modulo di sociologia dei processi culturali e comunicativi (dott

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Università degli Studi di Foggia
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea
Educazione professionale
Anno Accademico 2010/2011
Corso di Sociologia
dei Processi Culturali e Comunicativi
Docente Dott. Alfredo BERTOZZI
sociologia dei processi culturali e comunicativi
Il settore comprende una serie di campi di competenza
concernenti la lettura sociologica dei fenomeni della cultura,
da quelli assiologici a quelli comunicativi e della
socializzazione e formazione (anche delle risorse umane),
fino all'impatto sociale dei mass media e delle tecnologie
avanzate.
L'assiologia, termine derivante dal greco axia
(αξια, valore), è la dottrina del valore. L'assiologia
pretende di fondare una gerarchia metafisica ideale
alla quale deve aspirare la scala dei valori umani
per avvicinarsi quanto più possibile ad essa.
Il settore si articola in varie aree:
dalla sociologia della famiglia e della religione all'analisi dei
processi culturali e dell'educazione alla comunicazione alle
dinamiche media/industria culturale, all'analisi sociologica
della radio-televisione e dell'informazione al settore dei
nuovi media e della pubblicità,
Obiettivo della sociologia
• La sociologia:
• deve prestare attenzione alle conoscenze che
diamo per scontate e che condizionano il nostro
vivere quotidiano
• deve problematizzare l’ovvio (Wittgenstein)
• Suo oggetto d’analisi è il “mondo della vita
quotidiana”, il “mondo dato per scontato”, nel
quale si produce e si utilizza in continuazione
una conoscenza di “senso comune”
La dimensione oggettiva del sociale
• La nostra conoscenza del mondo della vita quotidiana procede
per tipizzazioni (cane/coniglio; dalmata/setter)
• Le tipizzazioni tendono ad essere condivise
intersoggettivamente
• Le tipizzazioni condivise possono assumere la forma di
istituzioni sociali (famiglia, educazione, mercato, politica, etc.)
• Le istituzioni “tipizzano” le interazioni sociali in ruoli
• Le istituzioni si riproducono di generazione in generazione e
devono essere legittimate (giustificate)
• Fra i più importanti fattori di legittimazione vi sono gli “universi
simbolici”: rappresentazioni che coinvolgono diverse sfere di
vita e di significato fornendo una matrice unitaria dei significati
(religione, tradizione, etc.).
La realtà sociale
• Realtà oggettiva
• Realtà soggettiva
Continui e ricorsivi processi di
• Esteriorizzazione
• Oggettivazione
• Interiorizzazione
Interiorizzazione - socializzazione
• L’individuo non nasce già socializzato dunque
per l’individuo ontogenticamente il punto di
partenza è l’interiorizzazione
• Per interiorizzazione della realtà sociale si
deve intendere “la percezione o l’interpretazione
immediata di un evento oggettivo come
esprimente un significato, cioè come una
manifestazione di processi soggettivi di un altro
che così diventa soggettivamente significativo
per me stesso”
Processi dell’interiorizzazione
•
•
•
•
•
•
Percezione del mondo
Comprensione dei miei simili
Definizione reciproca del mondo
Costruzione intersoggettiva del mondo
Continua identificazione reciproca
Reciproca partecipazione dell’uno all’esistenza
dell’altro
• Interiorizzazione delle aspettative e delle norme
sociali
• Conoscenza e adeguamento alle aspettative di
ruolo
Socializzazione – (una sintesi)
• Quando un individuo ha metabolizzato i
processi sopra descritti e si è insediato
nella società, è subentrato nel mondo
sociale in cui altri vivono e si è realizzato il
processo di socializzazione
Tipi di socializzazione
• Socializzazione primaria: primo
fondamentale processo di insediamento
dell’individuo nella società
• Socializzazione secondaria: processo
successivo che introduce l’individuo in
particolari settori della società e lo abilita
svolgere specifici ruoli
Caratteri della socializzazione
primaria
• Relazione con altri rilevanti
• Interiorizzazione - tramite identificazione dei contenuti della loro coscienza
• Forti implicazioni affettivo emotive
piuttosto che cognitive
• Gli altri rilevanti non sono scelti e la loro
definizione del mondo assume una realtà
oggettiva indiscussa e indiscutibile
Socializzazione secondaria
Non è possibile pensare ad una società che
esaurisca la socializzazione con la fase primaria,
dovrebbe essere una società priva di
differenziazione e sociale e (divisione del lavoro) e
dunque di distribuzione della conoscenza.
