Università degli Studi di Foggia Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di Laurea Educazione professionale Anno Accademico 2010/2011 Corso di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi Docente Dott. Alfredo BERTOZZI sociologia dei processi culturali e comunicativi Il settore comprende una serie di campi di competenza concernenti la lettura sociologica dei fenomeni della cultura, da quelli assiologici a quelli comunicativi e della socializzazione e formazione (anche delle risorse umane), fino all'impatto sociale dei mass media e delle tecnologie avanzate. L'assiologia, termine derivante dal greco axia (αξια, valore), è la dottrina del valore. L'assiologia pretende di fondare una gerarchia metafisica ideale alla quale deve aspirare la scala dei valori umani per avvicinarsi quanto più possibile ad essa. Il settore si articola in varie aree: dalla sociologia della famiglia e della religione all'analisi dei processi culturali e dell'educazione alla comunicazione alle dinamiche media/industria culturale, all'analisi sociologica della radio-televisione e dell'informazione al settore dei nuovi media e della pubblicità, Obiettivo della sociologia • La sociologia: • deve prestare attenzione alle conoscenze che diamo per scontate e che condizionano il nostro vivere quotidiano • deve problematizzare l’ovvio (Wittgenstein) • Suo oggetto d’analisi è il “mondo della vita quotidiana”, il “mondo dato per scontato”, nel quale si produce e si utilizza in continuazione una conoscenza di “senso comune” La dimensione oggettiva del sociale • La nostra conoscenza del mondo della vita quotidiana procede per tipizzazioni (cane/coniglio; dalmata/setter) • Le tipizzazioni tendono ad essere condivise intersoggettivamente • Le tipizzazioni condivise possono assumere la forma di istituzioni sociali (famiglia, educazione, mercato, politica, etc.) • Le istituzioni “tipizzano” le interazioni sociali in ruoli • Le istituzioni si riproducono di generazione in generazione e devono essere legittimate (giustificate) • Fra i più importanti fattori di legittimazione vi sono gli “universi simbolici”: rappresentazioni che coinvolgono diverse sfere di vita e di significato fornendo una matrice unitaria dei significati (religione, tradizione, etc.). La realtà sociale • Realtà oggettiva • Realtà soggettiva Continui e ricorsivi processi di • Esteriorizzazione • Oggettivazione • Interiorizzazione Interiorizzazione - socializzazione • L’individuo non nasce già socializzato dunque per l’individuo ontogenticamente il punto di partenza è l’interiorizzazione • Per interiorizzazione della realtà sociale si deve intendere “la percezione o l’interpretazione immediata di un evento oggettivo come esprimente un significato, cioè come una manifestazione di processi soggettivi di un altro che così diventa soggettivamente significativo per me stesso” Processi dell’interiorizzazione • • • • • • Percezione del mondo Comprensione dei miei simili Definizione reciproca del mondo Costruzione intersoggettiva del mondo Continua identificazione reciproca Reciproca partecipazione dell’uno all’esistenza dell’altro • Interiorizzazione delle aspettative e delle norme sociali • Conoscenza e adeguamento alle aspettative di ruolo Socializzazione – (una sintesi) • Quando un individuo ha metabolizzato i processi sopra descritti e si è insediato nella società, è subentrato nel mondo sociale in cui altri vivono e si è realizzato il processo di socializzazione Tipi di socializzazione • Socializzazione primaria: primo fondamentale processo di insediamento dell’individuo nella società • Socializzazione secondaria: processo successivo che introduce l’individuo in particolari settori della società e lo abilita svolgere specifici ruoli Caratteri della socializzazione primaria • Relazione con altri rilevanti • Interiorizzazione - tramite identificazione dei contenuti della loro coscienza • Forti implicazioni affettivo emotive piuttosto che cognitive • Gli altri rilevanti non sono scelti e la loro definizione