Biochimica Applicata Programma delle lezioni del Corso di Laurea in Infermieristica Introduzione alle metodiche e tecniche di analisi del laboratorio clinico. Controllo di qualità, statistica, modalità di campionamento, fattori preanalitici. Elettroforesi delle proteine. Profilo glicemico, glicemia, curva da carico, HbA1c. Profilo lipidico: lipoproteine, colesterolo, trigliceridi Marcatori di danno miocardico: CK, CK-MB, troponine I/T, mioglobina. Significato dei dosaggi degli enzimi AST e ALT. Significato del dosaggio di alcuni metaboliti e altre molecole non proteiche di interesse clinico: acido lattico, acido urico, azoto ureico, creatinina, creatina. Biochimica Applicata Definizioni e applicazioni • Studio delle metodologie di preparazione e analisi di campioni biologici con applicazioni nel campo della ricerca e della diagnostica medica di laboratorio. • In campo medico riguarda principalmente lo studio delle alterazioni biochimiche di natura patologica tramite l’ausilio di tecniche analitiche chimico-strumentali ed immunochimiche. • Si applica principalmente a studi su sangue e urine per la facilità di reperimento dei campioni. Biochimica Applicata Definizioni e applicazioni • I risultati degli esami biochimici sono utili alla formulazione della prognosi di una malattia una volta che ne sia stata effettuata la diagnosi così come sono utili nel monitoraggio di una terapia. • Ogni ospedale è attrezzato con apparecchiature per effettuare esami di tipo biochimico per determinare parametri al fine di controllare lo stato di salute dei pazienti (es. determinazione della glicemia, del colesterolo…ecc.). Biochimica Applicata Definizioni e applicazioni • Esistono anche esami di tipo specialistico che vengono effettuati solo da alcuni laboratori a causa del costo di apparecchiature e reagenti e della relativa limitata richiesta per queste analisi (es. dosaggio di ormoni…ecc.). • Tutti i laboratori ospedalieri che effettuano analisi di tipo biochimico sono disponibili anche fuori orario per esami urgenti in situazioni di emergenza in cui la tempestività delle indagini è fondamentale per il paziente (es. diagnosi di infarto del miocardio…ecc.). Biochimica Applicata Definizioni e applicazioni • Ad oggi, molti laboratori sono attrezzati di macchine computerizzate per l’esecuzione di esami effettuati abitualmente, ne sono un esempio i contatori elettronici, che consentono l’analisi di un campione in pochi secondi e forniscono anche numerosi parametri utili per stabilire se vi sono anomalie a carico delle cellule del sangue. Vi sono poi kit di analisi per effettuare indagini meno frequenti. • Il laboratorio di biochimica rappresenta soltanto uno dei processi di accertamento e gestione del paziente e possono essere effettuati anche altri tipi di indagini per accertare una determinata patologia. Campionamento e analisi Fase preanalitica Il campione è influenzato da diversi fattori e processi prima di essere analizzato in laboratorio, tra questi vi sono: l’informazione da parte del clinico; la preparazione del paziente; il prelievo, il trattamento, la conservazione e il trasporto del campione. Campionamento e analisi Fase preanalitica Esempi: ¾ La raccolta del campione deve avvenire in modo tale da evitare contaminazioni esterne, garantendone l’integrità e la corrispondenza al reale stato di salute presentato dal paziente (es. ingresso di microorganismi nel contenitore del campione). ¾ Durante un prelievo di sangue può avvenire emolisi del campione cioè il passaggio delle componenti intracellulari dei globuli rossi nel plasma per la distruzione della loro membrana cellulare. Ciò può avvenire perché il laccio emostatico sul braccio del paziente è allacciato troppo stretto ed è causa di una prolungata stasi venosa, ma anche perché l’ago utilizzato ha un diametro troppo piccolo. Campionamento e analisi Fase preanalitica Esempi: ¾ L’emolisi può anche essere causata da un eccessivo scuotimento delle provette dopo il prelievo e dalla ritardata separazione delle cellule dal siero o plasma (più di 3 ore dal prelievo). ¾ Un campione di sangue conservato ad una temperatura eccessiva per tutta la notte prima di essere spedito in laboratorio, avrà valori erroneamente elevati di potassio, fosfato ed enzimi del globulo rosso come la lattico-deidrogenasi a causa del loro rilascio nel plasma dovuto ad una emolisi di natura termica. Campionamento e analisi Fase preanalitica Quindi un emolizzato è caratterizzato da una alterata composizione di costituenti chimici nel siero o nel plasma. Presenta una colorazione rossa dovuta all'emoglobina fuoriuscita dai globuli rossi che interferisce con le misurazioni fotometriche e tra l’altro le reazioni chimiche durante le analisi possono essere influenzate dalle sostanze cellulari disperse con l'emolisi. In conclusione, la causa di molti errori durante la fase preanalitica può avere effetto sul risultato finale dell'analisi e in alcune circostanze può condurre ad una falsa diagnosi. Campionamento e analisi Fase analitica La maggior parte delle analisi biochimiche è di tipo quantitativo. Si determina il quantitativo di una certa molecola in un piccolo volume di plasma, siero, urine o altri fluidi e i risultati sono espressi come concentrazioni, (mmoli o μmoli per litro, mg/dl…ecc.). Gli enzimi non sono espressi normalmente in moli, ma come attività enzimatica in “Unità” che è un valore direttamente proporzionale alla quantità di enzima presente. Si definisce unità di enzima quella quantità di enzima che ad una temperatura prefissata (standardizzata) elabora 1 μmole di substrato in un minuto. Rappresenta una misura della propria funzione catalitica. Campionamento e analisi Fase analitica In molti tipi di analisi si ricercano nel campione specifici marcatori (markers) che sono molecole spesso di natura proteica contenute esclusivamente o quasi in un determinato tessuto perché caratteristiche di un dato tipo di cellule differenziate. Per essere utilizzato come indice di malattia un marker dovrebbe essere osservabile solo quando questa si manifesti. Generalmente è necessario però comparare più dati