Interazioni puntuali in modelli di cristallo

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Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Scuola Politecnica e delle Scienze di Base
Area Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Dipartimento di Fisica
Laurea triennale in Fisica
Interazioni puntuali in modelli di cristallo
Relatori:
Candidato:
Prof. Rodolfo Figari
Roberto Niardi
Matricola N85000472
A.A. 2014/2015
Abstract
Lo scopo della trattazione è la descrizione delle interazioni puntuali in
meccanica quantistica e della loro applicazione in due modelli unidimensionali di cristallo; nell’introduzione vengono forniti cenni storici e richiami su
risultati necessari alla comprensione del testo; viene poi mostrato, nel capitolo 1, come l’approccio perturbativo si riveli inefficace nella definizione delle
interazioni puntuali.
Nel capitolo 2, con la teoria di Krein sulle estensioni autoaggiunte di operatori
simmetrici, vengono definite rigorosamente le interazioni puntuali e vengono
fornite le linee generali per la loro costruzione; nel capitolo 3 vengono prese
in esame e messe a confronto particolari interazioni puntuali in una dimensione, quelle a δ e quelle a δ 0 , nel caso di uno e infiniti centri d’interazione; il
modello di cristallo di Kronig e Penney consiste proprio in una successione di
buche δ equidistanziate e con la stessa ’forza’; nonostante la sua sostanziale
semplicità, mostra una struttura a bande non banale e dettagliatamente calcolabile.
In appendice A1 viene affrontata esplicitamente la costruzione di un’interazione puntuale nel caso di un centro d’interazione nello spazio tridimensionale; si fornisce poi, in appendice A2, la generalizzazione al caso di n centri,
con particolare attenzione alla famiglia di estensioni detta locale.
1
Indice
0.1
0.2
Cenni Storici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Richiami . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
0.2.1 Operatori . . . . . . . . . . . . . . . . . .
0.2.2 Operatore risolvente e spettro di operatore
0.2.3 Equazioni differenziali lineari . . . . . . .
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3
4
4
7
8
1 Approccio perturbativo
10
1.1 Sviluppo in serie del risolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.2 Sviluppo in serie dell’autostato . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2 Interazioni puntuali con la teoria di Krein
15
2.1 Definizione di interazione puntuale . . . . . . . . . . . . . . . 15
2.2 Algoritmo di costruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
3 Modelli unidimensionali notevoli
3.1 Interazione δ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.1 n = 1 : unico centro d’interazione . . . . . . . . . .
3.1.2 n = +∞ : infiniti centri d’interazione equidistanziati
con identici parametri dinamici . . . . . . . . . . .
3.2 Interazione δ 0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2.1 n = 1 : unico centro d’ interazione . . . . . . . . . .
3.2.2 n = +∞ : infiniti centri d’interazione equidistanziati
con identici parametri dinamici . . . . . . . . . . .
4 Conclusioni
.
.
e
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.
.
e
.
21
. 22
. 22
. 23
. 30
. 30
. 32
38
A Costruzione esplicita delle interazioni puntuali in <3
39
A.1 n = 1: un centro d’interazione e legame con lo pseudopotenziale di Fermi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
A.2 Generalizzazione a n centri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
Bibliografia
46
2
Introduzione
0.1
Cenni Storici
In questo scritto è presentato un modello che, nel secolo scorso, si è rivelato di grande importanza applicativa; un modello teorico della realtà fisica
è ritenuto tanto migliore:
• quanto più le previsioni basate su di esso saranno in accordo con i
risultati delle misure;
• quanto minori saranno le complicazioni (logiche e formali) necessarie
alla descrizione e alla ”risoluzione” del modello stesso.
Secondo i criteri appena esposti, il modello delle interazioni puntuali è
sicuramente notevole, in quanto è un esempio di modello completamente risolubile: in meccanica quantistica, ciò significa che si hanno forme analitiche
esplicite per autovalori e autofunzioni dell’operatore hamiltoniano.
Dal punto di vista intuitivo, se il raggio d’azione di un’interazione è la distanza massima oltre la quale questa può essere trascurata, si può pensare
alle interazioni puntuali come caratterizzate da un raggio d’azione significativamente minore di tutte le altre dimensioni lineari del problema in esame
(quali ad esempio, in un problema di scattering, la lunghezza d’onda di De
Broglie della particella incidente); un’interazione puntuale risulta descritta
quindi da due tipi di parametri:
• geometrici: indicano dove i centri d’interazione si trovino;
• dinamici: indicano quanto forte l’interazione sia.
Per quanto riguarda l’applicazione del modello delle interazioni puntuali
alla fisica dello stato solido, vanno ricordate (almeno) due tappe fondamentali:
3
0.2#1
4
• il primo articolo rilevante su modelli del tipo sopra-descritto è quello
di Kronig e Penney, e risale al 1931: viene esaminato il problema unidimensionale, con un numero infinito di centri d’interazione identici ed
equidistanziati; costituisce un modello semplice per la descrizione di un
elettrone non relativistico in un reticolo cristallino fisso;
• nel 1947, Goldberger e Seitz produssero un prima trattazione euristica
di cristallo tridimensionale con interazioni puntuali.
Per quanto concerne invece la matematica legata a questo tipo di approccio:
• Thomas, nel 1935, riuscı̀ ad ottenere una rappresentazione delle interazioni puntuali riscalando opportunamente potenziali a corto range;
• nel 1936 Fermi studiò lo scattering dei neutroni dalle sostanze idrogenate introducendo nel termine d’interazione neutrone-protone un termine
del tipo delta di Dirac, che fu battezzato pseudopotenziale di Fermi;
• solide basi matematiche furono poste a supporto della teoria solo negli
anni ’60, a opera di Berezin e Faddeev, con la teoria di Krein sulle
estensioni autoaggiunte di operatori simmetrici.
0.2
Richiami
Lo scopo di questa sezione è richiamare strumenti e risultati utili alla
comprensione della trattazione successiva.
0.2.1
Operatori
Sia T : X → Y operatore lineare da X spazio vettoriale normato a Y
spazio vettoriale normato.
Si definiscono limitati quegli operatori per cui
∃M > 0 :
||T (x)||Y
≤ M ∀x ∈ X,
||x||X
dove con || • ||Y si è indicata la norma in Y, con || • ||X quella in X;
si può dimostrare che, se X è finito-dimensionale, allora ogni operatore lineare è limitato.
Si consideri l’insieme degli operatori lineari limitati da X a Y spazi normati; esso può essere munito della struttura di spazio vettoriale normato sul
0.2#1
5
campo C dei complessi con le seguenti operazioni di somma, prodotto per
scalare e la seguente norma:
(T + S)(x) := T (x) + S(x) ∀x ∈ X;
(λT )(x) := λT (x) ∀λ ∈ C, ∀x ∈ X;
||T || := supx∈X
||T (x)||Y
;
||x||X
tale spazio sarà indicato B(X,Y);
vi si può introdurre anche il seguente prodotto, cosı̀ definito:
(T S)(x) = T (S(x)) ∀x ∈ X;
si può dimostrare che, se Y è completo, B(X,Y) è completo.
Si ricorda la definizione di spazio di Hilbert:
lo spazio vettoriale H si definisce spazio di Hilbert se esso è munito di prodotto scalare ed è completo rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare
in esso definito.
Sono di particolare interesse due casi particolari:
• X = Y = H, con H spazio di Hilbert; in questo caso, B(X,Y) viene
indicato con B(H);
• X = H, Y = C:
in questo caso, B(X,Y) è lo spazio vettoriale dei funzionali lineari
limitati da H in C, e si indica con H∗ ; vale il teorema di Riesz:
∀F ∈ H∗ , ∃!ψ ∈ H : F (φ) = (ψ, φ) ∀φ ∈ H.