del mondo assume una realtà oggettiva indiscussa e indiscutibile Socializzazione secondaria Non è possibile pensare ad una società che esaurisca la socializzazione con la fase primaria, dovrebbe essere una società priva di differenziazione e sociale e (divisione del lavoro) e dunque di distribuzione della conoscenza. La socializzazione secondaria è: l’interiorizzazione di sottomondi istituzionali e di una conoscenza legata al ruolo. Socializzazione secondaria •I sottomondi richiedono un apparato legittimante accompagnato da simboli rituali •Il problema fondamentale della socializzazione secondaria è che essa presuppone un precedente processo di socializzazione e deve essere coerente con esso (esempi: bambino di famiglia contadina poco istruita di basso ceto sociale, bambino di ceto medio-alto; etc.) Alla nascita ogni persona è diversa dall’altra. Infatti, ognuno di noi è un essere caratteristico. Nei geni, che ognuno ha quale dotazione ereditaria, ci sono delle componenti fisiche e comportamentali. L’individuo quindi è la somma di fattezze fisiche e modelli comportamentali ereditati. Con queste caratteristiche l’uomo di affaccia all’ambiente esterno. Esempio: è diverso nascere in Groenlandia o in Camerun. Il modo di rapportarsi all’AMBIENTE, inoltre, cambia da cultura a cultura, ed esso fa si che ciascuno si adatti all’ambiente in modo diverso dagli altri questo significa che al GENOTIPO si aggiunge il FENOTIPO e l’esperienza sociale di ognuno fa sì che si aggiunga, di volta in volta, qualcosa al genotipo ed al fenotipo. La società è costituita da più persone in un processo di ADATTAMENTO, infatti, ognuno di noi si comporta in modo tale da reagire all’ambiente che ci circonda, sempre però insieme agli altri. DARWIN è stato colui che ha fatto esperimenti sulla riproduzione della specie, ed ha riscontrato che per adattarsi, vivere, sopravvivere insieme agli altri si deve raggiungere un certo EQUILIBRIO, cioè uno stato di OMEOSTASI. Esempio : se scrivi stando bene, sei concentrato, se scrivi avendo mal di pancia non sei concentrato. Tutto parte, comunque, da un bisogno di ordine interno dell’organismo. Ognuno nel suo processo vitale, si sforza per mantenere un equilibrio dinamico, avendo delle evoluzioni del comportamento secondo il maturare delle condizioni ambientali e secondo le differenze presenti in ogni individuo. Tutto questo fa sì che uno possa scrivere un proprio BIOGRAMMA, tenendo presente, tra l’altro, che uomini e donne hanno comportamenti diversi, in base al corredo biologico che ognuno ha. Questo biogramma si può analizzare a livello di periodi completi della nostra esistenza, anche perché in ogni periodo della vita ci sono diverse modalità di comportamento sociale. Esempio: si cambia nel tempo: nascita – adolescenza – giovinezza – senilità, tutto cambia in condizioni di equilibrio e tutto influenza il patrimonio genetico. Questo significa anche che man mano che passa il tempo, quindi c’è una diversa DIVISIONE DEL LAVORO. Ma in ogni cultura emergono modalità diverse, cioè dei simboli significativi, così come afferma George Mead, notissimo sociologo e psicologo. Ci sono, inoltre, modi di essere, vivere, parlare, ecc. che diventano dei simboli caratterizzanti la propria cultura di appartenenza, per poi lasciarli in eredità alle generazioni future. La cultura Che cos’è la cultura? • Un concetto complesso • Dalla lunga storia • Un concetto controverso Etimologia Cultura = (lat. colere) Coltivare, lavorare la terra Fino al XVIII secolo Cultura = (concezione umanistica o classica) si applica all’educazione delle persone per indicare l’istruzione/erudizione A partire dal XVIII secolo Cultura = (concezione antropologica o moderna) descritta come un insieme omogeneo di tradizioni, disposizioni morali e conquiste intellettuali, che esprimono lo spirito più profondo e autentico di un popolo Definizione di “cultura” per l’antropologia La cultura, o civiltà, nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, il diritto, la morale, i costumi