e seguirne l’andamento nel tempo poiché pochi markers sono veramente specifici. Campionamento e analisi Fase analitica Il valore dei risultati delle misure analitiche è influenzato dalle modalità con cui si esegue una certa metodica e dai cambiamenti che possono avvenire nei fluidi biologici del paziente in un certo periodo di tempo. La discriminazione tra risultati normali o patologici è influenzata da fattori biologici che devono essere presi in considerazione durante l’interpretazione di un qualunque risultato quali sesso, età, dieta, orario dell’esame, uso di farmaci…ecc. Ciò permette di comprendere come in casi particolari un risultato anomalo non sempre indica una malattia e un risultato nella norma non la esclude necessariamente. Campionamento e analisi Fase analitica I risultati di un campionamento sono caratterizzati da: 1) Precisione e accuratezza 2) Sensibilità e specificità 3) Controllo di qualità 4) Intervalli di riferimento Campionamento e analisi Fase analitica 1) La precisione è la riproducibilità di un metodo analitico rappresentata dal grado di convergenza di dati individualmente rilevati su un valore medio della serie cui appartengono. L’accuratezza indica quanto il valore misurato si avvicina al valore medio preso come miglior stima del valore reale. Impreciso Preciso ma non accurato Preciso e accurato Campionamento e analisi Fase analitica 2) La sensibilità analitica di un esame è la misura della più piccola quantità di analita che il metodo può rilevare. La specificità analitica riguarda quanto un esame riesce a discriminare tra l’analisi richiesta e le sostanze che potenzialmente possono interferire. 3) Controllo di qualità è costituito dalle prove che vengono eseguite dallo staff del laboratorio per accertarsi che l’esecuzione del saggio sul campione del paziente sia corretta. Nei campioni di controllo che vengono analizzati regolarmente si conoscono i risultati. Campionamento e analisi Fase analitica 4) Intervalli di riferimento sono forniti con il risultato degli esami per un confronto con valori trovati in soggetti sani e sono diversi a seconda dei fattori biologici del paziente quali sesso, età…ecc. Il clinico deve comunque interpretare i risultati a seconda della storia del paziente e in base al risultato di altri tipi di indagini. Se il risultato non è in accordo con quello atteso per il paziente può essere prescritta la ripetizione degli esami. Campionamento e analisi Il sangue E’ un vero e proprio tessuto con sostanza intercellulare liquida, costituito dagli elementi figurati quali i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine e da una parte liquida, il plasma sanguigno. Campionamento e analisi Il sangue: la coagulazione Poichè il sistema circolatorio deve essere “autosigillante”, l'arresto di un eventuale sanguinamento sia arterioso che venoso avviene tramite il meccanismo della coagulazione che consiste nella trasformazione di una parte del sangue in una massa solida. Ciò avviene tutte le volte che il sangue entra in contatto con una superficie bagnabile diversa dall’endotelio vasale. La coagulazione avviene tramite una serie di fattori che agiscono “in cascata” nel senso che ciascuno di essi funge da attivatore di quello seguente fino alla trasformazione della protrombina (enzima inattivo presente nel plasma) in trombina che agendo proteoliticamente sulla proteina plasmatica solubile fibrinogeno induce la formazione della fibrina, una proteina monomerica filamentosa che tende a legarsi agli altri monomeri formando un reticolo che imbriglia gli elementi figurati dando inizio alla formazione del coagulo. Campionamento e analisi Il sangue: la coagulazione Autore Peter Forster Campionamento e analisi Il sangue Nel laboratorio clinico, se si raccoglie il sangue in una comune provetta, dopo la formazione del coagulo si ottiene un campione di siero mediante centrifugazione e si può procedere su questo per parecchie analisi biochimiche. In altri casi, quando ad esempio il campione deve essere congelato, il sangue viene raccolto in una provetta contenente un anticoagulante che è un composto capace di rallentare o interrompere il processo di coagulazione del sangue. L'impiego di sostanze anticoagulanti è indispensabile per l'esecuzione di tutte le analisi che devono essere effettuate su "sangue intero", come l'esame emocromocitometrico, l'allestimento di strisci ematici su vetrino per eseguire la formula eritrocitaria o l'esame morfologico di eritrociti e leucociti. Campionamento e analisi Il sangue In commercio sono disponibili provette che contengono diversi tipi di anticoagulante, la cui scelta nella diagnostica di laboratorio è molto importante al fine di evitare interferenze nell'esecuzione degli esami richiesti o per conservare al meglio la morfologia degli elementi cellulari per le indagini ematologiche. www.donatoricapranica.org Campionamento e analisi Il sangue Tra gli anticoagulanti più diffusi vi sono: EPARINA E’ un glicosamminoglicano presente a bassi livelli nel sangue e nei tessuti ed è prodotta da granulociti basofili. Inibisce alcuni fattori della coagulazione impedendo una crescita incontrollata del coagulo. L’impiego di questo anticoagulante permette di effettuare praticamente ogni tipo di analisi biochimica. Non può essere utilizzato per la determinazione dell’emocromo perché causa la formazione di aggregati di leucociti e soprattutto di piastrine. EDTA L'acido etilendiamminotetracetico di sodio o di potassio esplica la sua azione formando un composto insolubile con lo ione calcio (meccanismo comune ad altri anticoagulanti) che è fondamentale per il processo di coagulazione. Viene utilizzato per eseguire l'esame emocromocitometrico e raramente è d’uso per altri esami. Campionamento e analisi Il sangue CITRATO Sottoforma di sale sodico, agisce legandosi al calcio per dare un composto insolubile tale da impedire la coagulazione. Non ha effetti tossici e quindi è utilizzato per il sangue destinato alle trasfusioni. E’ impiegato per la misura della velocità di eritrosedimentazione (VES) e per lo studio dei principali fattori della coagulazione. FLUORURO