Grazie al teorema di Riesz, si può definire l’aggiunto T + di un operatore
T ∈ B(H):
fissato uno ψ ∈ H, si consideri il funzionale, nella variabile φ, definito come
(ψ, T φ); dalla limitatezza di T segue la limitatezza di questo funzionale ∀ψ;
dal teorema di Riesz segue che ∀ψ ∃!ξ ∈ H : (ψ, T φ) = (ξ, φ) ∀φ;
definisco allora ξ := T + ψ ∀ψ ∈ H;
si può verificare facilmente che T + è un operatore lineare definito su tutto
H.
0.2#1
6
L’operazione che ad ogni operatore limitato assegna il suo aggiunto gode delle seguenti proprietà:
1) (T + S)+ = T + + S + ;
2) (αT )+ = ᾱT + ;
3) (ST )+ = T + S + ;
4) (T + )+ = T ;
5) ||T + || = T.
Verrà ora abbandonata l’ipotesi di limitatezza, che sarà rimpiazzata da
una più ’debole’, quella di chiusura, e si considereranno operatori densamente definiti su H: sia T, DT : DT → H, con DT denso in H.
T, DT si definisce chiuso se:
{φn }n∈ℵ ⊆ DT , φn → φ ∈ H, T (φn ) → ξ ∈ H
⇒
φ ∈ DT , ξ = T (φ);
la chiusura è una caratteristica più ’debole’ della limitatezza, in quanto si
può dimostrare che un operatore limitato è anche chiuso, ma non il viceversa.
Si può ancora definire l’aggiunto di un operatore T, DT :
si consideri l’insieme D+ degli ψ ∈ H : (ψ, T φ) è un funzionale limitato nella
variabile φ; allora dal teorema di Riesz segue che ∀ψ ∈ D+ ∃!ξ ∈ H :
(ψ, T φ) = (ξ, φ) ∀φ ∈ DT ; allora posso porre ξ := T + ψ ∀ψ ∈ D+ ; quindi,
detto DT + := D+ , si definisce aggiunto di T, DT l’operatore T + , DT + la cui
azione è stata appena illustrata; si verifica facilmente che esso è un operatore
lineare.
Si ricorda la definizione di estensione di un operatore S, DS :
T, DT estende S, DS , ovvero T ⊃ S, se DT ⊃ DS , T φ = Sφ ∀φ ∈ DS .
Valgono le seguenti proprietà:
1) T estende S ⇒ S + estende T + ;
2) l’aggiunto di un operatore chiuso densamente definito è chiuso.
Una volta definito l’aggiunto di un operatore, è possibile definire operatori simmetrici e autoaggiunti:
0.2#1
7
un operatore T è simmetrico se T ⊂ T + , mentre è autoaggiunto se T = T + ;
si nota immediatamente che:
1) un operatore autoaggiunto è simmetrico, ma non vale il viceversa;
2) per operatori limitati, simmetria e autoaggiuntezza sono equivalenti.
Indicando l’ortogonale di un sottospazio M con M ⊥ , l’immagine dell’operatore T, DT con RanT e il suo nucleo con KerT , vale la seguente uguaglianza
tra spazi:
(RanT )⊥ = KerT + .
Viene riportato ora un importante risultato, noto come criterio di autoaggiuntezza:
sia S, DS operatore chiuso, densamente definito e simmetrico; esso è autoaggiunto se e solo se
m± := dim[(RanS±i )⊥ ] = dim(KerS + ∓i ) = 0;
i sottospazi KerS + ∓i vengono detti ’sottospazi di difetto’, mentre i valori m±
vengono detti ’indici di difetto’.
0.2.2
Operatore risolvente e spettro di operatore
Sia T, DT : DT → H, con DT denso in H, operatore lineare densamente
definito e chiuso; si consideri l’operatore Tz := T − z, z ∈ C; si può notare
subito che, se z non è un autovalore di T, allora Tz è un un operatore chiuso,
iniettivo e suriettivo tra DTz = DT e RanTz ; allora ammette l’inverso, d’ ora
in poi indicato con RT (z) e chiamato operatore risolvente di T ; valgono i
seguenti due teoremi:
1) il teorema del grafico chiuso, che afferma: ogni operatore chiuso definito
sull’intero H è limitato;
2) (già citato) l’aggiunto di un operatore chiuso densamente definito è chiuso;
allora, per tutti gli z ∈ C : RanTz = H, RT (z) è un operatore limitato;
l’insieme degli z per cui risulta verificata tale condizione viene detto insieme
risolvente di T, e indicato con ρ(T ); il complementare di tale insieme è detto
spettro di T, e si indica con σ(T ); in generale, σ(T ) è un insieme chiuso; per
operatori simmetrici: σ(T ) è un sottoinsieme dell’asse reale, e autovettori
corrispondenti ad autovalori differenti sono ortogonali; per operatori autoaggiunti, inoltre, σ(T ) è costituito dall’unione dei due seguenti sottoinsiemi
dell’asse reale:
0.2#1
8
• σp (T ) := {z ∈ < : ∃φ : T φ = zφ} = {z ∈ < : RT (z) non è definito }
detto spettro puntuale: è l’insieme degli autovalori;
• σc (T ) := {z ∈ < : ∀ > 0, ∃φ : ||T φ − zφ|| < } = {z ∈ < : RT (z) esiste
ma è illimitato }
detto spettro continuo: potrebbe essere definito come l’insieme degli
autovalori approssimati;
è possibile quindi caratterizzare un operatore hamiltoniano (che dev’essere necessariamente autoaggiunto) tramite lo studio del suo risolvente.
0.2.3
Equazioni differenziali lineari
Sia V spazio vettoriale di funzioni nella variabile x := (x1 , ...xn );
sia Lx operatore differenziale lineare che agisca sulla variabile x;
si consideri la generica equazione differenziale lineare alle derivate parziali:
Lx u(x) = f (x),
da risolversi, con Lx ed f (x) noti, nell’incognita u(x);
si definisce funzione di Green di Lx la distribuzione G(x, y) tale che
Lx G(x, y) = δ(x − y);
allora si può notare che:
Z
dn y f (y)δ(x − y)
f (x) =
<n
Z
f (x) =
dn y f (y)Lx G(x, y);
<n
sfruttando il fatto che Lx non opera sulla variabile y, si può portare Lx fuori
dal segno d’integrale, ottenendo:
Z
f (x) = Lx
dn y f (y)G(x, y);
<n
sostituendo nell’equazione differenziale di partenza, si ottiene:
Z
Lx u(x) = Lx
dn y f (y)G(x, y);
<n
0.2#1
9
allora la più generale soluzione dell’equazione differenziale si potrà scrivere
come
Z
u(x) =
dn y f (y)G(x, y) + q(x),
<n
con q(x) soluzione dell’equazione differenziale omogenea, ovvero Lx q(x) = 0.
Risulta utile riscrivere lo stesso risultato nel formalismo bra-ket:
L|u >= |f >;
chiamando G l’operatore inverso, se esiste, di L, si ha
L|u >= LG|f >;
applicando il bra < x| e usando la rappresentazione dell’identità nelle y, si
ottiene:
Z
u(x) =
dn y f (y) < x|G|y > + q(x),
<n
con q(x) soluzione dell’equazione differenziale omogenea;
da questa, per confronto con la relazione precedentemente trovata, si ottiene:
G(x, y) =< x|G|y > .
Quest’approccio risulta particolarmente utile nella teoria perturbativa:
si consideri l’operatore L + λV, con L operatore il cui inverso è G0 è noto,
λ parametro perturbativo tale che |λ| << 1; indicando con G l’inverso di
L + λV , si ha:
(L + λV )G = 1
LG + λV G = 1;
LG = 1 − λV G;
G = G0 − λG0 V G;
essendo |λ| << 1, è lecito provare uno sviluppo in serie, sostituendo ripetutamente l’espressione di G al secondo membro; si ottiene cosı̀:
G = G0 − λG0 V G0 + (λ)2 G0 V G0 V G0 − ...
