II domenica di Avvento C
Bar 5,1-9; Sal 125; Fil 1,4-6.8-11; Lc 3,1-6
Prima Lettura Bar 5,1-9
Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura.
Dal libro d el p rofeta Baruc
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione,
rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per
sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio,
metti sul tuo capo il diadema di gloria dell'Eterno,
perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il
cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre:
«Pace di giustizia» e «Gloria di pietà».
Sorgi, o Gerusalemme, sta' in piedi sull'altura
e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti,
dal tramonto del sole fino al suo sorgere,
alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio.
Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici;
ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale.
Poiché Dio ha deciso di spianare
ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda
sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per
comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la
giustizia che vengono da lui.
Seconda Lettura Fil 1,4-6,8-11
State integri e irreprensibili per il giorno di Cristo.
Dalla lettera d i san Paolo ap osto lo ai Filip p ési
Fratelli, sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il
Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest'opera
buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.
Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. E perciò
prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate
distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto
di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.
Vangelo Lc 3,1-6
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Dal vangelo second o Luca
Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della
Giudea. Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, e
Lisània tetràrca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni,
figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di
conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
«Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone
sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie,
spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
1
La prima lettura (Bar 5,1-9) è tratta dal libro di Βαρούχ «Baruc» «benedetto», uno dei testi
deuterocanonici assenti nella Bibbia ebraica e pervenutoci nella versione greca detta Settanta, dove è
collocato accanto a Geremia e alle Lamentazioni. L'opera si presenta come redatta da Baruc, figlio di Neria e
segretario del profeta Geremia, come lui coinvolto nella catastrofe di Gerusalemme e al servizio della
comunità rimasta nella terra di Giuda (Ger 32; 36; 43; 45). Questa attribuzione sembra oggi improbabile e si
propende per un'opera pseudonimica. Più che al segretario storico di Geremia, dobbiamo pensare a un
autore che prende Baruc come modello di scriba fedele che rielabora racconti preesistenti sulla conquista di
Gerusalemme e sugli anni dell'esilio.
Bar 5,1: Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore
della gloria che ti viene da Dio per sempre (ἔκδυσαι, Ιερουσαλημ, τὴν στολὴν τοῦ πένθους καὶ τῆς
κακώσεώς σου καὶ ἔνδυσαι τὴν εὐπρέπειαν τῆς παρὰ τοῦ θεοῦ δόξης εἰς τὸν αἰῶνα, lett. «Svesti, Gerusalemme,
la veste del lutto e della malvagità tua, e vesti lo splendore della da Dio gloria per l’eternità»).
- Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione (ἔκδυσαι, Ιερουσαλημ, τὴν στολὴν τοῦ πένθους καὶ
τῆς κακώσεώς σου). Cambiare la «veste» στολή, ῆς, ἡ «veste, veste lussuosa, abito lungo» simboleggia nel
libro di Ιουδίθ, «Giuditta» «lodata, ebrea», l'inizio della liberazione (Gdt 10,3; cf Is 52,1; 61,3.10).
5,2-3: Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di gloria
dell’Eterno, 3perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo (περιβαλοῦ
τὴν διπλοίδα τῆς παρὰ τοῦ θεοῦ δικαιοσύνης, ἐπίθου τὴν μίτραν ἐπὶ τὴν κεφαλήν σου τῆς δόξης τοῦ
αἰωνίου. 3ὁ γὰρ θεὸς δείξει τῇ ὑπ οὐρανὸν πάσῃ τὴν σὴν λαμπρότητα, lett. «Avvolgiti il manto della da Dio
giustizia, poni il diadema sulla testa tua della gloria dell’Eterno. 3 Infatti Dio mostrerà a sotto il cielo tutta (la terra) il tuo splendore»).
- Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio (περιβαλοῦ τὴν διπλοίδα τῆς παρὰ τοῦ θεοῦ δικαιοσύνης). In
un oracolo di restaurazione Dio porta il titolo di «Signore nostra giustizia» (Ger 23,6). Qui Dio conferisce la
giustizia a Gerusalemme, che si può intendere come la sua riabilitazione, il suo trionfo in un giudizio di
fronte al nemico, il suo ristabilimento nei diritti precedenti (cf Dt 6,25).
- Dio mostrerà il tuo splendore (θεὸς δείξει). Questa nuova giustizia, non il potere militare o politico, sarà lo
splendore di Gerusalemme e la sua fama davanti alle altre nazioni, come era stato annunciato in Dt 4,6-8.
5,4-5: Sarai chiamata da Dio per sempre: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà». 5Sorgi, o
Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal
tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio
(κληθήσεται γάρ σου τὸ ὄνομα παρὰ τοῦ θεοῦ εἰς τὸν αἰῶνα Εἰρήνη δικαιοσύνης καὶ δόξα θεοσεβείας.
5ἀνάστηθι, Ιερουσαλημ, καὶ στῆθι ἐπὶ τοῦ ὑψηλοῦ καὶ περίβλεψαι πρὸς ἀνατολὰς καὶ ἰδέ σου
συνηγμένα τὰ τέκνα ἀπὸ ἡλίου δυσμῶν ἕως ἀνατολῶν τῷ ῥήματι τοῦ ἁγίου χαίροντας τῇ τοῦ θεοῦ
μνείᾳ, lett. «Sarà chiamato infatti di te il nome da Dio per l’eternità: Pace di giustizia e gloria di pietà. 5 Sorgi Gerusalemme e sta’ su
l’altura e guarda a orienti e vedi di te congregati i figli da del sole occidenti fino a orienti per la parola del Santo, gioienti per il di Dio
ricordo»).
- «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà» (Εἰρήνη δικαιοσύνης καὶ δόξα θεοσεβείας). Già Isaia parlava di un
cambiamento del nome della città santa: «Allora sarai chiamata "Città della giustizia", "Città Fedele"» (Is 1,26).
Uno dei suoi discepoli svilupperà il tema: Ti chiameranno «Città del Signore», «Sion del Santo di Israele» ... Tu
chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte (Is 60,14.18); «2Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la
tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà.... 4sarai chiamata mia Gioia... 12sarai
chiamata Ricercata, “Città non abbandonata”» (Is 62,2.4.12). Il primo titolo Εἰρήνη δικαιοσύνης attribuito a
Gerusalemme gioca sulla scomposizione del nome tradizionale di yürû|šäläºim «Gerusalemme» (Is 29,10): yürûšälôm-šälëm associato a ceºdeq «giustizia», termine quest’ultimo riconoscibile nei suoi re: ´ádö|nî-ceºdeq «AdonìSedek» (Gs 10,1) e malKî-ceºdeq «Melchìsedek» «re di giustizia», meºlek šälëm «re di Salem» (Gn 14,18). L'altro titolo
greco, θεοσεβεία «pietà», corrisponde all'ebraico yir´at yhwh(´ädönäy) «rispetto, timor di Dio», cioè aver
rispetto della religiosità. I titoli rappresentano una sintesi di valori: la gloria della città consisterà nel
rispetto di Dio; essa promuoverà la giustizia tra gli uomini e da qui sgorgherà la pace. Anche il Sal 122,
composto a gloria della capitale, ricorda la centralità del culto e dei tribunali di giustizia e saluta la città
con la pace: «1Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!» 4 È là che salgono le tribù, le tribù del
2
Signore, secondo la legge d’Israele, per lodare il nome del Signore. 5 Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa
di Davide. 6 Chiedete pace per Gerusalemme». Compariamo questa finale con l'ultima riga del libro di Ezechiele:
šëm-hä`îr miyyôm yhwh(´ädönäy) šäºmmâ «La città si chiamerà da quel giorno: "Là è il Signore» (Ez 48,35b).
- Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi (ἀνάστηθι, Ιερουσαλημ, καὶ στῆθι). Colei che si lamenta si trova seduta
per terra e protesa nella polvere, abbattuta nel suo dolore e senza guardarsi attorno. Ora si deve alzare, deve
abbandonare la posizione di duolo, uscire dal suo avvilimento e guardare verso l'alto (cf Is 51,17; 52,2; Lam
2,10.21).
5,6: Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in
trionfo, come sopra un trono regale (ἐξῆλθον γὰρ παρὰ σοῦ πεζοὶ ἀγόμενοι ὑπὸ ἐχθρῶν, εἰσάγει
δὲ αὐτοὺς ὁ θεὸς πρὸς σὲ αἰρομένους μετὰ δόξης ὡς θρόνον βασιλείας, lett. «Uscirono infatti da te appiedati
condotti da nemici, introduce poi loro Dio a te essendo sollevati con gloria come trono di regno»).
- Dio te li riconduce in trionfo (εἰσάγει δὲ αὐτοὺς ὁ θεὸς πρὸς σὲ αἰρομένους μετὰ δόξης) (cf Is 66,20).
Inizia il nuovo esodo glorioso, nel quale, a imitazione del II Isaia, il cammino non è più né penoso né duro;
anzi, la carovana dei riscattati trasforma il deserto in giardino e anticipa i beni della terra promessa.
5,7: Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le
valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio (συνέταξεν γὰρ
ὁ θεὸς ταπεινοῦσθαι πᾶν ὄρος ὑψηλὸν καὶ θῖνας ἀενάους καὶ φάραγγας πληροῦσθαι εἰς ὁμαλισμὸν τῆς
γῆς, ἵνα βαδίσῃ Ισραηλ ἀσφαλῶς τῇ τοῦ θεοῦ δόξῃ, lett. «Stabilì infatti Dio di abbassare ogni monte alto e dune secolari
e valli riempire per livellamento della terra, affinché cammini Israele sicuramente nella di Dio gloria»).
L'autore qui richiama Is 40,3-4. La gloria di Dio sostituisce la nube e la calura dell'Esodo.
5,8-9: Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di
Dio. 9Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la
misericordia e la giustizia che vengono da lui (ἐσκίασαν δὲ καὶ οἱ δρυμοὶ καὶ πᾶν ξύλον εὐωδίας
τῷ Ισραηλ προστάγματι τοῦ θεοῦ. 9ἡγήσεται γὰρ ὁ θεὸς Ισραηλ μετ εὐφροσύνης τῷ φωτὶ τῆς δόξης
αὐτοῦ σὺν ἐλεημοσύνῃ καὶ δικαιοσύνῃ τῇ παρ αὐτοῦ, lett. «Ombreggiarono poi anche le selve e ogni albero di aroma per
Israele per comando di Dio»).
Il nuovo esodo non sarà come quello ordinato da Dio a Mosè (Es 33,1-6), ma come il secondo esodo di Is 35 e
40.

L'autore considera l’esilio come situazione tipica, non perché non abbia avuto termine,
ma perché la Gôlâ «diaspora», iniziata con l'esilio e proseguita fino ad oggi, è simile a una situazione di esilio.
L'autore offre il suo messaggio profetico per questa comunità di credenti, elaborando una spiritualità della
diaspora. Il nostro brano riprende la finale del libro, indirizzata a Gerusalemme. L'oracolo di salvezza si
articola in due momenti. Ai vv.1-4 si annuncia un cambiamento radicale per la città, che passerà dal lutto
alla gioia e assumerà nomi nuovi, segno della mutata condizione. Ai vv. 5-9 la rinascita della città si
concretizza nel meraviglioso ritorno dei suoi figli, che avviene sotto la guida di Dio ed è circondato da una
natura trasformata. È Dio il Signore della storia che gestisce a favore del suo popolo i tempi della prova,
spianando le strade per il ritorno.
Due temi costituiscono la struttura portante del libro: la gravità del peccato e la necessità della
conversione con il cambiamento del cuore e l'ascolto fattivo della parola di Dio.
Il canto conclusivo, traboccante di gioia, è indirizzato a Gerusalemme che, col ritorno dei suoi figli
purificati dall'esilio e la ricostruzione delle sue rovine, tornerà a essere la sposa splendente di Adonay,
rivestita della sua giustizia e della sua gloria. Il brano è quasi un centone di testi isaiani.
Il nome nuovo racchiude il programma del nuovo futuro che ora si apre: Gerusalemme sarà città
della pace, frutto della giustizia, cioè della sua fedeltà alla Legge; sarà città della gloria di Dio, frutto di
un rapporto di pietà filiale con Dio.
3
La seconda lettura (Fil 1,4-6.8-11) ci propone il ringraziamento che Paolo formula all'inizio della
Lettera ai Filippesi. Φἱλιπποι «Filippi», città della Tracia prossima alla Macedonia e non distante dal mare
Egeo, nella storia antica è legata alla battaglia omonima (42 a.C.) e ai sogni di fantasmi che la prepararono.
Plutarco (45-120 d.C.) ci racconta, infatti, che a Bruto apparve il fantasma di Giulio Cesare, mentre si
preparava ad attraversare i Dardanelli per scontrarsi con l'esercito anti-repubblicano di Antonio e di
Ottaviano e gli disse: «Io sono il tuo cattivo Genio, o Bruto. Mi vedrai a Filippi». Il fantasma gli apparve di
nuovo a Filippi e, benché non dicesse nulla, Bruto capì che era il presagio della sua fine. Quando fu per lui
chiara la sconfitta a Filippi, si tolse la vita, suicidandosi con la spada. Invece – ci dice Svetonio – nella stessa
battaglia Ottaviano, sempre grazie a un sogno, ebbe salva la vita, allontanandosi, sebbene malato, dalla
tenda che fu poi circondata e presa dai suoi nemici. Questi sogni leggendari ci riportano alla mente che c'è
un segreto che riguarda la nostra vita. Qual è la cosa più importante, la rivelazione più grande che Dio ci ha
fatto? Paolo risponderebbe: la conoscenza di Cristo Gesù. Questo è uno dei temi centrali delle lettere dette
“della prigionia”, che sono: Filippesi, Efesini, Colossesi e Filemone, chiamate così perché in esse Paolo dichiara
di essere prigioniero. Secondo gli Atti, Filippi fu la prima città dell’Europa evangelizzata da Paolo durante
il secondo viaggio missionario. Egli vi giunse con Timoteo e Sila verso la fine dell’anno 49, dopo essere
sbarcato nel porto di Neapolis, distante dalla città circa 12 km (At 16,11-12). Come era sua abitudine, a Filippi
l’apostolo si mise subito in contatto con la comunità giudaica: questa era formata prevalentemente da
donne e doveva essere molto piccola se, non avendo una sinagoga, si radunava presso un corso d’acqua, il
Gangite (ora chiamato Angista), situato a due chilometri dalla città. Tra di loro vi era una commerciante di
porpora della città di Tiàtira, di nome Lidia, ancora semplice «credente in Dio», la quale ascoltando
l’apostolo si convertì e ospitò i missionari nella sua casa (16,14-15).
