l’esercito senza venir meno al principio di
unità e di disciplina, nella sua organizzazione e nei suoi regolamenti non deve
venir meno rispetto della dignità
e della libertà umana che è l’elemento
fondamentale del progresso civile»15. Ciò che non è stato messo assolutamente in
discussione è il principio gerarchico nettamente compatibile con il significato di
15
ASSEMBLEA COSTITUENTE, Disc. Gen., vol. III, pag. 1851.
61
“democraticità”
che si ricava dalla Costituzione, cosa che stata chiaramente
manifestata, per non lasciare spazio ad interpretazioni distorte, durante i lavori
preparatori.16
E’ ritenuto non rispondente invece al senso della disposizione la necessità di
applicazione del metodo elettivo-rappresentativo alle Forze Armate, mentre è
considerato senza dubbio più conforme al significato della norma il ritenere la
democraticità criterio per l’eventuale limitazione dei diritti costituzionalmente
protetti e strumento per l’apertura all’esterno dell’organismo verso il sistema
Costituzionale17.
A parere della dottrina non ritiene corretta, in ragione delle precedenti
argomentazioni,
l’esclusione
del
metodo
democratico
che
dello
spirito
democratico18. Inoltre è stato considerato da una opinione non appropriata19, dato
che è comprensibile la difficoltà dell’attuazione dello spirito costituzionale in
questo contesto, come sostenuto dalla dottrina fin dall’inizio20, attendersi una
modifica dell’istituzione militare con un adeguamento alla nuova situazione
costituzionale solo tramite l’influenza di fattori esterni all’istituzione, quale
l’evoluzione del “costume e mentalità”21.
Ma ritenere che la disposizione costituzionale debba rimanere per tali ragioni
inattuata è altrettanto erroneo; tutto ciò motivato innanzitutto dalla chiarezza della
norma e in secondo luogo per l’arrivo della Costituzione, ragione per cui non si
deve più ritenere che possa esistere all’interno dello Stato un ambito dove essa non
si esprima, dove cioè avvenga l’abdicazione della sovranità statale22.
Certamente la natura della funzione della difesa della patria comporterà, secondo la
teoria che stiamo esponendo, qualche sacrificio al pieno godimento dei diritti
costituzionali, in quanto riesce facilmente a capire, come sostenuto da un’opinione,
che il pieno utilizzo dei diritti democraticità parte dei militari comporterebbe il
dissolvimento degli eserciti23.
16
Morbidelli: “Lo spirito democratico e il servizio militare”, in Foro Amm, 1970, pag. 982.
Giacobbe: op. cit., pag. 369.
18
Morbidelli: op. cit. pag. 983.
19
Morbidelli; op. cit. pag. 983.
20
Barile: “Corso di diritto costituzionale”, Padova 1964, pag. 135.
21
Morbidelli: op. cit. pag. 982.
22
Morbidelli: op. cit. pag. 982.
23
Esposito: Riforma dell’amministrazione e dei diritti costituzionali dei cittadini, in La Costituzione
Italiana, Padova, 1954, pag. 255-256.
17
62
Ma ciò che non esclude che i principi costituzionali che «qualificano il tipo di Stato
e di regime debbano valere anche negli ordinamenti speciali»24.
Da questa disposizione, una teoria ha ritenuto si possa ricavare un obbligo preciso
per coloro che si occupano della posizione delle Forze Armate nell’ordinamento
costituzionale, obbligo che consiste, nell’ambito della “progettazione istituzionale”,
nella formulazione di uno statuto dei diritti del militare, che vieti l’annichilimento
della sua coscienza di cittadino25. Detto statuto, facendo anche riferimento ad
esperienze di paesi ad assetto costituzionali simile al nostro, quali la Germania e la
Francia, doveva riconoscere la necessità della regolamentazione, almeno per quanto
riguarda i principi generali, per mezzo della legge della posizione del soldato, con
«conseguente inevitabile riduzione delle sacche di potere arbitrario» che erano
state concesse, in passato, alla disponibilità dei comandanti e dell’esecutivo.
E’ stato ritenuto che in un simile contesto, facendo riferimento specificatamente al
diritto di associazione sindacale che a noi qui interessa, non sarebbe stata fuori
luogo una norma che avesse consentito e promosso le riunioni dei militari, con una
chiara e precisa regolamentazione di tutti gli aspetti, anche se in dette riunioni non
si avrebbe dovuto affrontare problemi strettamente tecnico-militari o riguardanti la
responsabilità di comando.
Esso che così si è pervenuti all’interpretazione del principio 52 comma 3 della
Costituzione da cui si riteneva, da parte della maggioranza della dottrina,
discendesse la legittimità del ricorso alla limitazione dei diritti soltanto nei casi in
cui «la realizzazione del fine cui è collegato l’eventuale sacrificio sia messo in
pericolo», cioè solo nei casi di incompatibilità con la funziona svolta26. Al di fuori
dei casi in cui si verifichino le situazioni precedentemente esposte, cioè delle
ipotesi in cui l’esercizio di alcuni diritti minacci l’istituzione delle Forze Armate
fino al punto che si presenti la possibilità di dissolvimento della stessa, non può
configurarsi una compressione dei diritti costituzionalmente garantiti che non
appaiono funzionalmente collegati alla prestazione militare.
Qualche altra opinione, non in accordo sulle conclusioni precedentemente esposte,
fa notare che si ritiene applicabile, in base all’art. 52 Cost., il diritto di
organizzazione sindacale all’istituzione militare non si rende conto della peculiarità
24
Crisafulli: “La scuola nella Costituzione”, in Riv. Tri. Dir. Pubbl. r,pag. 96, nota 46.
Gemma: “Indirizzo politico della difesa e potere militare”: a proposito di un libro recente, in Riv. Trim.
dir. Pubbl., 1973, pag. 390.
26
Morbidelli: op. cit., pag. 983.
25
63
del ruolo delle Forze Armate, nonostante la maggior parte degli orientamenti
ammetta l’esclusione, in determinate situazioni contingenti (guerra, ecc.) del diritto
di sciopero e del diritto all’art. 39 Cost.27.
Qualche altra tesi spinge addirittura più in la
ritenendo che la norma trovi
attuazione attraverso la realizzazione del reclutamento fondato prevalentemente sul
servizio obbligatorio, presupposto che opera una saldatura tra il mondo militare e la
nazione. Una critica a tale teoria considera la stessa non conforme alla norma, in
quanto con una tale concezione bisogna considerare incostituzionale un esercito
reclutato su base volontaria. Inoltre con una tale interpretazione non ci sarebbe
nessuna innovazione al precedente ordinamento, motivo per cui non la si può
ritenere condivisibile 28.
d. Tutela internazionale del diritto di associazione sindacale e obblighi nazionali.
Non possiamo dimenticare ciò che il nostro Paese si è obbligato ad osservare in
materia di associazionismo sindacale a livello internazionale e ci si riferisce
innanzitutto alle convenzioni n. 87 (17 giugno – 10 luglio 1948) e n. 98 (8 giugno 2
luglio 1949) dell’ O.I.L. entrambe ratificate con la legge 23 marzo 1958, n. 367,
che ne dispone l’immediata esecuzione nel nostro Stato.
Si può ricordare che nella convenzione n. 87, che si intitola alla “libertà sindacale”,
si disponeva la libertà per i lavoratori e per i datori di lavoro, senza discriminazioni
di sorta, di costituire ed aderire ad organizzazioni sindacali e di aggregarle il altre
organizzazioni di diverso grado e complessità.
La convenzione descrive anche il contenuto della libertà in parola, precisando che
si tratta della facoltà di “elaborare propri statuti, di eleggere i propri rappresentanti,
di organizzare il proprio programma d’azione.
Nella convenzione n. 98 è ripresa, per gli impiegati pubblici, esclusi i funzionari, la
stessa formula prevista nella convenzione n. 87.
Diverse sono state le opinioni sull’immediata esecutività interna di tale normativa,
cosicché è stato sostenuto che dalla convenzione n. 87 risulti “una dichiarazione di
principio” favorevole alla promozione del sindacalismo anche per i militari a gli
appartenenti alle Forze di Polizia, dichiarazione che non deve essere considerata né
27
Sinagra: “Tutela internazionale dei diritti dell’uomo e delle forze armate in materia di sindacati”, in Riv.
Dir. Lav., 1977, parte I, pag. 154.
28
Landi: “Forze Armate”, in Encicl. Dir. , vol. XVIII, Milano, 1969, pag. 44 e ss.
64
un obbligo di legiferare né un immediato ordine interno, in quanto il rinvio alla
legislazione nazionale. Si deve notare che l’applicazione di questa disposizione
internazionale, convertita con la legge dello Stato, è stata lasciata nel dimenticatoio
da parte dei parlamentari, e ad essa si faceva riferimento quando si voleva sostenere
il diritto di libera organizzazione sindacale per i poliziotti, soprattutto da parte delle
forze politiche della sinistra.
e. Sentenza n. 5 del 1966 del Consiglio di Stato
Uno dei primi eventi giurisprudenziali rilevanti a riguardo dell’argomento che si
analizza, a sostegno dell’inapplicabilità del diritto di organizzazione sindacale alla
pubblica sicurezza, estendibile per analogia alla categoria in esame, è la sentenza
del Consiglio di Stato 4 febbraio 1966, n. 5.
In data sentenza si dichiarava che al personale civile e militare della polizia, per i
quale c’era stato un cammino comune con quello delle Forze Armate, almeno fino
alla smilitarizzazione, era considerata vietata l’appartenenza ad associazioni
sindacali, anche se di carattere apolitico, in ragione delle caratteristiche di politicità
che ogni associazione di carattere sindacale tende ad assumere nella sua attività
operativa, anche in presenza di una eventuale clausola statutaria di autonomia dai
sindacati più politicizzati, cioè da quelli confederali. Ciò veniva ammesso in
ragione dell’applicazione dell’art. 98 Cost. comma 3 al caso di specie, effettuandosi
cioè una assimilazione del sindacato ad un partito politico.
La sentenza utilizzata per lungo tempo per escludere la concessione dei militari del
diritto di cui ci occupiamo, trovava la sua giustificazione profonda nella ripugnanza
ad ammettere che contese di carattere sindacale si instaurassero nell’ambito di
alcune categorie di dipendenti pubblici, quali i dipendenti della giustizia, della
difesa e della pubblica sicurezza, ai quali venivano affidati o delicati compiti o
l’esplicitazione di funzioni altrettanto essenziali per lo Stato. Si sosteneva infatti
che essendo le modalità di esplicitazione dell’attività sindacale piuttosto articolate e
dato che queste non si limitano alla mera rivendicazione salariale, ne consegue
che, essendo altamente incompatibile la totale libertà sindacale con le attività
suesposte, in quanto queste vanno ad operare su attività diretta esplicitazione dello
Stato, esse rendono difficile la stessa, determinandosi peraltro anche una politicità
65
di tali comportamenti completamente in contrasto con il richiamato art. 9829 comma
3 Cost, disposizione voluta dall’Assemblea Costituente per evitare che i partiti
potessero imporre la loro disciplina a questa come ad altre specifiche categorie in
ragione dei tipici mezzi di pressione in loro possesso.
Alcune correnti di pensiero, che furono accolte anche negli ambienti di alcuni
partiti, non accolsero favorevolmente l’interpretazione della Corte, in quanto la
sentenza aveva ritenuto che i sindacati in Italia non si erano sviluppati secondo le
linee previste dall’art. 39 Cost. ma avevano assunto caratteristiche peculiari rispetto
ala carattere apolitico richiesto dallo stesso, quali la strumentalizzazione dell’azione
sindacale per i fini di una interpretazione penetrante, energica ed efficace
intromissione nelle strutture economiche e sociali (il sindacato come “cinghia di
trasmissione”).
f. La riforma della Pubblica Sicurezza: la smilitarizzazione.
Occorre fare un cenno, a questo punto della trattazione, della riforma che nei primi
anni ottanta interesso le Forze di Polizia, ciò al fine di meglio comprendere i
successivi interventi giurisprudenziali in tema di libertà sindacali dei militari.
La riforma delle ordinamento della pubblica sicurezza, si inquadrava nella più
ampia esigenza di aggiornare, sul piano istituzionale, le linee di difesa della vita
democratica del paese.
Nonostante l’immagine di forza trasmessa da attributi come “centralizzato” e
“militarizzato”, il tradizionale modello della polizia italiano, alla fine degli anni
settanta, mostrava parecchie debolezze30.
Il modello italiano di polizia era caratterizzato soprattutto dall’esistenza, senza una
chiara demarcazione dei rispettivi compiti, di vari corpi di polizia, due dei quali,
l’Arma dei Carabinieri e il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, erano corpi
29
In merito alla possibilità dei militari di iscriversi a partiti politici, si evidenzia che a mente dell’art.
98 Cost. tale “diritto” sembrerebbe negato. Deve farsi rilevare che comunque tale limitazione
avrebbe dovuto essere disciplinata da apposita legge, che non è mai stata emanata, né prima, nè
dopo la 382/1978. Solo l’articolo 11 della legge 1 aprile 1981, n. 114 aveva previsto un divieto di
tale genere, ma vincolato all’emanazione di una specifica norma entro un anno e ciò non è
accaduto.
30
In tale periodo storico l’Italia era sotto shoc. Dall’università alla strada: l,’estrema sinistra scatena la
battaglia. Brigatisti scatenati, giornalisti nel mirino. Azzoppato Indro Montanelli, Vittorio Bruno, Emilio
Rossi e Publio Fiori. Il predicente ella Repubblica Giovanni Leone costretto alle dimissioni, per il clamore
sollevato per lo scandalo Lockeed. Sandro Pertini prende il suo posto. Via Fani, 16 marzo 1978: l’Italia
vive uno dei momenti più drammatici della sua storia. Aldo Moro viene rapito da un commando delle
Brigate rosse. Assassinati i cinque agenti della scorta. Le forze dell’ordine appaiono impreparate di fronte a
un attacco di questa portata.
66
di polizia nazionali e generali, con competenze praticamente identiche e che
coprivano lo stesso territorio istituzionalmente e in parte anche geograficamente.
All’interno della polizia esisteva una dualismo tra il Corpo delle Guardie di Ps,
militarmente organizzato, e i (civili) funzionari.
La coesistenza di una forte centralizzazione e la molteplicità dei conflitti di
competenza esistenti tra carabinieri e polizia emerge in modo esemplare si guarda
alla posizione del questore il quale aveva la competenza della provincia ed era a sua
volta dipendente dal ministero dell’Interno, ma anche dal prefetto. L’Arma dei
Carabinieri conservava però una sola completa indipendenza organizzativa, ma
anche una ampia autonomia operativa, perciò il questore non aveva autorità diretta
sulle unità dei carabinieri, importantissime per i servizi di ordine pubblico e,
secondo le vigenti disposizioni, i funzionari di Ps non avevano una chiara autorità
di comando sui reparti dell’arma schierati in piazza31.
Per gli agenti di Ps in divisa, cioè tutti i poliziotti tranne i funzionari, esisteva un
comando a parte, attraverso il quale dovevano passare tutti gli ordini al personale in
divisa, e che non sempre eseguiva le ordinanze del questore alla lettera. Le possibili
conseguenze per i servizi dell’ordine pubblico andavano dalla sola parziale
realizzazione di servizi di vigilanza e prevenzione da parte dei comandi militari,
spesso all’insaputa della questura, al mancato o ritardato intervento dei reparti
comandati a intervenire come rinforzi.
I primi progetti di riforma della struttura amministrativa della pubblica sicurezza
furono presentati nella quarta legislatura, e cioè a ben un ventennio di distanza dal
decreto legge n. 687 del 31 luglio 1943 e dai decreti legislativi luogotenenziali n.
365 del 2 novembre 1944 e n. 205 del 24 aprile 1945, che, dopo la parziale
smilitarizzazione disposta dal fascismo con il decreto-legge n. 383 del 2 aprile
1925, pienamente e a tutti gli effetti avevano incluso la polizia nelle forze armate.
Tale ultima soluzione, peraltro, sembrava la più idonea ad assicurare ad essa la
necessaria indipendenza da impulsi di parte ed era inoltre dettata dalla convinzione
di non poter rinunciare alla funzione stabilizzatrice e garantistica assicurata dal
parallelismo di struttura tra i due principali corpi di polizia (Polizia e Carabinieri) e
31
L’art. 75 di un decreto del 14 giugno 1934 specificava che l’azione dei funzionari verso i carabinieri non
poteva esercitarsi che sotto forma di richieste e l’art. 76 aggiungeva che tali richieste non potevano
contenere termini imperativi e di comando. Di conseguenza, quando i funzionari avevano fatto le loro
richieste ufficiali all’arma, non potevano intervenire in alcun modo nelle operazioni ordinate da questi
ultimi, i quali erano liberi, sotto la propria responsabilità, di adottare quelle disposizioni che credevano più
opportune per raggiungere l’intento.
67
da quello che esso significava in termini di bilanciamento dei loro fattori di
potenza.
I progetti di riforma di cui sopra, che, peraltro, concernevano solo aspetti particolari
della struttura amministrativa della pubblica sicurezza e dello stato giuridico degli
appartenenti ad essa, non furono mai esaminati e decaddero con la fine della
legislatura.
Si trattava, precisamente, delle proposte di legge n. 3017, di iniziativa dei deputati
Servadei ed altri concernente “Modifica del decreto legislativo luogotenenziale 24
aprile 1945, n. 205, nella parte in cui vieta al personale dell’amministrazione civile
della Pubblica sicurezza di appartenere ad associazioni sindacali” e n. 3153 del
deputato Armato concernente “Abrogazione del decreto legislativo luogotenenziale
24 aprile 1945, n. 2005, nella parte concernente divieti di appartenere ad
associazioni sindacali”.
Nella quinta legislatura fu presentata alla Camera dei Deputati la proposta di legge
n. 3957, di iniziativa dei deputati Flamini ed altri concernente “Applicazione dei
diritti di libertà e di organizzazione sindacale per il personale civile e militare
dell’amministrazione della Pubblica sicurezza”.