Capitolo 1
Approccio perturbativo
Per come è stato presentato intuitivamente nell’introduzione, sembrerebbe naturale assumere come hamiltoniano contenente interazione puntuale un
operatore siffatto:
X
H = −4 +
λy δy
y∈Y
dove:
• 4 è il laplaciano in <d , con d ∈ ℵ;
• Y è un sottoinsieme discreto di <d , e costituisce l’insieme dei parametri
geometrici;
• {λy }y∈Y costituisce l’insieme dei parametri dinamici;
sono possibili (almeno) due approcci, di tipo perturbativo:
1) sviluppo in serie del risolvente;
2) sviluppo in serie dell’autostato.
Dato che non è questo il metodo con cui tratteremo il problema generale,
ci si limiterà al caso Y = {y0 }.
1.1
Sviluppo in serie del risolvente
Tale metodo è già stato sviluppato nell’introduzione; ciò che resta da fare
è:
1) calcolare la funzione di Green di (−4 − z) :
2) sostituire, nello sviluppo, la δ di Dirac a V .
10
1.2#1
11
per quanto riguarda il calcolo della funzione di Green G(x, y), essa deve
soddisfare l’equazione:
(−4 − z)Gz (x, y) = δ(x − y);
poiché primo e secondo membro devono avere la stessa dipendenza dalle
variabili, e il secondo membro dipende solo dalla differenza x−y, dovrà essere
G(x, y) = G(x − y); applicando la trasformata di Fourier ambo i membri, si
ottiene:
1
(|k|2 − z)Ĝz (k) =
,
(2π)d/2
da cui:
Ĝz (k) =
1
(2π)d/2 (|k|2
− z)
;
antitrasformando, si ottiene Gz (x) :
√
exp(i z|x|)
z
√
; i termini di correzione nello sviluppo
• per d = 1, G (x) = −
2i z
del risolvente risultano finiti, e quindi lo sviluppo stesso è ben posto;
√
exp(i z|x|)
z
; i termini perturbativi esplodono,
• per d = 3, G (x) =
4π|x|
rendendo privo di significato lo sviluppo in serie.
1.2
Sviluppo in serie dell’autostato
Questo approccio, che ovviamente porta agli stessi risultati, è basato sulla
teoria delle perturbazioni indipendenti dal tempo degli stati del continuo; sia
H l’hamiltoniano
H = H0 + λV,
dove:
• |λ| << 1 giustifica la possibilità di un approccio perturbativo;
• con H0 s’intende l’hamiltoniano di particella libera (quindi avente spettro continuo e ben noto);
l’obiettivo è risolvere il problema agli autovalori per l’hamiltoniano completo,
H|ψz >= z|ψz >
1.2#1
12
conoscendo le soluzioni solo di quello imperturbato; è lecito pensare alla
seguente espansione per l’autoket:
|ψz >=
+∞
X
λn |ψz(n) >;
n=0
sostituendo nell’equazione agli autovalori, e imponendo che essa sia identicamente soddisfatta ∀λ si ottiene:
H0 |ψz(0) >= z|ψz(0) >
(0)
(che è l’equazione che definisce |ψz >)
(H0 − z)|ψz(n) >= −V |ψz(n−1) >, ∀n > 0
(n)
(n−1)
che consente di ricavare |ψz > noto |ψz
>;
scrivendo l’equazione nella rappresentazione spaziale, e ricordando che H0 è
l’hamiltoniano di particella libera, si ha:
(−4 − z)ψz(n) (x) = −V (~r)ψz(n−1) (x);
(n−1)
definendo il prodotto al secondo membro jz
(x), l’equazione si legge:
(−4 − z)ψz(n) (x) = jz(n−1) (x);
applicando il metodo della funzione di Green presentato nell’introduzione,
con calcoli praticamente identici a quelli sopramostrati, si ottiene:
ψz(n) (x) = (Gz jz(n−1) )(x),
ovvero, esplicitamente:
ψz(n) (x)
Z
=
<d
Gz (x − x0 )jz(n−1) (x0 )dd x0 ;
sostituendo in quest’espressione
V (x0 ) = δ(x0 − y0 ),
si ottiene
ψz(n) (x) = Gz (x − y0 )ψz(n−1) (y0 ),
che, iterando, fornisce:
ψz(n) (~x) = Gz (x − y0 )n ψz(0) (y0 );
1.2#1
13
allora si ha:
ψz (x) =
+∞
X
λn ψz(n) (x);
n=0
ψz (x) = ψz(0) (x) +
+∞
X
λn ψz(n) (x);
n=1
ψz (x) = ψz(0) (x) +
+∞
X
λn (Gz (x − y0 ))n ψz(0) (y0 );
n=1
ψz (x) =
ψz(0) (x)
+
ψz(0) (x0 )
+∞
X
λn (Gz (x − y0 ))n ;
n=1
ψz (x) =
ψz(0) (x)
+
1
ψz(0) (y0 )
− limn→+∞ (λGz (x − y0 ))n
;
1 − λGz (x − y0 )
è possibile fare a questo punto delle osservazioni interessanti: la condizione
di accettabilità dello sviluppo trovato è, ovviamente, che non ci siano termini
divergenti: condizione sufficiente è che |λGz (x − y0 )| < 1;
√
• nel caso unidimensionale, la disuguaglianza risulta essere: |λ| < 2 z;
fissato z punto di <+ , che costituisce lo spettro di H0 , esistono infiniti parametri dinamici non nulli che soddisfano la disuguaglianza
soprascritta;
• nel caso tridimensionale, invece, risulta |λ| < 4π|x − y0 |, che non può
essere soddisfatta in qualsiasi intorno di y0 , a meno che non sia λ = 0,
nel qual caso, però, H coinciderebbe con H0 ; allora, ∀λ 6= 0, esiste un
intorno I(y0 ) in cui lo sviluppo diverge, e quindi non può descrivere
il comportamento della particella, a meno che non sia nullo il fattore
(0)
ψz (y0 ); in tal caso lo stato sarebbe ovunque uguale a quello di particella libera, ma ciò non sorprende del tutto, in quanto la nullità di
(0)
ψz (y0 ) equivale, fisicamente, alla lontananza della particella dal centro
d’interazione.
Allora possiamo sintetizzare i risultati ottenuti con l’approccio perturbativo
in questo modo:
• in una dimensione, il potenziale d’interazione puntuale presentato con
considerazioni puramente intuitive è ben posto;
• in dimensioni maggiori (noi abbiamo esaminato il caso d = 3, ma il
risultato è generale), esso non può essere trattato con un approccio
perturbativo.
1.2#1
Ad ogni modo, riotterremo questo risultato in maniera più formale con la
teoria delle estensione autoaggiunte di operatori simmetrici.
14
Capitolo 2
Interazioni puntuali con la
teoria di Krein
2.1
Definizione di interazione puntuale
Il problema da risolvere è quello di trovare un hamiltoniano (ovvero un
operatore autoaggiunto) con dominio L2 (<d ) che agisca allo stesso modo
di quello introdotto precedentemente; allora risulta ragionevole imporre che
tale hamiltoniano debba coincidere con quello di particella libera su funzioni
d’onda che siano nulle in intorni dei centri d’interazione, ovvero:
Hψ(x) = −4ψ(x), ∀ψ(x) : ∃I(yi ) : ψ(x) = 0 ∀x ∈ I(yi ), ∀i;
di conseguenza, l’hamiltoniano dovrà essere un’estensione autoaggiunta della
seguente restrizione dell’operatore laplaciano:
Ĥ = −4,
D(Ĥ) = C0∞ (<d \ Y );
di tale restrizione, risulta immediatamente che:
• Ĥ è un operatore simmetrico, ma non autoaggiunto in L2 (<d ); difatti:
1. la simmetria si ottiene immediatamente integrando per parti e ricordando che le funzioni in studio devono necessariamente annullarsi
all’infinito;
2. per quanto riguarda l’autoaggiuntezza, dobbiamo confrontare i domini di Ĥ e Ĥ + ; sia g(x) ∈ D(Ĥ); per definizione di aggiunto,
f (x) ∈ D(Ĥ + )
⇔
15
2.2#1
16
il funzionale F (g) := (f, Ĥg) è limitato ∀g(x) ∈ D(Ĥ);
ma:
Z
(f, Ĥg) =
Z
(f, Ĥg) =
dd x f (x)∗ Ĥg(x);
<d
dd x f (x)∗ Ĥg(x);
supp g
quindi non c’è alcuna condizione specifica sulle f (x) negli intorni dei
centri d’interazione, tranne che non divergano in maniera tale da non
appartenere ad L2 (<d ); allora il dominio dell’aggiunto include quello
dell’operatore: Ĥ non è autoaggiunto;
• Ĥ ammette sicuramente un’estensione autoaggiunta, che è la seguente:
H0 = −4,
D(H0 ) = H 2 (<d )
dove H 2 (<d ) è lo spazio di Sobolev di indici (2,2), ovvero lo spazio
delle funzioni a modulo quadro integrabile con le loro derivate fino all’
ordine 2; tale estensione, coincidendo con quella di particella libera,
non è interessante ai fini della trattazione, e ci si riferirà ad essa d’ora
in poi come all’ estensione banale.