Fil 1,4-5: Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia 5a motivo della vostra
cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente (πάντοτε ἐν πάσῃ δέησει μου
ὑπὲρ πάντων ὑμῶν, μετὰ χαρᾶς τὴν δέησιν ποιούμενος, 5ἐπὶ τῇ κοινωνίᾳ ὑμῶν εἰς τὸ εὐαγγέλιον ἀπὸ
τῆς πρώτης ἡμέρας ἄχρι τοῦ νῦν, lett. «Sempre in ogni preghiera mia per tutti voi, con gioia la preghiera facendo 5 per la
comunione vostra per il vangelo dal primo giorno fino ad ora»).
Paolo introduce una delle tematiche principali della sua lettera: la gioia che pervade la sua preghiera per i
destinatari, nonostante la condizione di prigionia in cui si trova che, tra l’altro, lo costringe a vivere lontano
dalla sua comunità (cf Fil 1,27; 2,12). Per questo si tratta non semplicemente della gioia che si comunica a chi
è distante, bensì di quella gioia profonda che nessuna condizione di tribolazione può indebolire: Paolo è
pervaso di gioia in ogni tribolazione (cf 2Cor 7,4) affrontata per la causa del vangelo. In pratica la costante
preghiera per i Filippesi non è un dovere né una fatica per lui bensì scaturisce dalla gioia per la reciproca
condivisione del vangelo (cf Fil 2,17-18), al punto che gli stessi destinatari saranno definiti χαρὰ καὶ
στέφανος μου «mia gioia e mia corona» (Fil 4,1). Quindi Paolo spiega perché Εὐχαριστῶ τῷ θεῷ μου
«ringrazio il mio Dio» (1,3), a motivo della comunione per il vangelo che i Filippesi hanno dimostrato
dall’inizio, senza mai porne in discussione il contenuto né l’evangelizzatore. Anche la κοινωνία, ας, ἡ
«comunione, relazione, collaborazione, colletta, partecipazione» (19x NT) rappresenta una delle tematiche
principali della lettera, ma soltanto in questo caso Paolo parla di κοινωνία εἰς τὸ εὐαγγέλιον «comunione
per il vangelo». A quale forma di comunione Paolo si riferisce? Certo che solo in questa Lettera egli scrive:
«nessuna Chiesa mi aprì un conto di dare e avere, se non voi soli» (4,15). Tuttavia, la condivisione materiale per
l’evangelizzazione non è stata esclusiva, visto che questa comunità cristiana viene ringraziata anche per una
più ampia partecipazione alla diffusione del vangelo. A differenza dei Corinzi e soprattutto dei Galati, i
Filippesi si sono dimostrati perseveranti nella condivisione delle tribolazioni dell'Apostolo, oltre che
nelle sue situazioni d’indigenza economica. Un’analoga costanza è rilevabile soltanto nella comunità di
Tessalonica.
1,6: Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a
compimento fino al giorno di Cristo Gesù (πεποιθὼς αὐτὸ τοῦτο ὅτι ὁ εναρξάμενος ἐν ὑμῖν ἔργον
ἀγαθὸν ἐπιτελέσει ἄχρις ἡμέρας Ἰησοῦ Χριστοῦ, lett. «Sono persuaso stessa questa cosa, che l’avente cominciato in voi
l’opera buona completerà fino al giorno di Cristo Gesù»).
4
Il rendimento di grazie qui si apre al futuro di Paolo: è fiducioso che l’opera iniziata da Dio nella vita dei
Filippesi sarà portata a termine sino al giorno di Cristo Gesù. Il verbo πεποιθὼς «sono persuaso», perf.part.di
πείθω «persuado, convinco» (52x NT: 22x Paolo), esprime convinzione e fiducia ed è utilizzato spesso da
Paolo per indicare sia la propria fiducia nelle sue comunità, sia la fede nel Signore. L’ἡμέρα Ἰησοῦ
Χριστοῦ «giorno del Signore» (ebr. yôm yhwh(´ädönäy), Am 5,18.20; Sof 1,14-18; Zac 14,1) è il giorno del
giudizio per tutti, che può assumere il duplice esito della condanna o della misericordia del Signore. Il
giorno finale è definito da Paolo come «del Signore» (cf 1Ts 5,2; 2Ts 2,2; 1Cor 5,5; 2Cor 1,14) «di Cristo» (cf Fil
1,10), «del Signore nostro Gesù Cristo» (cf 1Cor 1,8) o semplicemente come «il giorno» per antonomasia (cf 1Cor
3,13; 1Ts 5,4; Rm 2,16). Non dimentichiamo che la più antica professione di fede delle comunità cristiane è
espressa con la formula μαράνα θά impt. «Maràna tha» «Signore vieni» (1Cor 16,22) oppure Μαρὰν ἀθά
perfetto «Maran atha» «Il Signore è venuto»; ἔρχου κύριε Ἰησοῦ «Vieni Signore Gesù» (Ap 22,20).
1,8: Infatti Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo
Gesù (μάρτυς γάρ μου ὁ θεὸς ὡς ἐπιποθῶ πάντας ὑμᾶς ἐν σπλάγχνοις Χριστοῦ Ἰησοῦ, lett. «Testimone
infatti di me (è) Dio come desidero tutti voi con viscere di Cristo Gesù»).
Una formula di giuramento chiama in causa Dio stesso, interpellato come testimone del profondo affetto e
del desiderio di Paolo per i Filippesi. Nonostante l’ingiunzione di Gesù di non giurare (cf Mt 5,34-37),
riscontrabile anche presso la comunità di Qumran, bisogna riconoscere che Paolo ricorre spesso a formule
di giuramento più o meno esplicite, finalizzate a consolidare l’autorevolezza delle sue affermazioni.
Molto bella è l’espressione semitizzante ἐν σπλάγχνοις Χριστοῦ Ἰησοῦ «nelle viscere di Cristo Gesù». Nelle
viscere di Paolo non c’è spazio soltanto per il suo amore per Cristo bensì anche per quello che egli nutre
verso le sue comunità. Così il suo profondo pensare per tutti i destinatari non si limita al cuore (v. 7) ma
coinvolge i suoi sentimenti più sinceri e segue lo stesso modello dei sentimenti di Cristo che, per condividere
in pienezza la condizione di ogni persona umana, si è umiliato sino alla morte di croce (cf Fil 2,5-8).