e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società. (E.B. Tylor, 1871) Definizione generale di “cultura” per le scienze sociali • Si riferisce alle convinzioni, ai valori, ai simboli espressivi (arte, letteratura) che un gruppo o società condivide, e costituisce un modo di organizzare l’esperienza e una guida al comportamento per i membri di un gruppo. (N.J. Smelser) RIFLESSI: Risposte automatiche a stimoli PULSIONI: Bisogni (S R) biologici innati Comportamento appreso Comportamento geneticamente determinato ISTINTO Dalla natura alla cultura “L’uomo non si inserisce spontaneamente nella realtà naturale del mondo come l’animale, ma si scinde da essa e le si oppone con i propri fini, lotta, usa violenza e la subisce. Con questo primo grande dualismo nasce la propria seconda istanza all’interno dello spirito stesso” (G. Simmel, 1908) La “tragedia” della cultura “… dopo che determinati motivi fondamentali del diritto, dell’arte, del costume sono stati creati, forse in base alla nostra più intima spontaneità, ci sfugge in quali singole forme si sviluppino …” (G. Simmel, 1908) Definizione di “cultura” di C. Kluckhohon “… Anche processi apparentemente biologici come starnutire, camminare, dormire e far l’amore possono essere svolti secondo modalità specifiche. Se agli esseri umani – diversi nella costituzione fisiologica e biologica – può essere insegnato a pensare, sentire, credere ed agire in certi modi che sono più o meno uguali per tutto il gruppo (…) Questo tipo di comportamento appreso (…) è detto cultura”. Cultura e controllo Cultura: “insieme di meccanismi di controllo – schemi, prescrizioni, regole, istituzioni – per governare il comportamento”. (C. Geertz 1973) Cultura = Repressione 1) Limitazioni biologiche dell’organismo 2) Limiti posti dall’ambiente fisico 3) Esigenza di un ordinamento sociale stabile Cultura vs. civilizzazione Cultura: Attività soggettive, variabili e libere Oppure ciò che esprime il senso profondo di un’epoca storica Civilizzazione: Attività oggettive, il cui carattere è dato dalla continua accumulazione e dalla irreversibilità CIVILTÀ - definizione “Complesso di elementi o tratti della cultura, […], materiali o ideali, cui la maggior parte delle società umane pare avere attribuito in ogni epoca, con esiti tendenzialmente convergenti […] un valore positivo e progressivo rispetto agli elementi omologhi di cui poteva disporre in precedenza, manifestando tale valutazione con il preferire […] detti elementi agli altri.” Gallino, Dizionario di Sociologia Elementi della civiltà • Il linguaggio, la scienza, la tecnica e i mezzi di produzione industriale, i mezzi di trasporto, i mezzi di comunicazione e i mass media, le tecniche dell’igiene pubblica e personale, il diritto, le tecniche organizzative e burocratiche, etc. Gallino, Dizionario di Sociologia L’ambivalenza della cultura Cultura Civiltà Sensibilità nei confronti di “ciò che di meglio è stato pensato e conosciuto” Interiorizzazione e apprendimento di un “insieme complesso” di saperi, credenze, arte, costumi, tecniche, … Coltivazione dell’animo umano (paideia) e della morale Coltivazione dell’etichetta, delle convenzioni e delle conoscenze pratiche Attività soggettiva Attività collettiva e oggettiva Accusa di filesteismo Accusa di etnocentrismo Elitismo e opposizione alle norme sociali Conformismo Libertà Controllo sociale, repressione Definizione sociologica di “cultura” • E’ un insieme concatenato di modi di pensare, di sentire, di agire più o meno formalizzato che, essendo appresi e condivisi da una pluralità di persone, servono – in modo a un tempo oggettivo e simbolico – a costituire queste persone in una collettività particolare e distinta. totalità La cultura si rivolge e comprende ogni forma di attività umana: Conoscitiva Affettiva Pratica Formalizzazione I modi di pensare, sentire agire possono essere più o meno formalizzati: Molto formalizzati Meno formalizzati Codici e Leggi Rapporti interpersonali Cerimonie Arti Conoscenze Scientifiche La cultura