gli effetti degli eventi dell`11 settembre 2001 sulla legge penale

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PANORAMA GIURIDICO
GLI EFFETTI DEGLI EVENTI
DELL’11 SETTEMBRE 2001
SULLA LEGGE PENALE MILITARE ITALIANA
DOTT. BARTOLOMEO COSTANTINI*
Fonti normative
a) D.L. 1° dicembre 2001, n. 421, convertito nella legge 31 gennaio 2002,
n. 6;
b) D.L. 28 dicembre 2001, n. 451,
convertito nella legge 27 febbraio
2002, n. 15
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Procuratore Militare della Repubblica di Verona
L’applicazione del codice penale militare di
guerra (c.p.m.g.) ai militari italiani partecipanti all’operazione “Enduring Freedom”
Come è noto l’art. 9 c.p.m.g. sancisce l’assoggettamento alla legge penale militare di
guerra, anche in tempo di pace, dei militari
appartenenti ai corpi di spedizione all’estero
per operazioni militari.
PANORAMA GIURIDICO
E’ altrettanto noto che, in occasione delle
operazioni militari armate all’estero disposte in
questi ultimi decenni, il legislatore italiano è
sempre intervenuto introducendo espresse
deroghe all’art. 9 c.p.m.g., nel senso di escludere l’applicabilità del codice militare di guerra
e di disporre l’applicabilità del codice penale
militare di pace ai militari che partecipavano a
tali missioni.
La deroga era indubbiamente coerente con
il peculiare carattere di tali operazioni, difficilmente assimilabili a veri e propri interventi bellici, che quindi male avrebbero tollerato l’integrale applicabilità di un codice nato per esigenze tutt’affatto diverse.
La situazione è evidentemente cambiata per
effetto degli attentati, o atti di guerra che dir si
voglia, dell’11 settembre 2001.
Per consentire la partecipazione italiana alla
campagna per il ripristino ed il mantenimento
della legalità internazionale denominata
“Enduring Freedom”, il governo è, infatti, rapidamente intervenuto emanando due decreti
legge, distinti dai numeri 421 e 451/2001,
decreti che, opportunamente integrati con le
relative leggi di conversione, hanno apportato
significative modifiche alla legge penale militare.
Anzitutto, con l’art. 8 del D.L. 1° dicembre
2001, n. 421 si è disposta l’applicazione del
codice penale militare di guerra ai militari
appartenenti al corpo di spedizione che partecipa all’Enduring Freedom.
Il mutamento di regime giuridico penale è
stato reso possibile non soltanto dalla particolare tensione emotiva conseguita ai terribili
fatti dell’11 settembre 2001, ma sicuramente
anche per un diverso atteggiamento sia della
politica che dell’opinione pubblica verso i problemi militari e i relativi strumenti di disciplina penale, apparendo superate le istanze abrogative della giurisdizione penale militare avanzate in questi ultimi anni da più parti, anche di
diversa connotazione politica1.
Gli effetti immediati di tale disposizione,
con specifico riferimento ai militari partecipanti all’operazione Enduring Freedom, possono
così riassumersi:
• la possibilità di addebitare a tali militari i
reati previsti dal codice penale militare di
•
•
•
•
•
guerra;
l’inasprimento generalizzato delle pene per i
reati previsti dal codice penale militare di
pace commessi in tempo di guerra, disposto
dall’art. 47 comma 1 c.p.m.g.;
ma soprattutto – ed era forse lo scopo prioritariamente perseguito dal legislatore – l’applicabilità ai militari partecipanti all’operazione all’estero delle norme che sanciscono
le violazioni delle leggi e degli usi della guerra (artt. 165 – 230 c.p.m.g.). Giova aggiungere che tali violazioni, ancorché previste in
via diretta come commissibili dai militari
italiani a danno dei “privati nemici”, in forza
dell’art. 13 c.p.m.g. sono addebitabili anche
ai militari appartenenti alle forze armate
“nemiche” per fatti commessi a danno dei
militari italiani (art. 13 c.p.m.g.) o appartenenti agli Stati alleati (art. 15 c.p.m.g.).
Tuttavia, uno strumento concepito e strutturato per esigenze belliche come il codice
penale militare di guerra, soprattutto perché
emanato nel 1941, evidentemente non era
applicabile nella sua integralità al corpo di
spedizione Enduring Freedom.
Pertanto, con l’art. 9 dello stesso D.L.