La socializzazione secondaria è:
l’interiorizzazione di sottomondi istituzionali
e di una conoscenza legata al ruolo.
Socializzazione secondaria
•I sottomondi richiedono un apparato
legittimante accompagnato da simboli rituali
•Il problema fondamentale della socializzazione
secondaria è che essa presuppone un
precedente processo di socializzazione e
deve essere coerente con esso
(esempi: bambino di famiglia contadina poco
istruita di basso ceto sociale, bambino di ceto
medio-alto; etc.)
Alla nascita ogni persona è diversa dall’altra. Infatti, ognuno di noi è un essere
caratteristico.
Nei geni, che ognuno ha quale dotazione ereditaria, ci sono delle componenti fisiche e
comportamentali.
L’individuo quindi è la somma di fattezze fisiche e modelli comportamentali ereditati.
Con queste caratteristiche l’uomo di affaccia all’ambiente esterno.
Esempio: è diverso nascere in Groenlandia o in Camerun.
Il modo di rapportarsi all’AMBIENTE, inoltre, cambia da cultura a cultura, ed esso fa si
che ciascuno si adatti all’ambiente in modo diverso dagli altri questo significa che al
GENOTIPO si aggiunge il FENOTIPO e l’esperienza sociale di ognuno fa sì che si
aggiunga, di volta in volta, qualcosa al genotipo ed al fenotipo.
La società è costituita da più persone in un processo di ADATTAMENTO, infatti, ognuno
di noi si comporta in modo tale da reagire all’ambiente che ci circonda, sempre però
insieme agli altri.
DARWIN è stato colui che ha fatto esperimenti sulla riproduzione della specie, ed ha
riscontrato che per adattarsi, vivere, sopravvivere insieme agli altri si deve raggiungere un
certo EQUILIBRIO, cioè uno stato di OMEOSTASI.
Esempio : se scrivi stando bene, sei concentrato, se scrivi avendo mal di pancia non sei
concentrato.
Tutto parte, comunque, da un bisogno di ordine interno dell’organismo.
Ognuno nel suo processo vitale, si sforza per mantenere un equilibrio
dinamico, avendo delle evoluzioni del comportamento secondo il
maturare delle condizioni ambientali e secondo le differenze presenti in
ogni individuo.
Tutto questo fa sì che uno possa scrivere un proprio BIOGRAMMA,
tenendo presente, tra l’altro, che uomini e donne hanno comportamenti
diversi, in base al corredo biologico che ognuno ha.
Questo biogramma si può analizzare a livello di periodi completi della
nostra esistenza, anche perché in ogni periodo della vita ci sono diverse
modalità di comportamento sociale.
Esempio: si cambia nel tempo: nascita – adolescenza – giovinezza –
senilità, tutto cambia in condizioni di equilibrio e tutto influenza il
patrimonio genetico.
Questo significa anche che man mano che passa il tempo, quindi c’è
una diversa DIVISIONE DEL LAVORO.
Ma in ogni cultura emergono modalità diverse, cioè dei simboli
significativi, così come afferma George Mead, notissimo sociologo e
psicologo.
Ci sono, inoltre, modi di essere, vivere, parlare, ecc. che diventano dei
simboli caratterizzanti la propria cultura di appartenenza, per poi lasciarli
in eredità alle generazioni future.
La cultura
Che cos’è la cultura?
• Un concetto complesso
• Dalla lunga storia
• Un concetto controverso
Etimologia
Cultura = (lat. colere)
Coltivare, lavorare la terra
Fino al XVIII secolo
Cultura = (concezione umanistica o classica) si applica
all’educazione delle persone per indicare
l’istruzione/erudizione
A partire dal XVIII secolo
Cultura = (concezione antropologica o moderna)
descritta come un insieme omogeneo di tradizioni, disposizioni
morali e conquiste intellettuali, che esprimono lo spirito più
profondo e autentico di un popolo
Definizione di “cultura”
per l’antropologia
La cultura, o civiltà, nel suo ampio senso
etnografico, è quell’insieme complesso
che include le conoscenze, le credenze,
l’arte, il diritto, la morale, i costumi e
qualsiasi altra capacità e abitudine
acquisita dall’uomo come membro di una
società.