DI SODIO Agisce analogamente legandosi allo ione calcio. E’ un inibitore della glicolisi per cui stabilizza la concentrazione del glucosio ematico nel tempo. È quindi l'anticoagulante da preferirsi per i campioni di sangue sui quali si debba determinare la glicemia. Elettroforesi delle proteine L’elettroforesi è un metodo mediante il quale, in soluzione, molecole elettricamente cariche (proteine o acidi nucleici) vengono separate tramite migrazione per applicazione di un campo elettrico. Nel caso della separazione di proteine generalmente si utilizza il metodo della elettroforesi su gel di poliacrilammide (SDS-PAGE) che si basa sulla polimerizzazione del monomero solubile acrilammide (in presenza di un catalizzatore) all’interno di una vaschetta di materiale plastico. Il gel così ottenuto presenta maglie porose, le cui dimensioni possono essere modificate variando le componenti delle matrice acrilammidica o degli agenti polimerizzanti. Elettroforesi delle proteine Le proteine che si vogliono separare elettroforicamente vengono parzialmente denaturate con un detergente anionico, il sodio dodecilsolfato (SDS) che ne causa la denaturazione conferendo al polipeptide una netta carica negativa proporzionale alla sua lunghezza. Sono anche trattate con un agente riducente che scinde i legami disolfuro (mercaptoetanolo) agevolando la linearizzazione della proteina. Le proteine così rese solubili vengono immesse in piccoli pozzetti (polo negativo) ricavati nel gel precedentemente immerso in una soluzione tampone che mantiene costante il pH. Elettroforesi delle proteine A questo punto una volta completato l’apparato, si collega agli elettrodi di un alimentatore di corrente e le proteine migreranno nel campo elettrico in base al loro peso molecolare essendo più o meno trattenute nelle maglie del gel che funziona da setaccio molecolare. La corsa elettroforetica del campione viene associata a polipeptidi che fungono da standard di peso molecolare che per confronto diretto permettono di stimare il peso molecolare con buona approssimazione. Elettroforesi delle proteine Terminata la corsa elettroforetica si procede alla colorazione del gel per identificare le singole bande di proteine. E’ possibile “tradurre” la corsa elettroforetica in un segnale digitalizzato mediante uno strumento chiamato densitometro che sfrutta il passaggio di un raggio luminoso a velocità costante lungo il percorso della separazione elettroforetica e registra così la densità ottica delle varie bande. Questo consente di determinare l’esatta posizione delle varie bande (peso molecolare) rispetto ad uno standard noto, e di valutare con buona approssimazione la concentrazione di proteina nelle singole bande. Elettroforesi delle proteine Colorazione Blu-Coomassie Bande visualizzate con Silver-stain kit 94 94 67 67 43 30 20 43 30 20 Gel elettroforetici con marcatori di peso molecolare Elettroforesi delle proteine Concentrazioni proteiche + - Tracciato elettroforetico delle sieroproteine del sangue umano Si utilizza per lo studio di alcune anomalie nelle proteine del siero. La glicemia Il glucosio proveniente dalla dieta viene trasportato dalle cellule epiteliali dell’intestino tenue al flusso sanguigno. Una parte è destinata alle cellule cerebrali, mentre buona parte del rimanente viene convertita nei tessuti del fegato e dei muscoli nel polisaccaride glicogeno che funge da riserva di energia che viene utilizzata dall’organismo solo quando è necessario. Tra le funzioni più importanti del fegato vi è il mantenimento a valori costanti della concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia). In questo organo avviene in misura rilevante la sintesi di glicogeno e viceversa anche il processo di glicogenolisi che libera glucosio destinato al circolo sanguigno. I due processi di sintesi e di scissione del glicogeno agiscono in equilibrio e sono finemente regolati in modo da mantenere il più possibile costante la glicemia, garantendo l’apporto di glucosio a tutti i tessuti dell’organismo. La glicemia La regolazione della glicemia (valori normali 80-100 mg/dl) avviene ad opera della parte endocrina del pancreas (isole di Langerhans) costituita da gruppi di cellule disseminati nella parte esocrina (preposta alla produzione di enzimi digestivi) di questa ghiandola. Quando la concentrazione di glucosio nel sangue tende a diminuire il fegato rilascia nel flusso sanguigno tale zucchero. Questo processo viene mediato dall’ormone peptidico glucagone prodotto dalle cellule α del pancreas endocrino. Viceversa se il livello ematico di glucosio nel sangue aumenta viene liberato in circolo l’ormone peptidico insulina prodotto dalle cellule β del pancreas endocrino. La glicemia L’insulina che è secreta in risposta a elevati livelli ematici di glucosio agisce legandosi ad un recettore esterno della membrana cellulare per favorire l’ingresso del glucosio nelle cellule del fegato, del muscolo e del tessuto adiposo stimolando la sintesi di glicogeno e grassi e inibendone la demolizione. Insulina Glucosio Recettore per l’insulina Trasportatore del Glucosio Glicogeno Fosforilasi attiva Glicogeno Fosforilasi inattiva P Fosfatasi + Pi La glicemia Il glucagone che è secreto in risposta a bassi livelli ematici di glucosio agisce legandosi ad un recettore esterno della membrana cellulare stimolando il fegato a rilasciare il glucosio attraverso la glicogenolisi e la gluconeogenesi e stimolando il tessuto adiposo a rilasciare acidi grassi. Glucagone Recettore per il glucagone Trasportatore del Glucosio Glucosio Glicogeno Fosforilasi attiva Glicogeno Fosforilasi inattiva + P ADP Cinasi + ATP La glicemia Il diabete mellito E’ una patologia caratterizzata da iperglicemia (valori di concentrazione di glucosio ematico anche maggiori di 200 - 250 mg/dl) e da conseguente glicosuria cioè da perdita di glucosio con le urine. Ne è causa l’insufficiente secrezione di insulina oppure la scarsa stimolazione delle cellule bersaglio. Come conseguenza il livello di glucosio nel sangue molto alto ne permette un cospicuo passaggio attraverso il filtro glomerulare e anche a causa di un insufficiente riassorbimento nei tubuli dei nefroni si ritrova nelle urine. L’elevata quantità di glucosio nelle urine fornisce un utile test diagnostico della malattia. Il principale problema di questa patologia è che le cellule non possono assumere una quantità adeguata di glucosio. Esistono due forme di questa malattia: La glicemia Il diabete mellito 1) Il diabete insulina-dipendente o giovanile colpisce circa il 15% dei pazienti diabetici. In questa patologia l’insulina è assente o quasi perché il pancreas ha cellule β difettose o ne è privo come conseguenza di un attacco autoimmunitario. Gli individui che ne sono affetti hanno bisogno di iniezioni giornaliere di insulina per sopravvivere e possono presentare in età giovanile disfunzioni renali, danni neurologici e malattie cardiovascolari, se non controllati adeguatamente. 