421/01 si è disposto che, con riferimento ai
reati militari commessi dai partecipanti al
corpo di spedizione:
non si applicano le disposizioni sulla procedura penale militare di guerra (libro IV del
c.p.m.g.). Si è così evitato il rischio di assoggettare gli autori di fatti penali militari a
norme incompatibili con la disciplina del
vigente codice di procedura penale, nella
misura in cui riducono le garanzie di difesa;
non si applicano le disposizioni concernenti
l’ordinamento giudiziario militare di guerra
(parte II dell’Ordinamento giudiziario militare del 1941). Ne consegue che gli organi
giurisdizionali preposti alla cognizione dei
reati sono quelli dell’ordinamento giudiziario militare di pace: tribunali militari, corte
militare di appello, corte di Cassazione e
relativi uffici del pubblico ministero.
la competenza territoriale appartiene al tribunale militare di Roma. Una disposizione
analoga, va precisato, già è in vigore per i
reati militari commessi all’estero in tempo
di pace, attribuiti alla cognizione dell’ufficio
(1) A solo titolo di esempio si pensi al disegno di legge costituzionale n. 1270/94 presentato dal senatore a vita Francesco COSSIGA.
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PANORAMA GIURIDICO
romano dall’art. 9 della legge 7 maggio
1981, n. 180, recante modifica dell’ordinamento giudiziario militare di pace; del tutto
nuova invece è tale disposizione quanto ai
reati commessi in navigazione, per i quali
l’art. 273 c.p.m.p. fissa criteri di attribuzione della competenza di applicazione non
sempre agevole;
• si estendono i casi di arresto obbligatorio in
flagranza di cui all’art. 380 del codice di
procedura penale ad una serie di reati militari, previsti dal codice sia di pace che di
guerra, specificamente individuati in relazione alla loro gravità intrinseca (ad esempio, la disobbedienza aggravata o la diserzione), per i quali la misura della pena edittale
massima non consentirebbe l’arresto;
• gli interrogatori di garanzia dell’arrestato in
flagranza, del fermato e della persona assoggettata alla misura cautelare della custodia in
carcere sono eseguiti senza spostare gli indagati dal territorio estero e valendosi dell’ausilio di mezzi videotelematici o audiovisivi.
A garanzia dell’indagato è stata comunque
prevista la possibilità di replicare gli interrogatori una volta che l’autore del reato sia
rientrato in territorio nazionale. Merita un
cenno particolare la previsione, sancita dall’art. 9 del D.L. 421, che “l’imputato” (l’espressione deve certamente ritenersi riferibile anche all’indagato) si faccia assistere da un
ufficiale presente nel luogo dell’interrogatorio.
Le riforme del c.p.m.g. introdotte con la legge
di conversione n. 6/2002
Con la legge 31 gennaio 2002 n. 6, di conversione del D.L. 421/2001, sono state introdotte importanti modifiche al codice penale
militare di guerra, che trascendono l’immediato riferimento al solo corpo di operazione afgano, tali da adeguare il testo normativo alle
Convenzioni internazionali sul diritto bellico e
da tutelare meglio sia gli interessi dei militari
operanti sia gli interessi che possono essere lesi
dalle operazioni militari.
L’integrale sostituzione dell’art. 9 c.p.m.g.
Il primo comma dell’art. 9 c.p.m.g. è stato
aggiornato per adeguarlo alla peculiarità delle
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Operazione ISAF - Carabinieri addestrano il corpo delle guardie Afgano
nuove operazioni multinazionali nel quadro
delle operazioni ONU.
Molto importante è la modifica del secondo
comma del citato art. 9, che assoggetta alla
legge penale militare di guerra, ma, giova sottolineare, “limitatamente ai fatti connessi con le
operazioni di cui al primo comma”, anche “il
personale militare di comando e controllo e di
supporto del corpo di spedizione che resta nel
territorio nazionale o che si trova nel territorio
di altri paesi, dal momento in cui è ad esso
comunicata l’assegnazione a dette funzioni, per
i fatti commessi a causa o in occasione del servizio”.
Cosicché, tenendo conto anche della modifica dell’art. 47 c.p.m.g. di cui si dirà appresso,
costituirà reato militare, ad esempio, la condotta del militare appartenente al personale di
comando, controllo o supporto del corpo di
spedizione all’estero, rimasto sul territorio
nazionale, che commetta falsa testimonianza o
favoreggiamento con riferimento ad un procedimento in cui sia stato coinvolto un militare
del corpo di spedizione per un reato commesso
all’estero.