1,9-11: E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno
discernimento, 10perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e
irreprensibili per il giorno di Cristo, 11ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per
mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio (καὶ τοῦτο προσεύχομαι ἵνα ἡ ἀγάπη ὑμῶν ἔτι
μᾶλλον καὶ μᾶλλον περισσεύῃ ἐν ἐπιγνώσει καὶ πάσῃ αἰσθήσει 10εἰς τὸ δοκιμάζειν ὑμᾶς τὰ διαφέροντα,
ἵνα ἦτε εἰλικρινεῖς καὶ ἀπρόσκοποι εἰς ἡμέραν Χριστοῦ, 11πεπληρωμένοι καρπὸν δικαιοσύνης τὸν διὰ
Ἰησοῦ Χριστοῦ εἰς δόξαν καὶ ἔπαινον θεοῦ, lett. «E questa cosa prego: che l’amore vostro ancora più e più abbondi in
conoscenza e ogni discernimento 10 per valutare voi le cose che importano, affinché siate puri e senza cadute per il giorno di Cristo, 11 ripieni
del frutto della giustizia, quello per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio»).
L’ultima parte dei ringraziamenti (vv. 9-11) vede Paolo concentrato sulla sua preghiera per i Filippesi: da
quella eucaristica (v. 3) a quella di supplica (v. 4) e quindi di richiesta προσεύχομαι (v. 9). Il contenuto
della preghiera di Paolo è l’ἀγάπη «amore, carità». Ciò che distingue il suo amore è la gratuità, nonostante a
volte si renda conto di non essere amato con la stessa intensità (cf 2Cor 11,11). L’orizzonte del discernimento
è indicato da Paolo nell’esortazione rivolta ai Tessalonicesi: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts
5,21). Per questo il neutro τὰ διαφέροντα (pres.part.di διαφέρω «trasporto, differisco») «le cose migliori, il
meglio» allude alle «realtà che contano» o «che restano». In definitiva, l’amore cristiano conduce a valutare
«tutto ciò che fa la differenza» tra il bene e il male o cosa ha maggior valore. Paolo parla anche di καρπὸν
δικαιοσύνης «frutto di giustizia», cioè la generosità dimostrata dai Filippesi solleciti anche sull’aiuto
economico (cf Fil 4,17). Il καρπός, οῦ, ὁ «frutto» dimostra come la giustizia è il frutto della giustificazione
gratuita di Dio. Il «frutto di giustizia» evoca sia il linguaggio di Am 6,12; Pr 3,9; 11,30 (LXX), dove l’accento
cade sulla dimensione etica e sociale della giustizia, e sia la giustificazione divina che rende gli stessi
credenti «giustizia di Dio» (cf 2Cor 5,21). La formula dossologica conclusiva dell’esordio è particolarmente
solenne: non si limita al riconoscimento della «gloria» di Dio bensì include anche la lode. Pertanto l’amore
cristiano che si alimenta della piena conoscenza, del discernimento per ciò che più conta rappresenta la
migliore risposta che si possa offrire al Signore.
5

L'unità introduttiva di Filippesi (1,1-11), che comprende il prescritto (vv. 1-2) e l'esordio di
ringraziamento (vv. 3-11), è caratterizzata dalla reciproca preghiera tra Paolo e i destinatari. Diverse sono le
sfumature della preghiera: di augurio per la grazia e la pace (v. 2), di ringraziamento per il costante ricordo
che i destinatari nutrono per lui (v. 3), di intercessione per tutti i membri della comunità (v. 4), dossologica e
di lode per il Signore (v. 11). Se è possibile distinguere differenti tipi di preghiera, nella vita umana si
assiste a una continua interazione tra una forma e l'altra di orazione. Il contenuto principale della preghiera
che Paolo rivolge al Signore si concentra sulla crescita progressiva dell'amore nell'esistenza dei destinatari
(v. 9), poiché rappresenta il criterio decisivo per qualsiasi forma di discernimento interiore e relazionale.
A chi si trova in condizione di prigionia, come Paolo, resta soltanto la preghiera, giacché questa lo
sostiene e gli permette di conservare un ricordo costante per coloro che si amano. In verità, le notizie
giuntegli sui filippesi non devono essere del tutto rassicuranti: la comunità attraversa situazioni di conflitto
con l'ambiente civile e religioso della città (Fil 1,28) e non mancano alcune tensioni interne (Fil 2,1-4; 4,2-3),
anche se non sembrano sostanziali. Per questo in Fil 1,1b Paolo si rivolge a tutti i destinatari, appellandosi
soprattutto a coloro che, come «vescovi e diaconi», svolgono particolari funzioni nella comunità. Tuttavia, per
adesso preferisce introdursi riconoscendo soltanto gli aspetti positivi: la loro comunione e
compartecipazione nella difesa del vangelo; c'è tempo per esortarli a rinsaldare l'unità ecclesiale, per
fronteggiare le avversità. Mèta della parte introduttiva (Fil 1,1-11) è il discernimento per quanto fa la
differenza o di ciò che conta (v. 10) in situazioni di sopravvivenza minacciata per Paolo e per i filippesi. La
prima parte spiegherà che, più del resto, conta che Cristo sia annunziato (Fil 1,18) e che il vangelo
progredisca (v. 12), nonostante le difficoltà e gli ostacoli che si incontrano.
Il vangelo (Lc 3,1-6) si sofferma sulla figura di Giovanni Battista, presentato in contrapposizione alla
tronfia immagine dei grandi della terra.
Lc 3,1-2: Nell’anno quindicesimo dell’impero di
Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era
governatore della Giudea, Erode tetrarca della
Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca
dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània
tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti
Anna e Caifa, la parola di Dio venne su
Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (Ἐν ἔτει
δὲ πεντεκαιδεκάτῳ τὴς ἡγεμονίας Τιβερίου Καίσαρος,
ἡγεμονεύοντος Ποντίου Πιλάτου τῆς Ἰουδαίας, καὶ
τετρααρχοῦντος τῆς Γαλιλαίας Ἡρῴδου, Φιλίππου δὲ
τοῦ ἀδελφοῦ αὐτοῦ τετρααρχοῦντος τῆς Ἰτουραίας καὶ
Τραχωνίτιδος χώρας, καὶ Λυσανίου τῆς Ἀβιληνῆς
τετρααρχοῦντος, 2ἐπὶ ἀρχιερέως Ἅννα καὶ Καϊάφα,
ἐγένετο ῥῆμα θεοῦ ἐπὶ Ἰωάννην τὸν Ζαχαρίου υἱὸν ἐν
τῇ ἐρήμῳ, lett. «In anno ora quindicesimo dell’impero di Tiberio
Cesare, essendo governatore Ponzio Pilato della Giudea, ed essendo
tetrarca della Galilea Erode, Filippo poi il fratello suo essendo tetrarca
dell’Iturea e della Traconitide della regione e Lisania dell’Abilene essendo
tetrarca 2 sotto il sommo sacerdozio di Anna e Caifa, fu la parola di Dio su Giovanni quello di Zaccaria figlio nel deserto»).