2) Il diabete non insulina-dipendente o dell’età adulta colpisce circa l’ 85% dei pazienti diabetici. Di solito si sviluppa progressivamente dopo i 40 anni di età. I malati hanno livelli di insulina normali o anche superiori alla media, ma i loro sintomi possono derivare dalla scarsità di recettori per l’insulina sulla superficie delle loro cellule. La glicemia Diagnosi del diabete La concentrazione del glucosio viene determinata di routine in campioni di sangue raccolti in provette contenenti fluoruro (anticoagulante inibitore della glicolisi). Quando si ottiene un valore della glicemia a digiuno maggiore o uguale a 110 mg/dl si è al limite per avere un ragionevole dubbio che vi sia una alterazione, anche se iniziale, della regolazione del metabolismo del glucosio. Nel caso in cui il paziente presenti una glicemia basale compresa tra 115 mg/dl e 140 mg/dl, si deve ricorrere ad ulteriori accertamenti come al test curva da carico orale di glucosio. La glicemia Diagnosi del diabete: curva da carico orale di glucosio E’ un test mediante il quale viene diagnosticato il diabete in soggetti in cui si è osservata una glicemia superiore ai valori nella norma. L’esame si svolge tramite alcuni prelievi ematici su cui si determina la glicemia. Il primo è a digiuno e gli altri quattro avvengono a distanza di 30 minuti l’uno dall’altro per le due ore successive dopo l’ingestione di 75 grammi di glucosio sciolti in acqua. Se i valori, dopo 2 ore dall’assunzione del carico di glucosio sono maggiori o uguali a 200 mg/dl si è in presenza di un soggetto diabetico. Se sempre dopo 2 ore, sono compresi tra 140 e 200 mg/dl si parla di alterata o ridotta tolleranza al glucosio. La glicemia Diagnosi del diabete: curva da carico orale di glucosio L’attendibilità dei risultati del test che deve essere svolto al mattino dipende dalle condizioni di preparazione del paziente che: ¾non deve avere assunto farmaci in grado di modificare i livelli di glicemia; ¾deve mantenersi a digiuno da almeno dieci ore; ¾non si deve essere impegnato in attività lavorative o sportive troppo intense; ¾non deve avere ingerito, nei tre giorni precedenti il test, quantità troppo scarse o eccessive di carboidrati; ¾non deve avere manifestato stati febbrili. Monitoraggio del Diabete Mellito Profilo glicemico Spesso è necessario ottenere risultati immediati della glicemia. E’ ormai diffusa la pratica dell’automonitoraggio nei pazienti diabetici con frequenza stabilita dal medico. Il glucosio ematico viene valutato al di fuori del laboratorio tramite un misuratore elettronico della glicemia. Questo tipo di esame prevede il prelievo di una piccola quantità di sangue da un dito del paziente variando il momento dell’autoesame, allo scopo di ottenere un quadro complessivo del proprio controllo glicemico. Monitoraggio del Diabete Mellito Profilo glicemico Consiste nella determinazione della glicemia più volte durante la giornata: a digiuno, prima e 2 ore dopo il pasto ed eventualmente alla sera prima di coricarsi. Si impiega: •nel monitoraggio di un diabete ancora non ben compensato per individuare i necessari aggiustamenti della terapia; •se si deve cambiare la terapia farmacologica; •routinariamente, in tutti i casi in cui è necessario uno stretto controllo metabolico. Monitoraggio del Diabete Mellito Emoglobina glicata Il glucosio presente nel sangue ad alte concentrazioni (iperglicemia), come avviene in caso di diabete, può legarsi irreversibilmente con un meccanismo non enzimatico ai gruppi amminici N-terminali delle catene β dell'emoglobina, trasformandola in una forma glicata (HbA1c). L’emoglobina in questo stato alterato non è più in grado di legare l'ossigeno con la stessa efficacia dell'emoglobina fisiologica, provocando così una minore ossigenazione dei tessuti. Ne conseguono danni agli organi che si possono osservare in soggetti diabetici. Monitoraggio del Diabete Mellito Emoglobina glicata L’entità di HbA1c aumenta proporzionalmente ai valori di glicemia, pertanto i livelli di emoglobina glicata sono un indice del livello medio di glucosio ematico. Il legame delle molecole di glucosio all'emoglobina avviene lentamente tanto da impiegare anche diverse settimane, pertanto la concentrazione di emoglobina glicata fornisce una stima retrospettiva della glicemia per un periodo di circa 120 giorni (tempo di vita medio dei globuli rossi). Monitoraggio del Diabete Mellito Emoglobina glicata Considerando che i danni dovuti all'iperglicemia si hanno solo a seguito di un certo prolungamento di questo stato si può comprendere l'importanza del dosaggio dell’emoglobina glicata che deve essere mantenuta il più possibile in bassa concentrazione. Non si conosce però una concentrazione soglia di emoglobina glicata al di sotto della quale sicuramente non si avranno complicazioni ma, in linea generale livelli al di sotto di 7,7 % di emoglobina glicata rispetto a quella fisiologica sono ritenuti accettabili, livelli inferiori a 5,5 % sono considerati normali. Monitoraggio del Diabete Mellito Emoglobina glicata Normalmente il dosaggio dell’emoglobina glicata viene richiesto dal medico da due a quattro volte all’anno. Per poter valutare al meglio il controllo della glicemia di un paziente, il medico spesso prende in considerazione sia i risultati