A questo punto è possibile definire in maniera rigorosa le interazioni puntuali: si definisce hamiltoniano con interazioni puntuali, avente come insieme
di parametri geometrici Y, una qualsiasi estensione di Ĥ diversa da quella
banale.
2.2
Algoritmo di costruzione
Al fine di trovare una tale estensione, cominciamo a studiare Ĥ + :
• per quanto riguarda il suo dominio, si può notare che:
∀ψ(x) ∈ H 2 (<d ), ∀φ(x) ∈ L2 (<d )
(ψ, −4φ) = (−4ψ, φ);
utilizzando anche la disuguaglianza di Schwartz, si ottiene:
|(ψ, −4φ)| = |(−4ψ, φ)|;
|(ψ, −4φ)| 6 ||4ψ||L2 ||φ||L2 ;
2.2#1
17
|(ψ, −4φ)| 6 ||ψ||H 2 ||φ||L2 ;
dalla maggiorazione fatta, risulta limitato il funzionale
F (φ) := (ψ, Ĥφ)
∀ψ(x) ∈ H 2 (<d )
allora, per definizione, risulta H 2 (<d ) ⊆ D(Ĥ + );
• per quanto riguarda la sua azione su una generica funzione, essa, compatibilmente con la simmetria, potrà differire da quella del laplaciano
libero solo per distribuzioni il cui supporto è incluso in Y ; ma tali distribuzioni sono costituite dalle delta di Dirac (e le loro derivate) centrate
nei punti yi ∈ Y ; allora l’equazione agli autovalori per tale operatore risulta risulta molto simile all’equazione che definisce la funzione di
Green dell’operatore (−4 − z) :
(−4 − z)Gzi = δyi
applicando la trasformata di Fourier, si ottiene:
(|k|2 − z)Ĝzi =
ovvero
Ĝzi (k)
e−ikyi
,
(2π)d/2
e−ikyi
=
;
(2π)d/2 (|k|2 − z)
che è ben definita ∀z ∈ C \ <+ ;
si nota che, ricordando la definizione di Gz data nel capitolo precedente,
Gzi (x) = Gz (x − yi );
infatti si ha:
(|k|2 − z)Ĝzi =
e−ikyi
,
(2π)d/2
(|k|2 − z)Ĝz =
1
,
(2π)d/2
dividendo membro a membro, si ha:
Ĝzi = Ĝz (k)e−ikyi ;
2.2#1
18
antitrasformando, e usando le proprietà della trasformata di Fourier, si
ottiene:
Gzi (x) = Gz (x − yi );
altra interessante proprietà è quella per cui
(−4 − z)Gzi (n) = δy(n)
;
i
difatti, sia fiz tale che
(−4 − z)fiz = δy(n)
;
i
applicando la trasformata di Fourier, si ha:
(|k|2 − z)fˆiz = δ̂y(n)
,
i
sfruttandone le proprietà rispetto all’operazione di derivazione, si ha:
(|k|2 − z)fˆiz = (ik)n δ̂yi ,
e quindi
fˆiz (k) = (ik)n
e−ikyi
;
(2π)d/2 (|k|2 − z)
fˆiz (k) = (ik)n Ĝzi (k);
fˆiz (k) = Ĝzi (n) (k);
antitrasformando:
fiz (x) = Gzi (n) (x);
quindi gli autospazi Nz ⊆ L2 (<d ), ∀z ∈ C \ <+ , dell’operatore Ĥ + sono
costituiti dalle Gzi e dalle loro derivate, fintanto che appartengono a
L2 (<d ); con il linguaggio introdotto precedentemente, gli Nz non sono
altro che i sottospazi di difetto dell’operatore Ĥ; è proprio il fatto che
non siano costituiti dalla sola funzione nulla a rendere Ĥ non autoaggiunto.
2.2#1
19
La discussione precedente ha mostrato quindi che D(Ĥ + ) include H 2 (<d )
e Nz ⊆ L2 (<d ), ∀z ∈ C \ <+ ; si può dimostrare, ma non verrà fatto
nella presente trattazione, che D(Ĥ + ) è la somma degli spazi sopracitati: accettando questo risultato, ogni ψ(x) ∈ D(Ĥ + ) si potrà scrivere
come combinazione lineare di funzioni f (x) ∈ H 2 (<d ) e Gzi (x) ∈ Nz ,
con z ∈ C \ <+ ;
ma notiamo che:
∀z1 , z2 ∈ C \ <+
−4(Gzi 1 − Gzi 2 ) = z1 Gzi 1 + δyi − z2 Gzi 2 − δyi ,
e quindi
−4(Gzi 1 − Gzi 2 ) = z1 Gzi 1 − z2 Gzi 1 ;
allora
Gzi 1 − Gzi 2 ∈ H 2 (<d );
dall’arbitrarietà di z1 , z2 segue che tutte le Gzi (al variare di z in C\<+ )
possono essere espresse come somma di una f ∈ H 2 (<d ) e una Gzi 0 , con
z0 preso arbitrariamente in C\<+ ; ne consegue che tutte le ψ ∈ D(Ĥ + )
possono essere scritte come somma di una Gzi 0 (con z0 preso arbitrariamente in C \ <+ ) e una h ∈ H 2 (<d ); tuttavia, ai fine della trattazione,
è di maggior interesse un’altra decomposizione:
si può scrivere infatti ogni ψ ∈ D(Ĥ + ) come combinazione lineare di
una funzione f ∈ H 2 (<d ) : f (yi ) = 0 e due funzioni Gzi 1 ∈ Nz1 , Gzi 2 ∈
Nz2 , comunque scelti z1 6= z2 ∈ C \ <+ ; ci si può facilmente convincere
di ciò osservando che, per opportuna scelta dei coefficienti α1 , α2 , in yi
la parte regolare della combinazione lineare α1 Gzi 1 + α2 Gzi 2 , può assumere qualsiasi valore complesso.
Tale particolare scomposizione è assicurata, in generale, da un teorema, che fornisce la cosiddetta ”formula di Von Neumann”; il teorema
asserisce che: se A è un operatore simmetrico densamente definito sullo
spazio di Hilbert H , allora si può scomporre qualsiasi elemento f del
dominio del suo aggiunto A+ come:
f = f0 + f z + f z̄ ,
dove:
– f0 appartiene al dominio della chiusura di A;
– f z appartiene all’autospazio di autovalore z di A+ ;
– f z̄ appartiene all’autospazio di autovalore z̄ di A+ ;
2.2#1
20
l’importanza di questa decomposizione sta nel rendere immediatamente
calcolabile l’ azione dell’aggiunto; infatti:
A+ f = Af + zf z + z̄f z̄ ;
finora le argomentazioni sono state presentate senza specificare le dimensioni dello spazio di lavoro <d ; a questo punto si può vedere come
esse contino ai fini dello sviluppo successivo della trattazione; difatti,
calcolando esplicitamente le Gzi , si trova che:
– per d = 1, le Gzi appartengono a L2 con le loro derivate prime;
– per d = 2, 3, solo le Gzi appartengono a L2 ;
– per d > 3, nemmeno le Gzi appartengono a L2 .