si trasmette Niente di culturale è ereditato biologicamente, ma si trasmette mediante: • Apprendimento • Imitazione SOCIALIZZAZIONE Carattere collettivo della cultura I modi di pensare, sentire e agire sono condivisi da una pluralità di persone. Dimensione oggettiva e dimensione simbolica La cultura contribuisce a creare la collettività in due modi: OGGETTIVA INTEGRAZIONE SOCIALE SIMBOLICA PERSONALE VISIONE DEL SOCIALE Gli elementi di base della cultura • Simboli • • • • • • • Che si organizzano in: Conoscenza empirica Conoscenza esistenziale Valori Norme Riti Codici (linguaggio, codici sociali) Simbolizzazioni espressive (arte) Significazione • Relazione tra un significante e un significato – In alcuni casi la relazione è biunivoca ed abbiamo un significato semplice che svolge una funzione denotativa. Si parla di segnosegnale. – In altri casi il rapporto è più complesso, entra in gioco il processo di interpretazione. Il significato complesso si trova nei segni detti simboli. Perché abbiamo bisogno di significati? “Percepiamo l’ambiente che ci circonda nei termini di un mondo dotato di significato, ma tale significato non è un attributo intrinseco degli oggetti della nostra esperienza ma il frutto di un processo interpretativo” (De Biasi) Una tipologia di simboli sociali Simboli della SOLIDARIETA’ Simboli dell’ORGANIZZAZIONE GERARCHICA Simboli dell’ORGANIZZAZIONE dei RUOLI Simboli del PASSATO e della MEMORIA Simboli della RELIGIONE Le funzioni di simboli Rappresentazione: i simboli servono a descrivere la realtà in cui viviamo (es. linguaggio) :-) Comunicazione: i simboli permettono di trasmettere la conoscenza di una persona o di una cultura Partecipazione: i simboli conducono gli individui a condividere valori e norme EDUCAZIONE – COMUNICAZIONE – SOCIALIZZAZIONE NELLA SOCIETA’ MEDIALE Il mutamento profondo avvenuto negli strumenti e nelle forme del comunicare ha determinato, nel corso degli ultimi decenni, uno spostamento d’interesse negli studi sociali sui media. L’attenzione degli scienziati sociali, dopo essersi rivolta agli effetti a breve termine dei media sui processi d’influenza e di persuasione, si è spostata sugli effetti a lungo termine che i media producono nei processi di socializzazione e di costruzione sociale della realtà. Tra le ragioni che hanno influenzato questo spostamento d’interesse vi è la constatazione che, oggi, le nuove generazioni crescono in un ambiente mai esistito prima nel quale, sempre più a stretto contatto con le molteplici sollecitazioni derivanti da un ricco e diversificato universo multimediale, sperimentano esperienze del tutto inedite. I media costituiscono per i bambini gli adolescenti ed i giovani, oltre che una occasione d’intrattenimento, una straordinaria fonte di apprendimento che, tuttavia, intervenendo a depotenziare la funzione di orientamento e di guida della formazione, e lasciando spazio alla dimensione dell’apprendimento autonomo, finalizzato agli obiettivi concreti dell’“imparare a saper fare”, può ritorcersi contro i loro bisogni formativi. Inoltre, proponendo una molteplicità d’istanze cognitivo-emotitive e socio-relazionali spesso contraddittorie, ma tali da consentire ai giovani di costruire in modo “virtualmente” più libero le loro modalità d’interazione, i media svolgono anche una funzione di socializzazione che, sia pure esplicandosi attraverso forme diverse dal passato (orizzontali e non intenzionalmente educative) è pari, se non superiore, a quella delle agenzie tradizionali (famiglia e scuola, innanzi tutto) le quali mostrano una crisi di valori e una incapacità comunicativa quanto mai palesi. Così, mentre in passato la socializazzione si concretizzava in un percorso evolutivo a più stadi, caratterizzato da una scoperta del mondo senza strappi e da una maturazione graduale e protetta del soggetto di minore età, tutto ciò appare inverosimile oggi, a fronte di una realtà radicalmente diversa che vede protagonisti i gruppi amicali e i media. Ci troviamo di fronte ad una profonda