Nella sesta legislatura furono presentate alla Camera dei Deputati le proposte di
legge n. 1175, di iniziativa dei deputati Flamigni ed altri concernente «Norme per
l’applicazione dei diritti di libertà e di organizzazione sindacale per il personale
civile e militare della Pubblica sicurezza e del Corpo delle Guardie di Pubblica
Sicurezza. Istituzione del servizio civile denominato Corpo di polizia della
Repubblica italiana»; n. 3862, di iniziativa dei deputati Balzamo ed altri
concernente “Riordinamento dell’amministrazione della Pubblica sicurezza e del
Corpo delle guardie di Pubblica sicurezza. Istituzione del servizio civile
denominato “Corpo di guardie della polizia della Repubblica italiana”.
Al Senato fu presentata la proposta di legge n. 1093 di iniziativa del senatore Spora,
riguardante “Norme per l’esercizio dei diritti sindacali per il personale militare di
carriera in servizio permanente continuativo appartenente alle forze armate e ai
corpi di polizia”.
Anche queste proposte non furono mai esaminate e decaddero con la fine della
legislatura.
Nella settima legislatura fu presentata al Senato la proposta di legge n. 667, di
iniziativa
del
senatore
tedeschi
68
ed
altri,
riguardante
“Riordinamento
dell’amministrazione della pubblica sicurezza e del Corpo delle guardie di
pubblica sicurezza”. Tale iniziativa, unitamente ad altre che presentate nel corso
della legislatura, furono assegnate alle Commissioni parlamentari per il successivo
esame, ma a seguito della fine anticipata della legislatura, esse decaddero
prematuramente.
Soltanto nel corso dell’ottava legislatura prese corpo una volontà politica di riforma
e fu presentato dall’allora Ministro dell’Interno32 On.le Rognoni, in data 8
novembre 1979 il disegno di legge n. 895 recante “Nuovo ordinamento della
Amministrazione della Pubblica Sicurezza”.
Nel corso della relazione al Camera dei deputati, il Ministro proponente aveva
sottolineato che. «all’accellerazione impressa allo sviluppo economico, nel nostro
paese, così come in altre nazioni ad economia avanzata, non ha sempre corrisposto
un adeguato ritmo evolutivo degli altri valori sociali. Ciò ha determinato, tra
l’altro, complessi effetti negativi d’ordine sociale e morale sul tessuto complessivo
della convivenza civile e democratica incidendo in modo drammatico sull’ordine e
la sicurezza pubblica… E’ urgente dunque, di fronte agli accresciuti ed a volte
imprevedibili attacchi allo Stato ed alla società civile, l’adeguamento delle
strutture, degli strumenti di intervento, soprattutto di quegli organismi che, in via
primaria, sono attributari delle funzioni di difesa dell’ordine e della sicurezza
Pubblica… Tali complesse esigenze sono state avvertite da tutte le componenti del
corpo sociale, dall’organizzazione preposta alla difesa dell’ordine e della
sicurezza pubblica e dalla classe politica che ha sentito e si è assunta la
responsabilità di aprire il dibattito, nel Paese e nelle sedi istituzionali, sulla
problematica del nuovo ordinamento e dei nuovi modelli organizzativi ed operativi
della polizia e dei suoi appartenenti.»
La smilitarizzazione del corpo delle guardie di pubblica sicurezza e la presenza di
organi di rappresentanza dei suoi appartenenti si inquadrava come conseguenza
dell’opera di linearizzazione delle strutture e di aggiornamento dell’ordinamento33.
I diritti sindacali e la conseguente libertà d’esercizio derivarono pertanto dalla
perdita dello status di militare, ciò fermo restando il divieto di sciopero e la
32
Di concerto con il Ministro della Difesa Ruffini, del Ministro delle Finanze Reviglio, con il Ministro del
Bilancio e della programmazioni Economica Andreatta e con il Ministro del tesoro Pandolfi.
33
Tra le novità più significative vi è senz’altro la possibilità per il personale dell’amministrazione della
pubblica sicurezza di raggiungere la carica di prefetto, precedentemente riconosciuta esclusivamente al
personale civile.
69
possibilità di costituire associazioni sindacali dirette e costituite da soli appartenenti
alla polizia di stato e che non avessero rapporti di adesione, affiliazione e
comunque di carattere organizzativo con altri sindacati o associazioni di altra
natura.
g. La sentenza n. 44934 del 1999 della Corte Costituzionale
A far “chiarezza” sulla impossibilità per i militari di vedersi riconosciuti i diritti di
cui all’art. 39 della Costituzione, è intervenuta recentemente la Corte
Costituzionale, nei cui confronti in Consiglio di Stato aveva sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 8 , primo comma, della legge 11 luglio 1978, n.
382 (Norme di principio sulla disciplina militare) nei confronti degli artt. 3, 52,
terzo comma, e 39 della Cost., nella parte in cui vieta agli appartenenti alle forze
armate di costituire associazioni professionale a carattere sindacale e, comunque di
aderire ad altri sindacati esistenti.
Secondo il Consiglio di Stato «…vi sarebbe infatti lesione degli artt. 39 e 53, terzo
comma, della Costituzione, perché non sussistono motivi plausibili per vulnerare,
nell’ambito dell’ordinamento militare, un diritto costituzionalmente garantito. Né
sarebbe ragionevole la disparità di disciplina rispetto alle forze di polizia a
ordinamento civile, le quali godono della libertà sindacale…». Era stato peraltro
sottolineato, che la legge n. 382 del 1978, pur negando ai militari la libertà
sindacale, riconosceva loro facoltà tipiche di essa, devolute all’istituito della
Rappresentanza Militare, che rispetto alle Forze di Polizia ad ordinamento civile è
dotata di strumenti che sacrificano i principi della libertà di organizzazione, ciò con
particolare riferimento alla mera partecipazione dei propri rappresentanti alla
concertazione ministeriale, volta a determinare il rapporto d’impiego, mentre per le
forze di polizia a ordinamento civile vale il più incisivo strumento dell’accordo
sindacale (a questo proposito l’ordinanza aveva posto a confronto le lettera A) e B)
dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195).
Le parti private costituite in giudizio avevano sottolineato che le conclusioni cui era
pervenuto il,Consiglio di Stato dimostravano che erano ormai superate le decisioni
della sentenza n. 5 del 1966, con la quale si affermava, ai sensi dell’art. 98, terzo
34
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 dicembre 1999, 51, serie speciale.
70
comma, della Costituzione, il divieto di iscrizione dei militari ai partiti politici,
estendendolo alle organizzazioni sindacali.
La Suprema Corte, preso atto che l’accoglimento della questione, come prospettata
dal Collegio rimettente, avrebbe portato alla cancellazione del divieto posto dalla
legge n. 382 del 1978, riconobbe che il fine perseguito era quello della piena
estensione della libertà sindacale, concepita sia come potere di costituire autonome
associazioni professionali, sia come la facoltà di adesione ad associazioni già
esistenti, fermo restando il divieto di sciopero.
La questione non fu ritenuta fondata35, e l’ordinanza del Consiglio di Stato che
faceva leva sull’art. 39, letto in sistema con l’art. 52, terso comma, della Cost., fu
considerata priva della considerazione che le Forze Armate si distinguono dalle
altre strutture statali per esigenze di organizzazione, coesione interna e massima
operatività. Fu sottolineato peraltro che:
− la declaratoria di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 382 del
1978, nella parte denunciata, aprirebbe inevitabilmente la via a organizzazioni
la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione
interna a neutralità dell’ordinamento militare;
− il riconoscimento della libertà sindacale alle Forze di Polizia ad ordinamento
civile, è contestuale alla smilitarizzazione, che ha determinato evidenti
differenze rispetto alla Forze Armate.
35
Tale autorevole decisione circa due mesi dopo il disegno di legge n. 6485 presentato alla Camera dei
Deputati il 21.10.1999 d'iniziativa dei Deputati Ruffino, Spini, Basso, Migliavacca e Ruzzante. Nella
relazione introduttiva veniva evidenziato che «oggi esistono tutte le condizioni politiche e costituzionali
perché il Parlamento possa riconoscere ai cittadini militari la fruizione delle libertà sindacali e che queste
possano concretizzarsi nell'ambito di una generale modernizzazione e qualificazione delle strutture delle
Forze armate e del Corpo della guardia di finanza». «Con la presente proposta di legge intendiamo
avviare una ulteriore fase di adeguamento dell'ordinamento delle Forze armate allo spirito democratico
della Repubblica chiedendo al Parlamento di riconoscere al personale delle Forze armate e del Corpo
della guardia di finanza quei diritti di organizzazione sindacale che sono generalmente riconosciuti ai
cittadini italiani dall'art. 39 della carta costituzionale».
71
CAPITOLO QUARTO
“LA CONTRATTAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO DEL PERSONALE ALLE DIPENDENZE
DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE ”
1. LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO
Il rapporto di pubblico impiego è, così si esprime la comune definizione elaborata dalla
dottrina, il rapporto in forza del quale una delle parti (privato) si pone di sua volontà e
permanentemente al servizio dell’altra parte (pubblica amministrazione) per la
prestazione della sua attività in modo professionale e per ottenere una retribuzione1
Di conseguenza, il pubblico impiegato è la persona che si pone volontariamente e
permanentemente al servizio di un ente pubblico, ricevendo in corrispettivo della
propria opera una retribuzione. E’ l’espressione “pubblico impiegato” ha sempre
ricompresso tutti i pubblici dipendenti, civili e militari.
Da tali definizioni si ricavano gli elementi costituitivi del rapporto e cioè, i soggetti,
l’oggetto, il contenuto, nonché i caratteri, elementi tutti che continuano a sussistere, pur
nella marcatamente mutata disciplina che li riguarda, per la maggior parte dei
dipendenti pubblici.
Sono soggetti, da una parte, un privato che si obbliga, verso retribuzione, a prestare la
propria attività lavorativa in modo professionale; dall’atra un ente pubblico, Stato o
ente pubblico minore, che si obbliga a corrispondere la retribuzione, nel quadro di uno
stato giuridico puntualmente stabilito. Nei soggetti emergono, rispettivamente, la
qualità di ente pubblico del datore di lavoro e la natura fisica del soggetto passivo del
rapporto.
E’ venuto, così, a configurarsi quel tradizionale rapporto di disuguaglianza in cui lo
Stato è in posizione di “supremazia” ed il privato in posizione di “soggezione”.
L’oggetto consiste nella prestazione di un’attività, intellettuale o manuale, esercitata per
il raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, cioè rivolta alla cura degli interessi
1
L’art. 51 della Costituzione riserva l’accesso agli uffici pubblici solo a che è in possesso del requisito della
cittadinanza, ma il secondo comma ammette che la legge possa consentire tale accesso anche agli “italiani
non appartenenti alla Repubblica” e, quindi, senza lo status di cittadino. Tali precetti vanno oggi interpretati
alla luce delle norma in materia di uffici pubblici dettate dal diritto europeo e fatte proprie dall’ordinamento
italiano (art. 38 del D.Lgvo n. 165/2001).
72
propri di quest’ultimo, con vincolo di subordinazione gerarchica e con carattere di
continuità ed anche di esclusività.
Il contenuto del rapporto è rappresentato da una serie di diritti e doveri di ciascuna delle
parti rispetto all’altra, in posizione di reciprocità, dovendosi intendere che ai diritti
dell’uno corrispondono i doveri dell’altra e viceversa.
Un primo carattere è la volontarietà del rapporto, in quanto è per sua volontà, cioè di
sua iniziativa, che l’impiegato pone la propria attività a disposizione della pubblica
amministrazione; è questo carattere che distingue il pubblico dipendente da chi presta
un servizio obbligatorio, come ad esempio, era il militare di leva2.
Il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, inoltre, è:
− strettamente personale, perché è creato “intuitu personae”, considerato che
l’Amministrazione sceglie il proprio dipendente in base alla sua specifica capacità
intellettuale, tecnica e professionale, con un’apposita selezione (concorso); ne
deriva che a nessun titolo la posizione dell’impiegato può essere trasferita ad altri e
che il soggetto passivo deve essere necessariamente quella determinata persona che
è intervenuta nel negozio e non un’altra;
− bilaterale, in quanto crea diritti e obblighi a carico sia dell’impiegato che dell’ente
pubblico;
− a carattere continuativo, in quanto deve trattarsi di una prestazione d’opera
permanente, e non solo temporanea, che assorbe la totalità o quasi dell’attività del
pubblico impiegato;
− a carattere professionale, in quanto gli impiegati godono di uno speciale statuto
giuridico.
La riforma ha inciso sensibilmente sul carattere pubblicistico del rapporto di pubblico
impiego, anche se, l’essere necessariamente pubblico di uno dei soggetti, il fine
pubblico cui tale soggetto adempie nel porre in essere il rapporto, la natura della
prestazione che ne è oggetto, i poteri di supremazia al cui esercizio il rapporto da
luogo, sono tutte connotazioni che rimangono intatte pur in un contesto di disciplina
giuridica di natura privatistica. E’ come dire che quello che era un rapporto di pubblico
impiego in senso oggettivo si è trasformato in un rapporto di pubblico impiego inteso
solo in senso soggettivo.
2
Sospeso con la legge 23 agosto 2004, n. 226 (in G.U. n. 204 del 31 agosto 2004).
73
Un significativo esempio in proposito è rappresentato dai diritti e doveri che nascono
con il rapporto, i quali hanno acquistato una determinate impronta contrattuale, pur nel
persistere della qualificazione di ente pubblico di uno dei due soggetti3.
Il regime del rapporto di pubblico impiego ha avuto fondamento normativo
essenzialmente nel “Testo unico delle disposizioni concernenti la statuto degli
impiegati civili dello Stato” approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.
Le norme in esso riportate recavano una disciplina fortemente caratterizzata da
unilateralità, nel senso cioè gli atti relativi alla nomina, alla regolamentazione dei diritti
e dei doveri, nonché alla modificazione ed estinzione del rapporto, rappresentavano
emanazione esclusiva della volontà del soggetto attivo, vale a dire lo Stato. Erano, cioè
atti amministrativi ed in quanto tali rientravano nel regime del diritto amministrativo.
Conseguentemente, le controversie ricadevano sotto la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo e non di quello ordinario, come nel caso del rapporto in ambito
privato.
A tale regolamentazione legislativa si ispirarono successivamente altre leggi
riguardanti specifiche categorie di dipendenti pubblici.
a. La legge 29 marzo 1983, n. 93
Verso la fine degli anni sessanta il verificarsi di una serie di fenomeni - quali la
dilatazione delle funzioni svolte dalla pubblica amministrazione, l’esigenza di
migliorare l’efficienza, la necessità di governo della spesa per il personale e di
perequazione dei trattamenti economici, la più agguerrita presenza delle
organizzazioni sindacali confederali nel settore pubblico – favoriscono una
progressiva, ma inarrestabile linea di tendenza ad un avvicinamento della disciplina
giuridica del lavoro pubblico a quella del lavoro privato4.
3
Si è passati, in pratica, dall’impostazione tradizionale, che, considerando gli impiegati al servizio dello
Stato, li riconosceva destinatari più di benefici che di diritti, a quella contrattuale basata su diritti
puntualmente individuati dalla legge e demandati, con maggiori garanzia, alla contrattazione.
4
Significativi, al riguardo, sono in primo luogo i provvedimenti diretti ad istituzionalizzare la contrattazione
collettiva nei diversi settori del pubblico impiego quali: gli ospedalieri (legge 12 febbraio 1968, n. 132 e
D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130); gli statali e i parastatali (legge 22 luglio 1975, n. 70); i dipendenti degli enti
territoriali (legge 27 febbraio 1978, n. 43); i dipendenti del servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre
1978, n. 833, che sostituisce la legge ospedaliera del 1968).
In secondo luogo, occorre menzionare la legge 11 luglio 1980, n. 312 che modifica il sistema di
progressione della carriera basata esclusivamente sull’anzianità del pubblico dipendente allo scopo di
incentivare la produttività del lavoro pubblico. A tal fine la legge da un lato istituisce le cosiddette
qualificazioni funzionali correlate al contenuto qualitativo della prestazione ed articolate in diversi livelli
professionali. Dall’altro introduce metodologie di valutazione del lavoro secondo standards di esecuzioni
differenziati fissati in sede di relazione annuale al parlamento sullo stato della pubblica amministrazione.
74
I diversi progetti di riforma globale della regolamentazione legislativa del pubblico
impiego trovano comunque sbocco nella legge 29 marzo 1983, n. 93 denominata
legge-quadro sul pubblico impiego. Essa prevede una disciplina organica della
materia con riferimento sia agli impiegati statali che ai dipendenti degli altri enti
pubblici, con esclusione di limitate categorie di dipendenti svolgenti funzioni
collegate a quelle giurisdizionali o legislative o di governo, quali i militari, il
personale di polizia, i diplomatici, i magistrati, i dipendenti degli enti che svolgono
la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del D. Lgvo del capo
provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691 (funzione creditizia, valutaria e di
risparmio), i dirigenti generali dello stato e degli enti parastatali5.
Gli altri profili di quest’ultimo e dell’organizzazione di lavoro vengono
regolamentati da una diversa fonte, la contrattazione collettiva, che – già introdotta
da precedenti interventi legislativi con riferimento a specifici settori del pubblico
impiego – dalla legge n. 93 del 1983 viene istituzionalizzata sotto i profili
dell’oggetto, dei soggetti, della procedura, dei livelli, del provvedimento e
dell’efficacia.
La legge-quadro introduce un ulteriore profilo di armonizzazione fra la disciplina
dell’impiego pubblico e quella dell’impiego privato: l’estensione ai dipendenti
dello Stato e degli enti pubblici di numerosi precetti previsti dallo “Statuto dei
lavoratori6”e il riconoscimento dei cosiddetti diritti sindacali.