(E.B. Tylor, 1871)
Definizione generale di “cultura” per
le scienze sociali
• Si riferisce alle convinzioni, ai valori, ai simboli
espressivi (arte, letteratura) che un gruppo o
società condivide, e costituisce un modo di
organizzare l’esperienza e una guida al
comportamento per i membri di un gruppo.
(N.J. Smelser)
RIFLESSI: Risposte
automatiche a stimoli PULSIONI: Bisogni
(S R)
biologici innati
Comportamento
appreso
Comportamento
geneticamente determinato
ISTINTO
Dalla natura alla cultura
“L’uomo non si inserisce spontaneamente nella
realtà naturale del mondo come l’animale, ma si
scinde da essa e le si oppone con i propri fini,
lotta, usa violenza e la subisce. Con questo
primo grande dualismo nasce la propria
seconda istanza all’interno dello spirito stesso”
(G. Simmel, 1908)
La “tragedia” della cultura
“… dopo che determinati motivi fondamentali
del diritto, dell’arte, del costume sono stati
creati, forse in base alla nostra più intima
spontaneità, ci sfugge in quali singole forme
si sviluppino …”
(G. Simmel, 1908)
Definizione di “cultura” di
C. Kluckhohon
“… Anche processi apparentemente biologici come
starnutire, camminare, dormire e far l’amore
possono
essere
svolti
secondo
modalità
specifiche. Se agli esseri umani – diversi nella
costituzione fisiologica e biologica –
può essere insegnato a pensare, sentire, credere
ed agire in certi modi che sono più o meno uguali
per tutto il gruppo (…) Questo tipo di
comportamento appreso (…) è detto cultura”.
Cultura e controllo
Cultura: “insieme di meccanismi di controllo – schemi,
prescrizioni, regole, istituzioni – per governare il
comportamento”. (C. Geertz 1973)
Cultura = Repressione
1) Limitazioni biologiche dell’organismo
2) Limiti posti dall’ambiente fisico
3) Esigenza di un ordinamento sociale
stabile
Cultura vs. civilizzazione
Cultura:
Attività soggettive,
variabili e libere
Oppure ciò che esprime
il senso profondo di
un’epoca storica
Civilizzazione:
Attività oggettive, il
cui carattere è dato
dalla continua
accumulazione e
dalla irreversibilità
CIVILTÀ - definizione
“Complesso di elementi o tratti della cultura, […],
materiali o ideali, cui la maggior parte delle società
umane pare avere attribuito in ogni epoca, con esiti
tendenzialmente convergenti […] un valore positivo e
progressivo rispetto agli elementi omologhi di cui
poteva disporre in precedenza, manifestando tale
valutazione con il preferire […] detti elementi agli
altri.”
Gallino, Dizionario di Sociologia
Elementi della civiltà
• Il linguaggio, la scienza, la tecnica e i
mezzi di produzione industriale, i
mezzi di trasporto, i mezzi di
comunicazione e i mass media, le
tecniche dell’igiene pubblica e
personale, il diritto, le tecniche
organizzative e burocratiche, etc.
Gallino, Dizionario di Sociologia
L’ambivalenza della cultura
Cultura
Civiltà
Sensibilità nei confronti di “ciò
che di meglio è stato pensato
e conosciuto”
Interiorizzazione e
apprendimento di un
“insieme complesso” di
saperi, credenze, arte,
costumi, tecniche, …
Coltivazione dell’animo umano
(paideia) e della morale
Coltivazione dell’etichetta,
delle convenzioni e delle
conoscenze pratiche
Attività soggettiva
Attività collettiva e oggettiva
Accusa di filesteismo
Accusa di etnocentrismo
Elitismo e opposizione alle
norme sociali
Conformismo
Libertà
Controllo sociale, repressione
Definizione sociologica di “cultura”
• E’ un insieme concatenato di modi di
pensare, di sentire, di agire più o meno
formalizzato che, essendo appresi e
condivisi da una pluralità di persone,
servono – in modo a un tempo
oggettivo e simbolico – a costituire
queste persone in una collettività
particolare e distinta.
totalità
La cultura si rivolge e comprende
ogni forma di attività umana:
Conoscitiva
Affettiva
Pratica
Formalizzazione
I modi di pensare, sentire agire possono
essere più o meno formalizzati:
Molto formalizzati Meno formalizzati
Codici e Leggi
Rapporti interpersonali
Cerimonie
Arti
Conoscenze Scientifiche
La cultura si trasmette
Niente di culturale è ereditato
biologicamente, ma si trasmette
mediante:
• Apprendimento
• Imitazione
SOCIALIZZAZIONE
Carattere collettivo
della cultura
I modi di pensare, sentire e agire sono
condivisi da una pluralità di persone.