trasformazione di scenario che, prefigurando al tempo stesso inedite prospettive (nuove possibilità creative e democratiche di conoscenza e di socialità) e innegabili rischi (nuove disuguaglianze e processi di desocializzazione), induce ad un radicale ripensamento dell’educazione nella cornice degli incessanti cambiamenti promossi dal mutamento in atto nella comunicazione, il quale apre - o ripropone sotto una nuova luce - tutta una serie di questioni che le istituzioni educative e gli educatori non sembrano essere, ancora, adeguatamente preparati ad affrontare. Di fronte alle questioni poste dall’avvento di un nuovo scenario sociale, occorre ripensare alla educazione nel contesto dei moderni processi grazie ai quali oggi è possibile esperire nuove forme di comunicazione, socialità e conoscenza. In questa prospettiva, tra i sociologi italiani che per primi hanno indicato la rilevanza sociale del nesso comunicazioneeducazione, si può menzionare Marino Livolsi, secondo il quale la socializzazione proposta dai media è la matrice di un nuovo e diverso nomadismo, tutto “virtuale”, grazie al quale il bambino esplora un mondo in cui incontra luoghi, personaggi, situazioni, sperimenta sentimenti ed emozioni, e sviluppa persino una concezione morale. Questa inedita forma di socializzazione si configura come l’apprendistato di un attore (poco) sociale, abituato a vivere simulazioni di rapporti con personaggi di fantasia, piuttosto che ad interiorizzare esperienze vissute interagendo con persone reali. Il continuo esercizio a diventare altro da sé un’arte appresa ed esercitata, innanzi tutto, di fronte alla Tv - trasforma il bambino in un abile attore, capace di mimetizzarsi in ogni circostanza, di mascherarsi secondo le richieste e le circostanze del sociale o secondo ciò che gli appare più conveniente, finendo col farlo vivere “straniero” nel mondo reale, col renderlo incapace di crescere e di costruire una propria identità e un proprio progetto di vita. Già all’inizio degli anni Ottanta, mettendo in luce la “crisi della socialità” indotta dalla trasformazione della famiglia e dalla concomitante affermazione di “modelli alternativi”, legati al crescente protagonismo dei media, Livolsi evidenziava l’influenza della televisione nella socializzazione del bambino. Verso la fine degli anni Novanta, riprendendo il tema della socializzazione televisiva, l’Autore mette in luce il ruolo svolto dalla televisione nella esplorazione del mondo da parte del bambino il quale, attraverso il piccolo schermo, impara a conoscere i luoghi più lontani e quelli della fantasia, incontra i personaggi più diversi e vive le situazioni più strane. Esplorare il mondo, per il bambino, significa conoscere tutto ciò che un giorno potrebbe capitare anche a lui, ovvero “fare le prove” per entrare nel mondo reale; di pari passo con l’esplorazione del mondo esterno, egli compie anche una sorta di viaggio interiore, spesso più intrigante di quello attraverso i luoghi della terra. Sono, tutti, momenti della costruzione del sé, di simulazione di esperienze reali in cui il bambino impara, per esempio, che certi modi di essere (affettuoso, piagnucoloso, ecc.) funzionano e vanno perseguiti (perché si ottengono ricompense), mentre altri sono da evitare o nascondere (perché procurano dispiaceri o frustrazioni). Considerando che l’esplorazione del sé è l’esperienza fondamentale del contrasto tra dovere e piacere, è proprio qui che la televisione può giocare un ruolo distorcente, poiché il mondo televisivo è il mondo della gioia e del lieto fine, dove tutto si conclude per il meglio, ogni avventura è possibile, gli adulti sono comprensivi e amorevoli, né ci sono i dolori e le difficoltà della vita vera. In altre parole, nell’immaginario televisivo non esiste quel “principio di realtà” presente nella vita quotidiana, che è fatta anche di obblighi e di divieti. Ecco perché guardare la televisione è, per il bambino, più bello che andare a scuola, competere con i coetanei o annoiarsi da solo in casa: il