La legge n. 93 del 1983 non modifica invece il regime del pubblico impiego,
limitandosi a statuire che “in sede di revisione dell’ordinamento della giurisdizione
amministrativa si provvederà all’emanazione di norme che si ispirino, per la tutela
giurisdizionale del pubblico impiego, ai principi contenuti nella legge 20 maggio
1970, n. 300.
5
6
La regolamentazione in esame affida alla competenza legislativa una serie di materie: l’organizzazione in
senso lato degli uffici, secondo quanto del resto richiede l’espresso disposto dell’art. 97 Cost.; i
procedimenti di costituzione, modificazione di stato giuridico ed estinzione del rapporto di pubblico
impiego; la scelta dei criteri per la determinazione delle qualifiche funzionali e dei profili professionali in
ciascuna di essi compresi; la determinazione dei criteri per la formazione e l’addestramento professionale; i
ruoli organici, la loro consistenza e la dotazione complessiva delle qualifiche; le garanzie del personale in
rodine all’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali; la durata massima dell’orario di lavoro
giornaliero; l’esercizio dei diritti dei cittadini nei confronti dei pubblici dipendenti ed il loro diritto di
accesso e di partecipazione agli atti della pubblica amministrazione.
Come si vede, si tratta per lo più di materie che attengono ai principi di organizzazione degli uffici pubblici
al fine di assicurarne il buon andamento e l’imparzialità – e dunque sono coperte da riserva di legge ai sensi
del citato art. 97 Cost. – ovvero riguardano aspetti fondamentali del rapporto del pubblico impiego.
Legge 20 maggio 1970, n. 300 (in Gazz. Uff., 27 maggio, n. 131). “Norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento”.
75
b. Il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.
Non si può certo affermare che la legge-quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983
abbia realizzato quegli obiettivi di efficienza della pubblica amministrazione, di
razionalizzazione dell’attività contrattuale e di controllo della spesa
per il
personale, che si era proposta come prioritari 7.
I diversi progetti di riforma in tal senso presentati della forze sindacali e politiche
trovano il momento conclusivo nell’art. 2della legge 23 ottobre 1992, n. 421 di
delega al governo per la razionalizzazione e la revisione della disciplina in materia
di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale e nel
successivo D. Lgvo 3 febbraio 1993, n. 298.
Con tale ultimo provvedimento, con particolare riferimento al cosiddetto rapporto
di servizio, appare chiaro l’intento del legislatore di portare a compimenti il già da
tempo iniziato processo di omogeneizzazione fra impiego pubblico ed impiego
privato, riconducendo il primo sotto la disciplina del diritto civile.
In tale prospettiva, i rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni appaiono caratterizzati dai seguenti nuovi principi:
− i rapporti di lavoro sono disciplinati dal capo I, titolo II del libro V c.c. e dalle
leggi sui rapporti di lavoro subordinato dell’impresa;
− per tutte le materie che regolano i rapporti individuali di lavoro le
amministrazioni operano con la capacità e i poteri di un datore di lavoro privato.
− i rapporti di lavoro sono regolati contrattualmente, cioè per il tramite di contratti
collettivi ed individuali di lavoro. Ne consegue che essi non si costituiscono per
atto unilaterale di nomina della pubblica amministrazione, ma per il tramite di
contratti individuali di lavoro;
7
8
Le ragioni dello scarso successo sono molteplici ed addebitabili in gran parte alla stessa parte pubblica.
Infatti, quest’ultima da un lato in sede di contrattazione collettiva si è dimostrata favorevole ad introdurre
miglioramenti economici non ricollegabili né ai limiti di spesa prefissati, né a parametri di produttività e
dunque consentiti solo col ricorso alla registrazione con riserva da parte della Corte di Conti. Dall’altro, ha
posto in atto interventi legislativi intesi a sottrarre progressivamente alla legge-quadro numerosi enti
pubblici dapprima in essa rientranti. Infine, è spesso intervenuta con provvedimenti legislativi in materie
riservate alla contrattazione, creando difficoltà di raccordo fra l’una e l’altra fonte di disciplina.
La Corte Costituzionale (25 luglio 1996, n. 313) ha seccamente respinto la tesi sostenuta dai giudici
amministrativi (Cons. di Stato Ad. Plen. 31 agosto 1992, n. 146), secondo cui l’interesse pubblico
impedirebbe la privatizzazione del rapporto d’impiego con le pubbliche amministrazioni, replicando che
solo l’organizzazione degli uffici è riservata alla legge e alla potestà amministrativa, mentre il rapporto di
lavoro può essere affidato alla disciplina privatistica, intesa come strumento di realizzazione delle finalità
costituzionali del “buona andamento dell’amministrazione”.
76
− i contratti collettivi di lavoro costituiscono una fonte diretta di disciplina del
rapporto, cioè sono immediatamente efficaci nei confronti dei destinatari;
− sono devolute al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro le
controversie
riguardanti
il
rapporto
di
lavoro
dei
dipendenti
delle
amministrazioni pubbliche.
I principi di privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego
trovano tuttavia alcune limitazioni di carattere oggettivo e soggettivo:
− limiti di carattere oggettivo: si deve rilevare in primo luogo che rimangono di
competenza del legislatore materie quali: la responsabilità giuridiche attinenti ai
singoli operatori nell’espletamento delle procedure amministrative; gli organi;
gli uffici; i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; i principi
fondamentali di organizzazione degli uffici; i procedimenti di selezione per
l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; i ruoli e le dotazioni organiche; la
disciplina delle responsabilità e delle incompatibilità fra impiego pubblico e
altre attività:
− limiti di carattere soggettivo: la nuova normativa non trova applicazione nei
confronti di alcune categorie di personale quali: i magistrati; gli avvocati e
procuratori dello Stato; gli appartenenti alle Forze Armate ed alle Forze di
Polizia; il personale della carriera diplomatica e prefettizia9.
c. Struttura e procedimento della contrattazione
La contrattazione collettiva nel settore pubblico, a differenza di quanto avviene nel
privato, è soggetta ad una minuziosa regolamentazione legale.
La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di
lavoro ed alle relazioni sindacali ai sensi dell’art. 40, comma 1 del D. Lgvo n. 165
del 200110, mentre la struttura e soggetti e procedure della contrattazione
costituiscono la materia disciplinata dal Titolo III della richiamata norma.
9
Il regime di diritto nei confronti di tale personale è anche sottolineato dalla permanenza del giuramento di
fedeltà, secondo la formula detta dal D.P.R.19 aprile 2001, n.253.
10
Ultima norma in termini di tempo, che ha modificato, con particolare riferimento alle norme di
contrattazione, il quadro originario stabilito dal citato D. Lgvo n. 29 del 1993. Lo stesso è stato peraltro
preceduto da ulteriori provvedimenti quali: i D. Lgvo n. 470 e 546 del 1993; il D. Lgvo n. 396 del 1997 e
n. 80 del 1998.
77
Essa si articola per comparti, i quali sono unità negoziali che si riferiscono a settori
di personale omogeneo o affini, mentre i dirigenti costituiscono aree contrattuali
autonome relative a uno o a più comparti.
Sono previsti tre livelli di contrattazione: il contratto collettivo quadro, quello
collettivo nazionale e di comparto e quello integrativo decentrato. Quest’ultimo è
subordinato al contratto nazionale, nel senso che non può recare norme contrastanti
con i vincoli espressi dal contratto collettivo nazionale.
In merito ai soggetti, la contrattazione si svolge fra la parte pubblica e la parte
sindacale, dove la prima rappresenta le amministrazioni di ogni comparto mentre la
seconda i dipendenti delle stesse.
Le interazioni con le organizzazioni sindacali sono gestite a livello centrale
attraverso
l’Agenzia
per
la
rappresentanza
negoziale
delle
pubbliche
amministrazioni (cosiddetta ARAN), alla quale compete l’esercizio di “ogni attività
relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla
assistenze delle pubbliche amministrazioni ai fini di una uniforme applicazione dei
contratti collettivi. L’Agenzia, in quanto ente pubblico non economico, ha
personalità giuridica di diritto pubblico; agisce in qualità di rappresentante legale
delle pubbliche amministrazioni ed è tenuta alla sottoscrizione dei contratti
collettivi.
E’ costituita da cinque membri ed è in rapporto funzionale con la Presidenza del
Consiglio dei Ministri per gli atti di indirizzo impartiti dal Presidente del Consiglio
dei Ministri, tramite il Ministro della Funzione Pubblica di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, nonché con specifici comitati di settore, che altro
non sono che gli organi rappresentativi di ogni comparto.
L'attività di contrattazione collettiva nazionale dell'ARAN consiste nello stipulare e
sottoscrivere i contratti di lavoro relativi ai vari comparti, alle diverse aree della
dirigenza, nonché agli altri settori espressamente previsti dall'art. 70 del D.Lgvo
n.165/2001, che risultano così suddivisi:
78
COMPARTI
AREE DIRIGENZIALI
Aziende
AREA I
Ministeri
Regioni ed autonomie locali
AREA II
AREA III
Sanità
AREA IV
Scuola
AREA V
Agenzie fiscali
AREA VI
Enti pubblici e non economici
AREA VI
Ricerca
AREA VII
Università
AREA VII
Presidenza del Consiglio dei Ministri
ENTI ART. 70 D. Lgvo 165/2001
Enti art. 70 D.Lgvo 165/2001
Accademie e Conservatori
Il procedimento di contrattazione è totalmente affidato all’Agenzia, la quale, dopo
aver condotto le trattative con le rappresentanze sindacali, sull’ipotesi si accordo,
acquisisce il parere favorevole del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei
comitati di settore, chiede alla Corte dei Conti la certificazione dei costi
quantificati, e, infine, sottoscrive il contratto collettivo, la cui natura giuridica è,
pertanto, quella di atto negoziale privato.
Se in sede di esecuzione del contratto collettivo insorgo o controversie sulla sua
interpretazione, le parti che lo hanno sottoscritto devono incontrarsi per definire
consensualmente il significato delle clausole controverse.
La contrattazione collettiva nazionale di lavoro tra ARAN e controparti sindacali si
svolge attraverso le seguenti fasi:
− la legge finanziaria individua le risorse finanziarie destinate alla contrattazione
collettiva per le amministrazioni statali, in base alle compatibilità definite nel
documento di programmazione economica e finanziaria. Per le restanti
amministrazioni pubbliche le risorse finanziarie sono a carico dei rispettivi
bilanci, fermo restando i parametri fissati nel documento di programmazione
economica e finanziaria;
79
− in previsione di ogni rinnovo contrattuale e nei casi nei quali si richieda,
comunque, l'attività negoziale dell'ARAN, i Comitati di settore deliberano,
preventivamente, gli atti di indirizzo. Quelli relativi alle amministrazioni diverse
dallo Stato vengono sottoposti al Governo che ha 10 giorni per valutarne la
compatibilità con la politica economica e finanziaria nazionale. Questi atti di
indirizzo vengono inviati all'ARAN;
− l'ARAN avvia la trattativa negoziale convocando le confederazioni e le
organizzazioni sindacali di comparto maggiormente rappresentative ai sensi
dell'art. 43 del D.Lgvo. n. 165/2001;
− la trattativa può avere una prima fase conclusiva che si concretizza in una
preintesa sul contenuto contrattuale complessivo;
− il testo della preintesa é oggetto di consultazione con i lavoratori da parte delle
organizzazioni sindacali, mentre l'ARAN può effettuare ulteriori verifiche con le
amministrazioni rappresentate;
− la trattativa si conclude con una ipotesi d'accordo, con la quale le parti
formalizzano l'accordo definitivo;
− l'ARAN, entro 5 giorni, deve acquisire il parere dei Comitati di settore sulla
ipotesi di accordo e sugli oneri finanziari, diretti e indiretti, che ne derivano sui
bilanci delle amministrazioni interessate;
− acquisito il parere favorevole, il giorno successivo l'ARAN trasmette alla Corte
dei Conti la quantificazione dei costi contrattuali ai fini della certificazione di
compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all'art. 1
bis della L. n. 468/78. La Corte deve esprimersi entro 15 giorni; se la
certificazione é positiva, il contratto viene sottoscritto definitivamente e diventa
efficace dal momento della sottoscrizione; il testo é pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale al fine esclusivo di portarlo a conoscenza degli utenti;
− se la certificazione é negativa, sentito il comitato di settore o il Presidente del
Consiglio dei ministri, l'ARAN assume le iniziative necessarie per adeguare la
quantificazione dei costi contrattuali o, qualora non lo ritenga possibile, riapre le
trattative;
− la procedura di certificazione deve, comunque, concludersi entro 40 giorni
dall'ipotesi di accordo, decorsi i quali il Presidente dell'ARAN, salvo che non
80
ravvisi l'esigenza di riaprire le trattative come si è detto sopra, ha mandato di
sottoscrivere definitivamente il contratto collettivo.
2. IL COMPARTO “SICUREZZA”
Con il D.Lgvo del 12 maggio 1995, “Attuazione della legge 6 marzo 1992, n. 216, in
materia di procedure per disciplinare i contenuti del rapporto d’impiego del personale
delle Forze di Polizia e delle Forze Armate”, il legislatore ha inteso rispondere alla
necessità di assecondare l’evoluzione normativa già in atto nel pubblico impiego,
garantendo anche all’ambiente militare e delle forze di polizia11, una disciplina
organica per la formazione del provvedimento finalizzato a regolare i contenuti
economici e normativi del rapporto di lavoro12.
a. “Istituzione del Comparto Sicurezza”
Sebbene non appaia mai nel richiamato provvedimento, la definizione/dicitura di
“Comparto Sicurezza”, tale denominazione è stata mutuata, in parte dalla
terminologia propria della contrattazione del pubblico impiego (Comparto) a mente
del D. Lgvo n. 23 del 1993, ed in parte introdotta dagli “addetti ai lavori”, i quali
hanno in tal modo voluto individuare chiaramente e contraddistinguere un’area
contrattuale “omogenea”, afferente al personale che svolge la propria attività
lavorativa nel campo della “sicurezza”. La denominazione “Comparto Sicurezza”
11
Tale personale unitamente ai i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori
dello Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, nonché i dipendenti degli enti
che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive
modificazioni ed integrazioni, resta in “regime di pubblico impiego”, in deroga all'art. 2, commi 2 e 3 della
D. Lgvo n. 165 del 2001.
12
Tale provvedimento, che vide la luce a circa tre anni di distanza dalla legge di delega, subì, peraltro, nel
corso dell’iter approvativo, diverse modifiche. Al riguardo le Commissioni riunite 1ª (Affari Costituzionali)
e 4ª (Difesa), in data 18 gennaio 1995, sottolinearono come lo schema di decreto sottoposto al loro esame si
discostasse dagli intendimenti della legge n. 216 del 1992. Era stato infatti riscontrato che, a fronte di una
previsione di legge volta ad assicurare un’adeguata partecipazione degli organismi della Rappresentanza
Militare nella delegazione di ciascun Dicastero, lo schema di decreto in esame prevedeva per il Consiglio
Centrale della Rappresentanza esclusivamente la possibilità di avanzare eventuali richieste per iscritto, per
il tramite dei Comandi Generali e degli Stati Maggiori. Sul piano sostanziale tale previsione avrebbe
determinato un arretramento di quel processo di riconoscimento di un vero e proprio ruolo negoziale agli
organismi della R.M, e pertanto la trattazione delle materie avente effetti sulle Forze di Polizia ad
ordinamento militare sarebbe continuata ad essere svolta dalla rappresentanza sindacale delle Forze di
Polizia d ordinamento civile. Il Sottosegretario alla DIFESA, intervento nel corso della successiva riunione
del 24 gennaio, nel prendere atto delle osservazione avanzate dalle Commissioni, manifestando la
disponibilità del Governo ad accoglierle, sottolineò che la distinzione tra concertazione e contrattazione era
stata elaborata tenendo presente i principi normativi che disciplinavano l’ordinamento militare.
81
assume, pertanto, una valenza convenzionale, assolvendo alla funzione puramente
pratica di immediata identificazione dell’area contrattuale di riferimento.
A tale comparto appartengono le Forze Armate (Esercito, Marina Militare ed
Aeronautica Militare)e le Forze di Polizia ad ordinamento Militare (Arma dei
Carabinieri e Guardia di Finanza) e Civile (Polizia di Stato, Corpo della Polizia
Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato).
Comprende, escluso i dirigenti ed il personale in servizio di leva (ormai residuale),
circa 460.000 unità, secondo la seguente ripartizione di massima:
CARABINERI
110.000 UNITA’ CORP. FORESTALE
POLIZIA DI STATO
105.000 UNITA’ ESERCITO
GUARDI
DI
FINANZA
POL.
PENITENZIARIA
9.000 UNITA’
65.000 UNITA’
65.000 UNITA’ AERONATICA
45.000 UNITA’
42.000 UNITA’ MARINA MILITARE
25.000 UNITA’
Si tratta di Amministrazioni piuttosto omogenee sotto il profilo delle funzioni
svolte, in quanto nel complesso riconducibili alla tutela dell’ordine pubblico ed alla
difesa della sicurezza nazionale, seppur difformi sul piano strutturale e degli status
dei relativi appartenenti.
A proposito della specificità del “comparto” e delle sue differenziazioni interne,
due sono gli aspetti che preme evidenziare: il primo è quello del diverso status
giuridico del personale interessato (vi è quello militare e quello civile); il secondo
consiste nel settore d’intervento nel quale le varie componenti vengono impiegate.
Ordine e sicurezza pubblica interna, per le forze di polizia; sicurezza dei confini
nazionali e missioni militari alle estero per le forze armate.