L’estensione soggettiva di cui al citato secondo comma appare sicuramente ragionevole.
L’attuale assetto organizzativo delle F.A. consente infatti il compimento di attività di
comando o logistica fuori dal territorio nazionale o comunque fuori dal territorio teatro dell’operazione militare. Sarebbe irragionevole
quindi discriminare lo stato giuridico di tali
militari, impegnati in attività che deve dirsi
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anch’essa bellica, rispetto a coloro che sono
impegnati sul campo di guerra vero e proprio.
Un problema interpretativo potrebbe sorgere con riferimento alla competenza a giudicare
i reati commessi dai militari del personale di
comando, controllo e supporto che siano rimasti sul territorio nazionale. Ci si potrebbe chiedere, in particolare, se essa appartenga al Tribunale militare di Roma o a quello competente secondo le ordinarie regole di riparto per
provincia dettato dal D.P.R. 14 febbraio 1964,
n. 199. Sembra preferibile l’opinione che essa
rimanga devoluta ai tribunali militari nazionali nella cui circoscrizione i fatti siano stati commessi, apparendo a tal fine decisivo il rilievo
che non sussistono in tali ipotesi quelle specialissime ragioni di opportunità e convenienza
che hanno suggerito la attribuzione al tribunale militare di Roma dei reati commessi all’estero dai militari partecipanti all’operazione
Enduring Freedom.
Si è già rilevato, ma va anche qui ribadito,
che l’applicabilità del codice di guerra implica
automaticamente la tutela dei militari italiani,
nonché dei militari appartenenti agli Stati
alleati nell’operazione multinazionale, rispetto
alle condotte costituenti crimini di guerra
commessi ai loro danni da parte dei militari
“nemici”, reati che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 13 e 15 c.p.m.g., sono assoggettate alla cognizione dei tribunali militari italiani.
Assume uno speciale rilievo, a tal proposito,
la riformulazione del secondo comma dell’art.
15 c.p.m.g., operata dalla legge 31 gennaio
2002 n. 6, per cui la tutela penale dei militari
e delle forze armato dello Stato italiano viene
estesa ai militari ed alle forze armate degli altri
Stati associati nelle operazioni belliche o partecipanti alle stesse spedizioni o campagne.
L’adeguamento del codice di guerra agli obblighi
del diritto umanitario bellico, attuato con la
sostituzione dell’art. 165 c.p.m.g..
Ormai da qualche decennio le Forze Armate italiane sono sempre più impegnate in operazioni che non di rado assumono le caratteristiche proprie dei conflitti armati.
Per evitare che, in queste situazioni, l’uso
della violenza non trasmodi nell’offesa ingiustificata di valori della persona umana, le conven-
zioni internazionali intervenute nel corso del
tempo e ratificate dall’Italia obbligano gli Stati
aderenti a sanzionare penalmente le condotte
lesive di quei valori.
Ma fino alle legge n. 6 del 2002, tali obblighi erano rimasti inadempiuti, essendosi limitata l’Italia a ratificare le Convenzioni di Ginevra del 1949 ed i Protocolli Aggiuntivi del
1977, senza peraltro adottare norme di adeguamento della legislazione nazionale.
In particolare la piena applicazione del diritto umanitario era ostacolata dal disposto dell’art. 165 c.p.m.g., disposizione di apertura del
Titolo IV del Codice penale militare di guerra
dedicato alla repressione dei “reati contro le
leggi e gli usi della guerra” (artt. 165-230), alla
cui lettura rimandiamo il cortese lettore.
Oggi, per effetto della sostituzione dell’art.
165 c.p.m.g. introdotta con la citata legge
6/2002, in ogni caso di conflitto armato saranno applicabili le norme poste a tutela dei principi di diritto umanitario accolti nelle convenzioni internazionali e contenute nelle norme
incriminatrici di cui agli articoli da 167 a 230
del codice penale militare di guerra.
Il regime giuridico conseguente può così
essere sintetizzato: le norme in parola si applicano:
• non più su disposizione del comandante
supremo;
• non più subordinatamente alla condizione
della reciprocità;
• prescindendo dalla dichiarazione dello stato
di guerra;
• ma solo alla condizione fattuale dell’insorgere di un conflitto armato.