mondo televisivo è affascinante anche perché opera senza alcuna mediazione da parte degli adulti; in ogni caso, esso appare spesso come il più bel mondo possibile, se altro non c’è o perde nel confronto. Così, davanti alla Tv, il bambino si abitua a vivere simulazioni di rapporti con personaggi e non relazioni con persone vere, impara a reagire emotivamente a ciò che compare sul piccolo schermo e che lo fa piangere o ridere, più che fornirgli suggerimenti su possibili comportamenti e modelli di relazione con gli altri. Mediante un coinvolgimento empatico con storie e personaggi del piccolo schermo, il bambino, piuttosto che interiorizzare esperienze vissute (il che gli permetterebbe di farle diventare proprie e importanti), sperimenta esperienze improbabili, aperte e fortemente sottolineate sul piano emotivo: è come fare un sogno che prende totalmente, salvo poi a svanire nel momento in cui si aprono gli occhi. Così, per lo spettatore-bambino (le cui esperienze del mondo reale sono piuttosto limitate), assistere al flusso televisivo è come vivere una lunga notte dai molteplici sogni, in cui la quasi realtà della televisione si sovrappone e si mescola a quella dell’esperienza reale quotidiana. Il bambino socializzato dalla Tv impara presto a divenire un abile bricoleur di messaggi e di significati che ha tratto dalle sequenze televisive per lui più significative, e che mette insieme secondo una logica provvisoria e casuale. La socializzazione televisiva non facilita la costruzione di un’identità personale stabile nel tempo; essa è, piuttosto, la matrice di una identità da adulto-spettatore che assiste a ciò che gli viene mostrato, senza esserne coinvolto veramente. Capace di provare emozioni, più che di comprendere e valutare, assumere decisioni e intervenire, il bambino virtuale descritto da Livolsi è pronto ad entusiasmarsi rapidamente ma, anche, ad abbandonare altrettanto in fretta l’oggetto dei suoi entusiasmi; è senza chiari punti di riferimento (persone, gruppi, valori) e certezze stabili nel tempo, stenta a diventare adulto, non è più sicuro di “come essere” e di “cosa fare” da grande. Forse, non saprà fare altro che sviluppare emozioni, repentini entusiasmi e delusioni. Farà comunque poco per difendere le sue idee e i suoi valori. Ciò prolungherà e rafforzerà - in una nuova dimensione - il senso della sua “onnipotenza” infantile. Così, anche da adulto, potrà continuare ad illudersi di poter ottenere tutto ciò che desidera e che nel corso degli anni ha visto in Tv. Con maggiore fiducia sembra guardare al futuro Mario Morcellini. A partire dal presupposto che i moderni sistemi democratici portano in sé tanto la frantumazione dei gruppi tradizionali di riferimento (classi, ceti, comunità, ecc.) quanto l’enfasi per l’individualismo e lo spirito di tolleranza (così tipici del moderno), l’Autore intravede nella “insostenibile leggerezza dell’essere”, che contraddistingue la società attuale, una serie di contraddizioni che richiedono: • tanto una capacità di lettura dei punti più vistosi di cedimento e scompenso delle tradizionali agenzie di socializzazione (famiglia e scuola, innanzi tutto); • quanto un’indagine sui nuovi circuiti in cui passa la socialità e si affermano procedure e regole vissute d’interazione sociale (consumi multimediali e gruppi amicali). Nella formazione attuale delle nuove generazioni si possono individuare, infatti, almeno due diverse tendenze: 1) Una socializzazione tramite mediazione, nel cui contesto i soggetti che la costruiscono (dispensatori o utenti che siano) continuano ad attribuire un peso e un investimento decisivo alle tradizionali agenzie di mediazione sociale e a condividere il valore (o, perlomeno, il linguaggio e il rituale) della trasmissione. 