Si può quindi osservare che, dal punto di vista delle dimensioni degli
autospazi Nz , ipotizzando che i centri d’interazione siano in numero
finito n:
– se d = 1, dim(Nz ) = 2n;
– se d = 2, 3, dim(Nz ) = n;
– se d > 3, dim(Nz ) = 0;
allora, il teorema sopra riportato implica che, per d > 3, non ci siano
estensioni non banali del laplaciano, e che quindi non si possano costruire hamiltoniani con interazioni puntuali.
La formula di Von Neumann, inoltre, suggerisce una strategia per costruire estensioni autoaggiunte di Ĥ: ciascuna di tali estensioni deve
corrispondere a una scelta di un sottospazio dello spazio generato dalle
combinazioni lineari delle funzioni in Nz e in Nz̄ su cui Hˆ+ agisca da
operatore autoaggiunto.
Capitolo 3
Modelli unidimensionali
notevoli
E’ stata presentato, nel capitolo 2, l’algoritmo di costruzione delle interazioni puntuali; adottando il linguaggio ivi presentato, si può subito
dire che, detto n il numero di centri d’ interazione, in una dimensione,
Nz è un sottospazio di dimensione 2n; come mostrato in Appendice A,
ogni estensione autoaggiunta è associata ad una trasformazione unitaria da Nz a Nz̄ ; nel caso unidimensionale, allora, tale trasformazione
unitaria V sarà determinata da 4n2 parametri indipendenti; tra gli operatori autoaggiunti cosı̀ generati, hanno una particolare rilevanza due
classi, dette rispettivamente delle interazioni δ e δ 0 , di seguito presentate.
In entrambi i casi, verrà preso in considerazione prima il caso n = 1,
mostrando come esso possa essere fatto discendere, anche se solo formalmente, da considerazioni sull’equazione di Schrodinger con un termine
di potenziale δ, δ 0 ; poi si generalizzerà a n = +∞, con centri equidistanziati e uguali parametri dinamici, usando il teorema di Bloch, che
quindi è opportuno richiamare:
data un hamiltoniano con potenziale periodico, di periodo a, gli autostati dell’hamiltoniano possono essere scritti come onde di Bloch,
ovvero
ψθ (x) = eiθx uθ (x), θ ∈ <,
con
uθ (x + a) = uθ (x) ∀x
21
3.1#1
3.1
3.1.1
22
Interazione δ
n = 1 : unico centro d’interazione
Si consideri, solo formalmente, l’equazione agli autovalori per un hamiltoniano contenente un’interazione δ centrata nell’origine:
(−
}2 d2
}2 α
δ)ψ(x) = Eψ(x),
+
2m dx2
2m
integrandola nell’intorno dell’origine [−, ], supponendo la continuità
della funzione ψ e mandando a 0, si ottiene:
d
d
ψ(0+ ) − ψ(0− ) = αψ(0).
dx
dx
Questo risultato, ricavato euristicamente, può essere derivato con la teoria esposta nei capitoli precedenti, che conduce alla seguente scrittura
per l’hamiltoniano:
D(Hα,0 ) = {ψ(x) ∈ H 1 (<) ∩ H 2 (<\{0}) :
Hα,0 ψ(x) = −
d
d
ψ(0+ ) −
ψ(0− ) = αψ(0)}
dx
dx
}2 d2
ψ(x), ∀x 6= 0
2m dx2
A questo punto, l’equazione agli autovalori negli intervalli (−∞, 0),
2mE
(0, +∞); definendo k 2 :=
, si può scrivere:
}2
d2
ψ(x) = −k 2 ψ;
dx2
con la sostituzione esponenziale, si ottiene la soluzione
ψ(x > 0) = Ae+ikx + Be−ikx ,
ψ(x < 0) = Ce+ikx + De−ikx
è evidente che, per k ∈ <, non possono esistere stati legati, quindi
si esaminerà il caso k = iκ, κ ≥ 0 (assumendone positiva la parte
immaginaria), corrispondente a energie negative; per evidenti motivi
3.1#1
23
di convergenza, dovranno essere nulli i coefficiente B e C; imponendo
la continuità nel centro d’interazione, si ottiene
A=D
imponendo la condizione sul salto della derivata nel centro d’interazione, si ottiene
α
k 2 = −( )2 , α < 0;
2
ovvero
2mE
α
= −( )2 , α < 0;
2
}
2
allora l’unico stato legato, dopo opportuna normalizzazione, si scrive:
r
α
α
ψE (x) = − exp( |x|).
2
2
3.1.2 n = +∞ : infiniti centri d’interazione equidistanziati e con identici parametri dinamici
L’hamiltoniano considerato è il seguente:
D(Hα,Y ) = {ψ(x) ∈ H 2,1 (<) ∩ H 2,2 (< \ Y ) :
d
d
ψ(ma+ ) −
ψ(ma− ) = αψ(ma) ∀m ∈ Z},
dx
dx
Y = {ma}m∈Z ,
Hα,Y ψ(x) = −
}2 d2
ψ(x), ∀x ∈
/ Y.
2m dx2
L’equazione agli autovalori si scrive quindi, in ogni intervallo (ma, (m+
1)a) :
d2
ψ(x) = −k 2 ψ,
dx2
che ammette la soluzione
ψ(x) = Ae+ikx + Be−ikx .
3.1#1
24
Grazie al teorema di Bloch, è sufficiente trovare la soluzione in un
intervallo, per conoscerla ovunque; verrà quindi considerato l’intervallo
[0, a);
dal teorema di Bloch:
ψ(x + a) = eiθa ψ(x) ∀x
imponendo la continuità in x = 0, si ottiene allora:
A(eika − eiθa ) + B(e−ika − eiθa ) = 0;
imponendo la condizione sul salto della derivata in x = 0, si ottiene:
A[ik(1 − eia(k−θ) ) − α] + B[ik(−1 + e−ia(k+θ) ) − α] = 0;
quindi deve essere soddisfatto il seguente sistema lineare ed omogeneo
nella variabile (A, B):
A(eika − eiθa )
+
B(e−ika − eiθa )
=0
ia(k−θ)
−ia(k+θ)
A[ik(1 − e
) − α] + B[ik(−1 + e
) − α] = 0;
affinché esista soluzione diversa da quella banale, deve essere nullo il
determinante della matrice dei coefficienti: imponendo questa condizione, si arriva alla relazione di dispersione, ovvero alla relazione tra k,
quindi E, e θ (al variare dei parametri a, α):
α
cos(ka) + sen(ka) = cos(θa);
2k
le funzioni trigonometriche sono da intendersi come funzione complesse
di variabile complessa; se k 2 > 0, ovvero E > 0, esse sono valutate su
numeri reali, ed hanno valori reali; se invece k 2 < 0, ovvero E < 0, per
ricondurci a funzioni reali di variabile reale, basta ricordare che:
- k = iκ, κ ≥ 0 assumendone positiva la parte immaginaria,
- cos(ka) = cosh(κa),
- sen(ka)
r = isenh(κa),
2mE
-κ= − 2 .