Con la successiva legge 27 febbraio 2002 n.
15, di conversione del D.L. 451/2001, aggiungendo un secondo comma al già novellato art.
165 c.p.m.g., si è specificato che per conflitto
armato deve intendersi quello “in cui una almeno delle parti fa uso militarmente organizzato e
prolungato delle armi nei confronti di un’altra
per lo svolgimento di operazioni belliche”.
Come ha osservato il Procuratore generale
militare presso la Corte militare di appello
nella relazione all’apertura dell’anno giudiziario 2003, l’introduzione della nozione di conflitto armato, avvenuta col novellato art. 165
comma 2 c.p.m.g., quale presupposto per l’applicazione, in tempo di pace, di normative contemplate dal codice di guerra, può essere consi-
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PANORAMA GIURIDICO
prevista per gli atti di vioderata come un primo passo
lenza commessi dai militaverso il superamento degli
ri italiani contro i “privati
schematismi derivanti dalla
nemici”, crimini previsti
suggestione dell’alternativa
dall’art. 185 c.p.m.g. –
rigida pace-guerra sulla
nonché, per il disposto
quale si fonda l’attuale
dell’art. 13 c.p.m.g., da
duplicità dei codici: un’alcostoro a danno dello
ternativa che sembra aver
Stato italiano o di un cittaperso significato nell’attuale
dino italiano, ovvero di
realtà storica, contrassegnauno Stato alleato o di un
ta, per quanto riguarda il
suo cittadino – elevandola
nostro paese, dall’impegno
da due a cinque anni.
in una serie di operazioni
E’ stato poi introdotto
militari limitate che coinun nuovo art. 184-bis
volgono interessi meritevoli
c.p.m.g. che ha creato il
di una particolare tutela
reato di “cattura di ostagpenale, ma non impongono
gi”.
radicali rivolgimenti ordinaEd infine, con il nuovo
mentali.
art. 185-bis c.p.m.g. è
Allo stesso Procuratore
stato creato un nuovo
generale si deve l’altra osserdelitto (“Altre offese contro
vazione che una legislazione
persone protette dalle conispirata all’idea del fenomevenzioni internazionali”),
no bellico come evenienza
che prevede e punisce
assolutamente eccezionale e Operazione Enduring Freedom - Nave Etna della
severamente i casi di torcoinvolgente l’intera nazio- Marina Militare Italiana
tura, altri trattamenti inune sarebbe inadeguata per
eccesso nelle situazioni in cui sono ormai ordi- mani, trasferimenti illegali e altre condotte vienariamente impegnate le forze armate; ma, allo tate dalle convenzioni internazionali, inclusi gli
stesso tempo, in relazione a tali situazioni, l’e- sperimenti biologici o i trattamenti medici non
sperienza insegna che è inadeguata per difetto giustificati dallo stato di salute, in danno di
prigionieri di guerra o di civili o di altre persola vigente legislazione del tempo di pace.
E’ stato inoltre aggiunto un comma 3 al ne protette dalle medesime convenzioni intercitato art. 165 c.p.m.g., specificandosi che le nazionali.
disposizioni in parola si applicano “alle operazioni militari armate svolte all’estero dalle forze La nuova definizione di reato militare ai fini
del codice penale militare di guerra
armate italiane”.
Talune dolorose vicende di un recente pasL’inasprimento di talune pene e la creazione
di nuovi reati riconducibili alla tipologia dei sato, fortunatamente rimaste isolate, avevano
evidenziato inconvenienti in punto di represcrimini di guerra
sione delle violazioni delle “leggi ed usi della
Sempre al fine di adeguare la legge naziona- guerra” (artt. 165 – 230 c.p.m.g.) commesse da
le italiana alle convenzioni internazionali, sono militari nel corso delle missioni all’estero, per
state emanate altre disposizioni con la citata l’irragionevole distribuzione della competenza
legge 6/2002 che si presentano particolarmen- tra giudice ordinario e giudice militare determinata dal vigente testo dell’art. 264 c.p.m.p.
te importanti.
E’ stata anzitutto inasprita la pena massima come novellato nel 19562.
(2) Il testo originario di tale norma attribuiva carattere di reato militare a molte ipotesi criminose previste dalla legge penale ordinaria in
presenza di certi elementi di militarità della fattispecie. Sostituita tale norma nel 1956, ai tribunali militari spetta oggi solo la cognizione dei reati espressamente previsti dai codici penali militari (così ad esempio le lesioni volontarie ma non quelle colpose; sì il peculato ma non la corruzione; e via elencando).