dell’automonitoraggio sia i valori di emoglobina glicata. In conclusione si può affermare che per valutare lo stato glicemico del paziente diabetico è molto utile associare alla glicemia anche la determinazione dell'emoglobina glicata che fornisce informazioni sulla media glicemica degli ultimi 120 giorni. Monitoraggio del Diabete Mellito Emoglobina glicata Queste considerazioni consentono di affermare che una glicemia nella norma ma con un alto livello di emoglobina glicata in quel dato momento, non corrisponde al grado di compenso metabolico del soggetto che, durante la giornata, potrebbe avere picchi glicemici senza rendersene conto. Pertanto, la sola glicemia, risulta insufficiente per un efficace controllo del soggetto diabetico perché non fornisce alcuna indicazione sullo stato di compenso glico-metabolico che è responsabile delle numerose complicanze del diabete. La glicosuria Molte sostanze presenti nel plasma sanguigno si ritrovano nell’urina solo quando la loro concentrazione plasmatica supera un determinato valore detto soglia di escrezione. Per tali sostanze esiste quindi un valore massimo di filtrato che può essere totalmente riassorbito nei tubuli renali ed oltre il quale la sostanza compare nell’urina. www.atlanteanatcomp.unito.it La glicosuria Esiste una ben definita soglia renale di escrezione che è caratteristica di quei componenti del filtrato preziosi per l’organismo come il glucosio e gli amminoacidi che non devono essere perduti con l’urina. La loro concentrazione plasmatica è infatti di regola inferiore alla loro soglia di escrezione. Una conseguenza di tale fenomeno è che si può ritrovare glucosio nelle urine di soggetti anche in condizioni fisiologiche, ad esempio dopo un abbondante pasto a base di carboidrati. Se però è presente glucosio nelle urine anche quando il glucosio ematico presenta valori normali, in genere ciò può riflettere l’incapacità dei tubuli renali di riassorbire glucosio, a causa di specifiche lesioni tubulari. Molecole non proteiche di interesse clinico Azotemia E’ la misura dell'azoto totale non proteico presente nel sangue derivante cioè da urea, amminoacidi, acido urico, creatina e creatinina. In condizioni fisiologiche ha valori tra 8 e 24 mg/dl. Questa misura indica però principalmente la concentrazione di urea nel sangue che è presente in maggiore quantità rispetto ad altre molecole azotate (circa il 90%). Alcune di queste molecole eliminate a livello renale con le urine sono prodotti di rifiuto che derivano dalla degradazione delle proteine. Danni all'apparato renale possono provocare accumulo di sostanze di rifiuto nel sangue, ne consegue che la presenza di una azotemia elevata può essere indice di problemi renali. Molecole non proteiche di interesse clinico Azotemia I valori che si riscontrano in un soggetto sono influenzati dall'attività metabolica del fegato e dalla capacità di escrezione del rene. Un aumento dei valori dell'azotemia (iperazotemia) si riscontra principalmente in patologie renali croniche. Inoltre, è presente iperazotemia anche in patologie acute come l’insufficienza renale acuta ed in casi di ostruzione del tratto urinario. Una diminuzione dei valori, invece, può indicare un’insufficienza epatica. Molecole non proteiche di interesse clinico Azotemia Fra le cause non patologiche di elevati valori di azotemia vi sono: • Una dieta eccessivamente ricca di proteine. • Un'attività sportiva o lavorativa intensa che causa un notevole catabolismo muscolare: l'organismo usa le proteine come scorta energetica. • Molti farmaci che aumentano il catabolismo (per esempio i cortisonici) e in particolare: l'aspirina, le cefalosporine e alcuni agenti chemioterapici. • la gravidanza (per la elevata richiesta di proteine). Molecole non proteiche di interesse clinico Urea E’ il prodotto finale del catabolismo delle proteine e si produce nel fegato per deamminazione degli amminoacidi. E’ presente nel sangue ad una concentrazione da 8 a 20 mg/dl (uremia) ed è anche il composto che si ritrova nell’urina in maggiore quantità con una eliminazione giornaliera di 20-30 gr. che varia però in funzione del tipo di alimentazione (aumenta con una dieta iperproteica e diminuisce con una dieta a base di vegetali). Valori elevati possono essere indice di: •Insufficienza renale acuta o cronica •Insufficienza cardiaca acuta o cronica •Diabete •Altre patologie Valori al di sotto della norma possono essere indice di: •Malnutrizione Molecole non proteiche di interesse clinico Acido urico E’ uno dei prodotti finali del catabolismo degli acidi nucleici derivando dalle basi azotate puriniche adenina e guanina. La quantità eliminata con l’urina dipende quindi dall’entità del catabolismo ed aumenta quando l’alimentazione è ricca di composti purinici. Normalmente essa ammonta a circa 0,6 gr. nelle 24 ore. L’acido urico è poco solubile in acqua e nell’urina tende a cristallizzare, formando un sedimento. Tipica manifestazione patologica di un suo eccesso nei fluidi corporei è la gotta. Si manifesta con una infiammazione articolare dolorosa determinata dalla deposizione di cristalli quasi insolubili di urato di sodio. L’acido urico può anche precipitare nei reni e negli ureteri sotto forma di calcoli potendo provocare anche l’ostruzione delle vie urinarie. Ciò accade se la sua presenza nel sangue supera la soglia di 7 mg/dl instaurandosi uno stato di iperuricemia. Molecole non proteiche di interesse clinico Bilirubina E’ un pigmento biliare, intermedio della degradazione dell’eme. Viene trasportata nel sangue sotto forma di complesso con l’albumina. Quando il sangue ne contiene quantità eccessive si ha la deposizione di questa sostanza che colora di giallo la pelle e le sclere (ittero). Ciò è indice di una anormale velocità di distruzione dei globuli rossi, una disfunzione epatica, o l’ostruzione del dotto biliare. Eliminazione giornaliera con le urine di 2 mgr. Molecole non proteiche di interesse clinico Creatina Rappresenta una riserva ad alta anergia per la formazione di ATP. E’ abbondante nei muscoli per la contrazione muscolare e nelle cellule nervose che hanno un notevole fabbisogno