}
Quindi la relazione di dispersione si scrive:
Fα,a (E) = cos(θa),
α
cos(k(E)a) +
sen(k(E)a) E > 0
2k(E)
con Fα,a (E) =
α
cosh(κ(E)a) +
senh(κ(E)a) E < 0
2κ(E)
E’ immediatamente evidente come Fα,a (E) non sia sempre compresa
3.1#1
25
tra −1 e +1; essendo Fα,a (E) continua, e dovendo valere, per le energie
consentite, l’uguaglianza tra tale funzione ed un coseno, ne segue che
esistono bande di energie permesse separate da bande proibite, costituite da quei valori di E tali che Fα,a (E) > |1|; è interessante valutare
subito alcuni casi limite:
– per α = 0, la particella è libera, sono consentite tutte le E ≥ 0;
– per |α| → +∞, il termine coseno(o coseno iperbolico, a seconda
del segno di E), risulta trascurabile, e le bande degenerano in
energie discrete, corrispondenti agli zeri (tolto E = 0 a causa
della presenza di E al denominatore) della funzione sen(k(E)a)(o
senh(k(E)a)); ma l’ unico zero del seno iperbolico è nell’origine,
quindi non esistono, in questo caso, energie negative consentite,
mentre gli zeri del seno si hanno per k(E)a = nπ, n ∈ ℵ \ {0},
ovvero
}2 π 2
n ∈ ℵ \ {0},
E = n2
2ma2
che sono proprio le energie di una particella intrappolata in una
buca di potenziale infinita di lunghezza a;
– per |E| → +∞, il termine seno (o seno iperbolico, a seconda del
segno di E), risulta trascurabile, e le E permesse devono essere
tali da verificare un’uguaglianza tra due coseni (o tra un coseno e
un coseno iperbolico); ma il coseno iperbolico diverge se lo fa il suo
argomento, quindi l’uguaglianza non è possibile, e l’insieme delle
energie consentite risulta inferiormente limitato; d’altra parte, a
energie sempre maggiori, l’uguaglianza tra coseni potrà sempre
essere verificata, e quindi le bande proibite diventano sempre più
strette fino a scomparire, nel limite.
Ora verrà considerata la relazione di dispersione in generale; gli
estremi delle bande sono costituiti dai valori E tali che
Fα,a (E) = ±1
ovvero, esplicitamente:
α
sen(k(E)a) = ±1 E > 0
2k(E)
α
cosh(κ(E)a) +
senh(κ(E)a) = ±1 E < 0
2κ(E)
cos(k(E)a) +
usando le relazioni di bisezione della tangente e della tangente
3.1#1
26
iperbolica, si possono scrivere nella maniera seguente:
per E > 0
ka
2k
ka
,
sen( ) = 0 ∨ cot( ) =
2
2
α
sen(
ka + π
ka + π
2k
) = 0 ∨ cot(
)=
;
2
2
α
per E < 0
coth(
2κ
κa
)=
,
2
|α|
tanh(
κa
2κ
)=
.
2
|α|
Da queste si evince, ed è mostrato anche nei grafici successivi, che:
∗ per α > 0, le bande energetiche permesse contengono solo
valori positivi;
∗ per − a4 < α < 0, esiste un’unica banda che contenga energie
negative; essa contiene anche valori positivi;
∗ per α < − a4 , esiste un’unica banda che contenga energie
negative; essa contiene solo valori negativi.
3.1#1
Figura 3.1: metodo grafico per la risoluzione dell’equazione degli estremi di
banda, nel caso E > 0 (a,c,d) ed in quello E < 0 (b)
27
3.1#1
Figura 3.2: grafico di Fα,a (E), con a = 1 e diversi valori per α
28
3.1#1
29
Figura 3.3: Energia in funzione di θ ≥ 0
3.2#1
30
3.2
3.2.1
Interazione δ 0
n = 1 : unico centro d’ interazione
Si consideri, solo formalmente, l’equazione agli autovalori per un
hamiltoniano contenente un’interazione δ 0 centrata nell’origine:
} 2 d2
(−
− βEδ 0 )ψ(x) = Eψ(x),
2
2m dx
integrandola nell’intorno dell’origine [−, ], supponendo la continuità della funzione ψ e mandando a 0, si ottiene:
d
d
}2 d
)( ψ(0+ ) − ψ(0− )) − βE ψ(0) = 0;
(−
2m dx
dx
dx
che suggerirebbe la continuità della derivata nel centro d’interazione; se cosı̀ fosse, sarebbe
d
d
ψ(0+ ) =
ψ(0− )
dx
dx
e quindi, inserendo nell’equazione, si otterrebbe
d
ψ(0) = 0.
dx
Tuttavia, le soluzioni esponenziali che si avrebbero dall’equazione agli autovalori non possono soddisfare contemporaneamente le
condizioni di continuità e nullità della derivata nel centro d’interazione; se ne deve concludere che è errata l’assunzione iniziale
di continuità; difatti, integrando, e supponendo che la funzione
sia discontinua, mentre la funzione derivata abbia uguali limiti da
destra e da sinistra verso il centro d’interazione, si ottiene una
condizione accettabile:
ψ(0+ ) − ψ(0− ) = β
d
ψ(0).
dx
Ancora, questo risultato può essere ricavato rigorosamente, e porterebbe al seguente operatore hamiltoniano:
D(Hα,0 ) = {ψ(x) ∈ H 1 (<) ∩ H 2 (<\{0}) : ψ(0+ ) − ψ(0− ) = β
d
ψ(0)}
dx
3.2#1
31
Hα,0 ψ(x) = −
}2 d2
ψ(x), ∀x 6= 0
2m dx2
A questo punto, l’equazione agli autovalori negli intervalli (−∞, 0),
(0, +∞); si può scrivere:
d2
ψ(x) = −k 2 ψ;
dx2
con la sostituzione esponenziale, si ottiene la soluzione
ψ(x > 0) = Ae+ikx + Be−ikx ,
ψ(x < 0) = Ce+ikx + De−ikx
è evidente che, per k ∈ <, non possono esistere stati legati, quindi
si esaminerà il caso k = iκ, κ ≥ 0 (assumendone positiva la
parte immaginaria), corrispondente a energie negative; inoltre, per
evidenti motivi di convergenza, dovranno essere nulli i coefficiente
B e C;
imponendo che i limiti destro e sinistro della funzione derivata nel
centro d’interazione coincidano, si ottiene:
A = −D
imponendo la condizione sul salto della funzione nel centro d’interazione, si ottiene:
β
k 2 = −( )2 , α < 0;
2
ovvero
β
2mE
= −( )2 ,
2
}
2
allora l’unico stato legato, dopo opportuna normalizzazione, si
scrive:
r
β
β
ψE (x) = sgn(x) − exp( |x|).
2
2
3.2#1
32
3.2.2 n = +∞ : infiniti centri d’interazione equidistanziati e con identici parametri dinamici
L’hamiltoniano considerato è il seguente:
D(Hβ,Y ) = {ψ(x) ∈ H 2,2 (< \ Y ) :
d
d
ψ(ma+ ) =
ψ(ma− ),
dx
dx
ψ(ma+ )−ψ(ma− ) = β
d
ψ(ma) ∀m ∈ Z},
dx
Y = {ma}m∈Z ,
Hβ,Y ψ(x) = −
} 2 d2
ψ(x), ∀x ∈
/ Y.
2m dx2
L’equazione agli autovalori si scrive quindi, in ogni intervallo
(ma, (m + 1)a), nella stessa maniera già presentata, e quindi la
forma della sua soluzione sarà la stessa già fatta vedere in precedenza:
ψ(x) = Ae+ikx + Be−ikx .