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PANORAMA GIURIDICO
Episodi anche gravi erano rimasti di fatto
impuniti o avevano trovato serie difficoltà di
accertamento e punizione.
Si pensi agli episodi delle violenze in Somalia contro cittadini somali o alla caduta dell’elicottero in Kosovo, fatti riconducibili, all’epoca,
ad ipotesi delittuose comuni e quindi attribuiti alla competenza del giudice ordinario, per di
più punibili solo a richiesta del Ministro della
Giustizia e a condizione che l’imputato si trovasse in Italia.
Proprio per porre rimedio a questo fenomeno, e più in generale per assicurare una più efficace repressione della devianza penale in tempo
di guerra, con l’art. 2 della citata legge n.
6/2002 è stato modificato l’art. 47 C.p.m.g.,
estendendosi la nozione di reato militare ad
una serie di violazioni individuate sulla base di
precisi criteri di collegamento alla militarità
delle situazioni coinvolte, peraltro solo ai fini
dello stesso codice militare di guerra, e quindi
attualmente nei limiti in cui questo risulti
applicabile anche ai fatti commessi in tempo di
pace.
Appare utile elencare i reati che sono stati
“militarizzati”, per usare un’espressione consueta fino alla citata riforma del 1956:
• violazioni della legge penale commesse con
abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, o in luogo militare, e previste come delitti contro la personalità dello Stato (artt. 241-313 c.p.), la pubblica amministrazione (artt. 314-360 c.p.),
l’amministrazione della giustizia (artt. 361401 c.p.), l’ordine pubblico (artt. 414-421
c.p.), l’incolumità pubblica (artt. 422-452
c.p.), la fede pubblica (artt. 453-498 c.p.), la
moralità pubblica e il buon costume (artt.
519-544 c.p.), la persona (artt. 575-623-bis
c.p.), il patrimonio (artt. 624-649 c.p.);
• violazioni della legge penale commesse in
luogo militare o a causa del servizio militare
in offesa del servizio militare o dell’amministrazione militare o di altro militare o di
appartenente alla popolazione civile che si
trova nei luoghi di operazioni all’estero;
• violazioni della legge penale prevista quale
delitto in materia di controllo delle armi,
munizioni ed esplosivi e di produzione, uso
e traffico illecito di sostanze stupefacenti o
psicotrope commessa da militari in luogo
militare.
In sostanza, le innovazioni introdotte riconducono alla nozione di reato militare ogni fatto
penalmente rilevante che comporti la lesione di
interessi militari.
E’ appena il caso di aggiungere che la trasformazione in reato militare di ipotesi delittuose comuni amplia automaticamente la sfera
delle attribuzioni dei comandanti di corpo
quali ufficiali di polizia giudiziaria militare.
Allo stato attuale comunque la modifica dell’art. 47 c.p.m.g. – ovviamente disposta dal
legislatore in via generale ed astratta - è concretamente applicabile soltanto:
• ai militari partecipanti alla operazione
“Enduring Freedom” e, per effetto del D.L.
451/2001 convertito nella legge n.15/2002,
alla connessa operazione “I.S.A.F.”;
• ai militari del contingente inviato in Iraq,
nell’ambito delle iniziative promosse dagli
Stati Uniti e dal Regno Unito (artt. 6 e 16
del decreto legge 10 luglio 2003, convertito
nella legge 1° agosto 2003, n. 219).
L’abolizione del potere di bando e di altre
norme incostituzionali previste dal c.p.m.g.
Di particolare rilievo appare l’abrogazione,
operata con la legge n. 6/2002, degli articoli
17, 18, 19 e 20 c.p.m.g., concernenti il potere
conferito ai comandanti militari di emanare
bandi in materia attinente alla legge, alla procedura penale militare di guerra e agli ordinamenti giudiziari militari.
Si trattava infatti di norme fortemente
sospette di illegittimità costituzionale, per la
loro natura di fonti non contemplate dalla
Costituzione e tuttavia produttive di norme
aventi valore di legge materiale e, come tali,
capaci di innovare anche in materie riservate
alla legge in senso stretto.