Il D. Lgvo n. 195/1995 attuato la ricomposizione di un quadro unitario ed uniforme
per tutti e cinque i corpi di polizia e per le Forze Armate, attraverso la
determinazione di procedure negoziali simili. Il diverso regime del rapporto
d’impiego, afferente agli appartenenti alle Forze Armate ed alle Forze di Polizia,
rispetto al regime proprio del cosiddetto comparto “Ministeri”, trae origine e
giustificazione dalla particolarità e dalla delicatezza delle funzioni svolte dal
personale e dal conseguente status speciale che il personale stesso viene ad
assumere. Elementi significativi per la comprensione della particolarità e specificità
propria del personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate sono i seguenti:
82
l’obbligo di indossare l’uniforme nello svolgimento del servizio, la rigidità
dell’apparato disciplinare e sanzionatorio, l’inquadramento in una struttura
fortemente gerarchizzata, la presenza di altri obblighi che hanno evidente
ripercussione anche nella vita privata del personale13.
Prima dell’emanazione del D.Lgvo n. 195/1995, ai fini del trattamento economico e
di quanto normativamente ad esso connesso, si applicava la previsione dell’art. 43,
comma 16, della legge n. 121 del 1981, 14 il quale recita: «il trattamento economico
previsto per il personale della Polizia di Stato è esteso all’Arma dei Carabinieri e
ai Corpi previsti ai commi primo e secondo dell’art. 16», cioè al Corpo della
Guardia di Finanza, al Corpo della Polizia Penitenziaria (allora Corpo degli Agenti
di custodia) ed al Corpo Forestale dello Stato.
Per questa previsione legislativa, gli accordi conclusi a norma dell’art. 95 della
legge n. 121 del 1981, fra la delegazione governativa, presieduta dal Ministro della
Funzione Pubblica e composta dal Ministro dell’Interno e del Tesoro, ed i sindacati
rappresentativi del personale della Polizia di Stato, erano applicati, per la sola parte
economica al personale appartenente alle altre Forze di Polizia, mentre per
l’equiparazione normativa, erano necessari provvedimenti speciali di recepimento.
Attraverso il citato provvedimento e più di recente con il D. Lgvo n. 129/2000,
contenente disposizioni integrative e correttive dello stesso D. Lgvo n. 195/1995, le
rappresentanze delle forze armate e delle forze di polizia ad ordinamento militare, e
le organizzazioni sindacali del Corpo Forestale dello Stato e del Corpo della Polizia
Penitenziaria sono chiamate a partecipare attivamente al processo di elaborazione
delle norme contrattuali.
b. Le procedure negoziali
Le procedure negoziali che la normativa prevede sono di due tipi: la contrattazione
e la concertazione.
La differenza sostanziale tra la contrattazione e la concertazione è che nella prima,
riferentesi esclusivamente alle Forze di Polizia ad ordinamento civile,
l’amministrazione ed i Sindacati, reciprocamente controparti, sono soggetti
portatori giuridicamente riconosciuti di interessi diversi ed in conflitto; nella
seconda, propria delle Forze di Polizia ad ordinamento militare e delle Forze
13
14
Vds paragrafo 1pag.
“Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Sicurezza” – cosiddetta smilitarizzazione della Polizia.
83
Armate, le Amministrazioni determinano i contenuti del rapporto d’impiego, con la
collaborazione delle rappresentanza del personale militare.
L’applicazione delle predette procedure avviene su due distinti livelli negoziali:
− il processo di contrattazione relativo a tutte le Forze di Polizia ad ordinamento
civile (“contratto nazionale di lavoro”) e quello di concertazione concernente le
Forze di Polizia ad ordinamento militare e le Forze Armate;
− confronto interno ad ogni singola amministrazione (secondo livello di
contrattazione), che porta ad un accordo di Amministrazione, detto “Accordo
nazionale Quadro” (A.N.Q.).
Al “contratto” nazionale per le Forze di Polizia e per le Forze Armate, si giunge
attraverso tre distinti procedimenti negoziali.
Il primo, che riguarda le Forze di Polizia ad ordinamento civile (polizia di Stato,
Corpo della Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato), si svolge secondo i
canoni di una vera e propria “contrattazione sindacale”, e le parti sono
rappresentate da due distinte delegazioni: una di parte pubblica e l’altra di parte
sindacale, aventi caratteristiche che si preciseranno successivamente.
Il secondo ed il terzo procedimento, che concernono le F. di P.ad ordinamento
militare e le F.A. e si svolgono in luoghi e tempi distinti l’uno dall’altro, sono
invece finalizzati alla “concertazione”.
Nel caso di quest’ultima forma negoziale il confronto e le trattative avvengono
nell’ambito della delegazione di parte pubblica. Infatti, inserite all’interno della
parte pubblica, vi sono oltre ai rappresentanti degli Stati Maggiori, anche le diverse
sezioni del Consiglio Centrale di rappresentanza (COCER), per i Carabinieri,
Guardia di Finanza, Esercito, Marina ed Aeronautica Militare.
Tutti e tre i procedimenti negoziali sono avviati contemporaneamente dal Ministro
della Funzione Pubblica “almeno quattro mesi” prima della scadenza di precedenti
analoghi provvedimenti.
Il carattere di contemporaneità e di con testualità guida anche le fasi successive dei
procedimenti sino al passo della sottoscrizione dell’intesa. Infatti, le riunioni che
seguono all’apertura delle trattative, siano esse di carattere più squisitamente
tecnico che politico, si svolgono nello stesso giorno sia pure ad orari differenziati.
In sostanza, il tavolo negoziale non è comune.
Il Ministro della Funzione Pubblica ha comunque la facoltà, in quanto Presidente
delle delegazioni di parte pubblica, di convocare congiuntamente, al fine di
84
“assicurare condizioni di sostanziale omogeneità”, tutte le delegazioni di parte
pubblica, i rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa, dei Comandi Generali
dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, nonché le sezioni del COCER
e delle Organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale delle F. di P.
ad ordinamento civile.
Tale ultima circostanza finisce con il verificarsi raramente. E ciò accade in
considerazione del fatto che la complessità e la specificità delle problematiche
trattate è tale da richiedere adeguati approfondimenti; inconciliabili diventano
pertanto eventuali riunioni affollate e pletoriche che si rivelerebbero poco utili se
non addirittura controproducenti ai fini dello corretto andamento del negoziato.
I lavori negoziali si concludono con la “sottoscrizione di una ipotesi di accordo
sindacale”, per le F. di P. ad ordinamento civile, e la “formazione di uno schema di
provvedimento”, rispettivamente per le forze di polizia ad ordinamento militare e
per le F.A..
Tutti e tre gli schemi di provvedimento (ipotesi di accordo per le F. di P. ad
ordinamento civile e schemi di decreto per le F. di P. ad ordinamento militare e
F.A.), entro quindici giorni dalla loro sottoscrizione, sono portati all’esame del
Consiglio dei Ministri per la verifica delle compatibilità finanziarie e delle
eventuali osservazioni formulate dalle Organizzazioni sindacali e dalle Sezioni del
Consiglio centrale di Rappresentanza dissenzienti.
Una volta che gli schemi del provvedimento vengono approvati, essi vengono
recepiti in due “separati decreti del Presidente della Repubblica” concernenti,
rispettivamente, il personale delle F. di P., sia ad ordinamento civile che militare,
ad il personale delle F.A.. Quindi, superato il controllo preventivo di legittimità
della Corte dei Conti (si prescinde dal parere del Consiglio di Stato in quanto vi è la
deroga all’art. 17, comma 1, lett. E), della legge n. 400 del 1988, i decreti del
Presidente della Repubblica vengono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
I provvedimenti hanno durata quadriennale, per la parte normativa, e biennale, per
gli aspetti economico-retribuitivi. L’efficacia dei decreti del Presidente della
Repubblica precedenti si conserva fino all’entrata in vigore dei provvedimenti
successivi. Il mancato raggiungimento dell’accordo sindacale o dell’intesa di
concertazione, entro centottanta giorni dall’avvio delle trattative e limitatamente
alla parte relativa ai trattamenti economici accessori, comporta l’obbligo da parte
85
del Governo di riferire alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica,
secondo le forme e le modalità fissate nei rispettivi regolamenti.
Tale ulteriore previsione normativa tiene conto della rilevanza delle funzioni svolte
dal personale appartenete al “comparto sicurezza” e delle caratteristiche del loro
status speciale e pertanto suggella una particolare attenzione e cura del legislatore,
volte a scongiurare il rischio di situazioni conflittuali, che potrebbero insorgere in
questa area contrattuale così delicata ed importante.
Con il più recente D. Lgvo 31 marzo 2000, n. 129, che ha integrato e in parte
modificato quanto previsto dal D. Lgvo n. 195 del 12 maggio 1995, si è voluto
rafforzare il ruolo delle “rappresentanze del personale” (segnatamente di quelle
riferentesi alle F. di P. ad ordinamento civile), attraverso un loro maggior
coinvolgimento in sede negoziale.
Tale passo è stato attuato dal legislatore intervenendo in modo rilevante su due
settori: integrando l’elenco delle materie oggetto di confronto fra rappresentanza
del personale e quella delle Amministrazioni ed affermando il cosiddetto “secondo
livello di contrattazione”, quello relativo alla contrattazione collettiva integrativadecentrata.
Accanto alle precedenti materie già contemplate dal D. Lgvo n. 195 del 1995, quali
il trattamento economico fondamentale ed accessorio, la durata massima dell’orario
di lavoro settimanale, il congedo ordinario ed il congedo straordinario, l’aspettativa
per motivi di salute e di famiglia, i permessi brevi per esigenze personali, le
aspettative, i distacchi ed i permessi sindacali, il trattamento economico di missione
e di trasferimento, i criteri di massima per la formazione e l’aggiornamento
professionale ed i criteri istitutivi degli organi di verifica della qualità dei servizi
mensa e per la gestione degli enti di assistenza del personale, il D.lgvo n. 129/2000
ha aggiunto nuovi ed importanti argomenti di confronto negoziale.
In forza di tale provvedimento, sono diventate materie oggetto di contrattazione:
1). le misure per incentivare l’efficienza del servizio;
2). le misure dei fondi integrativi del servizio sanitario nazionale;
3). il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari;
4). il trattamento economico di lavoro straordinario.
L’elenco delle discipline oggetto di concertazione per le F. di P. ad ordinamento
militare e per le F.A. è stato arricchito limitatamente ai contenuti dei punti 3) e 4).
86
Per completezza di trattazione occorre altresì aggiungere, sempre nel contesto del
“confronto fra la parte pubblica e la parte sindacale all’interno di ciascuna
Amministrazione”, che la normativa contrattuale prevede una fitta rete di relazioni
sindacali basate su varie forme di coinvolgimento dei sindacati.
Il complesso sistema delle relazioni sindacali si fonda sull’obbligo delle
amministrazioni di informare le sigle sindacali sulle proprie decisioni rispetto a
determinate materie.
Il complesso sistema delle relazioni sindacali si fonda sull’obbligo delle
Amministrazioni di informare le sigle sindacali sulle proprie decisioni rispetto a
determinate materie.
Gli istituti delle “relazioni sindacali” individuati dalle norme contrattuali ed indicati
in un ordine” gerarchico che tiene conto del grado di rilevanza del parere espresso
dalle rappresentanze sindacali, sono i seguenti: informazione preventiva,
consultazione ed informazione successiva.Anche nel caso dell’attivazione degli
istituti propri delle relazioni sindacali si hanno dei processi negoziali molto
complessi e spesso difficili da condurre per la parte pubblica.
c. I negoziatori
Gli scritti di coloro i quali possono essere considerati i padri della negoziazione e
che, indiscutibilmente, figurano fra i massimi studiosi di livello internazionale della
materia negoziale15 contengono, quasi sempre, nelle premesse un concetto generale:
“il negoziato è un fatto della vita”. Ossia, la quotidianità offre, sia nella vita
familiare che in quella professionale, una serie infinita di situazioni conflittuali che
debbono essere, necessariamente, fronteggiate, facendo ricorso alle proprie doti di
pazienza, di tolleranza ed altre proprie capacità di mediazione.
La frequenza delle occasioni conflittuali tende enormemente ad accrescersi nel caso
di specifiche attività professionali e lavorative. Fra queste è, senza dubbio,
ricompressa quella svolta dal negoziatore di parte sindacale (sindacalista) e del
negoziatore di parte pubblica o aziendale che nel negoziato interagisce con il primo.
Volendo tracciare un identikit del negoziatore si può dire, riprendendo quanto
efficacemente detto da Raffa16,il negoziatore è colui il quale ha la “capacità di
15
R. Fischer, W. Ury, 1985:“nel negoziato è più importante il processo che il risultato”; H. Raffa, 1982: “il
negoziato è più una filosofia che una tecnica”.
16
Raffa: “The art. and Science of Negotiation”, (1982),
87
pianificazione”, la “conoscenza della materia tratta”, la capacità di esporre
chiaramente la propria posizione e la “capacità di convincere”.ma è altresì
importante che la carta di identità del negoziatore oltre alle caratteristiche più
specificatamente culturali anzidette, indichi anche le sue doti comportamentali. Il
buon “negoziatore” dovrà essere dotato di eccellente autocontrollo, di grande
capacità decisionale, che deve essere espressa in modo equilibrato, e prestare
un’elevata propensione all’ascolto, mostrandosi in ogni circostanza molto paziente.
In buona sostanza, notevole deve essere la sua solidità caratteriale.
Nel tipicizzare la figura del negoziatore aziendale17 (assimilabile a quello di parte
pubblica), sono state individuate due tipologie: “il negoziatore flessibile” ed il
“negoziatore missionario”.
Nella prima fattispecie sono sicuramente compresi coloro i quali mostrano una
spiccata attitudine a pervenire comunque ad una accordo. Un sostanza il
“negoziatore flessibile”, partendo dal presupposto che qualsiasi accordo può
comunque essere rinegoziato in futuro, ed in un momento considerato migliore, è
disponibile ad accettare anche condizioni particolarmente gravose, purchè
l’eventuale situazione conflittuale creatasi venga risolta.
Di contro il “negoziatore missionario”o potrebbe essere considerato colui il quale
accetta l’intesa con l’altra parte solo nel momento in cui si è raggiunta una
posizione stimata come coerente rispetto alla direttrice ed all’obiettivo prefissati.
Nella realtà, il negoziatore ottimale deve possedere caratteristiche “personali”
(incluse quelle legate alla propria formazione culturale) tali da collocarsi in modo
intermedio rispetto ai due profili estremi sopra tracciati, non deve vedere le parti né
come amici né come avversari ma come “persone che risolvono il problema” e non
deve ricercare né la vittoria assoluta né il facile accordo, ma una intesa buona ed
efficace18.
17
Cattaneo: “Il tavolo delle trattative e riti della negoziazione”, 1999.
Un clima di dialogo, consentirebbe peraltro, a fronte di un contratto non del tutto soddisfacente, di
strappare, al Governo “a latere” delle procedure di concertazione, l’impegno alla trattazione in altre sedi o
nell’ambito di compatibili veicoli legislativi, di eventuali problematiche/richieste che non si sono potute
affrontare/soddisfare.
18
88
3. LE FASI DELLA NEGOZIAZIONE
Il grafico che segue, illustra le diverse fasi nelle quali è possibile articolare il ciclo
negoziale in funzione dell’ “energia negoziale” ossia del livello di intensità19 che si
raggiunge nei vari momenti della trattativa.
Fase 1
Fase 2
Rapporto negoziale e
Preparazione della
Trattativa vera e propria
occasione negoziale
trattativa
Fase 3
Energia negoziale
Fase 0
“Stretta finale” e
stesura dell’accordo
Una fase iniziale, “fase zero”, nella quale si assiste alla nascita della occasione
negoziale; una “fase uno” in cui avviene la preparazione della trattativa (la parte
“sindacale” definisce i contenuti della propria proposta rivendicativa attraverso un
processo negoziale preventivo intraorganizzativo e la parte pubblica delegata trattare si
organizza e riceve le direttive sulla conduzione della trattativa stessa); una “fase tre”
(cosiddetta della “stretta finale”), al termine della quale si giunge alla stipula
dell’accordo.
a. Fase zero: il rapporto negoziale e la nascita dell’occasione negoziale
Tale fase è rappresentata graficamente da una retta tratteggiata che ha un valore
costante dell’ordinata (ossia dell’”energia negoziale” utilizzata), a testimonianza
del fatto che la maggior parte delle negoziazioni si svolge in un “contest di rapporti
negoziali continuati”20.
19
Riferibile, ad esempio, alla periodicità degli incontri, all’ impegno e all’attenzione cui le parti sono
sottoposte.
20
Il grafico evidenzia come l’energia sindacale non parta dall’origine, ma da un punto diverso dallo Ø, in
quanto le richieste che vengono avanzate tendono ad inglobare problematiche su cui le rappresentanze
hanno già dimostrato, anche in precedenza, un certo interesse.
89
Nell’ambito di tale continuum negoziale, vi può essere l’insorgenza di situazioni
conflittuali nel momento in cui compaiono tre fattori concomitanti:
− la nascita di bisogni individuali e collettivi;
− esistenza di condizioni che consentono di soddisfare, sia pure parzialmente, i
bisogni stessi;
− intendimento fermo e convinto da parte di coloro i quali assumono il ruolo di
“interpreti delle altrui esigenze” di ottenere il riconoscimento della legittimità e,
quindi, l’accoglimento delle richieste.
Si viene così ad innescare un processo rivendicativo che può procedere in due
distinti modi: il primo contempla azioni volte ad ottenere l’imposizione delle
proprie rivendicazioni sulla controparte; il secondo consiste, invece, nell’avvio di
un confronto dialettico. Tale atteggiamento preferisce intraprendere la strada
negoziale che produce l’instaurarsi di un rapporto tra le parti indubbiamente più
impegnativo, ma che a lungo andare si rivela sicuramente più produttivo ed ha
come proposito il raggiungimento di un accordo finale che riesca a conciliare i
bisogni, gli interessi e le disponibilità di entrambe le parti.