2) Una socializzazione senza mediazioni, entro la quale le sollecitazioni e le influenze del capitale trasmesso s’intrecciano con il peso delle agenzie più informali ed interattive della comunicazione e dell’interazione sociale. Tale pratica può essere definita come una sorta di auto-socializzazione in cui ciò che viene meno non è tanto la trasmissione come attività specifica e come rituale quanto, piuttosto, l’autorevolezza della trasmissione stessa e, dunque, il suo significato più profondo. Le vie della socializzazione appaiono, così, meno chiare ed ordinate rispetto al passato: il percorso unico, normativo e garantito della formazione è tramontato, non ci sono più un “prima” e un “dopo” precisamente determinabili, deperiscono quasi tutti i modelli, tranne quelli culturalmente disposti a prendere atto delle tante socializzazioni e a fare i conti con gli attori quotidiani e riconoscibili che si muovono nel “mercato della formazione”. Di fronte a trasformazioni di questa portata, è tempo di prendere atto che sono cambiati tutti i soggetti e i fattori coinvolti nell’esperienza della socializzazione: il minore, più aperto ed esperto nell’interagire con le sollecitazioni derivanti da un ricco e diversificato universo multimediale, che attraversa “le sabbie mobili del processo formativo” disponendo di una quota di libertà sorprendentemente inedita, che però non è preparato a gestire; l’adulto, soprattutto colui il quale si trova ad assumere “emotivamente” (in qualità di genitore) o “professionalmente” (in qualità d’insegnante) il difficile compito di educare nelle mutate condizioni della modernità, in cui non c’è più una un progetto riconoscibile di individuo e società sul quale fondare la possibilità stessa di educare; la società nel suo complesso, che rimane la meta ideale cui guarda l’individuo nelle sue dinamiche di relazione e di ricerca di significato, nonché il punto di riferimento fondamentale della comunicazione dei valori. • Le analisi sociologiche cui si è sommariamente accennato evidenziano come le profonde trasformazioni connesse al crescente protagonismo dei media nei processi di socializzazione inducano a prendere in considerazione l’importanza di una formazione del cittadino come soggetto attivo piuttosto che come acritico fruitore dei messaggi e delle immagini da loro veicolati. Il sistema educativo è chiamato, perciò, a fornire ai soggetti in formazione sia abilità mediali, intese come capacità di comprendere i media, sia competenze mediali, intese come capacità di creare nuove forme di espressione e di comunicazione, per far concepire i media non tanto come veicoli neutri di contenuti, quanto piuttosto come un “ambiente di vita” che dà forma alle esperienze cognitivo-emotive e socio-relazionali delle persone. In questa prospettiva, per rendere praticabile, efficace e qualificata un’azione educativa attenta allo scenario sociale emergente, diventa cruciale creare le occasioni per una formazione di quanti, a vario titolo, operano in ambito educativo, orientandoli a sviluppare quelle competenze e quelle abilità che fino ad oggi la scuola non ha previsto, ma che da tempo la società richiede. Il progetto della Media Education tra le risposte più efficaci a tale esigenza si eleva l’esperienza della Media Education (1). Il termine si riferisce alle numerose iniziative portate avanti, nell’ultimo trentennio, da un vasto e variegato movimento internazionale volto a mettere a confronto, sia pure sulla base di impostazioni epistemologiche e metodologiche differenti, la realtà “nuova” dei media con quella “antica” dell’educazione. (1) Masterman L., Teaching about Television, MacMillan, London 1980; Id., Teaching the Media, Routledge, London 1985; Id., A scuola di media. Educazione, media e democrazia nell’Europa degli anni ’90, La Scuola, Brescia 1997. La strategia perseguita dalla Media Education non è puramente “difensiva”, cioè limitata a “proteggere” gli individui (in particolare, quelli di minore età) dagli “effetti perversi” dei media, bensì una strategia di attacco, volta a fornire competenze e abilità mediali affinché ciascuno possa acquisire la capacità critica di comprendere e di confrontarsi con l’universo dei media, e di saper creare a sua volta nuove forme di espressione e di comunicazione.