ancora, grazie al teorema di Bloch, basta risolvere e imporre le
opportune condizioni solo in un intervallo per determinare la soluzione; sarà considerato, come nel caso precedente, l’intervallo
[0, a) :
imponendo che i limiti destro e sinistro della funzione derivata nel
centro d’interazione posto nell’origine coincidano, si ottiene:
A(1 − eia(k−θ) )) + B(−1 + e−ia(k+θ) )) = 0;
imponendo la condizione sul salto della funzione nel centro d’interazione posto nell’origine, si ottiene:
A(1 − eia(k−θ) − iβk) + B(1 − e−ia(k+θ) + iβk) = 0;
quindi deve essere soddisfatto il seguente sistema lineare ed omogeneo nella variabile (A, B):
A(1 − eia(k−θ) ))
+
B(−1 + e−ia(k+θ) )) = 0
ia(k−θ)
A(1 − e
− iβk) + B(1 − e−ia(k+θ) + iβk) = 0;
affinché esista soluzione diversa da quella banale, deve essere nullo il determinante della matrice dei coefficienti: imponendo questa condizione, si arriva alla relazione di dispersione, ovvero alla
relazione tra k, quindi E, e θ (al variare dei parametri a, β):
Fβ,a (E) = cos(θa),
3.2#1
33
βk(E)
cos(k(E)a) −
sen(k(E)a) E > 0
2
con Fβ,a (E) =
βκ(E)
senh(κ(E)a) E < 0
cosh(κ(E)a) +
2
Come nel caso delle interazioni periodiche δ, anche qui il fatto che
Fβ,a (E) non sia compresa tra −1 e 1, unitamente alla sua continuità, implica l’esistenza di bande energetiche permesse e bande
energetiche proibite; è interessante valutare subito alcuni casi limite:
- per β = 0, la particella è libera, sono consentite tutte le E ≥ 0;
- per |β| → +∞, il termine coseno(o coseno iperbolico, a seconda del segno di E), risulta trascurabile, e le bande degenerano in energie discrete, costituite da E = 0, a causa della sua
presenza al numeratore, e dagli zeri della funzione sen(k(E)a)(o
senh(κ(E)a)); ma l’unico zero del seno iperbolico è nell’origine,
che è già stata considerata, quindi non sono consentiti valori negativi per l’energia; d’altra parte, gli zeri del seno si hanno per
k(E)a = nπ, n ∈ ℵ ovvero
}2 π 2
E=n
2ma2
2
queste sono le energie di una particella intrappolata in una buca
di potenziale infinita di lunghezza a, e in più l’energia E = 0;
- per |E| → +∞, vale la stessa discussione del punto precedente
(a parte, ovviamente, l’inclusione di E = 0).
Si possono notare, nonostante le molte analogie rispetto al caso
delle interazioni δ, alcune significative differenze; tra queste:
1) l’energia E = 0 è sempre permessa, indipendentemente dal valore di β;
2) all’aumentare dell’energia, le bande proibite non si stringono,
ma si allargano.
Ora verrà considerata la relazione di dispersione in generale; gli
estremi delle bande sono costituiti dai valori E tali che
Fβ,a (E) = ±1
3.2#1
34
ovvero, esplicitamente:
βk(E)
sen(k(E)a) = ±1 E > 0
cos(k(E)a) −
2
βκ(E)
cosh(κ(E)a) +
senh(κ(E)a) = ±1 E < 0
2
usando le relazioni trigonometriche notevoli, si possono scrivere
nella seguente forma:
per E > 0
ka
2
ka
sen( ) = 0 ∨ cot( ) = − ,
2
2
βk
sen(
ka + π
ka + π
2
) = 0 ∨ cot(
)=− ;
2
2
βk
per E < 0
senh(
κa
κa
2
) = 0 ∨ coth( ) = − ,
2
2
βκ
tanh(
2
κa
)=− .
2
βκ
Da queste si evince, ed è mostrato anche nei grafici successivi, che:
∗ per β > 0, le bande energetiche permesse contengono solo
valori non negativi;
∗ per a < β < 0, esiste un’ unica banda permessa che non
contenga energie positive; essa non contiene E = 0;
∗ β < a, esiste un’unica banda che non contenga energie positive; essa contiene E = 0
3.2#1
Figura 3.4: metodo grafico per la risoluzione dell’equazione degli estremi di
banda, nel caso E > 0 (b,c,d) ed in quello E < 0 (a)
35
3.2#1
36
Figura 3.5: grafico di Fβ,a (E), con a = 1 e diversi valori per β
3.2#1
Figura 3.6: Energia in funzione di θ ≥ 0 per β = 0, 1.2 e di θ ≥ −π per
β = −0.8, −1, −1.2
37
Capitolo 4
Conclusioni
E’ stato presentato, in questa trattazione, il versatile modello
delle interazioni puntuali in meccanica quantistica; in primo
luogo si è constatata l’inadeguatezza dell’approccio perturbativo nella loro definizione; è stata quindi descritta la teoria di
Krein sulle estensioni autoaggiunte di operatori simmetrici:
tale teoria ci ha consentito di definire le interazioni puntuali
e, grazie al teorema di Von Neumann, è stato possibile darne
un algoritmo di costruzione; è stata concentrata poi l’attenzione su due modelli notevoli di cristallo in una dimensione, il
più notevole successo dei quali è la spiegazione della struttura
energetica a bande.
38
Appendice A
Costruzione esplicita
delle interazioni puntuali
in <3
A.1 n = 1: un centro d’interazione
e legame con lo pseudopotenziale di
Fermi
Ora vengono presentati i dettagli della costruzione delle interazioni puntuali nel caso di un centro d’interazione nello
spazio tridimensionale:
sia dunque y ∈ <3 ; il calcolo esplicito di Gz fornisce:
√
exp(i z|x|)
z
,
G (x) =
4π|x|
e quindi
Gzy (x) = Gz (x − y);
dalla formula di Von Neumann, abbiamo:
D(Ĥ + ) = {f ∈ L2 (<3 ) : f = f0 + βGzy + γGz̄y },
dove f0 ∈ H 2 (<3 ), f0 (y) = 0;
quindi
Ĥ + f = −4f0 + zβGzy + z̄γGz̄y ;
39
A.1#1
40
essendo Nz finito dimensionale, per trovare il sottospazio su
cui Ĥ + si comporta da operatore autoaggiunto, è sufficiente
imporre la simmetria, e quindi che il suo valor medio sugli
stati appartenenti a tale sottospazio sia reale:
(βGzy + γGz̄y , Ĥ + (βGzy + γGz̄y )) =
= (|β|2 z + |γ|2 z̄)||Gz ||2 + 2Re(γ̄β(Gz̄ , Gz ));
la condizione risulta verificata se e solo se
|β| = |γ|,
ovvero
γ = eiφ β,
∀φ ∈ [0, 2π);
allora si hanno infinite (al variare del parametro φ) estensioni
autoaggiunte di Ĥ, cosı̀ definite:
D(Hφ,y ) = {f ∈ L2 (<3 ) : f = f0 + βGzy + eiφ βGz̄y }
Hφ,y (f ) = −4f0 + zβGzy + z̄eiφ βGz̄y ;
ma si può dare la caratterizzazione di tale operatore anche
in altro modo:
sia λ ∈ <+ ;
sia, per definizione, Gλ,y := Gz=−λ
;
y
si consideri
Gzy + eiφ Gz̄y − (1 + eiφ )Gλ,y ;
sviluppando quest’espressione al prim’ordine per x → y, si
trova che il limite esiste finito; allora possiamo definire g0 :
g0 (x) := Gzy +eiφ Gz̄y −(1+eiφ )Gλ,y −lim [Gzy +eiφ Gz̄y −(1+eiφ )Gλ,y ]
x→y
√
√
z iφ i z̄
λ
iφ
g0 (x) =
+e
+(1+e )
);
4π
4π
4π
dalla definizione, segue ovviamente che g0 (x) è una funzione
regolare che si annulla per x = y; inoltre, definendo
√
√
Re( z)
φ
Im( z)
α :=
tan( ) −
,
4π
2
4π
√
i
Gzy +eiφ Gz̄y −(1+eiφ )Gλ,y −(
A.1#1
41
si arriva alla scrittura
√
λ
) + g0 ;
4π
allora la generica funzione f appartenente a D(Hφ,y ) potrà
scriversi come:
√
λ
iφ
f = f0 + βg0 + β(1 + e )(α +
) + β(1 + eiφ )Gλ,y ;
4π
Gzy + eiφ Gz̄y − (1 + eiφ )Gλ,y = (1 + eiφ )(α +
in base a come sono definite f0 e g0 , la loro somma è una funzione appartenente ad H 2 (<3 ) che si annulla in y; definendo:
√
λ
Φλ := f0 + βg0 + β(1 + eiφ )(α +
),
4π
q := β(1 + eiφ ),
si arriva alla scrittura
f = Φλ + qGλ,y ,
e risulta
Φλ (y)
√ ;
λ
α+
4π
allora si può infine riscrivere cosı̀ il dominio:
q=
D(Hα,y ) = {f ∈ L2 (<3 ) : f = Φλ +qGλ,y , Φλ ∈ H 2 (<3 ), q =
per quanto riguarda l’azione di Hα,y , è immediato che:
Hα,y (f ) = Hα,y (Φλ ) + Hα,y (qGλ,y);
Hα,y (f ) = −4Φλ − qλGλ,y ;
a questo punto risulta evidente il motivo per cui è stato riscritto in maniera diversa il dominio: le funzioni ad esso appartenenti, infatti, sono state separate in un contributo regolare, su cui l’hamiltoniano agisce come quella di particella
Φλ (y)
√
α+
λ
4π
};
A.1#1
42
libera, e un contributo singolare, per il quale influisce anche
il contributo di interazione puntuale; in particolare, il coefficiente moltiplicativo del termine singolare è proporzionale al
valore del termine regolare nel centro d’interazione.