Dimensione oggettiva e
dimensione simbolica
La cultura contribuisce a creare la
collettività in due modi:
OGGETTIVA
INTEGRAZIONE SOCIALE
SIMBOLICA
PERSONALE VISIONE DEL SOCIALE
Gli elementi di base della cultura
• Simboli
•
•
•
•
•
•
•
Che si organizzano in:
Conoscenza empirica
Conoscenza esistenziale
Valori
Norme
Riti
Codici (linguaggio, codici sociali)
Simbolizzazioni espressive (arte)
Significazione
• Relazione tra un significante e un
significato
– In alcuni casi la relazione è biunivoca ed
abbiamo un significato semplice che svolge
una funzione denotativa. Si parla di segnosegnale.
– In altri casi il rapporto è più complesso, entra
in gioco il processo di interpretazione. Il
significato complesso si trova nei segni detti
simboli.
Perché abbiamo bisogno di significati?
“Percepiamo l’ambiente che ci circonda
nei termini di un mondo dotato di
significato, ma tale significato non è un
attributo intrinseco degli oggetti della
nostra esperienza ma il frutto di un
processo interpretativo”
(De Biasi)
Una tipologia di simboli
sociali
Simboli
della SOLIDARIETA’
Simboli
dell’ORGANIZZAZIONE GERARCHICA
Simboli
dell’ORGANIZZAZIONE dei RUOLI
Simboli
del PASSATO e della MEMORIA
Simboli
della RELIGIONE
Le funzioni di simboli
Rappresentazione:
i simboli servono a descrivere
la realtà in cui viviamo (es. linguaggio)
:-)
Comunicazione:
i simboli permettono di trasmettere
la conoscenza di una persona
o di una cultura
Partecipazione:
i simboli conducono gli individui
a condividere valori e norme
EDUCAZIONE – COMUNICAZIONE – SOCIALIZZAZIONE
NELLA SOCIETA’ MEDIALE
Il mutamento profondo avvenuto negli
strumenti e nelle forme del comunicare
ha determinato, nel corso degli ultimi
decenni, uno spostamento d’interesse
negli studi sociali sui media.
L’attenzione degli scienziati sociali, dopo
essersi rivolta agli effetti a breve termine
dei media sui processi d’influenza e di
persuasione, si è spostata sugli effetti a
lungo termine che i media producono nei
processi di socializzazione e di
costruzione sociale della realtà.
Tra le ragioni che hanno influenzato
questo spostamento d’interesse vi è la
constatazione che, oggi, le nuove
generazioni crescono in un ambiente mai
esistito prima nel quale, sempre più a
stretto
contatto
con
le
molteplici
sollecitazioni derivanti da un ricco e
diversificato
universo
multimediale,
sperimentano esperienze del tutto inedite.
I media costituiscono per i bambini gli
adolescenti ed i giovani, oltre che una
occasione
d’intrattenimento,
una
straordinaria fonte di apprendimento che,
tuttavia, intervenendo a depotenziare la
funzione di orientamento e di guida della
formazione, e lasciando spazio alla
dimensione dell’apprendimento autonomo,
finalizzato
agli
obiettivi
concreti
dell’“imparare a saper fare”, può ritorcersi
contro i loro bisogni formativi.
Inoltre, proponendo una molteplicità d’istanze
cognitivo-emotitive e socio-relazionali spesso
contraddittorie, ma tali da consentire ai
giovani di costruire in modo “virtualmente” più
libero le loro modalità d’interazione, i media
svolgono
anche
una
funzione
di
socializzazione che, sia pure esplicandosi
attraverso forme diverse dal passato
(orizzontali
e
non
intenzionalmente
educative) è pari, se non superiore, a quella
delle agenzie tradizionali (famiglia e scuola,
innanzi tutto) le quali mostrano una crisi di
valori e una incapacità comunicativa quanto
mai palesi.
