IL SIGNIFICATO E LE FIGURE COINVOLTE NELLA

IL SIGNIFICATO E LE FIGURE COINVOLTE NELLA COMUNICAZIONE DELLA “CATTIVA NOTIZIA”:
ESPERIENZE DI MEDICI E INFERMIERI
L. OSSANNA, L. DE BENEDETTO
COMPRENSORIO SANITARIO DI BOLZANO HOSPICE-CURE PALLIATIVE, BOLZANO, ITALY
Nella pratica clinica si rileva che quando il medico comunica o non comunica una cattiva notizia al paziente
e/o alla famiglia, questa mette in crisi tutte le figure coinvolte, che sono il paziente, il medico, la famiglia e
l’infermiere. Questo aspetto è riportato anche dalla letteratura.
In questa situazione l’infermiere dovrebbe stare sia vicino al paziente che vicino al medico svolgendo il ruolo
di avvocato del paziente sostenendo i suoi bisogni e le sue istanze e collaborando con il medico. L’ obiettivo
studio è quello di: descrivere l’esperienza personale e professionale vissuta dall’infermiere e dal medico che
entrano in rapporto con questo tipo di paziente. E’ stata realizzata una revisione della letteratura e uno
studio qualitativo. La metodologia utilizzata si è avvalsa di sei interviste semistrutturate ai medici e di un
Focus Group con dodici infermieri.I dati emersi dall’analisi, sono stati suddivisi in quattro grandi categorie
quali: le situazioni, le difficoltà, i sentimenti e le strategie. Le situazioni più importanti per i medici intervistati,
riguardano la neoplasia, l’importanza della famiglia e i pazienti alla fine della vita. Le difficoltà incontrate più
frequentemente si riferiscono a situazione quali: trovare la giusta vicinanza-distanza con persone vicine,
interagire con pazienti vulnerabili, togliere la speranza da parte dei medici e rispondere alle domande difficili
da parte degli infermieri. Le strategie adottate prevalentemente sono state: prendere tempo, minimizzare e
banalizzare e dire la verità nuda e cruda. I sentimenti principali condivisi sono stati: la paura delle reazioni
del paziente, il senso d’impotenza e la rabbia (vissuta dagli infermieri)
La comunicazione della cattiva notizia determina una situazione delicata e complessa molto importante per
le figure coinvolte. Le difficoltà peggiorano se la cattiva notizia implica l’eventualità della morte. Il paziente e
la famiglia vivono dei problemi in tutte le dimensioni della loro esistenza: in quella fisica e in quella psicosocio-spirituale. Il paziente percepisce una profonda minaccia di morte, un’incertezza per il futuro, la perdita
del senso d’invulnerabilità e un cambiamento del suo ruolo sociale. Per questo è fragile e vulnerabile. Il
medico diventa il messaggero della cattiva notizia ma, di fronte ad una prognosi infausta, diventa
messaggero di morte. La sua paura è quella di causare dolore e di togliere la speranza al paziente. Il dolore,
la paura, la mancanza di speranza sono limiti della nostra esistenza dei quali, come operatori sanitari, si
dovrebbe essere consapevoli e in grado di accettarli. Data la vicinanza al mondo del paziente, gli infermieri
ne colgono la sofferenza, che spesso si esprime con la ricerca di risposte a dubbi e domande “difficili”. Gli
infermieri non possono soddisfare il bisogno del paziente di sapere poiché non è di loro competenza ma
contemporaneamente non riescono a cogliere quella situazione di sofferenza come opportunità per costruire
una relazione empatica capace di esprimere una vicinanza umana perché ciò richiede delle competenze
specifiche in ambito oncologico. Sia medici che infermieri di conseguenza, trovandosi in difficoltà nella
relazione con questi pazienti e con i famigliari provano i sentimenti sopra indicati quali la paura, l’impotenza
e la rabbia. La situazione richiederebbe delle strategie che avvicinano i medici e gli infermieri tra di loro al
fine di collaborare per soddisfare i bisogni del paziente. Se viene a mancare questa alleanza e prevalgono
delle strategie che allontanano le due figure sia tra di loro che dal paziente creando conflitti quali: il prendere
tempo, la non comunicazione della cattiva notizia, dire la verità nuda e cruda o minimizzare e banalizzare la
situazione. Queste strategie, che possono essere consapevoli o non, sono legate alle insufficienti
competenze di tipo comunicativo – relazionale in ambito psiconcologico di chi assiste.