Grammatica: ἔτος, ους, τό «anno» (49x NT: 15x Lc); πεντεκαιδέκατος, η, ον agg. «quindicesimo» (hapax
NT); ἡγεμονία, ας, ἡ «regno, governo, impero» (hapax NT), sst.dnm. di ἡγεμών, όνος, ὁ «principe, capo,
governatore»; Τιβέριος, ου, ὁ «Tiberio» (hapax NT); Καῖσαρ, αρος, ὁ «Cesare» (29x NT: 7x Lc; 10x At);
pres.part.di ἡγεμονεύω «sono governatore, conduco, governo» (2x NT: Lc 2,2; 3,1), vrb.dnm.di ἡγεμών, όνος,
ὁ «principe, capo, governatore»; Πόντιος Πιλᾶτος «Ponzio Pilato» (Ponzio 3x; Pilato 55x NT: 12x Lc); Ἰουδαία,
ας, ἡ «Giudea» (44x NT: 10x Lc +); pres.part.di τετραρχέω «sono tetrarca» (3x NT: Lc 3,1(3); Γαλιλαία, ας, ἡ,
6
«Galilea» (61x NT: 13x Lc); Ἡρῴδης, ου, ὁ «Erode» (43x NT: 13x Mt 2,1; 8x Mc; 14x Lc; 8x At); Φίλιππος, ου,
ὁ «Filippo» (37x NT: 3x Mt 10,3; 3x Mc; 3x Lc; 12x Gv; 17x At); ἀδελφός, οῦ, ὁ «fratello» (343x NT: 24x Lc);
Ἰτουραῖος, α, ον «Iturea» (hapax NT); Τραχωνῖτις, ιδος, ἡ «Traconitide» (hapax NT); χώρα, ας, ἡ «regione,
territorio, contrada, paese, gente» (28x NT: 9x Lc +); Λυσανίας, ου, ὁ «Lisània» (hapax NT); Ἀβιληνή, ῆς, ἡ
«Abilene» (hapax NT); ἀρχιερεύς, έως, ὁ «sommo sacerdote» (122x NT: 15x Lc); Ἄννας, α, ὁ «Anna» (4x NT: Lc
3,2; Gv 18,13.24; At 4,6); Καϊάφας, ᾶ, ὁ «Caifa» (9x NT: 1x Lc); aor.ind.di γίνομαι «succedo, accado» (667x
NT: 129x Lc); ῥῆμα «parola, detto, cosa» (70x NT: 19x Lc +); θεός, οῦ, ὁ «Dio» (1327x NT: 122x Lc); ἐπί prep.
«su, a, verso, contro, davanti» (896x NT); Ἰωάννης, ου, ὁ «Giovanni» (135x NT: 31x Lc); Ζαχαρίας, ου, ὁ
«Zaccaria» (11x NT: Mt 23,35;10x Lc +); υἱός, οῦ, ὁ «figlio» (382x NT: 77x Lc); ἔρημος, ον agg. «deserto, vuoto,
desolato, sterile» (48x NT: 10x Lc).
Il cap. 3 appartiene al genere storiografico, con il particolare che l'autore colloca le parole del personaggio
principale prima di riferire i dati biografici, secondo l'usanza della storiografia veterotestamentaria, dove
l'azione di Dio è proclamata prima dalla bocca di un profeta. I paralleli più evidenti sono gli inizi dei libri
profetici (cf Ag 1,1) e le opere di Giuseppe Flavio e Antiquitates Biblicae. Anche le opere storiche giudaiche
fanno uso di citazioni della Scrittura (1Mac 4,24; 7,17; 9,11.41; 2Mac 7,6).
- Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare (Ἐν ἔτει δὲ πεντεκαιδεκάτῳ τὴς ἡγεμονίας Τιβερίου
Καίσαρος). Lc 3,1 si distingue per un’insolita concentrazione di termini unici: 7 hapax nel NT.
L'importanza del ministero di Giovanni è indicata dalla solenne presentazione della terza ed elaborata
datazione che Luca ci offre: «Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria» (1,5); «In
quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (2,1); «Nell’anno
quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare» (3,1); inoltre Giovanni è considerato da Luca come il parametro per
stabilire l’«inizio» dell’evangelo di Cristo: «21Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il
tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, 22cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato
di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione» (At 1,21-22).
La situazione politica è cambiata, perché sulla Giudea regna ormai Roma. Luca sembra che riconosca
l'impero romano come il contesto storico voluto da Dio. Non sappiamo quale calendario di riferimento
egli utilizzi (giuliano, ebraico, siro-macedone o egiziano), né da quale evento inizi a calcolare gli anni
dell'impero di Tiberio: egli fu coreggente con Augusto a partire dall'11 o dal 12 d.C. Se si sceglie la data alta
della morte di Augusto (Nola 19.8.14 d.C.) si arriva al 28/29 d.C., quando la parola di Dio venne su
Giovanni nel deserto; se invece si parte dal 12 d.C. la vocazione del Battista è iniziata nel 27 d.C.,
ritrovandoci con la data più probabile della morte di Gesù nella primavera del 30 d.C.
- mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea (ἡγεμονεύοντος Ποντίου Πιλάτου τῆς Ἰουδαίας). Luca
definisce Pilato con il pres.part.di ἡγεμονεύω «sono governatore, governo» (2x NT: Lc 2,2; 3,1), vrb.dnm.di
ἡγεμών, όνος, ὁ «principe, capo, governatore», lo stesso usato per descrivere l’ἡγεμονία, ας, ἡ l’«impero»
(hapax NT) di Tiberio. Ponzio Pilato, di origine sannita, fu il quinto praefectus «prefetto» (26-36 d.C.) della
Giudea, Galilea, Samaria e Idumea, territori annessi alla provincia romana di Siria. Pilato svolge ancora un
ruolo importante più avanti nel racconto lucano (Lc 13,1; 23,1-6.13-52; At 3,13; 4,27; 13,28; cf Giuseppe Flavio,
La guerra giudaica 2,169-174). Nel 1961, una missione archeologica dell'Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere di Milano ha scoperto una lapide del 31 d.C. rivoltando il gradino di una scala in un'ala aggiunta
tardivamente all'anfiteatro di Cesarea Marittima che era la capitale romana della provincia. La lapide porta
questa iscrizione: Caesariensibus Tiberi[é]um Pontius Pilatus Praefectus Iudaeae «Agli abitanti di Cesarea Ponzio
Pilato prefetto della Giudea Tiberiéum [edificò]». Si tratta di una lapide che era posta su un edificio dedicato
all'imperatore Tiberio. Il Prefetto aveva pieni poteri e obblighi per far rispettare la legge vigente alla quale
anch'esso doveva sottostare; il Procuratore invece poteva anche legiferare per le zone di competenza. Il
titolo di «procuratore» subentrò in Giudea dopo Pilato.