energetico. Nei vertebrati è presente in forma fosforilata tramite una reazione reversibile ad opera dell’ATP catalizzata dalla creatina chinasi: ATP + creatina fosfocreatina + ADP La fosfocreatina funziona come un tampone per l’ATP nelle cellule sopperendo alla richiesta energetica. Molecole non proteiche di interesse clinico Creatinina Dopo l’urea, è la più abbondante delle molecole azotate presenti nell’urina. Deriva dalla defosforilazione e catabolismo della fosfocreatina presente nel tessuto muscolare in qualità di donatore di gruppi fosforici ad alto contenuto energetico, nella catena di reazioni che accompagnano la contrazione muscolare. La quantità di creatinina escreta varia leggermente a seconda dello sviluppo e dell’attività delle masse muscolari e ammonta a circa 2 gr. nelle 24 ore. Viene dosata nelle urine e nel sangue (creatininemia) come indice della funzionalità renale. Molecole non proteiche di interesse clinico Clearance della creatinina In generale per clearance renale si indica il volume di plasma sanguigno che viene completamante “ripulito” dai reni nell’unità di tempo (solitamente un minuto) per una determinata sostanza. Nel caso della creatinina è la quantità di sangue che può essere efficacemente depurata da essa nell'unità di tempo. Per calcolarla devono essere noti contemporaneamente i valori di creatininemia, di creatinina ed il volume di urina emesso per minuto. Poiché la creatinina passa nel filtrato glomerulare in concentrazione uguale a quella che ha nel sangue e poiché non viene né eliminata, né riassorbita dai tubuli renali, il calcolo della clearance della creatinina permette di valutare, con buona approssimazione, la quantità di filtrato glomerulare che si forma in un minuto. E', dunque, un indice della funzionalità renale. Molecole non proteiche di interesse clinico Clearance della creatinina Per determinare la clearance della creatinina è necessario eseguire una raccolta delle urine nelle 24 ore, valutando poi la creatininuria e la creatininemia sempre nello stesso periodo di tempo. I dati raccolti vanno poi inseriti nella formula che è comunque di uso generale es. EDTA…ecc.): C= (U x V)/P C = clearance (volume del plasma) U = concentrazione urinaria della creatinina V = volume di urine raccolto nelle 24 ore UxV=quantità di creatinina escreta nell’urina P = concentrazione plasmatica della creatinina (creatininemia) Molecole lipidiche di interesse clinico Trigliceridi Sono esteri del glicerolo, importante riserva energetica dell’organismo che costituiscono circa il 90% dei lipidi assunti con l’alimentazione. Una volta sintetizzati nel fegato sono impacchettati in lipoproteine a densità molto bassa (VLDL) e rilasciati direttamente nel circolo sanguigno. Questo permette di mantenerli in soluzione acquosa e di trasportarli nei distretti di consumo o accumulo. Mediamente un valore ematico normale è compreso tra i 70 e i 140 mg/dl. Molecole lipidiche di interesse clinico Trigliceridi La concentrazione ematica di trigliceridi aumenta per cause esogene, da introduzione eccessiva di alcolici, glucidi e lipidi portando a ipertrigliceridemia. Si può avere anche dislipidemia. Alti livelli di trigliceridi nel sangue aumentano il rischio di malattie coronariche (come l'infarto) e la possibilità di sviluppare l'aterosclerosi. L’ ipertrigliceridemia, associata ad assunzione di alcol, è il risultato di un aumento plasmatico delle VLDL. In una malattia genetica a carattere autosomico la concentrazione di trigliceridi è aumentata per deficit familiare di lipasi lipoproteica, portando ad un aumento delle VLDL. Molecole lipidiche di interesse clinico Colesterolo E’ lo sterolo più abbondante negli animali ed è uno dei principali componenti delle membrane plasmatiche delle cellule. Possiede un gruppo ossidrilico responsabile del debole carattere anfipatico di questa molecola. Essendo un composto ad anelli condensati genera una rigidità della molecola superiore a quella degli altri lipidi della membrana. E’ abbondante anche nelle lipoproteine del plasma sanguigno dove circa il 70% del colesterolo totale è esterificato ad acidi grassi a lunga catena. Altra funzione importante è quella di precursore degli ormoni steroidei e degli acidi biliari. Mediamente un valore ematico normale è compreso tra i 150 e i 200 mg/dl. Molecole lipidiche di interesse clinico Colesterolo Molecole lipidiche di interesse clinico Colesterolo Esistono due vie di approvigionamento del colesterolo, la sintesi nel fegato a partire dall’Acetil-Coa e l’assunzione con gli alimenti. Può essere convertito in acidi biliari utilizzati nei processi digestivi o in alternativa può essere esterificato e immesso nel sangue come parte dei complessi lipoproteici chiamati lipoproteine a bassa densità (LDL). I tessuti periferici normalmente ricavano la maggior parte del loro colesterolo esogeno dalle LDL mediante endocitosi mediata da recettore. Molecole lipidiche di interesse clinico Colesterolo Questa molecola viene trasportata tra il fegato e i tessuti periferici e viceversa. Mentre le LDL trasportano il colesterolo dal fegato, il colesterolo è ritrasportato al fegato dalle lipoproteine ad alta densità (HDL). Il colesterolo in eccesso viene eliminato dal fegato come acidi biliari, proteggendo quindi il corpo da un eccessivo accumulo di questa molecola insolubile in acqua. Anche se questo composto è essenziale per la vita la sua deposizione nelle arterie è stato associata a malattie cardiache e aterosclerosi che costituiscono principali cause di morte dell’uomo. In un organismo sano è efficiente un intricato equilibrio tra biosintesi, utilizzazione e trasporto del colesterolo, che tende a mantenere al minimo la sua pericolosa deposizione. Molecole lipidiche di interesse clinico Lipoproteine Sono complessi molecolari costituiti da proteine e lipidi non associati covalentemente. Questo sistema costituito da diversi tipi di lipoproteine si è evoluto per risolvere il problema rappresentato dal trasporto di molecole idrofobiche nell’organismo in un mezzo acquoso quale il plasma sanguigno. Una lipoproteina è una complessa struttura sferica