L’occasione negoziale può derivare anche più semplicemente e fisiologicamente
dalla necessità di rinnovare un contratto temporalmente scaduto, qual è il caso
preso in analisi.
b. Fase uno: la preparazione della trattativa
La preparazione della trattativa rappresenta un momento delicato della procedura,
sia per la parte pubblica che dovrà stabilire il tragitto che intende seguire, sia per la
parte sindacale, la quale dovrà definire i contenuti rivendicativi attraverso la
redazione della cosiddetta “piattaforma”21.
Ai fini dell’individuazione dei contenuti rivendicativi, intervengono tre importanti
fattori: l’ideologia, ossia la visione ideologiche delle rappresentanze che determina
di fatto la selezione e la scala di priorità delle richieste; il tipo di ruolo che i
rappresentanti del personale intendono interpretare, assumendo esclusivamente
posizioni di scontro e di contrapposizione oppure adottando il metodo dello
scambio e quindi instaurando una relazione negoziale di confronto costruttivo con
la parte pubblica. Sicuramente, per le trattative che riguardano il “comparto
21
Il termine evoca l’idea di qualcosa di rigido e non penetrabile, sintomatico di un approccio al negoziato che
tradizionalmente è stato di contrapposizione tra le parti.
90
sicurezza” un “fattore quadro” di negoziazione determinante è dato dagli elementi
di scenario. La situazione politica ed economica generale, che finisce col definire le
risorse da destinare ai rinnovi contrattuali, l’interesse dell’opinione pubblica nei
riguardi del “problema sicurezza”, le linee di tendenza e le iniziative espresse dalle
parti in precedenti occasioni negoziali, costituiscono i punti di riferimento della
contrattazione che si va ad aprire.
Mentre infatti l’Amministrazione può limitari semplicemente a fissare propri
obiettivi attraverso un processo di confronto interno che viene di fatto ristretto a
coloro i quali è affidato l’onere di condurre le trattative, i rappresentanti del
personale, accanto ad una prima fase di determinazione dei risultati da conseguire,
deve avviarne una seconda, più complessa, di convincimento dei propri iscritti sulla
bontà degli obiettivi prefissati.
Dalla descritta asimmetria delle posizioni fra Amministrazione e Sindacati nasce
una spiccata ambiguità del negoziato, caratteristica questa tipica del processo
negoziale sindacale, il quale, per potersi sviluppare e poter superare i numerosi
ostacoli di percorso, fa ricorso al cosiddetto “canale informale”. Ossia, occorre che
vengano avviati, come più nel dettaglio sarà illustrato a proposito delle tecniche
comportamentali di negoziazione, delle relazioni interpersonali informali utili al
superamento di eventuali situazioni di stallo della trattativa.
c. Fase due: la trattativa vera e propria
Questa fase, che rappresenta il momento cruciale del negoziato, inizia con
l’illustrazione delle posizioni (che potrebbe non coincidere con la semplice rilettura
della “piattaforma”) accompagnata, spesso, da “opinioni su filosofie, su politiche,
su ruoli istituzionali, su dinamiche storiche e sociali con riferimenti molto ampi ai
fattori di scenario, di quadro politico, di congiuntura economica, di rapporto
sociale” e si indugia in un “esibizionismo culturale”, non sempre utile
nell’economia del negoziato.
L’esperienza insegna che ogni occasione negoziale che si apre, specie nel contesto
di un rinnovo contrattuale, viene normalmente vista come il momento in cui è
possibile portare a soluzione tutti i problemi rimasti insoluti da lungo tempo.
Pertanto, all’inizio di tale fase in un clima spesso carico di elevata tensione che
rende, come sostengono alcuni autori, “forte” il contesto negoziale, il negoziatore di
parte pubblica cerca di delimitare il confine dell’area negoziale, evidenziando
91
quelle richieste e quegli elementi giudicati incompatibili con la trattativa in corso.
Buona regola, in tale fase, è quella di concordare l’”agenda negoziale”, ossia
l’ordine ed i tempi da seguire nel trattare i temi contenuti nella piattaforma
rivendicativa, partendo, secondo un principio comunemente adottato, dalle
problematiche meno complesse.
Il confronto “faccia a faccia” sui contenuti, siano essi di natura economica che
normativa, si accende nel momento in cui la parte pubblica presenta il documento
con il qual rende nota la sua posizione rispetto agli elementi prospettati dai
sindacati e ai temi ritenuti interessanti per il rinnovo contrattuale. Qualora le
posizioni fra la parte pubblica e quella sindacale siano particolarmente distanti ed i
cosiddetti “nodi strutturali”, che il sindacato ha rappresentato nella piattaforma
rivendicativa, non vengano sciolti in modo giudicato soddisfacente, vi può essere
un rifiuto plateale della proposta elaborata dall’Amministrazione ed una
conseguente “rottura” del dialogo con l’avvio di iniziative di mobilitazione e di
conflittualità.
In tale contesto può giungere in soccorso ricorrere a “tavoli paralleli riservati” che
in quanto informali consentono una maggiore libertà di movimento e di espressione
per i negoziatori ed in ultima analisi, permettono di “separare le persone dal
problema”.
d. Fase tre: la “stretta finale e stesura dell’accordo”
La trattativa, che a questo punto volge ormai al termine, registra una sostanziale
intesa di entrambe le parti su molti punti considerati qualificanti. Nel tracciare un
bilancio complessivo di tutto il lavoro negoziale svolto, appaiono però sicuramente
dei problemi la cui risoluzione stata, esplicitamente e concordemente, rinviata a
questa parte finale del negoziato. L’obiettivo che si vuole conseguire quindi nella
“fase terza” è quello di realizzare accordi sulle questioni rimaste insolute.
Perché questa fase sia produttiva è necessario che ne venga assicurata la continuità
di svolgimenti; la continuità di presenza innesca infatti processi di “natura
psicologica” che possono essere orientati a rimuovere quelle resistenze espresse dal
sindacato al momento della stipulazione dell’accordo. Nella stretta finale il
negoziatore di parte pubblica, in sostanza, nel tentativo di trasformare i punti di
dissenso in mementi di intesa, chiede aiuto al negoziatore sindacale e valuta il suo
intervento non sulla base del grado di rappresentatività della sigla cui appartiene,
92
ma in ragione della sua abilità nel produrre soluzioni originale e mediazioni atte a
creare condizioni perché il negoziato faccia passi avanti. In questo particolare clima
di sorprendente interazione che si crea tra le parti, vengono concordati i contenuti
che saranno formalmente esplicitati con la stesura del testo.
Terminata la stesura del testo, si giunge al momento conclusivo del processo
negoziale: la firma del contratto22, che so svolge con una ritualità ben definita che
vuole la presenza dei mass media
e le maggiori personalità istituzionali: dai
Ministri, ai Capi delle F. di P., ai sindacati a ranghi completi, inclusi i Comandanti
Generali delle F. di P. ad ordinamento militare ed i Capi di Stato Maggiore.
22
Con il D. Lgvo n. 129 del 2000 (art. 5) è stato sancito che alla sottoscrizione del provvedimento
partecipano anche i rappresentati del COCER.
93
CAPITOLO QUINTO
“ LA NECESSITÀ DI UN PROCESSO DI RIFORMA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE”
1. LE INIZIATIVE DELLE LEGISLATURE PRECEDENTI ALLA XIII
Con la caduta del muro di Berlino nasce in Italia, ma più in generale in tutto il mondo
occidentale, un dibattito sul ruolo che devono assumere le Forze Armate a seguito dei
mutati scenari geopolitici internazionali.
Sulla necessità di procedere ad una rivisitazione dello strumento militare vengono
peraltro ad assumere un ruolo determinante le importanti missioni internazionali di
supporto umanitario e di mantenimento della pace, cui l’Italia è chiamata a
partecipare1:
− agosto 1990 – marzo 1991: guerra del Golfo, l’Italia partecipa con un limitato
contingente di militari composti da unità aereo navali e forze dell’esercito;
− 1 ottobre 1991 - 5 dicembre 1993: circa 5.000 militari vengono impegnati
nell’operazione umanitaria in Albania denominata “Operazione Pellicano”;
− febbraio 1993: circa 800 militari sono impegnanti nell’operazione “Albatros” in
Mozambico;
− 15 maggio 1993 l’esercito Italiano con circa 2.500 unità partecipa in Somalia
all’operazione “Restore Hope”2.
Anche in ambito nazionale, le Forze Armate sono chiamate a contribuire alla sicurezza
interna:
− luglio 1992: l’Esercito partecipa all’Operazione “Forza Paris” in Sardegna, in
supporto alle forze dell’ordine impegnate per la repressione dei sequestro di Farouk
Kassam;
− luglio 1992: l’Esercito, a seguito delle stragi di Capaci e via D’Amelio. A è
impiegato in Sicilia allo scopo di contribuire al presidio del territorio e per
1
La prima in ordine di tempo è rappresentata dall’intervento delle Forze Armate italiane in Libano nei primi i
anni ottanta.
2
Dove perde, il 3 luglio dello stesso anno, tre militari durante un operazione di routine nella zona del “checkpoint Pasta”.
94
prevenire e contrastare l’azione della criminalità organizzata, nell’operazione
denominata “Vespri Siciliani”. Vi rimarrà fino al 1998.
L’ampia risonanza dell’opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione sull’impiego
dello strumento militare nelle realtà internazionali e come nuovo attore nella lotta alla
criminalità organizzata, determinò un clima di generale sensibilità anche verso le
problematiche del personale con le stellette.
In tale contesto di cambiamento generale dello strumento militare si avvertì, da parte
della classe politica, la necessità di procedere anche ad una rivisitazione della
normativa afferente gli organismi di tutela degli interessi del personale militare3.
A partire dalla X Legislatura furono presentati una serie progetti di legge in materia di
Rappresentanza Militare finalizzati sia a modificare l’originario quadro di riferimento
funzionale e strutturale dell’istituto come anche a dettare nuove norme in materia di
diritto di associazione dei militari.
Tale processo di riforma, nonostante le diverse iniziative parlamentari che si sono
susseguite fini ai giorni nostri, non ha ancora visto la luce.E’ nel corso dei primi anni
90 che vedono la luce le prime proposte di legge (X e XI Legislatura) volte a
modificare l’istituto della Rappresentanza Militare la cui esigenza era particolarmente
sentita anche dagli appartenenti all’istituzione.
a. Indagine conoscitiva sul funzionamento della rappresentanza militare presso
la IV commissione Difesa della Camera dei Deputati del 21 gennaio 1992
Uno dei primi segnali della necessità di un procedere ad un revisione della legge
istitutiva della rappresentanza militare si ebbe nel corso dell' audizione del COCER
del 1992 (X Legislatura), indetta dalla IV Commissione Difesa della Camera dei
Deputati al fine di procedere ad una indagine conoscitiva sul funzionamento
dell’Istituto, alla quale seguì, il giorno successivo, l’audizione dell’allora Capo di
Stato Maggiore della Difesa Gen. Domenico Corcione.
Nel corso dell’incontro i delegati evidenziarono che erano ormai maturi i tempi per:
procedere ad alcune modifiche della legge istitutiva della rappresentanza militare,
ciò al fine di perseguire obiettivi quali: la tutela del delegato, il funzionamento
degli organi di rappresentanza ed il ruolo della rappresentanza stessa, la cui attività
veniva spesso ostacolata dai Comandanti.
3
Ne sono la prova le diverse iniziative parlamentari presentate sull’argomento.
95
Le proposte di modifiche che furono avanzate erano riferite a:
− la rieleggibilità dei delegati, ciò al fine di garantire la continuità del mandato;
− le elezioni per il Presidente di ciascun organo della rappresentanza;
− l’esclusività dell’incarico di delegato;
− la libera convocazione dei Consigli, svincolata dalla autorizzazione
dell’Autorità militare corrispondente;
− un maggiore flusso di informazioni e la possibilità di divulgare tutti i documenti
prodotti da ciascun consiglio;
− il ruolo propositivo/negoziale da attribuire alla rappresentanza militare in ordine
al trattamento economico, alla tutela di natura giuridica, sanitaria, culturale e
morale dei militari;
− l’inadeguatezza dei meccanismi elettorali che non tenevano in debito conto il
rapporto tra gli eletti e gli elettori nell’ambito dei consigli e tra le diverse
categorie;
Nel corso dell’audizione del giorno successivo fu ascoltato l’allora Capo di Stato
Maggiore della Difesa, autorità corrispondente del COCER, il quale dopo aver
confermato l’esistenza di alcuni malfunzionamenti in seno alla rappresentanza4, si
soffermò essenzialmente sul ruolo negoziale/sindacale rivendicato dai delegati. In
tale contesto manifestò la sua sostanziale contrarietà a modificare il quadro
normativo di riferimento in quanto, le modifiche alla legge n. 382 del 1978 volte a
rafforzare i Consigli di rappresentanza, avrebbero creato i presupposti per la
creazione di organismi interni all’amministrazione della Difesa di tipo « “soviet dei
militari».
b. Proposta di legge n. 1150 del 26 giugno 1992: “Istituzione dell’ufficio del
Commissario parlamentare alle Forze e armate”
Con il progetto di legge venne proposta l’istituzione dell’ufficio del Commissario
parlamentare, già precedentemente discussa nel corso dell’approvazione della legge
4
La sproporzionalità dei membri del COCER ed procedimento di verifica del numero legale. In merito al
numero dei delegati COCER, fu evidenziato che i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri unitamente a
quelli della Guardia di finanza erano pari al numero di delegati delle tre Forze Armate. Tale composizione
poteva determinare in occasione della trattazione di problematiche contrastanti, l’impossibilità della
prosecuzione dell’attività a seguito della mancanza del numero legale, strumento utilizzato sia dalle Forze
Armate (Esercito, Marina Aeronautica) che dalle Forze di Polizia ad ordinamento militare (Arma dei
Carabinieri e Guardia di finanza) per impedire le deliberazioni.
96
n. 382/1978, allo scopo favorire una maggiore espressione democratica dei
sentimenti e delle esigenze del personale militare, e per superare la situazione di
disagio in cui si trovavano gli organi interni di tutela, dovute a5:
− eccessiva burocratizzazione delle rappresentanza militare;
− vertice politico della struttura risucchiato dalle “coerenze” e non dalla “fedeltà”
ai principi;
− poca attenzione del parlamento sulla problematica.
Tali difficoltà determinavano, nei confronti degli interessati, un senso di forte
malessere legato alla consapevolezza che era necessario fare “un salto di qualità”.
L’ufficio del Commissario parlamentare delle Forze Armate, in tale conteso,
avrebbe consentito:
− un maggiore impulso ed una ulteriore affermazione dei principi e dei diritti
democratici, in una istituzione, quale quella militare che, sebbene fosse regolata
da principi gerarchici, non doveva coartare i diritti di dignità umana del rispetto
della personalità del singolo, ma piuttosto garantire i fondamentali principi
democratici di una società civile e moderna;
− una maggiore capacità di intervento del Parlamento, quale sua prerogativa
irrinunciabile del sindacato ispettivo, in riferimento a temi specifici e ad
eventuali possibili richieste che potevano essere rivendicate dalle Forze
Armate;
− una revisione coraggiosa del modello militare e del proprio apparato difensivo,
ciò anche nella considerazione del mutato quadro internazionale in cui si
trovava l’Italia.
5
Come era stato precedentemente espresso dal COCER nel corso della citata audizione del gennaio 1992.
97
c. Proposta di legge n. 2287 del 23 febbraio 1993:“Riforma della rappresentanza
militare”6
La permanenza in Parlamento di numerose differenze politiche rispetto al ruolo da
conferire alla rappresentanza militare e la notevole resistenza conservatrice degli
Alti Comandi, che impedirono che la legge sui principi seguisse una coerente
articolazione normativa tale da permettere la crescita di concreti poteri democratici,
spinse, secondo quanto emerge dalle premesse del progetto di legge di che trattasi, i
Deputati proponenti a rimettere in discussione il funzionamento degli organi di
rappresentanza del personale militare, «rimasti contenitori vuoti, privi della
capacità di incidere sulla concreta vita militare, frustrando gravemente una
straordinaria carica di dedizione e fiducia di tanti uomini in divisa nella possibilità
di contribuire di persona al miglioramento della difficile condizione militare».
«I Governi succedutisi alla guida del paese, in questi anni, hanno sostanzialmente
delegato agli Stati Maggiori il governo della rappresentanza militare, rinviando
l’urgente esigenza di una adeguata riforma della normativa attuativa, che
riconoscesse nuovi reali poteri e competenze agli organismi elettivi».
Tenuto conto delle predette esigenze, comuni in gran parte, agli altri progetti di
legge abbinati, si diede inizio all’iter approvativo, che portò, nell’agosto del 1993,
alla stesura di un testo unificato elaborato dal Comitato ristretto della IV
Commissione Difesa della Camera dei Deputati.
Il nuovo articolato introducesse, rispetto all’impianto normativo di riferimento,
alcune novità quali:
− l’istituzione di tre organi centrali, uno per le Forze Armate e uno per
Carabinieri e Guardia Finanza (art. 1);
6
Di inziativa dei Deputati Meleleo, Tassone, Abbate, Caccia, Di Giuseppe, Fumagalli, Leone, Mensorio,
Morgando, Nucci Zarro, successivamente abbinata e discussa unitamente alle proposte di legge: Sospiri e
Gasparri: “limiti del mandato della rappresentanza militare” (1398); Piro: “diritti della rappresentanza
militare” (1547); Pappalardo: “nuove norme sulla rappresentanza militare” (1709); Dorigo ed altri:
“nuove norme sugli organismi della rappresentanza militare” (1991); Sospiri ed altri: “nuove norme di
principio sulla rappresentanza militare” (2036); Crippa ed altri: “nuove norme sugli organismi di
rappresentanza militare” (2674); Polli ed altri: “riforma della rappresentanza militare” (2647);
Gasparotto: “riforma della rappresentanza militare delle forze armate, dei Carabinieri e della Guardi di
finanza” (2716); Potì ed altri: “disciplina della rappresentanza militare” (2765).