Così, mentre in passato la socializazzione
si concretizzava in un percorso evolutivo a
più stadi, caratterizzato da una scoperta
del mondo senza strappi e da una
maturazione graduale e protetta del
soggetto di minore età, tutto ciò appare
inverosimile oggi, a fronte di una realtà
radicalmente
diversa
che
vede
protagonisti i gruppi amicali e i media.
Ci troviamo di fronte ad una profonda
trasformazione di scenario che, prefigurando al
tempo stesso inedite prospettive (nuove
possibilità
creative
e
democratiche
di
conoscenza e di socialità) e innegabili rischi
(nuove disuguaglianze e processi di desocializzazione), induce ad un radicale
ripensamento dell’educazione nella cornice degli
incessanti
cambiamenti
promossi
dal
mutamento in atto nella comunicazione, il quale
apre - o ripropone sotto una nuova luce - tutta
una serie di questioni che le istituzioni educative
e gli educatori non sembrano essere, ancora,
adeguatamente preparati ad affrontare.
Di fronte alle questioni poste dall’avvento di
un nuovo scenario sociale, occorre
ripensare alla educazione nel contesto dei
moderni processi grazie ai quali oggi è
possibile esperire nuove forme di
comunicazione, socialità e conoscenza.
In questa prospettiva, tra i sociologi italiani
che per primi hanno indicato la rilevanza
sociale
del
nesso
comunicazioneeducazione, si può menzionare Marino
Livolsi, secondo il quale la socializzazione
proposta dai media è la matrice di un
nuovo e diverso nomadismo, tutto
“virtuale”, grazie al quale il bambino
esplora un mondo in cui incontra luoghi,
personaggi,
situazioni,
sperimenta
sentimenti ed emozioni, e sviluppa persino
una concezione morale.
Questa inedita forma di socializzazione si
configura come l’apprendistato di un attore
(poco) sociale, abituato a vivere simulazioni di
rapporti con personaggi di fantasia, piuttosto che
ad interiorizzare esperienze vissute interagendo
con persone reali.
Il continuo esercizio a diventare altro da sé un’arte appresa ed esercitata, innanzi tutto, di
fronte alla Tv - trasforma il bambino in un abile
attore, capace di mimetizzarsi in ogni
circostanza, di mascherarsi secondo le richieste
e le circostanze del sociale o secondo ciò che gli
appare più conveniente, finendo col farlo vivere
“straniero” nel mondo reale, col renderlo
incapace di crescere e di costruire una propria
identità e un proprio progetto di vita.
Già all’inizio degli anni Ottanta, mettendo in luce
la
“crisi
della
socialità”
indotta
dalla
trasformazione
della
famiglia
e
dalla
concomitante
affermazione
di
“modelli
alternativi”, legati al crescente protagonismo dei
media, Livolsi evidenziava l’influenza della
televisione nella socializzazione del bambino.
Verso la fine degli anni Novanta, riprendendo il
tema della socializzazione televisiva, l’Autore
mette in luce il ruolo svolto dalla televisione nella
esplorazione del mondo da parte del bambino il
quale, attraverso il piccolo schermo, impara a
conoscere i luoghi più lontani e quelli della
fantasia, incontra i personaggi più diversi e vive
le situazioni più strane.
Esplorare il mondo, per il bambino, significa
conoscere tutto ciò che un giorno potrebbe
capitare anche a lui, ovvero “fare le prove” per
entrare nel mondo reale; di pari passo con
l’esplorazione del mondo esterno, egli compie
anche una sorta di viaggio interiore, spesso più
intrigante di quello attraverso i luoghi della terra.
Sono, tutti, momenti della costruzione del sé, di
simulazione di esperienze reali in cui il bambino
impara, per esempio, che certi modi di essere
(affettuoso, piagnucoloso, ecc.) funzionano e
vanno
perseguiti
(perché
si
ottengono
ricompense), mentre altri sono da evitare o
nascondere (perché procurano dispiaceri o
frustrazioni).
Considerando che l’esplorazione del sé è
l’esperienza fondamentale del contrasto tra
dovere e piacere, è proprio qui che la televisione
può giocare un ruolo distorcente, poiché il
mondo televisivo è il mondo della gioia e del
lieto fine, dove tutto si conclude per il meglio,
ogni avventura è possibile, gli adulti sono
comprensivi e amorevoli, né ci sono i dolori e le
difficoltà della vita vera.