con un core idrofobico avvolto da un rivestimento idrofilico. Nel core sono contenuti trigliceridi ed esteri del colesterolo, mentre la superficie contiene fosfolipidi, colesterolo libero ed apolipoproteine, che permettono il riconoscimento di specifici recettori sulla superficie delle cellule bersaglio, permettendo così l’internalizzazione delle lipoproteina. E’ d’uso classificare le lipoproteine in base alla loro densità poichè vengono principalmente isolate mediante ultracentrifugazione. Molecole lipidiche di interesse clinico Lipoproteine Apolipoproteina Colesterolo libero Fosfolipidi Trigliceridi e esteri del colesterolo www.iss.it Molecole lipidiche di interesse clinico Tipi di lipoproteine Sono le più grandi. ¾ Chilomicroni Sono prodotte dalla mucosa intestinale. Non presenti nel sanguigno a digiuno. plasma Trasportatori dei trigliceridi e del colesterolo esogeni. ¾ Lipoproteine a densità molto bassa (VLDL) Sintetizzate nel fegato. Principali trasportatori dei trigliceridi sintetizzati per via endogena. Molecole lipidiche di interesse clinico Tipi di lipoproteine ¾ Lipoproteine a bassa densità (LDL) Generate dalle VLDL in circolo (lipasi lipoproteica). Principali trasportatori del colesterolo nel sangue. ¾ Lipoproteine ad alta densità (HDL) Sono le più piccole ed hanno funzione protettiva. Trasportano il colesterolo dai tessuti extraepatici al fegato a scopo di escrezione. Molecole lipidiche di interesse clinico Lipoproteine: aterosclerosi Le HDL hanno essenzialmente funzione opposta alle LDL, cioè permettono la rimozione del colesterolo dai tessuti. L’incidenza delle malattie cardiovascolari è correlata agli alti livelli di LDL e ai bassi livelli di HDL. L’aterosclerosi, la forma più comune di arteriosclerosi (indurimento delle arterie), è caratterizzata dalla presenza di ateromi cioè ispessimenti delle arterie che dopo dissezione mostrano un deposito di colore giallo a consistenza pastosa e sono costituiti quasi esclusivamente di esteri del colesterolo. Molecole lipidiche di interesse clinico Lipoproteine: aterosclerosi L’aterosclerosi è una malattia progressiva che inizia con accumuli intracellulari di lipidi nelle cellule del muscolo liscio collocate nella parte interna delle arterie. Lo sviluppo di questa patologia è fortemente correlato ai livelli del colesterolo plasmatico. Può proseguire con la comparsa di placche fibrose che possono calcificare, rallentando o anche bloccando il flusso sanguigno nelle arterie. Le superfici discontinue e rugose che si formano all’interno dei vasi promuovono la formazione di coaguli che a loro volta possono essere causa di occlusione dei vasi sanguigni. Altra causa dell’aterosclerosi può essere una deficienza di recettori per le LDL. Molecole lipidiche di interesse clinico Profilo lipidico I livelli plasmatici delle molecole lipidiche variano significativamente in popolazioni diverse essendo in rapporto a fattori genetici oltre che all’alimentazione. È quindi relativo definire dei valori "normali“ di riferimento. In generale valori di colesterolo totale inferiori a 200 mg/dl e di colesterolo LDL inferiori a 130 mg/dl si possono considerare accettabili. Sono considerati valori "limite" per il colesterolo totale quelli compresi tra 200 e 239 mg/dl e per il colesterolo LDL tra 130 e 159 mg/dl. In genere si considerano nella norma valori di colesterolo HDL compresi tra 40 e 50 mg/dl nell’uomo e 50 e 60 mg/dl nella donna. Enzimi in biochimica clinica Quando nel siero sanguigno si trovano enzimi che sono normalmente intracellulari si è in presenza di danni tessutali e spesso il tipo di enzima può essere messo in relazione al tessuto danneggiato. Alcuni enzimi esistono in forme multiple (isoenzimi) e sono espressi in cellule di tessuti diversi. Isoenzimi = catalizzano la stessa reazione, ma hanno sequenza aa. differente. Esempi: la lattico deidrogenasi (LDH), l’alanina amminotransferasi (ALT o GPT), l’aspartato amminotransaminasi (AST o GOT) e la creatina chinasi (CK) sono tra gli enzimi più utili per fare diagnosi di danno tessutale specifico (epatico o muscolare). Marcatori di danno miocardico Malattie cardiovascolari L’infarto del miocardio e l’ictus sono caratterizzati dall’interruzione del flusso sanguigno a una porzione di cuore o di cervello. Sono tra le principali cause di morte nei paesi industrializzati. Le cellule di questi organi muoiono a seguito della persistente carenza di O2 (accettore finale di elettroni nella catena di trasporto mitocondriale) dovuta all’alterato flusso sanguigno. Ciò si può mettere anche in relazione al fatto che una cellula dipendente soltanto dalla glicolisi per la produzione di ATP, consuma rapidamente le sue scorte di fosfocreatina e di glicogeno non avendo disponibilità di ossigeno da utilizzare per la respirazione. Marcatori di danno miocardico Malattie cardiovascolari Quando nelle cellule la velocità di produzione dell’ATP si abbassa al di sotto del livello richiesto per il funzionamento delle pompe ioniche di membrana non può più essere mantenuta la corretta concentrazione intracellulare dei vari ioni. Il bilancio osmotico del sistema si altera e la cellula tende a gonfiarsi. La membrana sotto tensione diventa permeabile e lascia uscire all’esterno il materiale intracellulare. Entrano così nel circolo sanguigno molecole e ioni che normalmente sono contenuti all’interno di queste cellule. Marcatori di danno miocardico Infarto del miocardio La patologia che né è alla base è l’aterosclerosi. Se il restringimento del lume delle arterie provoca la riduzione del flusso coronarico si può avere dolore al torace (angina pectoris). Se una placca ateromatosa instabile si frammenta, il contenuto rilasciato può favorire la formazione di coaguli. Questo processo conosciuto come trombosi, può dare luogo a un’improvvisa e completa occlusione dell’arteria interessata e all’infarto dell’area del miocardio da essa irrorata. Tra gli esami necessari per la diagnosi vi è la ricerca dei marcatori biochimici entrati in circolo dopo i danni cellulari. Marcatori di danno miocardico Infarto del miocardio Le cellule miocardiche perdendo la loro integrità rilasciano alcuni enzimi quali AST, LDH e CK che entrano nel circolo sanguigno. Si innalza così il loro livello sierico in misura significativa. Rispetto agli altri enzimi diagnostici la LDH compare più tardivamente in circolo in quanto l’aumento ematico dell’enzima si manifesta dopo circa dodici ore dall’inizio della manifestazione dell’infarto; esso raggiunge il massimo livello dopo circa 72 ore mantenendosi sopra i valori normali fino alla settima o decima giornata di malattia. Perciò la determinazione dei valori plasmatici di questo enzima ha particolare valore nei casi di infarto o di sospetto infarto del miocardio di cui si effettua l’indagine a qualche giorno di distanza dalla manifestazione clinica. Marcatori di danno miocardico Creatina chinasi (CK) E’ il primo enzima ad aumentare nel siero dopo danno muscolare o infarto del miocardio (> 100 mU/ml). -Presente nel cuore e nei muscoli. 