Ugualmente importante appare l’abrogazione di altre disposizioni del c.p.m.g.: gli articoli
87 (“Denigrazione della guerra”), 155 (“Diserzione o dichiarazione di diserzione, dichiarata
dal comandante”) e 183 (che sanzionava in
misura talmente mite “l’esecuzione immediata
dei colpevoli di spionaggio e di reati contro le leggi
e gli usi della guerra” da finire per costituire una
sorta di immunità per gli autori di condotte
ormai contrarie ad elementari principi di civiltà giuridica). Si trattava certamente di norme
contrastanti con vari principi costituzionali e
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PANORAMA GIURIDICO
l’abrogazione appare altamente opportuna.
Sempre al fine di eliminare disposizioni non
più conformi al regime democratico della
Repubblica, con la legge 18 marzo 2003, n. 42
è stata disposta l’abrogazione di alcuni articoli
del codice penale militare di guerra, e precisamente degli articoli 5 (Applicazione delle legge
penale militare di guerra in caso di urgente e
assoluta necessità), 10 (Operazioni militari per
motivi di ordine pubblico), 76 (Divulgazione di
notizie diverse da quelle ufficiali), 80 (Pubblicazione di critiche o di scritti polemici) e 86 (Fatti
diretti a indurre alla sospensione o alla cessazione
delle ostilità).
Operazione ISAF - C130J dell’Aeronautica Militare Italiana
Le carenze della legislazione sostanziale di
pace ed i criteri di riforma
Preso atto della adozione di provvedimenti
che hanno adeguato il sistema normativo alle
mutate caratteristiche dei nostri interventi
militari, va peraltro rilevato che un altro passo
deve essere fatto, per eliminare le gravi incongruenze che inficiano l’attività degli organi
giudiziari militari.
Va considerato che il codice penale militare
di guerra e quello di pace, come anche l’ordinamento giudiziario militare, sono stati redatti nel 1941 in un contesto socio politico evidentemente molto diverso da quello attuale.
Appare necessario andare oltre e provvedere:
• ad un più razionale riparto di giurisdizione,
apportando anche al codice di pace una
modifica analoga a quella dell’art. 47
c.p.m.g. che valga ad estendere la nozione di
reato militare anche in tempo di pace;
• ad un’accorta opera di depenalizzazione o di
ridefinizione dei “reati bagatellari” e di quelli di mera condotta (ad esempio, la violata
consegna);
• alla introduzione di misure o sanzioni diverse dalla detenzione.
Anche qui mutuando le espressioni usate
dal Procuratore generale militare di appello
nella relazione all’apertura dell’anno giudiziario militare 2003, l’attuale legislazione non
tutela gli interessi delle nuove forze armate ed
impone ai giudici militari il compito di applicare leggi che sarebbe desiderabile fossero
diverse, per essere utili alla società e, allo stesso
tempo, di verificare continuamente che la loro
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concreta applicazione non si discosti troppo
dalle regole del diritto penale ordinario e dalla
Costituzione.
E’ auspicabile che a tale opera di riforma
provveda il legislatore accogliendo i suggerimenti della commissione di studio istituita dal
Ministro della Difesa e di cui sono stati chiamati a far parte anche diversi magistrati militari, fra cui il Procuratore generale militare di
cassazione dottor Giuseppe Scandurra con le
funzioni di presidente della commissione.
La commissione ha terminato i lavori rimettendo al Ministro un testo molto articolato, in
forma di schema di disegno di legge per la revisione delle leggi penali militari di pace e di
guerra e l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare. Portato all’attenzione del
Consiglio dei Ministri, lo schema è stato
approvato il 31 luglio 2003 e poi presentato al
Senato il 17 settembre 2003.
Cenni biografici
Il dottor Bartolomeo Costantini è nato ad Adelfia (Bari) nel
1938.
Laureato in giurisprudenza nel 1962 presso l’Università di
Bari, ha prestato servizio militare quale Sottotenente di complemento nel Servizio di Commissariato dell’Esercito.
Dopo un servizio direttivo in altra amministrazione, è enrato
nella magistratura militare nel luglio 1968, da allora prestando servizio negli uffici del pubblico ministero militare di
Verona, con funzioni di sostituto procuratore presso il tribunale, di sostituto procuratore generale presso la corte d’appello
e dal 22 febbraio 1996 con le funzioni di procuratore capo
presso il tribunale.
Dal 1993 al luglio 1997 ha fatto parte del Consiglio della
magistratura militare.
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