In altre parole, nell’immaginario televisivo non
esiste quel “principio di realtà” presente nella
vita quotidiana, che è fatta anche di obblighi e di
divieti.
Ecco perché guardare la televisione è, per il
bambino, più bello che andare a scuola,
competere con i coetanei o annoiarsi da solo in
casa: il mondo televisivo è affascinante anche
perché opera senza alcuna mediazione da parte
degli adulti; in ogni caso, esso appare spesso
come il più bel mondo possibile, se altro non c’è
o perde nel confronto.
Così, davanti alla Tv, il bambino si abitua a
vivere simulazioni di rapporti con personaggi e
non relazioni con persone vere, impara a reagire
emotivamente a ciò che compare sul piccolo
schermo e che lo fa piangere o ridere, più che
fornirgli suggerimenti su possibili comportamenti
e modelli di relazione con gli altri.
Mediante un coinvolgimento empatico con
storie e personaggi del piccolo schermo, il
bambino, piuttosto che interiorizzare
esperienze
vissute
(il
che
gli
permetterebbe di farle diventare proprie e
importanti),
sperimenta
esperienze
improbabili,
aperte
e
fortemente
sottolineate sul piano emotivo: è come
fare un sogno che prende totalmente,
salvo poi a svanire nel momento in cui si
aprono gli occhi.
Così, per lo spettatore-bambino (le cui esperienze
del mondo reale sono piuttosto limitate), assistere al
flusso televisivo è come vivere una lunga notte dai
molteplici sogni, in cui la quasi realtà della
televisione si sovrappone e si mescola a quella
dell’esperienza reale quotidiana.
Il bambino socializzato dalla Tv impara presto a
divenire un abile bricoleur di messaggi e di significati
che ha tratto dalle sequenze televisive per lui più
significative, e che mette insieme secondo una
logica provvisoria e casuale.
La socializzazione televisiva non facilita la
costruzione di un’identità personale stabile nel
tempo; essa è, piuttosto, la matrice di una identità
da adulto-spettatore che assiste a ciò che gli viene
mostrato, senza esserne coinvolto veramente.
Capace di provare emozioni, più che di
comprendere e valutare, assumere decisioni e
intervenire, il bambino virtuale descritto da Livolsi è
pronto ad entusiasmarsi rapidamente ma, anche, ad
abbandonare altrettanto in fretta l’oggetto dei suoi
entusiasmi; è senza chiari punti di riferimento
(persone, gruppi, valori) e certezze stabili nel tempo,
stenta a diventare adulto, non è più sicuro di “come
essere” e di “cosa fare” da grande.
Forse, non saprà fare altro che sviluppare emozioni,
repentini entusiasmi e delusioni. Farà comunque
poco per difendere le sue idee e i suoi valori. Ciò
prolungherà e rafforzerà - in una nuova dimensione
- il senso della sua “onnipotenza” infantile. Così,
anche da adulto, potrà continuare ad illudersi di
poter ottenere tutto ciò che desidera e che nel corso
degli anni ha visto in Tv.
Con maggiore fiducia sembra guardare al futuro
Mario Morcellini.
A partire dal presupposto che i moderni sistemi
democratici portano in sé tanto la frantumazione dei
gruppi tradizionali di riferimento (classi, ceti,
comunità, ecc.) quanto l’enfasi per l’individualismo e
lo spirito di tolleranza (così tipici del moderno),
l’Autore intravede nella “insostenibile leggerezza
dell’essere”, che contraddistingue la società attuale,
una serie di contraddizioni che richiedono:
• tanto una capacità di lettura dei punti più vistosi di
cedimento e scompenso delle tradizionali agenzie
di socializzazione (famiglia e scuola, innanzi tutto);
• quanto un’indagine sui nuovi circuiti in cui passa la
socialità e si affermano procedure e regole vissute
d’interazione sociale (consumi multimediali e gruppi
amicali).
Nella formazione attuale delle nuove
generazioni si possono individuare, infatti,
almeno due diverse tendenze:
1) Una socializzazione tramite mediazione, nel
cui contesto i soggetti che la costruiscono
(dispensatori o utenti che siano) continuano ad
attribuire un peso e un investimento decisivo alle
tradizionali agenzie di mediazione sociale e a
condividere il valore (o, perlomeno, il linguaggio
e il rituale) della trasmissione.