98
− l’istituzione di un comitato interforze di coordinamento tra i tre consigli
centrali, composto dai rappresentati di tutte le Forze Armate e Corpi Armati
(art. 1);
− il criterio della proporzionalità per le elezioni dei rappresentanti di ciascuna
categoria di personale (art. 2);
− la possibilità di revocare i delegati eletti a seguito di richiesta scritta dai due
terzi di coloro che li avevano votati (art. 4);
− la rieleggibilità dei delegati ma per non più di due mandati consecutivi (art. 7);
− la convocazione libera dei consigli senza l’autorizzazione dell’autorità militare
corrispondente (art. 8);
− il ruolo negoziale da attribuire agli organi centrali della rappresentanza militare
in ordine alla disciplina del rapporto d’impiego del personale militare
(trattamento economico, orario di lavoro, indennità, licenze, formazione ed
aggiornamento o professionale, ecc – art. 12);
− la trasmissione delle delibere degli organi centrali anche ai ministri interessati
(Difesa e Finanza – art. 15);
− incontri trimestrali tra una delegazione degli organi centrali ed il Ministro della
Difesa per l’analisi delle problematiche di competenza della rappresentanza
militare (art. 15);
− la divulgazione anche ai mezzi di informazione e di stampa di tutte le delibere
degli organi della rappresentanza militare (art. 16);
− l’applicazione per i delegati della rappresentanza militare dell’art. 28 dello
statuto dei lavoratori in materia di condotta antisindacale (art. 17);
− immunità per le opinioni espresse dai delegati nell’esercizio del relativo
mandato ed impossibilità di sottoporli a reimpiego (art. 18).
Tali progetti non conclusero per tempo tuttavia il loro iter e decaddero alla fine
della legislatura.
99
2. LE INIZIATIVE DELLA XIII
Dopo un periodo di sostanziale silenzio degli organi parlamentari sul progetto di
riforma della rappresentanza militare7, il dibattito su tali problematiche riprese nel
corso della XIII legislatura, con una serie di disegni di legge, volti a portare avanti le
linee d’azione già ipotizzate in precedenza.
a. Disegno di legge n. 2337 del 10 aprile 1997: “Riforma della rappresentanza
militare e diritto di associazione del personale delle Forze armate” 8
Nel corso della relazione illustrativa di tale progetto veniva evidenziato da parte del
relatore che la legge 11 luglio 1978, n. 382, istitutiva degli organismi della
rappresentanza, era ispirata dalla volontà di dare una positiva risposta ad un lungo
ed intenso impegno democratico del personale delle Forze armate, che lungo gli
anni Sessanta e Settanta aveva fatto crescere una forte domanda di partecipazione e
di protagonismo. Tuttavia le differenze politiche che sorsero successivamente sul
ruolo da conferire alla rappresentanza militare, che si sommarono ad una forte
resistenza conservatrice presente negli alti comandi, avevano impedito una coerente
evoluzione della legge sui princípi.9 Nel rimarcare che l'urgenza di mettere mano a
tutta la normativa della rappresentanza militare imponeva al legislatore di dare
effettiva realizzazione ai valori che ispirarono la legge sui "princípi", il relatore
sosteneva che era prevalsa, fino ad allora, un'interpretazione assai restrittiva della
legge n. 382 del 197810 e gli organismi della rappresentanza erano stati a lungo «dei
contenitori vuoti, privi della capacità d'incidere sulla concreta vita militare,
frustrando gravemente una straordinaria carica di dedizione e fiducia di tanti
7
Nella XII legislatura non vi furono infatti iniziative significative in materia di riforma, eccezion fatta per
l’atto Camera n. 93 a firma dell’On.le Scalia “nuove norme sugli organismi di rappresentanza militare”.
Anche l’approvazione del decreto legislativo n. 195 del 1995, che ha inserito il COCER nell’ambito della
concertazione ministeriale per la disciplina del rapporto d’impiego per il personale militare, è piuttosto da
inserirsi nell’ambito del generale ridimensionamento che ha interessato la disciplina del rapporto di tutto il
pubblico impiego e non sicuramente riconducibile al tentativo di riformare il quadro originario della
rappresentanza militare.
8
D'iniziativa dei senatori Russo Spena, Alebertini, Carcarino, Marino, Salvato, Marchetti, Cò, Bergonzi,
Manzi, Caponi e Crippa.
9
Fu sostenuto, in tale contesto, che si era determinata, a partire dall’intervento del Capo di Stato Maggiore
della Difesa, generale Concione, del 1993, una sostanziale chiusura dei vertici Militari nei confronti di tale
problematica, che «ha sortito l'effetto di allontanare il progetto di riforma nel tempo.»
10
Solamente in parte allentata dalla concessione del cosiddetto potere negoziale ai consigli centrali della
rappresentanza militare (COCER) in virtù del D. lgvo n. 195/1995.
100
"uomini in divisa" nella possibilità di poter contribuire di persona al
miglioramento della difficile condizione militare »
La necessità del varo di una riforma organica della rappresentanza era avvertita
anche per favorire, con una attiva partecipazione democratica, il superamento di
una pesante "crisi di motivazioni", che il personale militare sta vivendo dinnanzi
alla perdita di prestigio ed autorevolezza di alcune istituzioni dello Stato.
In tale dibattito fu tuttavia avvertita la necessità di procedere ad una riforma della
rappresentanza11 piuttosto che quella di garantire ai militari il diritto ad associarsi
sindacalmente, ciò al fine di evitare, come avvenuto per il Corpo della Polizia di
Stato a seguito della sancita dalla legge 1º aprile 1981, n. 121, il verificarsi di
processi di polverizzazione particolaristica, con il moltiplicarsi di organizzazioni
sindacali di ristrette categorie, che «hanno determinato un' impoverimento
corporativo dell'esperienza sindacale del Corpo della pubblica sicurezza».
Gli aspetti innovativi del disegno di legge, che comprendeva diciotto articoli,
afferiscono a:
− l’articolazione della Rappresentanza Militare in due comparti: comparto
sicurezza, costituito dalla le Forze di Polizia ad ordinamento militare e
comparto Difesa composto dal personale delle Forze Armate (art.1);
− la durata del mandato di 4 anni con possibilità di essere rieletti per un ulteriore
mandato (art.5);
− il raggiungimento di un quorum minimo per essere dichiarati eletti con suffragi
pari al 30 per cento calcolato in rapporto alla consistenza effettiva dei votanti
(art. 5);
− lo scioglimento e rielezione del consiglio in caso di dimissioni contestuali di un
numero di membri effettivi pari o superiori al 50 per cento della consistenza
organica del consiglio stesso (art. 5);
− la non comprensione delle mancanze disciplinari tra le cause di cessazione
anticipata del mandato di delegato (art. 5);
− le elezioni per la carica di presidente e di segretario all’interno dei Consigli di
Rappresentanza con possibilità di revoca (art. 6);
11
Pur rimanendo il divieto di organizzarsi in sindacati.
101
− l’immunità penale, civile e disciplinare per gli atti compiuti durante l’esercizio
del malandato di rappresentante e la sospensione dei vincoli disciplinari nel
corso delle assemblee (art. 8);
− l’impossibilità di trasferire i delegati nel corso del mandato e riconoscimenti
particolari ai fini dell’avanzamento12 (art. 8);
− la convocazione del Consigli di rappresentanza senza l’autorizzazione
dell’autorità militare e la possibilità per i consigli di avere rapporti anche con le
organizzazioni sindacali (art. 9);
− le competenze degli organi centrali della R.M. a trattare i criteri generali per la
mobilità del personale e per l'attribuzione degli incarichi (art. 12);
− la possibilità per i consigli centrali della rappresentanza, nell'ambito delle
materie di competenza, di chiedere di essere ascoltati dalle Commissioni
parlamentari e dai Ministri competenti (art. 15);
− il diritto di sciopero per i militari e la possibilità di costituzione o aderire ad
associazioni o circoli senza l’assenso del Ministro (art. 16).
b. Disegno di legge n. 3464 approvato dalla IV Commissione permanente (Difesa)
della Camera dei deputati il 21 luglio 1998: ”Nuove norme sulla rappresentanza
militare”
Sempre nel corso della XIII legislatura videro la luce ulteriori disegni di legge, che
furono discussi dalla IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati. Gli stessi
confluirono nel testo unico del 21 luglio 199813.
Analogamente a quanto fu evidenziato nel corso delle precedenti relazioni
illustrative che accompagnarono i progetti di legge fin qui trattati, queste ulteriori
iniziative evidenziarono come la Rappresentanza Militare, a partire dalla legge
istitutiva, era stato interessato da vari provvedimenti normativi che avevano
modificato significativamente l’originario quadro normativo di riferimento, pur
mantenendo in piedi il principio della collocazione interna all’ordinamento militare
12
Ricostruzione della carriera analogamente a quanto avviene per il personale impiegato presso i servizi di
sicurezza. (SISMI).
13
Testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge (V. Stampati Camera nn. 2370, 2881, 3356 e 3568) e
del disegno di legge presentato dal Ministro della Difesa (Andreatta) di concerto col Ministro delle Finanze
(Visco) col Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale (Treu) e col Ministro della Sanità (Bindi) (V.
Stampato Camera n. 3688) Trasmesso dal Presidente della Camera dei Deputati alla Presidenza il 23 luglio
1998.
102
dell’istituto , avevano determinato una serie di carenze che contribuivano a limitare
l’efficacia della rappresentanza militare:
− l’inadeguatezza dell’articolazione del COCER, che non prevede la possibilità di
deliberare per singole categorie o per comparti, consentendo alle categorie
maggioritarie di prevaricare quelle minatorie;
− la sproporzionata composizione numerica del COCER determinatasi a seguito
della legge n. 958/1986;
− l’utilizzo improprio della facoltà data al delegato di allontanarsi dall’aula delle
riunioni preordinato a far venir meno il numero legale e quindi, ad impedire il
funzionamento del Consiglio, specie al livello COCER, con conseguente
sperpero di risorse umane e finanziarie;
− la mancanza di continuità fra i mandati, derivanti dall’ineleggibilità immediata
dei delegati, che non consente ai più meritevoli di portare avanti l’azione di
rappresentanza con efficacia.
Il testo unico, si proponeva pertanto di porre rimedio alle predette disfunzioni
attraverso:
− una nuova articolazione degli organismi che prevedessero anche le riunioni di
comparto (Difesa, Sicurezza e Leva – art. 1);
− una più forte e coerente base di legittimazione del COCER mediante
l’estensione del corpo elettorale di tale organo agli eletti presso i Consigli di
base (art. 4);
− la previsione di rendere obbligatorie le richieste di parere al COCER in ordine
ai disegni di legge del Governo, di decreti legislativi e di regolamenti rientranti
nella relativa competenza (art. 6);
− un maggiore flusso informativo al COCER da parte delle autorità
corrispondenti
in
merito
agli
intendimenti
ed
agli
orientamenti
dell'amministrazione concernenti le materie oggetto di concertazione ai sensi
del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, o comunque rientranti nella
competenza dei consigli della rappresentanza (art. 6);
− l’inserimento dei criteri generali relativi ai trasferimenti del personale a
domanda, tra le materie di competenze della rappresentanza militare (art. 7);
− il criterio della proporzionalità nelle elezioni dei consigli della rappresentanza,
a tutti i livelli, in modo tale che questi fossero composti da un numero di
103
delegati eletti in proporzione alla consistenza di ciascuna delle categorie di
appartenenza (art. 8);
− la rieleggibilità dei delegati fino ad un massimo di due mandati consecutivi (art.
11);
− l’immunità ai delegati nei consigli della rappresentanza per le opinioni espresse
durante l'esercizio del mandato, a meno che queste configurino infrazioni per le
quali sia prevista l'irrogazione della consegna di rigore (art. 15);
− il riconoscimento dell’espletamento della funzione rappresentativa, con
particolare riferimento a quella svolta dai delegati del COCER, quale titolo utile
ai fin i dell’avanzamento (art. 15),
− la convocazione dei consigli svincolata dall’assenso dell’Autorità militare
corrispondente (art. 17);
− la diffusione ai mezzi di informazione dei contenuti delle deliberazioni e degli
eventuali comunicati approvati dai consigli, a tutti livelli, anche per mezzo dei
singoli delegati (art. 18).
c. Disegno di legge n. 4685 del
28 giugno 2000:“ Nuove norme sulla
rappresentanza militare”
Tale ulteriore disegno di legge, ultimo in ordine di tempo a vedere la luce nel corso
della precedente legislatura, partiva dalla considerazione, si legge nel corso della
relazione introduttiva, che stava gradualmente emergendo un diverso ruolo per le
Forze armate e un diverso rapporto con la società.
La compagine militare era infatti interessata da un serie di mutamenti (graduale
passaggio dal servizio di leva obbligatorio in favore di quello volontario, ingresso
delle donne e sempre più consistente partecipazione alle missioni estere) ai quali
nel tempo non erano seguiti quei processi di riforma “autentici” che servissero a
diminuire la distanza tra le Forze armate e la società e ad esaltare le potenzialità
della struttura militare. a doveva necessariamente accompagnarsi dei processi di
riforma i anni.
La necessità di “rivedere” i diritti dei cittadini in armi era avvertita come
ineludibile ed in tale contesto, l’impianto delle norme che disciplinavano la
rappresentanza militare, che aveva alle sue spalle ben 20 anni di esperienza,
sembrava mostrare una certa inadeguatezza e non aveva certo contribuito a
104
garantire all’istituto una significativa autonomia, dal momento che lo stesso
appariva fin troppo soggetto al controllo dell’amministrazione militare.
Risale peraltro a quel periodo la sentenza della Corte costituzionale, n. 449 del 17
dicembre 199914, che, sebbene avesse respinto la fondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 8, primo comma, della legge 11 luglio 1978,
n. 382, «Norme di principio sulla disciplina militare», che fa divieto ai militari di
costituire associazioni sindacali o di aderire a quelle già esistenti, in relazione agli
articoli 3, 39 e 52, terzo comma della Costituzione, fu comunque presa a
riferimento per sottolineare che la Suprema Corte avesse rimarcato la necessità che
«l’ordinamento deve assicurare forme di salvaguardia dei diritti fondamentali
spettanti ai singoli militari quali cittadini, anche per la tutela di interessi
collettivi».
Furono pertanto abbandonate le ipotesi di “aprire” ai militari la possibilità di
organizzarsi sindacalmente, e si decise di ripartire dall’originario quadro di
riferimento della R.M. cercando di ampliare gli spazi di tutela dei diritti dei militari,
come singoli e come collettività
Il testo prevedeva tendeva a garantire: un’interazione più stretta e più diretta, nei
due sensi, tra le amministrazioni interessate e i delegati e tra i vari livelli della
rappresentanza stessa; un maggiore coinvolgimento dei soldati di leva; una più
forte incisività sul processo di concertazione dei contenuti del rapporto di impiego,
in particolare per quanto riguarda eventuali contenziosi; un potenziamento dei
mezzi a disposizione dei delegati per esercitare il loro mandato, inclusa la
possibilità di presentare anche all’esterno le proprie istanze.
Gli aspetti più innovativi, rispetto a quelli precedentemente enunciati, riguardavano
essenzialmente:
− la previsione di disciplinare, con decreto del Ministro della Sanità, di concerto
con il Ministro della Difesa, l’istituzione ed il funzionamento di un autonomo
sistema di rappresentanza degli interessi generali del personale del Corpo
militare della Croce Rossa italiana, nonché di stabilire le eventuali forme di
collegamento con il sistema della rappresentanza militare (art. 3);
− l’inserimento tra le competenze della R.M. dei criteri relativi ai trasferimenti
del personale (art. 7);
14
Vds Capitolo III, paragrafo 3, sottoparagrafo g, pagg. 70 – 71.
105
− l’incarico esclusivo per i delegati del COCER, senza che per tale periodo
debbano essere sottoposti a valutazione (art. 15);
− le elezioni per la carica di Presidente con voto diretto, nominativo e segreto, a
maggioranza qualificata, da tutti i delegati di ciascun consiglio, con mandato ad
incarico esclusivo e senza essere valutati (art. 16);
− la riconferma delle convocazioni e le attività dei Consigli da concordare con le
autorità corrispondenti (art. 17).
3. LE INIZIATIVE DELLA LEGISLATURA ATTUALE (XIV)
Nel corso dell’attuale legislatura, a circa un mese dalle lezioni politiche del 13 maggio
2001, è stata presentata a cura dell’On.le Molinari l’atto Camera n. 932 recante “Nuove
norme sulla rappresentanza militare”15, con il quale il predetto Deputato, muovendo
da una serie di considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle che già enunciati, ha
richiamato l’attenzione del Parlamento su un problema delicato quale quello relativo
all’attualizzazione della normativa afferente alla tutela dei diritti del personale con le
stellette.
A tale iniziativa si è affiancata quella degli On.li Ramponi (a.C. n. 1718), Lavagnini (a.
C. 1822), Deiana ed altri (a. C. n. 1958), Ascierto (a. C n. 2063) e Minniti (a. C. n.
2193)16, che, dopo essere state assegnate alla IV Commissione Difesa della Camera dei
Deputati in sede referente, sono confluite nel testo unificato elaborato dal Comitato
ristretto, presentato alla Commissione in data 15 maggio 2002.
Successivamente, a seguito dell’esame in Commissione, è stato necessario procedere
ad una seconda sessione di lavoro del Comitato ristretto al fine di valutare i numerosi
emendamenti che sono stati presentati nel corso delle sedute, che ha dato al testo
unificato del 11 novembre 2003.
Parallelamente al progetto di riforma della rappresentanza, alcuni progetti di legge
presentati da parte degli On.li Bressa; Ascierto e Lavagnini (a. C. n. 3372, 3956 e
4034) hanno portato all’attenzione del Parlamento un ulteriore problematica degna di
approfondimento: l’istituzione di un autonomo comparto di negoziazione
e
concertazione per disciplinare il rapporto d’impiego del personale delle Forze di
Polizia e delle Forze Armate.