- Erode tetrarca della Galilea (τετρααρχοῦντος τῆς Γαλιλαίας Ἡρῴδου). Erode il Grande nel testamento
aveva diviso il suo regno fra tre dei suoi figli: Archelao, Erode Antipa e Filippo. Dietro pressante richiesta di
delegazioni giudaiche e samaritane, nel 6 d.C. i romani avevano deposto Archelao e insediato un prefetto
romano. Augusto, che aveva riconosciuto il testamento di Erode il Grande, non conferì ad Archelao il titolo
di re, ma solo quello di etnarca (nel mondo greco-romano titolo «nobiliare» inferiore a quello di Re e
superiore a quello di Tetrarca).
7
Erode Antipa fu tetrarca della Galilea e della Perea, a nord-est del Mar Morto, dalla morte di Erode il
grande (4 a.C.) fino al 39 d.C. (cf Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche 17,11,4 § 318; Guerra giudaica 1,33,8 §§
668-669). Egli fu consultato da Pilato nel racconto della passione (Lc 23,7-15; cf At 4,27).
Erode Filippo fu tetrarca dei territori a est del Giordano (Iturea e Traconitide) dalla morte di Erode il
Grande fino al 34 d.C. Il titolo «tetrarca» in origine significava reggenti di un quarto del territorio e indicò in
seguito un piccolo sovrano dipendente. Luca probabilmente non era al corrente del cambiamento di
significato, perciò ha aggiunto Lisania, tetrarca dell'Abilene, per arrivare al numero quattro.
- Lisania (Λυσανίας, ου, ὁ). Personaggio difficilmente identificabile. L'Abilene è il territorio a nord-ovest di
Damasco, intorno alla città di Abila, all'estremità sud dell'Anti-Libano.
- sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa (2ἐπὶ ἀρχιερέως Ἅννα καὶ Καϊάφα). Dopo i politici, Luca cita due
sommi sacerdoti: Hannâ - Ἄννας «Anna» (o Ananeo) fu sommo sacerdote dal 6 al 15 d.C., mentre suo
genero Giuseppe, chiamato Καϊάφας «Caifa», dal 18 al 37 d.C. (cf Gv 11,49; 18,13; At 4,6; Giuseppe, Antichità
giudaiche 18,26; 35; 95). Luca li mette di nuovo insieme in At 4,6. Matteo attribuisce il sommo sacerdozio al
solo Caifa (26,3.57), così come fa Giovanni (11,49; 18,13-28), il quale però parla di una continua influenza e
importanza di Anna (Gv 18,13.24). Dal momento che gli altri scritti neotestamentari e Giuseppe Flavio (35100 d.C.) parlano spesso dei sommi sacerdoti al plurale, questo titolo indica probabilmente il collegio delle
alte autorità religiose, il sommo sacerdote in carica e gli ex sommi sacerdoti ancora in vita. Dal punto di
vista storico far collimare queste informazioni cronologiche risulta problematico.
- la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto (ἐγένετο ῥῆμα θεοῦ ἐπὶ Ἰωάννην τὸν
Ζαχαρίου υἱὸν ἐν τῇ ἐρήμῳ). Luca, per dirci che Ἰωάννης, ου, ὁ «Giovanni» (135x NT: 31x Lc), figlio del
sacerdote Ζαχαρίας, ου, ὁ «Zaccaria» (11x NT: 10x Lc +) era un profeta, usa gli stessi termini con cui, nella
Bibbia greca, viene presentato il profeta yirmüyäºhû «Geremia», «il Signore esalta», uno dei sacerdoti che
risiedeva in Anatòt: τὸ ῥῆμα τοῦ θεοῦ ὃ ἐγένετο ἐπὶ ιερεμíαν «La parola di Dio che fu su Geremia, figlio di
Chelkia» (Ger 1,1 LXX).
- nel deserto (ἐν τῇ ἐρήμῳ). La parola scende su Giovanni ἐν τῇ ἐρήμῳ «nel deserto». La Parola esige il
silenzio, la meditazione e lo studio. Non sarà possibile udire la Parola se si resta dipendenti dalle parole.
Solo chi riceve l’elezione a essere profeta come Giovanni, potrà servire il profeta Gesù, da Nazaret di
Galilea (Mt 21,11), riconosciuto dalla folla come προφήτης μέγας «grande profeta» (Lc 7,16), προφήτης
δυνατὸς ἐν ἔργῳ καὶ λόγῳ «profeta potente in opere e in parole» (Lc 24,19).
Fra storiografia greco-romana e chiamata profetica. La presentazione del ministero di Giovanni si rifà a due
modelli: quello della storiografia greco-romana (per quanto riguarda il modo di stabilire la cronologia) e
quello profetico (a proposito della chiamata del Battista). Luca, seguendo le convenzioni classiche, ricorda
una serie di personaggi politici, stabilendo una sincronia fra l'epoca imperiale romana e quella palestinese, al
fine di fissare l'inizio del ministero del Battista; in realtà le difficoltà a ricostruire con esattezza quel
momento storico non permettono una precisa datazione dell'attività di Giovanni e, quindi, di Gesù. Per
quanto, invece, riguarda la chiamata di Giovanni, essa è una chiara eco della vocazione profetica (cf Ger 1,15; Is 6,1; Ez 1,1-3; Os 1,1), di cui si ripercorrono le tappe: «la Parola di Dio venne...» (v. 2), il nome del profeta, il
nome del padre, la localizzazione, l'ambientazione storica (ricordando il nome almeno di un re). La citazione
di Isaia (vv. 4b-6) precisa che il ministero di Giovanni fu conforme alla profezia e, al contempo, preparazione
del ministero di Gesù il cui carattere di universalità è già preannunciato dalla stessa parola
anticotestamentaria (cf v. 6). Da ciò si evince che Giovarmi è un profeta e che il suo ministero è
profondamente unito con quello di Gesù.
3,3-4: Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione
per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di
uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! (καὶ
ἦλθεν εἰς πᾶσαν περίχωρον τοῦ Ἰορδάνου κηρύσσων βάπτισμα μετανοίας εἰς ἄφεσιν ἁμαρτιῶν, 4ὡς
γέγραπται ἐν βίβλῳ λόγων Ἠσαΐου τοῦ προφήτου• φωνὴ βοῶντος ἐν τῇ ἐρήμῳ• ἑτοιμάσατε τὴν ὁδὸν
κυρίου, εὐθείας ποιεῖτε τὰς τρίβους αὐτοῦ, lett. «E andò in tutta la regione circostante il Giordano, annunciando battesimo
di conversione per remissione dei peccati, 4 come è scritto in libro delle parole di Isaia il profeta: Voce di gridante nel deserto: preparate la
via del Signore, dritte fate i sentieri suoi»).