Altrettanto semplicemente, si può verificare che:
(Hα,y + λ)f = (−4 + λ)Φλ ;
ancora più esplicitamente, si nota che se il contributo singolare è nullo, allora l’hamiltoniano appena costruito coincide
con quello di particella libera; per trovare lo spettro dell’operatore, è utile partire dal risolvente:
sia g ∈ Ran(Hα,y + λ), con λ ∈ <+ abbastanza grande
affinché il risolvente esista limitato; questo implica che
∃h ∈ D(Hα,y ) :
(Hα,y + λ)−1 g = h;
(Hα,y + λ)h = g;
ovvero
(−4 + λ)Φλ = g;
ma la soluzione fondamentale di tale equazione è Gλ , quindi
si avrà
Φλ = Gλ g;
aggiungendo ambo i membri qGλ e usando la definizione di
q, si ottiene:
h(x) = Gλ g(x) +
Gλ g(y)
√ Gλ,y (x);
λ
α+
4π
è stata quindi ottenuta l’azione esplicita del risolvente; notiamo inoltre che esso differisce dal risolvente di laplaciano
libero solo per la presenza del secondo termine, che va a 0
per α → ∞; in tal senso, α si può interpretare come costante
di accoppiamento; il suo significato fisico diviene ancora più
A.1#1
43
chiaro studiando lo scattering da potenziali puntuali: si trova, infatti, che α è - l’ inverso della lunghezza di scattering
associata all’operatore Hα,y .
Ad ogni modo, dall’espressione del risolvente si possono ricavare spettro e autofunzioni dell’hamiltoniana; per quanto
concerne lo spettro:
σ(Hα,y ) = [0, +∞)
α > 0;
[
σ(Hα,y ) = {−16π 2 α2 }
[0, +∞) α < 0;
per quanto riguarda le autofunzioni:
- quelle improprie, con α ∈ <, risultano:
ψα (k, x) =
1
ikx
−
3 [e
(2π) 2
eiky
α−
i|k|
4π
ei|k||x−y|
],
|x − y|
dove |k|2 = E è il punto dello spettro continuo;
- quelle proprie e normalizzate, con α < 0, sono relative ad
autovalori non degeneri, e risultano essere:
ψα (x) =
√
−α
e4πα|x−y|
.
|x − y|
Si può anche far vedere che si può giungere allo stesso risultato partendo da una scrittura puramente formale dell’hamiltoniano di interazione puntuale con lo pseudopotenziale
di Fermi:
Ha,y = −4 + aδ(x − y)∂|x| (|x − y|•),
con a ∈ <;
per poter risolvere l’equazione agli autovalori, bisogna studiare la funzione di Green (che è una particolare rappresentazione del risolvente) quindi trovare G(x, x0 , z) tale che:
(−4 − z + aδ(x − y)∂|x| (|x − y|•))G(x, x0 , z) = δ(x − x0 );
definendo:
A(x0 , z) := a∂|x| (|x − y|•))G(x = y, x0 , z),
A.2#1
44
l’ equazione si scrive:
(+4 + z)G(x, x0 , z) = −δ(x − x0 ) + A(x0 , z)δ(x − y);
nota la soluzione Gz (x) del laplaciano imperturbato, la soluzione del problema si può immediatamente scrivere come:
G(x, x0 , z) = Gz (x − x0 ) − AGz (x − y),
in tal modo si ha:
√
A(x0 , z) = aGz (y − x0 ) − ia zA(x0 , z),
e quindi
A(x0 , z) =
aGz (y − x0 )
√ ;
1 + ia z
sostituendo infine nell’espressione di G(x, x0 , z), si ottiene:
G(x, x0 , z) = Gzx0 (x) −
a
√ Gz (y)Gzy (x);
1 + ia z x0
1
è evidente che, ponendo a = − , la funzione di Green cosı̀
α
trovata coincide col nucleo integrale del risolvente trovato
precedentemente.
A.2
Generalizzazione a n centri
In questo capitolo verrà generalizzato il procedimento mostrato in precedenza al caso in cui i centri d’interazione siano
in numero finito n diverso da uno, nello spazio tridimensionale; analogamente a quanto già visto, bisogna cercare i sottospazi di Nz su cui Ĥ + è simmetrico; rispetto al caso precedente, c’è una difficoltà tecnica in più, costituita dal fatto
che la dimensione degli autospazi Nz è n.
Ad ogni modo, il risultato cui si perviene è che Ĥ + risulta
simmetrico su tutti i sottospazi NzV generati da combinazioni
lineari del tipo f z + V f z , con V operatore unitario da Nz a
Nz̄ ; essendo un operatore unitario complesso tra due spazi
A.2#1
45
vettoriali di dimensione n, esso è determinato da n2 parametri; quindi ogni estensione autoaggiunta sarà biunivocamente
associata a una scelta dei n2 parametri indipendenti di V .
Una particolare attenzione, in letteratura, è stata riservata
alla sottofamiglia di estensioni autoaggiunte associate a un
operatore V diagonale: tale insieme è determinato da n parametri, ed è detto locale, perché, in analogia a quanto mostrato esplicitamente nel caso n = 1, le funzioni appartenenti
al dominio di un hamiltoniano siffatto sono caratterizzate dal
loro comportamento nei centri d’interazione.
Esplicitamente, con le seguenti notazioni:
y := {y1 , y2 , ..., yn }, yi ∈ <3 ∀i
α := {α1 , α2 , ..., αn }, αi ∈ < ∀i,
si ha:
2
3
D(Hα,y ) = {u ∈ L (< ) : u = Φλ +
n
X
qk Gλ,yk },
k=1
Φλ (yj ) =
n
X
[Γα,y (λ)]j,k qk ,
k=1
√
λ
)δjk − Gλ (yi − yk ))(1 − δjk ),
4π
con λ ∈ <+ abbastanza grande da rendere la matrice invertibile;
(Hα,y + λ)u = (−4 + λ)Φλ ;
[Γα,y (λ)]j,k := (αj +
si possono inoltre riesprimere cosı̀ le condizioni al bordo sulle
funzioni del dominio:
lim [∂rj (rj u) − 4παj (rj u)] = 0, rj = |x − yj | ∀i;
rj →0
e si può calcolare l’azione del risolvente:
n
X
−1
(Hα,y + λ) g = Gλ g(x) +
[Γα,y (λ)]−1
j,k Gλ g(yk ) Gλ,yj (x);
j,k=1
una volta noto il risolvente, si può trovare lo spettro dell’operatore hamiltoniano:
· lo spettro continuo è costituito da <+ ;
· lo spettro discreto è costituito al più da n punti z < 0
tali che
Det[Γα,y (−z)]j,k = 0.
Bibliografia
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electrons in crystal lattices. Proc. R. Soc. Lond. A 130,
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La
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[6] Figari, R.: Appunti dal corso di metodi matematici per la
fisica, 2014
[7] Scialdone, A. : Le Interazioni Puntuali in Meccanica
Quantistica, Tesi di laurea triennale in fisica, 2005
46
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