15
16
Del 20 giugno 2001.
Ultimo in ordine di tempo, presentato in data 21 gennaio 2002.
106
a. Il testo unico di riforma dell’11 novembre 2003
Il testo unico dell’ 11 novembre 2003, presentava diversi elementi di novità rispetto
a quello della stesura precedente.
Gli stessi andavano dalla nuova articolazione e competenze dei Consigli ai nuovi
poteri e forme dei tutela per i delegati.
Tra le nuove competenze attribuite alla rappresentanza militare, appare degna di
nota la concessione al COCER del “ruolo negoziale” nell’ambito delle procedure
per la definizione del rapporto di impiego, che, secondo quanto indicato dall’art. 8
del testo, dovrebbe svolgersi secondo una attività di “contrattazione”.
Tale discussa previsione, significava per le F.A. e per le F.di P. ad ordinamento
militare l’adozione di una procedura che non trova riscontro nel citato D. Lgvo. n.
195/1995, ma piuttosto nella normativa che disciplina le competenze delle
organizzazioni sindacali delle Forze di Polizia ad ordinamento civile.
Segnatamente alla procedura di disciplina del rapporto d’impiego anche
all’ambiente militare venivano riconosciute attribuzioni del tutto analoghe a quelle
previste dal D. Lgvo n. 29/1993 per il personale civile dello Stato.17
Nel corso della prosecuzione dei lavori in Commissione, nel periodo tra il 3 ed il 10
febbraio 2004, sono stati presentati circa centosessanta emendamenti, il cui esame
ha impegnato la Commissione fino al 30 giugno 2004.
Dalla lettura dei verbali di seduta emerge che la discussione dei 22 articoli del testo
è avvenuta in modo piuttosto speditivo fino al citato art. 8 ed ha subito una battuta
di arresto.
Tale problematica ha impegnato l’organo parlamentare per circa 2 mesi, impegnato
a discutere i diversi emendamenti e subemendamenti presentati.
Il dibattito si concluso a seguito dell’approvazione della proposta del relatore di
maggioranza18 nel corso della seduta del 17 marzo 2004, sulla quale anche è
intervenuta anche l’Autorità di Governo (il Sottosegretario alla Difesa On.le
Salvatore Cicu, che ha espresso un sostanziale parere di concordanza.
Secondo tale nuova previsione si determinerebbe rispetto al decreto legislativo n.
195 del 1995:
17
Che si concludono mediante la sottoscrizione di un contratto collettivo, così come avviene nella disciplina
del rapporto di lavoro privato ai sensi del Libro V Titolo II, Capo I del Codice Civile.
18
On.le Cossiga.
107
− la partecipazione autonoma del COCER nella concertazione, quale unica
controparte della delegazione di parte pubblica;
− l’inserimento dello Stato Maggiore della Difesa nell’ambito della delegazione
del Ministro della Difesa.
In termini “pratici” e sotto un profilo legislativo ed etico la variante è significativa
in quanto:
− il COCER è per la prima volta delegato a rappresentare autonomamente le
istanze del personale;
− lo SMD, trovando collocazione nella delegazione del Ministro, ovvero nella
delegazione di parte pubblica, costituirà, di fatto, la “controparte” della R.M.
In sostanza, si incrinerebbe la filosofia attuale che vedeva lo SMD ed il COCER
rappresentare insieme le istanze del personale e si concede al COCER un ruolo
negoziale, anche se l’attività decisionale rimane, comunque a livello Ministri
interessati.
b. Testo unificato del 30 giugno 2004, derivante dalla conclusione dei lavori della
IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in sede referente
Il testo licenziato dalla IV Commissione Difesa in data 30 giugno 2004, fermo
restando quando detto precedentemente in ordine alla partecipazione del COCER
alle attività negoziali, presenta ulteriori elementi di novità rispetto all’attuale
quadro normativo, principalmente riconducibili a:
− la presentazione di proposte, istanze e pareri su tematiche di interesse collettivo,
o anche relative ai singoli, nelle materie attinenti alla condizione, al benessere,
al trattamento ed alla tutela giuridica economica, sociale, sanitaria,
previdenziale, culturale e morale del personale militare (art. 1);
− la nuova suddivisone del personale: ufficiali in servizio permanente cat. A;
marescialli e ispettori cat. B; sergenti e sovrintendenti, cat. C; volontari in
servizio permanente e in ferma pluriennale, appuntati e carabinieri dell'Arma
dei carabinieri, appuntati e finanzieri della Guardia di finanza, cat. C; ufficiali
ausiliari cat. E; allievi degli istituti di formazione, cat. F; volontari in ferma
prefissata annuale cat. G (art. 2);
− l’istituzione di due comparti, rispettivamente composti da delegati, con rapporto
d’impiego, delle sezioni Esercito, Marina ed Aeronautica e dei delegati con
108
rapporto d’impiego, delle Sezioni Carabinieri e Guardia di Finanza, per le
attività di concertazione di cui al decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195
(art. 3);
− l’inserimento dei criteri generali relativi ai trasferimenti del personale tra le
materie di competenza della Rappresentanza Militare (art. 4);
− l’istituzione un “Comitato regionale Interforze”, formato dai delegati indicati
COIR, per curare i rapporti con le Regioni, in ordine alle materie di competenza
della Rappresentanza Militare (art. 5);
− la costituito di un Consiglio intermedio delle capitanerie di porto (COIR-CP),
eletto tra i delegati dei COBAR delle capitanerie di porto, il cui comandante
corrispondente è il Comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto. Il
comitato di presidenza del COIR-CP partecipa di diritto alle riunioni della
sezione COCER Marina quando si trattano questioni di specifico interesse del
personale del Corpo (art. 5);
− il funzionamento di un autonomo sistema di rappresentanza degli interessi
generali del personale del Corpo militare della Croce rossa italiana (art. 7);
− il ruolo negoziale attribuito al COCER nell’ambito delle procedure per la
definizione del rapporto d’impiego del personale militare, unica controparte
della delegazione di parte pubblica (art. 8);
− la competenza del COCER ad esprimere sugli schemi di disegni di legge del
Governo, di decreti legislativi e di regolamenti in ordine alle materie di propria
competenza. Tale parere è riportato nel preambolo di detti provvedimenti
specificando se favorevole o contrario (art. 9);
− la possibilità del COCER di attivare scambi di informazioni con altri consigli
rappresentativi,
sindacali
e
professionali
interessati
alle
attività
di
contrattazione, anche partecipando ad incontri, convegni e seminari di studio
organizzati da tali organismi, nelle materie rientranti nella propria competenza
Tale possibilità è concessa anche a tutti i delegati della Rappresentanza Militare
di partecipare, purché al di fuori dell'orario di servizio, a titolo personale e
senza indossare la divisa (art. 9);
− il principio della proporzionale degli eletti rispetto alla consistenza di ciascuna
categoria rappresentata (art. 12);
109
− la rieleggibilità dei membri dei consigli della rappresentanza per non più di due
mandati consecutivi e la durata del mandato di quattro anni per gli eletti in
rappresentanza delle categorie A, B, C e D (art. 13);
− la partecipazione degli eletti nei COBAR alle elezioni del COCER, nel corso di
consultazioni distinte da quelle relative ai COIR (art. 13);
− la possibilità per i delegati del COCER e del COIR di effettuare, d’intesa con le
autorità militari corrispondenti, visite conoscitive presso le strutture nel proprio
ambito di riferimento (art. 16);
− il consenso dell’interessato per i trasferimenti d'autorità dei delegati ad altre
sedi (art. 17);
− una maggiore tutela del delegato che non può essere penalizzato, all’atto
dell’avanzamento, per il servizio prestato in qualità di delegato nei consigli di
rappresentanza, a meno delle sanzioni disciplinari nel frattempo intervenute
(art. 17);
− la possibilità per i Consigli della Rappresentanza Militare di chiedere
l'intervento di personale in servizio esperto delle materie da trattare, anche
estranei all’Amministrazione, purché senza oneri a carico dell'Amministrazione
stessa (art. 19);
− la possibilità di rendere pubbliche ai mezzi di informazione e gli organi di
stampa le deliberazioni e gli eventuali comunicati approvati dal COCER, anche
a cura dei singoli delegati del COCER (art. 20).
Il testo è stato inviato in data 30 giugno 2004, per l’espressione del relativo parere,
alle Commissioni Parlamentari competenti in sede consultiva. Al riguardo si
evidenzia che le Commissioni 1ª – Affari Costituzionali, 2ª – Giustizia, 6ª –
Finanze, 12ª – Affari Sociali hanno già espresso parere favorevole senza
modificazioni al testo mentre:
− la 5ª – Bilancio, ha richiesto la predisposizione della relazione tecnica in merito
ai possibili oneri finanziari derivanti dall’applicazione della riforma, in base
all’art. 11 ter della legge n. 468/1978, rinviando pertanto il relativo parere;
− la 9ª – Trasporti, ha sottolineato l’opportunità di modificare il testo nel senso di
prevedere che le Capitanerie di Porto siano adeguatamente rappresentate nel
COCER e negli altri livelli come il personale delle altre Forze Armate;
− la 11ª– Lavoro, ha espresso parere favorevole a condizione che :
110
a). sia soppresso l’art. 13, comma 6 che sancisce l’impossibilità per gli eletti ai
COCER di mantenere l’incarico elettivo al COBAR e al COIR;
b). sia soppressa la lettera g. all’art. 14, che introduce un principio di
incompatibilità tra la carica di delegato e altra carica elettiva a qualunque
livello di amministrazione locale.
Non risultano esserci, alla data del 1 aprile 2005, ulteriori sviluppi in merito.
c. L’istituzione del comparto autonomo “Difesa e Sicurezza”19
Con il decreto legislativo n. 195 del 1995, successive modificato dal decreto
legislativo n. 129 del 31 marzo 2000, il legislatore ha inteso definire le procedure
per la disciplina del rapporto di lavoro anche al personale militare attraverso,
precedentemente escluso dal generale processo di contrattualizzazione dei rapporti
di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni che fu iniziato con la
legge n. 93 del 1983.
Il citato quadro normativo, nell’inquadrare genericamente il personale militare
nell’ambito della pubblica amministrazione, non sembra tener nella giusta
considerazione20 i maggiori doveri, le limitazioni di diritti, i disagi, i rischi ed i
vincoli nonché le possibilità cui è soggetto il citato personale, il quale si vede
pertanto riconosciuto un trattamento stipendiale sostanzialmente allineato a quello
del pubblico impiego.
L’esigenza di separare normativamente il personale della difesa e della sicurezza da
quello del pubblico impiego, appare, secondo quanto indicato dai rappresentanti del
Parlamento, necessaria al fine di:
− procedere ad una completa rivalutazione della condizione militare;
− far fronte ai maggiori e dispendiosi impegni internazionali;
− allineare lo standard italiano a quello dei maggiori patner europei.
Tali iniziative, strettamente connesse con il tentativo in atto di procedere ad una
riforma dell’istituto della Rappresentanza Militare, prevedono nella fattispecie:
− l’istituzione, nell’ambito del pubblico impiego di un comparto denominato
“Difesa e Sicurezza” (art. 1 a.C. nn. 3372, 3956 e 4034);
− una delega la governo per modificare le attuali procedure di negoziazione,
osservando i seguenti principi:
19
20
Atti Camera nn. 3372, 3956 e 4034 firmatari dei Deputati Bressa, Ascierto e Lavagnini.
Come evidenziato nelle relazioni illustrative dei citati progetti di legge.
111
a). distinte modalità per i procedimenti di negoziazione e concertazione
relativamente al personale civile ed a quello dell’ordinamento militare;
b). contrattualizzazione della dirigenza;
c). individuazione delle Organizzazioni Sindacali e della Rappresentanza
Militare quali uniche controparti delle delegazioni di parte pubblica militare
(art. 2 a.C. nn. 3372 e 3956);
− una delega la Governo per modificare le attuali procedure di concertazione in
ordine alle delegazioni legittimate a partecipare ed alla durata del mandato dei
delegati della rappresentanza militare (art. a.C. n. 4034);
− una delega al Governo in materia di trattamento economico e previdenziale con
particolare riferimento a:
a). razionalizzazione del trattamento economico fondamentale ed accessorio del
personale del comparto;
b). disciplina del trattamento pensionistico riconoscendo maggiore anzianità
contributiva al comparto;
c). razionalizzazione dei trattamenti all’estero del personale impiegato
stabilmente fuori dal territorio nazionale, riconoscendo, di massima, gli
stessi istituiti previsti nei confronti del personale del Ministero degli Esteri
(art. a.C. n. 4043);
− una più favorevole modalità di stanziamento delle risorse nella legge finanziaria
(art. 11 della legge 468/1978), distinguendola rispetto agli stanziamenti operati
per il restante pubblico impiego (art. 3 a.C. nn. 3372, 3956 e 4034).
I progetti di legge sono stati affidati, in data 28 novembre, alle commissioni riunite
I Affari Costituzionali e IV Difesa 2002 in sede Referente, le quali, dopo la
trattazione dei testi nel corso di alcune sedute che si sono susseguite nel tempo,
hanno concordato, in data 16 novembre 2004, di nominare un Comitato ristretto per
il seguito dell'esame delle citate proposte di legge, e riscontrato l’opportunità di
disporre l'audizione dei Comandanti di tutte le Forze di Polizia e di tutte le Forze
Armate, dei COCER e delle rappresentanze sindacali delle Forze di Polizia ad
ordinamento civile.
112
CONSIDERAZIONI
E’ di tutta evidenza, sulla base di quanto emerso nel corso del presente lavoro, che l’attuale
normativa relativa alla Rappresentanza Militare non è più rispondente alle esigenze di
rappresentatività e tutela del personale militare e le riforme dello strumento militare
introdotte negli ultimi anni, hanno contribuito in maniera sostanziale a rendere tale istituto
non più al passo con i tempi.
Tale considerazione appare particolarmente vera se si considera che la normativa che
disciplina i contenuti ed il funzionamento dell’Istituto, che risale al 1978, si sviluppò in un
clima di generale prudenza e pertanto le norme di regolamento e funzionamento si
improntarono, da subito, a circoscrivere di cautele piuttosto che ad agevolare la
partecipazione al sistema rappresentativo (attività degli organi di rappresentanza da
concordarsi con l’Autorità militare, durata del mandato biennale, impossibilità per i
delegati uscenti di essere rieletti nel mandato immediatamente successivo, cause di
decadenza dal mandato, etc.).
Si tenga presente che, a partire dai primi anni settanta, si erano manifestati in alcuni reparti
fenomeni contestatari, che originavano, da un lato, dalla maturazione politica dei giovani
di leva dopo le lotte operaie e studentesche del ‘68-’69, dall’altro – tra i militari di carriera
– dalla presa di “coscienza sindacale” di un gruppo professionale ben definito quale quello
dei sottufficiali dell’Aeronautica. Il confronto parlamentare di quel periodo infatti verteva
principalmente sull’eventualità di una rappresentanza sindacale del personale militare, che
si inseriva nel quadro della riforma del regolamento di disciplina e dell’ordinamento
giudiziario militare, ed ha portato il legislatore a conservare il divieto per i militari di
organizzarsi sindacalmente, in quanto non ritenuta configurabile una sindacalizzazione
dell’universo militare. Gli interessi collettivi dovevano trovare espressione in un sistema
istituzionale, interno, di organi collegiali distinti su tre livelli.
Nel quarto di secolo di vita della rappresentanza sono intervenute sostanziali novità
nell’apparato militare, tra le quali la più recente relativa alla professionalizzazione delle
Forze Armate, è quella che sembra impattare con la struttura dell’istituto, atteso che uno
degli elementi sui quali era stato fondato il sistema della Rappresentanza Militare, era
costituito proprio dalla coesistenza all’interno delle Forze armate di un nucleo
maggioritario di personale composto da militari di leva, per i quali doveva essere
comunque garantita una forma di espressione delle istanze collettive.
113
L’esigenza di procedere ad una riforma dell’istituto che stiamo trattando, è stata avvertita
da tempo e prova ne sono le diverse iniziative parlamentari che sono intervenute
sull’argomento già a partire dai primi anni ‘90.
In tale periodo infatti, a seguito dei primi studi e verifiche parlamentari condotte in
materia, vennero evidenziati alcuni vuoti normativi che determinavano taluni
malfunzionamenti che pregiudicavano/limitavano l’attività dell’istituto. Gli stessi sono
principalmente riconducibili a:
− la difformità della natura degli interessi tutelati dovuti, attesa la dicotomia delle
problematiche del personale rappresentato a l’impossibilità di rappresentare le
problematiche separatamente per categorie,
− la sproporzionalità numerica esistente tra i delegati del COCER delle Forze Armate nei
confronti di quelli dei Corpi Armati, che determinava spesso l’inattività dell’assemblea
quando non si perveniva ad un accordo su determinate questioni;
− la scarsa preparazione dei delegati dovuta, sia alla durata del mandato, che fino al 1989
era biennale, sia ad una mancata costituzione di un bagaglio culturale nelle specifiche
materie di competenza dell’Istituto;
− i limiti connessi con l’impossibilità per la rappresentanza Militare di confrontarsi con le
altre realtà, dal momento che non poteva essere condotta nessuna attività al di fuori
degli organi di appartenenza unita al divieto di divulgare all’esterno le deliberazioni, le
dichiarazioni e comunicati stampa;
− l’impossibilità per gli organi centrali di mantenere un contatto diretto con la base
rappresentata, da realizzarsi esclusivamente attraverso gli organi intermedi;
− scarsa conoscenza, da parte degli organi di base, dell’attività posta in essere dagli
organi nazionali.