Grammatica: aor.ind.di ἔρχομαι «vengo, percorro» (637x NT: 100x Lc); πᾶς, πᾶσα, πᾶν agg. «tutto, ogni,
ciascuno» (1248x NT); περίχωρος, ον «circostante, limitrofo» (9x NT: 5x Lc 3,3 +); Ἰορδάνης, ου, ὁ «Giordano»
8
(15x NT: 2x Lc); pres.part.di κηρύσσω «proclamo, annuncio» (61x NT: 9x Lc); βάπτισμα, ατος, τό
«battesimo» (21x NT: 4x Lc); μετάνοια, ας, ἡ «cambiamento di mentalità, conversione, penitenza, pentimento» (22x
NT: 5x Lc); ἄφεσις, εως, ἡ «perdono, remissione, condono» (17x NT: 5x Lc +); ἁμαρτία, ας, ἡ «errore,
mancanza, colpa, peccato» (173x NT: 11x Lc); perf.ind.di γράφω «scrivo» (191x NT: 21x Lc); βίβλος, ου, ἡ
«libro, rotolo» (10x NT: 2x Lc); λόγος, ου, ὁ «parola, detto, discorso, cosa, fatto, questione, scritto, rivelazione,
precetto, annuncio, dottrina, insegnamento, rendiconto, valutazione» (331x NT: 33x Lc); Ἠσαΐας, ου, ὁ «Isaia» (22x
NT: 2x Lc); προφήτης, ου, ὁ «profeta» (146x NT: 29x Lc); φωνή, ῆς, ἡ «voce» (139x NT: 14x Lc); pres.part.di
βοάω «grido» (12x NT: 4x Lc +); ἔρημος, ον agg. «deserto, vuoto, desolato, sterile» (48x NT: 10x Lc); aor.impt.di
ἑτοιμάζω «appronto, preparo» (40x NT: 14x Lc +); ὁδός, οῦ, ἡ «via, strada, cammino, modo di vivere, progetto»
(101x NT: 20x Lc); κύριος, ου, ὁ «signore, padrone» (722x NT: 103x Lc); εὐθύς, εῖα, ύ agg. «diritto, retto» (8x
NT: Lc 3,4.5); pres.impt.di ποιέω «faccio, compio» (565x NT: 88x Lc); τρίβος, ου, ἡ «sentiero, tratturo» (3x NT:
Lc 3,4).
- Egli percorse tutta la regione del Giordano (καὶ ἦλθεν εἰς πᾶσαν περίχωρον τοῦ Ἰορδάνου). Il κῆρυξ,
υκος, ὁ «araldo» (3x NT) in Grecia era un funzionario dello Stato. Dipendeva da un'autorità, trasmetteva un
annuncio pubblico ed esigeva l'attenzione degli uditori.
- predicando un battesimo di conversione (κηρύσσων βάπτισμα μετανοίας). Il lessico della proclamazione,
che è frequente nel NT, appare già nella LXX: Gen 41,43; Dan 3,4; Sir 20,15. Se il sostantivo κήρυγμα, ατος,
τό «kerigma, proclamazione, predicazione» si incontra solo una volta nell'opera lucana (Lc 11,32), il verbo
κηρύσσω «proclamo, annuncio» (61x NT: 9x Lc; 8x At) invece è ben attestato e indica la proclamazione dei
testimoni di Gesù o di Giovanni Battista; verbo sinonimo è εὐαγγελίζω «annuncio buone notizie» (54x NT:
10x Lc; 15x At +). Il βάπτισμα, ατος, τό «battesimo» (21x NT: 4x Lc) proposto da Giovanni è un bagno
rituale di carattere religioso. Dal 150 a.C. al 250 d.C. emergono molti gruppi che praticano varie forme di
bagni rituali: gli esseni, Giovanni e i suoi discepoli (cf At 18,25), Gesù e i suoi discepoli (cf Gv 3,22), gli
Ebioniti e altri gruppi gnostici. Non si può interpretare il battesimo di Giovanni alla luce del battesimo
cristiano.
- conversione (μετάνοια). Il termine μετάνοια, ας, ἡ significa «cambiamento di mentalità, conversione,
penitenza, pentimento» (22x NT: 5x Lc). Anche se la LXX non usa questo termine per tradurre l'ebraico tüšûbâ
«ritorno, conversione», qualcosa del senso originale di «girarsi o tornare indietro» è rimasto nel termine di
μετάνοια (cf Lc 3,8; 5,32; 15,7).
- per il perdono dei peccati (εἰς ἄφεσιν ἁμαρτιῶν). In greco ἄφεσις, εως, ἡ «perdono, remissione, condono» (17x
NT: 5x Lc +) indica l'estinzione dei debiti (cf 11,4), la fine della punizione o la liberazione dalla prigionia
(cf 4,18); qui il concetto è riferito alla remissione delle colpe operata da Dio. Giuseppe Flavio (35-100 d.C.)
spiega perfettamente il valore del battesimo di Giovanni: «Era Giovanni un uomo retto, il quale invitava i
giudei a praticare la virtù, la reciproca giustizia e la pietà verso Dio e quindi ad accostarsi al battesimo: il
battesimo sarebbe stato accetto a Dio non per ottenere il perdono dei peccati ma per la purificazione del
corpo, in quanto l'anima era già stata purificata dall'esercizio della giustizia» (Ant. Iud. 18,117). Fu
nell'enochismo che si formò verso la fine del I sec. a.C. una teologia che dette il primato alla misericordia
divina in maniera netta. Nell'enochismo il problema del peccato era solo il problema della trasgressione,
dell'offesa alla giustizia; mancava il senso della necessità dell'espiazione del peccato in quanto capace di
lasciare una macchia di impurità nell'uomo. Ma per molti ebrei la conversione non bastava, come si vede
bene nella predicazione di Giovanni Battista che a chi ammetteva di aver peccato imponeva il battesimo, cioè
un atto di purificazione radicale, ma sempre di purificazione (cf M. Pesce, Da Gesù al cristianesimo,
Morcelliana 2011).
Conversione e perdono. La predicazione del Battista include l'appello al battesimo. I bagni rituali nelle
mikva'ot erano diffusi nella prassi ebraica, come pure a Qumran, ma qui Luca connette il battesimo di
Giovanni con il perdono dei peccati: si tratta di una notevole novità, perché nella religione ebraica la
remissione delle colpe poteva effettuarsi solo per mezzo dei sacrifici di animali, praticati nel tempio di
Gerusalemme. Lo stesso Giuseppe Flavio (35-100 d.C.), essendo di origine sacerdotale, relativizza molto il
riferimento alla «remissione dei peccati», difendendo così la visione tradizionale ebraica; afferma: i giudei
«non dovevano servirsi (del battesimo di Giovanni) per guadagnare il perdono di qualsiasi peccato
commesso, ma come di una consacrazione del corpo insinuando che l'anima fosse già purificata da una
condotta corretta» (Antichità giudaiche 18,5,2 § 117). L'annuncio di Giovanni si concentra sulla μετάνοια
«conversione», termine dalle molte risonanze bibliche (cf Is 6,10; Ez 3,19), che indica anzitutto la tüšûbâ, il
9
«ritorno» a Dio e di conseguenza l'allontanamento dagli idoli e dai peccati. Il battesimo ha dunque il senso
di una purificazione in vista del perdono dei peccati realizzato da Dio.
- com’è scritto (4ὡς γέγραπται). L’esplicita citazione di Isaia è introdotta da una formula che si ritrova nella
Settanta (cf 2Cr 35,12) e a Qumran: il battesimo di Giovanni è conforme all’oracolo profetico.