3 forme isoenzimatiche: MM: muscolare MB: cardiaco BB: cerebrale Comincia ad aumentare 4-6 ore dall’inizio della sintomatologia dolorosa per raggiungere il massimo dopo 18-36 ore e ritornare ai valori normali dopo 3-4 giorni. Marcatori di danno miocardico Isoenzima CK-MB E’ un dimero formato da due diversi monomeri (M e B) presente nel miocardio . L’interesse clinico della sua determinazione nel siero deriva dal fatto che esso aumenta quasi esclusivamente nell’infarto del miocardio e può essere considerato un enzima “infarto miocardico specifico”. Nei casi di infarto del miocardio l’aumento dell’isoenzima MB è precoce; comincia ad aumentare nelle prime 4-6 ore, raggiunge il massimo rapidamente (16-20 ore) e più rapidamente della CK totale, torna nei limiti della norma. Marcatori di danno miocardico Troponina E’ una proteina formata da tre subunità (TnC, TnT e TnI) che regola insieme ad altri complessi proteici la contrazione muscolare. Due isoforme di queste proteine, T e I, sono specifiche per il miocardio. Le cellule cardiache sono caratterizzate dalla presenza nel citoplasma di strutture organizzate in filamenti, che consentono l’attività contrattile del miocardio. Le fibrille sono costituite da filamenti spessi, composti prevalentemente da miosina, e filamenti sottili, composti da actina, tropomiosina e troponina. La dismissione nel circolo sanguigno inizia 3-6 ore dopo l’insorgenza dei sintomi dell’infarto e raggiungendo la massima concentrazione dopo 12-24 ore. Permane in circolo fino a 10 giorni e più dall’insorgenza dell’infarto del miocardio. Marcatori di danno miocardico Troponina www.portalesmedicos.com J. I. A. Soler Díaz, M. Garrido Fernández, R. Navarro Castelló, J. Díaz Torres. Mentre le troponine T e I sono costitute da isoforme distinguibili immunologicamente in cardiache e scheletriche, la TnC è costituita da forme che presentano identica composizione amminoacidica, quindi indistinguibili. Marcatori di danno miocardico Mioglobina E’ la prima molecola ad essere immessa nel circolo sanguigno a seguito di infarto. Non è però specifica per il muscolo cardiaco e risulta essere fortemente elevata anche in altre condizioni. Infatti le caratteristiche molecolari della mioglobina dei muscoli scheletrici e di quella cardiaca sono identiche: pertanto non risulta possibile attribuire a questa molecola proprietà tessuto specifiche. L’incremento delle sua concentrazione ematica è osservabile mediamente 1-4 ore dopo l’insorgenza del dolore al torace per ritornare alla normalità dopo 24-36 ore. Comunque la mancata presenza in circolo di questa proteina può essere utile per escludere l’infarto. Marcatori di danno tessutale Lattico deidrogenasi (LDH) E’ un enzima presente in tutte le cellule con particolare riguardo al cuore, fegato, muscoli, reni ed eritrociti, per cui il suo aumento nel siero è una indicazione aspecifica di danno tessutale. Anche in questo caso maggiori informazioni però si ottengono dall’analisi del tipo di isoenzima presente che deriva dall’associazione di quattro subunità di due tipi differenti: M4: muscoli e fegato H4: cuore H2M2: polmone, linfociti H3M1: eritrociti Valori elevati in: ¾Infarto del miocardio ¾Anemie ¾Patologie muscolari ¾Danni epatici Dosaggi degli enzimi AST e ALT Le transaminasi sono enzimi ubiquitari, sono comunque particolarmente abbondanti in fegato e muscolo striato. Catalizzano reazioni di trasferimento di un gruppo amminico da un amminoacido donatore ad una molecola di α-chetoglutarato accettore, secondo la seguente reazione: amminoacido 1 + α-chetoglutarato → chetoacido + glutammato Per poi proseguire con la reazione catalizzata dalla glutammico deidrogenasi: glutammato + NAD + Pi→ α-chetoglutarato + NADH + NH4+ Questi enzimi sono considerati in clinica come indice, sebbene non specifico di danno acuto degli epatociti, a prescindere dalle cause che ne hanno provocato l’immissione in circolo anche se aumentano nel caso di danni al tessuto muscolare scheletrico o cardiaco. Dosaggi degli enzimi AST e ALT Aspartato amminotransferasi (AST) Spesso è indicata con la sigla GOT (4-37 U/l) 9E’contenuta in diverse cellule ma risulta particolarmente elevata in cellule epatiche, miocardio e nel tessuto muscolare scheletrico. 9E’ localizzata nei mitocondri –rilascio più lento nel sangue –danno più grave 9Vi possono essere falsi positivi in caso di emolisi 9AST aumenta nell’infarto del miocardio, nelle epatiti, nella cirrosi alcolica ( ↑ AST/ALT) Catalizza la reazione reversibile: L-aspartato+ α-chetoglutarato L-glutammato + ossalacetato Dosaggi degli enzimi AST e ALT Alanina amminotransferasi (ALT) Spesso è indicata con la sigla GPT (4-40 U/l) 9Localizzata principalmente nelle cellule epatiche fuoriesce per danni a carico della membrana cellulare. 9Vi sono farmaci che ne causano l’innalzamento ematico. 9E’ più specifica per danno epatico, aumenta in epatite e cirrosi catalizza la reazione reversibile: L-alanina+ α-chetoglutarato L-glutammato + piruvato Biochimica Applicata Corso di Laurea in Infermieristica Dott. Maurizio Zecchini E-mail: [email protected] Azienda Sanitaria Locale 3 “Genovese” Testo consigliato: Gaw A., Murphy M. J., “Biochimica clinica” Editore Elsevier Masson