A tali aspetti di malfunzionamento si accompagnavano spesso problemi interni
all’istituzione legati a:
− lo scarso riconoscimento che all’Istituto veniva attribuito da parte delle Autorità
militari, spesso accusate di boicottaggio e di aver perseguito atteggiamenti intimidatori
nei confronti dei delegati;
− la scarsa tutela del delegato ed il mancato riconoscimento dell’attività svolta atteso che,
l’impegno connesso con la rappresentanza, specie nei Consigli centrali, sottraeva
tempo all’incarico principale che questi doveva svolgere all’interno del reparto di
appartenenza e veniva ad incidere, in maniera negativa, sulla valutazione ai fini
dell’avanzamento al grado superiore.
114
Strettamente connessa a tali aspetti era anche la consapevolezza dei limitati poteri messi a
disposizione della Rappresentanza Militare, che godeva pertanto di poca considerazione tra
i militari. Si consideri al riguardo che fino all’entrata in vigore del D. Lgvo n. 195 del
1995, che l’ha inserita all’interno delle procedure per la concertazione dei contenuti del
rapporto di lavoro, i compiti dell’istituto erano riferibili, essenzialmente, alla trattazione di
tematiche afferenti alla vita di caserma, al benessere, alle condizioni igienico - sanitarie,
alle attività assistenziali ed agli alloggi, quasi sempre a tutela della sola categoria dei
militari di leva.
La rivisitazione dello strumento militare a seguito del mutamento degli scenari geopolitici
internazionali, accompagnata alle importanti missioni nazionali ed internazionali cui le
Forze Armate sono state chiamate a partecipare, hanno determinato, peraltro, il sorgere di
nuove esigenze per il personale ed una maggiore presa di coscienza da parte dei Quadri, ai
quali è seguita da parte dell’opinione pubblica, una rivalutazione generale su tutta
l’istituzione.
In tale contesto anche gli organi della Rappresentanza Militare sono stati, necessariamente,
posti sotto i riflettori e tutte le disfunzioni precedentemente riscontrate, hanno fatto
maturare nella classe politica e nell’ambiente militare, la convinzione che erano
probabilmente maturi i tempi per rivisitare l’istituto, il quale mostrava tutti i suoli limiti.
Di iniziative in tal senso se ne sono susseguite diverse che tuttavia non sono ancora
pervenute ad una conclusione.
Tra quanti si sono posti concretamente negli anni più recenti la questione di quali soluzioni
proporre per garantire al sistema della rappresentanza militare una reale capacità di
interlocuzione sia con le gerarchie che con la base rappresentata, è stato sempre presente
l’interrogativo sulla natura formale e sostanziale di questo organismo. Il tema di confronto
più rilevante è stato quello relativo alla capacità reale di una struttura interna
all’organizzazione militare di esprimere con sufficiente autorevolezza contenuti propri di
una dialettica che in altri settori della pubblica amministrazione assume naturalmente
anche forme conflittuali proprie delle organizzazioni sindacali.
Si può immaginare l’adozione, anche per le Forze Armate, di un sistema di rappresentanza
del personale con le forme proprie del sindacato?
Tale interrogativo, che ha accompagnato il dibattito parlamentare fino al 1999, anno in cui
in senso negativo si è pronunciata la Corte Costituzionale, è sicuramente da annoverare tra
le cause che hanno sempre condizionato e frenato il processo di riforma in questione.
Le conclusioni cui perveniva la suprema Corte erano che la rimozione del divieto di
costituire associazioni di natura sindacale, stabilito dall’art. 8 della legge 382 del 1978,
115
avrebbe aperto inevitabilmente la via ad organizzazioni la cui attività poteva non risultare
compatibile con i caratteri di coesione interna e di neutralità cui devono ispirarsi
l’ambiente militare sulla base del dettame costituzionale.
Ciò premesso e con particolare riferimento al progetto di riforma all’ordine del giorno
della attuale legislatura, che sembra essere orientato a conferire, rispetto all’attuale quadro
normativo, un ruolo pregnante all’istituto della Rappresentanza Militare, si è dell’avviso
che tra gli elementi maggiormente significativi, sia da sottolineare la veste giuridica che
tali organismi andrebbero ad assumere nell’ambito delle procedure relative alla disciplina
del rapporto di lavoro, atteso che ove veda la luce nel senso indicato, diventerebbero la
controparte della delegazione interministeriale, consentendo di superare gli attuali limiti,
che non gli riconoscono un vero potere negoziale, né diritti di “veto”, e che rendono tale
procedure di concertazione una particolarità giuridica di questa branca del diritto.
Secondo tale nuova previsione si determinerebbe rispetto al decreto legislativo n. 195 del
1995 la partecipazione autonoma del COCER nella concertazione, quale unica controparte
della delegazione di parte pubblica e l’inserimento dello Stato Maggiore della Difesa
nell’ambito della delegazione del Ministro della Difesa.
In termini “pratici” e sotto un profilo legislativo ed etico la variante è significativa in
quanto il COCER è per la prima volta delegato a rappresentare autonomamente le istanze
del personale e lo Stato Maggiore della Difesa, trovando collocazione nella delegazione del
Ministro, ovvero nella delegazione di parte pubblica, costituirà, di fatto, la “controparte”
della R.M.
In sostanza, si incrinerebbe la filosofia attuale che vedeva lo SMD ed il COCER
rappresentare insieme le istanze del personale e si concede al COCER un ruolo negoziale,
anche se l’attività decisionale rimane, comunque a livello Ministri interessati.
La citata riforma, che sembra tenere nella giusta considerazione la maturità raggiunta dagli
organi di tutela del personale militare, unita a quella volta alla separazione del “comparto
sicurezza” dall’ inquadramento, in senso generale, nell’ambito del pubblico impiego,
potrebbero creare i presupposti per un cammino verso una maggiore considerazione del
personale militare, i cui doveri, limitazioni, disagi, rischi e vincoli lo rendono sicuramente
“atipico” e non riferibile ad altre realtà.
116
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il Ministro delle Finanze (Pandolfii) alla Camera dei Deputati in data 13 settembre
1976 “Norme di principio sulla disciplina militare”:
1. Relazione della IV Commissione Difesa del Senato della Repubblica n. 873-A del 5
dicembre 1977 relativa al il disegno di legge n. 407 ed altri “Norme di Principio
sulla disciplina Militare”;
2. verbale di seduta delle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Difesa della
camera dei deputati in sede legislativa del 14 giugno 1978o in merito disegno di
legge n. 407 ed altri “Norme di Principio sulla disciplina Militare”;
▪
Proposta di legge n. 5697 d’iniziativa dei Deputati Potì ed altri presentato alla Camera
dei Deputati in data 23 maggio 1991 “Norme sul servizio nazionale di difesa”;
▪
Proposta di legge n. 961 d’iniziativa dei Deputati Potì ed altri presentato alla Camera
dei Deputati in data 4 giugno 1992 “Norme sul servizio nazionale di difesa”;
▪
Proposta di legge n. 1150 d’iniziativa dei Deputati Testa e Buffoni presentato alla
camera dei deputati in data 26 giugno 1992: “Istituzione dell’ufficio del Commissario
parlamentare alle Forze e armate”;
120
▪
Proposta di legge n. 1991 d’iniziativa dei Deputati Dorigo ed altri presentato alla
Camera dei Deputati in data 4 dicembre 1992 “Nuove norme sugli organismi della
rappresentanza Militare;
▪
Proposta di legge n. 2287 d’iniziativa dei Deputati Meleleo ed altri presentato alla
Camera dei deputati in data 23 febbraio 1993 “Riforma della rappresentanza
Militare”;
1. Verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in sede
referente del 5 agosto 1993 relativa alla conclusione dei lavori del Comitato
ristretto in merito alle proposte di legge abbinate afferenti alla “Riforma della
Rappresentanza Militare”;
▪
Verbale di seduta della Commissioni riunite Affari Costituzionali e Difesa del Senato
della Repubblica in sede consultiva del 18 gennaio 1995 su atti del Governo “Schema
di decreto legislativo contenente«procedure per disciplinare i contenuti del rapporto
d’impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze Armate”;
▪
Verbale di seduta della Commissioni riunite Affari Costituzionali e Difesa della
Camera dei Deputati della Repubblica in sede consultiva in data 31 gennaio 1995 su
gli atti del Governo “Schema di decreto legislativo contenente procedure per
disciplinare i contenuti del rapporto d’impiego del personale delle Forze di polizia e
delle Forze Armate”;
▪
Proposta di legge n. 93 d’iniziativa del Deputato Scalia presentato alla camera dei
Deputati in data 28 settembre 1995 “Nuove norme sugli organismi di rappresentanza
militare”;
▪
Disegno di legge n. 2337 d’iniziativa dei Senatori Russo Spena ed altri presentato al
Senato della Repubblica in data 10 aprile 1997:“Riforma della rappresentanza militare
e diritto di associazione del personale delle Forze armate” ;
▪
Testo unico approvato dalla IV Commissione permanente (Difesa) della Camera dei
deputati in data 21 luglio 1998: ”Nuove norme sulla rappresentanza militare” relativo
al disegno di legge n. 3464 risultante dall’unificazione dei disegni di legge nn. 2370,
2881, 3356 e 3568 e del disegno di legge presentato dal Ministro della Difesa
(Andreatta) di concerto con il Ministro delle Finanze (Visco), con il Ministro del
Lavoro e della Previdenza (Treu) e col Ministro della Sanità (Bindi), trasmesso alla
Camera dei deputati il 23 luglio 1998;
▪
Disegno di legge n. 4685 d’iniziativa dei Senatori De Luca e Semenzato presentato al
Senato della Repubblica in data 28 giugno 2000:“ Nuove norme sulla rappresentanza
militare”;
121
▪
Proposta di legge n. 932 d’iniziativa del Deputato Molinari presentato alla Camera dei
Deputati in data 20 giugno 2001 “Nuove norme sulla rappresentanza militare”;
▪
Proposta di legge n. 1718 d’iniziativa del Deputato Ramponi presentato alla Camera
dei Deputati in data 8 ottobre 2001 “Nuove norme sulla rappresentanza militare”;
▪
Proposta di legge n. 1822 d’iniziativa del Deputato Lavagnini presentato alla Camera
dei Deputati in data 23 ottobre 2001 “Nuove disposizioni in materia di rappresentanza
militare”;
▪
Proposta di legge n. 1958 d’iniziativa dei Deputati Deiana ed altri presentato alla
Camera dei Deputati in data 14 novembre 2001“Riforma della rappresentanza militare
e non norme sul diritto di associazione del personale delle Forze Armate”;
▪
Proposta di legge n. 2063 d’iniziativa dei Deputati Ascierto ed altri presentato alla o
alla Camera dei Deputati in data 5 dicembre 2001 “Nuove norme sulla rappresentanza
militare”;
▪
Proposta di legge n. 2193 d’iniziativa dei Deputati Minniti ed altri presentato alla o alla
Camera dei Deputati in data 21 gennaio 2002 “Nuove norme sulla rappresentanza
militare”:
1. verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in sede
referente del 11 maggio 2002 relativo all’approvazione del nuovo testo unificato
elaborato dal comitato ristretto “Nuove norme sulla rappresentanza militare”
(risultante dall’unificazione degli atti nn. C. 932 Molinari, C. 1718 Ramponi, C.
1822 Lavagnini, C. 1958 Deiana, C. 2063 Ascierto e C. 2193 Minniti);
2. verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in sede
referente del 11 novembre 2003 relativo all’approvazione del nuovo testo unificato
elaborato dal comitato ristretto “Nuove norme sulla rappresentanza militare”
(risulatente dall’unificazione degli atti nn. C. 932 Molinari, C. 1718 Ramponi, C.
1822 Lavagnini, C. 1958 Deiana, C. 2063 Ascierto e C. 2193 Minniti), ulteriore
nuovo testo unificato:
a). verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in
sede referente del 4 febbraio 2004;
b). verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in
sede referente del 10 febbraio 2004;
c). verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in
sede referente del 11 febbraio 2004;
d). verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in
sede referente del 12 febbraio 2004;
122
e). verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in
sede referente del 10 marzo 2004;
f). verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in
sede referente del 17 marzo 2004;
g). verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in
sede referente del 6 aprile 2004;
▪
verbale di seduta della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati in sede
referente del 30 giugno 2004 relativo alla conclusione dei lavori sul testo unificato
elaborato dal comitato ristretto “Nuove norme sulla rappresentanza militare”
(risulatente dall’unificazione degli atti nn. C. 932 Molinari, C. 1718 Ramponi, C. 1822
Lavagnini, C. 1958 Deiana, C. 2063 Ascierto e C. 2193 Minniti), ulteriore nuovo testo
unificato “Ordinamento della Rappresentanza Militare”;
▪
Proposta di legge n. 3372 di iniziativa dei Deputati Bressa ed altri presentato alla
Camera dei deputati in data 8 novembre 2002 “istituzione del comparto autonomo per
le Forze di Polizia e le Forze Armate”;
▪
Proposta di legge n. 3956 di iniziativa dei Deputati Ascierto ed altri presentato alla
Camera dei deputati in data 8 maggio 2003 “istituzione del comparto autonomo per le
Forze di Polizia e le Forze Armate”;
▪
Proposta di legge n. 4034 di iniziativa dei Deputati Lavagnini ed altri presentato alla
Camera dei deputati in data 4 giugno 2003 “istituzione del comparto autonomo Difesa
e sicurezza”.
AUDIZIONI PARLAMENTARI
▪
Intervento dei delegati del Consiglio Centrale della Rappresentanza Militare nel corso
dell’audizione presso la IV Commissione Difesa del Camera dei Deputati della
Repubblica Italiana “indagine conoscitiva su funzionamento della Rappresentanza
Militare”, Roma , 21 gennaio 1992;
▪
Intervento del della Capo di Stato Maggiore della Difesa nel corso dell’audizione
presso la IV Commissione Difesa del Camera dei Deputati della Repubblica Italiana
“indagine conoscitiva su funzionamento della Rappresentanza Militare”, Roma , 22
gennaio 1992;
▪
Intervento del Ministro della Difesa nel corso dell’audizione presso la IV Commissione
Difesa del Camera dei Deputati della Repubblica Italiana “indagine conoscitiva sulla
condizione del personale militare”, Roma , 25 ottobre 2000;
123
▪
Intervento del Capo di Stato Maggiore della Difesa nel corso dell’audizione presso la
IV Commissione Difesa del Camera dei Deputati della Repubblica Italiana “indagine
conoscitiva sulla condizione del personale militare”, Roma , 25 ottobre 2000;
▪
Intervento del Capo di Stato Maggiore della Esercito nel corso dell’audizione presso la
IV Commissione Difesa del Camera dei Deputati della Repubblica Italiana “indagine
conoscitiva sulla condizione del personale militare”, Roma , 25 ottobre 2000;
▪
Audizione del Ministro della Difesa presso la IV Commissione Difesa del Camera dei
Deputati della Repubblica Italiana “la condizione militare”, Roma , 25 ottobre 2000;
▪
Audizione del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito presso la IV Commissione Difesa
del Senato della Repubblica Italiana “le nuove norme sulla Rappresentanza Militare”,
Roma , 9 gennaio 2001;
CIRCOLARI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA1
▪
Prot. n. 113/2/011540/217 del 28 maggio 1982 “Rappresentanza Militare.
Affiancamento tra delegati eletti e decaduti”;
▪
Prot. n. 115/1/120/251 (134) del 1 marzo1990 “Autonomia dei delegati della
Rappresentanza Militare”;
▪
Prot. n. 115/1/160/252 (95) del 27 marzo 1990 “Interpretazione dell’articolo del
Regolamento interno per l’organizzazione ed il funzionamento della Rappresentanza
Militare”;
▪
Prot. n. 115/1/491/251-53 (408) del 24 novembre 1990 “Riunioni fuori sede degli
Organi della Rappresentanza dei Militari”;
▪
Prot. n. 106/COCER/0175 del 5 maggio 1995 “ Osservanza dell’orario di servizio per i
delegati COCER”;
▪
Prot. n. 115/1/353/252-V del 17 maggio 1995 “ Osservanza dell’orario di servizio per
i delegati COCER”;
▪
Prot. n. 115/1/283/252 - V (95) del 27 maggio 1996 “Presenza dei delegati”;
DELIBERE DEGLI ORGANI DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE
▪
delibera n. 1 del verbale n. 8 IX mandato del Consiglio Centrale di Rappresentanza
“riforma della Rappresentanza militare” in data 23 ottobre 20032;
1
Pubblicate sul sito www.militari.org e www.osservatoriomilitare.it all’interno del Compendio della
Rappresentanza Militare edito dallo Stato Maggiore dell’Esercito marzo 2004.
2
Pubblicata sul sito www.camporeale.it.
124
▪
delibera n. 01/82/9ºdella Sezione Guardia di Finanza del Consiglio Centrale di
Rappresentanza “Riforma della Legge 382/78” in data 24 febbraio 20043;
.
CONVEGNI SULLA RAPPRESENTANZA MILITARE
▪
Convegno su “la rappresentanza Militare a 20 anni dall’Istituzione”, intervento del
Ministro della Difesa On. le Sergio Mattarella, Roma 11 maggio 2000;
▪
Convegno su “la rappresentanza Militare a 20 anni dall’Istituzione”, intervento del
Mar. Domenico Leggiero, delegato della Sezione Esercito del COCER, Roma 11
maggio 2000;
▪
Convegno su “la rappresentanza Militare a 20 anni dall’Istituzione”, intervento del
Mar. a. Marco Roda, delegato della Sezione Guardia di Finanza del COCER, Roma 11
maggio 2000.
SITI DI INTERESSE
▪
www.amid.it;
▪
www.assodipro.it;
▪
www.camporealecea.com;
▪
www.euromil.com;
▪
www.funzionepubblica.gov.it;
▪
www.fpcgil.it;
▪
www.gdf.it;
▪
www.militari.org;
▪
www.osapp.it;
▪
www.osservatoriomilitare.it
▪
www.sergenti.it;
▪
www.sinappe.it.
3
Pubblicata sul sito ufficiale del Comando Generale della Guardia di Finanza:
125