- Voce di uno che grida nel deserto (φωνὴ βοῶντος ἐν τῇ ἐρήμῳ). La citazione di Is 40,3-5 è più ampia degli
altri Sinottici (cf Mt 3,3b; Mc 1,3) che si limitano a citare Is 40,3: essa tratteggia il ritorno del Signore in ciyyôn
«Sion», che provoca una radicale trasformazione del paesaggio: «preparare», «raddrizzare», «riempire»,
«abbassare», «far diventare diritto» e «far diventare piano». Nel contesto evangelico i mutamenti evocati dal testo
profetico illustrano la conversione per accogliere la visita non tanto di YHWII (come era nel testo di Isaia)
quanto del Messia Signore (cf 2,11). La citazione (un po' adattata rispetto alla Settanta) spinge in una
direzione fortemente cristologica, evocando le precedenti parole dell’anziano Simeone, dove Gesù era visto
come «salvezza» per «tutti i popoli» (cf 2,30-32). La citazione della Scrittura dà alla predicazione di Giovanni
un tono speciale, perché comincia sotto il patronato di Isaia. L'annuncio di Giovanni si inserisce dentro una
Parola che lo precede e che nessuno può dominare, una Parola che echeggia il cammino dell'esodo guidato
da Dio. La sottolineatura dell'universalità della salvezza (v. 6) è un dato tipico lucano: la predicazione di
Giovanni è dentro il più ampio progetto di Dio che ha il suo culmine in Gesù (cf 24,47; At 1,8). Infine la
citazione ha un duplice carattere: riprende alcuni termini del Nunc dimittis (2,29-32) introducendo così non
solo il mistero di Giovanni ma anche l'intera narrazione lucana; anticipa temi del secondo tomo di Luca,
dove ἡ ὁδὸς «la Via» (At 9,2) designa l'intero movimento cristiano (cf At 9,9.23; 22,4; 24,14.22).
3,5-6: Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose
diverranno diritte e quelle impervie, spianate. 6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! (πᾶσα
φάραγξ πληρωθήσεται καὶ πᾶν ὄρος καὶ βουνὸς ταπεινωθήσεται, καὶ ἔσται τὰ σκολιὰ εἰς εὐθείας καὶ αἱ
τραχεῖαι εἰς ὁδοὺς λείας• 6καὶ ὄψεται πᾶσα σὰρξ τὸ σωτήριον τοῦ θεοῦ, lett. «ogni burrone sarà riempito e ogni
monte e colle sarà abbassato e saranno le cose tortuose in diritta (via) e le scabrose in vie piane. 6 E vedrà ogni carne la salvezza di Dio»).
Grammatica: φάραγξ, αγγος, ἡ «burrone» (hapax NT); fut.ind.pass.di πληρόω «riempio, colmo» (86x NT: 9x
Lc); ὄρος, ους, τό «monte» (64x NT: 12x Lc); βουνός, οῦ, ὁ «colle» (2x NT: Lc 3,5; 23,30); fut.ind.pass.di
ταπεινόω «abbasso, avvilisco, umilio» (14x NT: 5x Lc 3,5+); σκολιός, ά, όν «tortuoso, curvo, bieco, depravato,
malvagio, difficile, intrattabile» (4x NT: Lc 3,5; At 2,40; Fil 2,15; 1Pt 2,18); εὐθύς, εῖα, ύ agg. «diritto, retto» (8x
NT: Lc 3,4.5); τραχύς, εῖα, ύ agg. «impervio, scabroso, accidentato» (2x NT: Lc 3,5; At 27,29); ὁδός, οῦ, ἡ «via,
strada» (101x NT: 20x Lc); λεῖος, α, ον «liscio, piano, pianeggiante» (hapax NT); fut.ind.med. di ὁράω «vedo»
(114x NT: 14x Lc); σάρξ, σαρκός, ἡ «carne, uomo» (149x NT: 2x Lc); σωτήριος, ον agg. «salvatore, salvifico,
salvezza» (5x NT: Lc 2,30; 3,6); θεός, οῦ, ὁ «Dio» (1327x NT: 122x Lc).
- Ogni burrone sia riempito (πᾶσα φάραγξ πληρωθήσεται). L'immagine suggerita da questa citazione è
quella di un ingegnere civile che impartisce ordini per la costruzione della «strada reale» per il Signore. Luca
ha in comune questa citazione di Is 40,3 con Matteo, Marco e Giovanni, ma è l'unico che riporta il passo al
completo: Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio.
4Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello
scosceso in vallata. 5Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno» (Is 40,3-5). Luca
tralascia, inspiegabilmente, la frase: «Allora si rivelerà la gloria del Signore» (Is 40,5a). La citazione serve da
prova scritturistica: Giovanni era proprio la voce che grida nel deserto.
- Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio (ὄψεται πᾶσα σὰρξ τὸ σωτήριον τοῦ θεοῦ). «Vedere» in questo caso
significa «aver parte». La venuta del Signore non è destinata solo a Israele, ma a πᾶσα σὰρξ «ogni
carne/uomo». Il sostantivo neutro astratto τὸ σωτήριον «la salvezza» è già stato usato da Simeone: «i miei
occhi hanno visto la tua salvezza» (2,30) per indicare l'universalità della salvezza. Tale annuncio è affermato
solennemente da Gesù risorto in At 1,8: «e di me sarete testimoni … fino ai confini della terra» e la stessa
espressione è ripresa da Luca a modo di inclusione e di chiusura della sua opera, facendo dire a Paolo
prigioniero a Roma: «Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio (τὸ σωτήριον τοῦ θεοῦ) fu inviata alle
nazioni, ed esse ascolteranno» (At 28,28).
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
ὄψεται πᾶσα σὰρξ τὸ σωτήριον τοῦ θεοῦ «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6).
Questa citazione di Is 40,5b inserisce il racconto di Luca non solo nel contesto dell’impero romano e quindi
nella storia del mondo antico, ma ancora di più si aggancia alla rivelazione profetica che rappresenta il nerbo
della Bibbia, testimone della storia di salvezza voluta dal Dio di Israele. Ciò che accade e ciò che viene detto
è riferito a πᾶσα σὰρξ «ogni carne», a ogni uomo. Il senso dell’universalità abbraccia il tempo e lo spazio
della storia umana.
Il Signore che si era rivelato al Sinai come il raHûm wüHannûn «pietoso e misericordioso» (Es 34,6),
rinnova ogni giorno la sua alleanza con l’umanità tramite Cristo Gesù. In Lui ci è dato di sperimentare la
salvezza, promessa ai nostri padri. Gesù è l’araldo che proclama continuamente «l’anno di grazia del Signore»
(Lc 4,19). L’Amato del Padre non pone veti, riserve, restrizioni per entrare nel regno della beatitudine.
Venuto per portare un lieto annuncio ai poveri (Lc 4,18), Gesù dona la sua vita a chiunque crede in Lui. Oggi
è il momento favorevole per scoprire la bellezza e la dolcezza della sua Presenza nella nostra vita. Questa
è l’ora della riconciliazione, della remissione di ogni debito e della pace.
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