2) Una socializzazione senza mediazioni, entro la
quale le sollecitazioni e le influenze del capitale
trasmesso s’intrecciano con il peso delle agenzie
più informali ed interattive della comunicazione e
dell’interazione sociale. Tale pratica può essere
definita come una sorta di auto-socializzazione in
cui ciò che viene meno non è tanto la trasmissione
come attività specifica e come rituale quanto,
piuttosto, l’autorevolezza della trasmissione stessa
e, dunque, il suo significato più profondo.
Le vie della socializzazione appaiono, così,
meno chiare ed ordinate rispetto al passato: il
percorso unico, normativo e garantito della
formazione è tramontato, non ci sono più un
“prima” e un “dopo” precisamente determinabili,
deperiscono quasi tutti i modelli, tranne quelli
culturalmente disposti a prendere atto delle
tante socializzazioni e a fare i conti con gli attori
quotidiani e riconoscibili che si muovono nel
“mercato della formazione”.
Di fronte a trasformazioni di questa portata, è
tempo di prendere atto che sono cambiati tutti i
soggetti e i fattori coinvolti nell’esperienza della
socializzazione:
il minore, più aperto ed esperto nell’interagire
con le sollecitazioni derivanti da un ricco e
diversificato universo multimediale, che attraversa “le
sabbie mobili del processo formativo” disponendo di
una quota di libertà sorprendentemente inedita, che
però non è preparato a gestire;
l’adulto, soprattutto colui il quale si trova ad
assumere “emotivamente” (in qualità di genitore) o
“professionalmente” (in qualità d’insegnante) il difficile
compito di educare nelle mutate condizioni della
modernità, in cui non c’è più una un progetto
riconoscibile di individuo e società sul quale fondare
la possibilità stessa di educare;
la società nel suo complesso, che rimane la meta
ideale cui guarda l’individuo nelle sue dinamiche di
relazione e di ricerca di significato, nonché il punto
di riferimento fondamentale della comunicazione dei
valori.
•
Le analisi sociologiche cui si è
sommariamente accennato evidenziano
come le profonde trasformazioni connesse
al crescente protagonismo dei media nei
processi di socializzazione inducano a
prendere in considerazione l’importanza di
una formazione del cittadino come
soggetto attivo piuttosto che come acritico
fruitore dei messaggi e delle immagini da
loro veicolati.
Il sistema educativo è chiamato, perciò, a
fornire ai soggetti in formazione
sia abilità mediali, intese come capacità di
comprendere i media,
sia competenze mediali, intese come
capacità di creare nuove forme di
espressione e di comunicazione,
per far concepire i media non tanto
come veicoli neutri di contenuti, quanto
piuttosto come un “ambiente di vita”
che dà forma alle esperienze
cognitivo-emotive e socio-relazionali
delle persone.
In questa prospettiva, per rendere
praticabile, efficace e qualificata un’azione
educativa attenta allo scenario sociale
emergente, diventa cruciale creare le
occasioni per una formazione di quanti, a
vario titolo, operano in ambito educativo,
orientandoli
a
sviluppare
quelle
competenze e quelle abilità che fino ad
oggi la scuola non ha previsto, ma che da
tempo la società richiede.
Il progetto della Media Education
tra le risposte più efficaci a tale esigenza si
eleva l’esperienza della Media Education (1).
Il termine si riferisce alle numerose iniziative
portate avanti, nell’ultimo trentennio, da un
vasto e variegato movimento internazionale
volto a mettere a confronto, sia pure sulla
base di impostazioni epistemologiche e
metodologiche differenti, la realtà “nuova” dei
media con quella “antica” dell’educazione.
(1) Masterman L., Teaching about Television, MacMillan, London 1980; Id., Teaching
the Media, Routledge, London 1985; Id., A scuola di media. Educazione, media e
democrazia nell’Europa degli anni ’90, La Scuola, Brescia 1997.
La strategia perseguita dalla Media Education
non è puramente “difensiva”, cioè limitata a
“proteggere” gli individui (in particolare, quelli di
minore età) dagli “effetti perversi” dei media,
bensì una strategia di attacco, volta a fornire
competenze e abilità mediali affinché ciascuno
possa acquisire la capacità critica di
comprendere e di confrontarsi con l’universo dei
media, e di saper creare a sua volta nuove
forme di espressione e di comunicazione.
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