Il Teorema degli zeri di Hilbert e la geometria algebrica

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Il Teorema degli zeri di Hilbert e la geometria algebrica
Lucia Caporaso
Note per un minicorso di quattro lezioni tenuto presso l’INdAM nel Gennaio 2007
Versione INCOMPLETA!
Indice
1 Il teorema degli zeri di Hilbert.
1.1 Il teorema degli zeri di Hilbert su C. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Cenni sulla cardinalità di insiemi infiniti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
1
4
2 Varietà algebriche
2.1 La topologia di Zariski su Cn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
7
3 Geometria algebrica su anelli commutativi arbitrari.
3.1 Spec R come spazio topologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
9
L’obiettivo di queste lezioni è quello di discutere il Teorema degli zeri di Hilbert (o
“Hilbert Nullstellensatz” ) illustrandone il ruolo nella geometra algebrica.
1
1.1
Il teorema degli zeri di Hilbert.
Il teorema degli zeri di Hilbert su C.
Fissiamo un intero positivo n e consideriamo l’insieme delle n-uple di numeri complessi,
Cn , e l’anello dei polinomi in n variabili a coefficenti in C, denotato C[x1 , . . . , xn ].
Theorem 1.1.1 (Hilbert Nullstellensatz). La corrispondenza che associa al punto a1 , . . . , an
di Cn l’ideale (x1 − a1 , . . . , xn − an ) di C[x1 , . . . , xn ] è una corrispondenza biunivoca tra Cn
e l’insieme degli ideali massimali di C[x1 , . . . , xn ].
Dunque i punti di Cn , che vediamo come oggetti geometrici, sono in corrispondenza
biunivoca con certi ben specificati oggetti algebrici: gli ideali massimali di C[x1 , . . . , xn ].
Il Teorema vale più in generale sostituendo a C un qualsiasi campo algebricamente
chiuso. Qua ne daremo una dimostrazione valida per C e particolarmente istruttiva (tratta
da [1]). Per una dimostrazione su campi algebricamente chiusi qualsiasi si veda il primo
capitolo di [3].
Ricordiamo che un ideale massimale di un anello R è un ideale proprio M ( R che non
è contenuto in nessun altro ideale proprio di R. Una caratterizzazione fondamentale è la
seguente: un ideale M dell’anello R è massimale se e solo se il quoziente R/M è un campo.
Comiciamo col dimostrare il caso n = 1 del Teorema, che è particolarmente semplice.
Dimostrazione per n = 1. Comiciamo col dimostrare che, per qualsiasi a ∈ C l’ideale
(x − a) è un ideale massimale dell’anello C[x]. Consideriamo l’omomorfismo valutazione in
a, va , definito come segue
1
v
a
C[x] −→
C
p(x) 7→ p(a)
(1)
che è un omomorfismo di anelli per sua stessa definizione. Osserviamo che è suriettivo
(infatti la restrizione di va a C non è che l’identità di C). Dunque il suo nucleo, ker va , è
un ideale massimale di C[x]. Dimostriamo adesso che
ker va = (x − a),
osserviamo subito che x − a ∈ ker va e quindi ker va ⊃ (x − a). Per concludere, si usa
il fatto che l’anello C[x] è un dominio a ideali principali (ricordiamo che questo vale in
generale per l’anello k[x] per ogni campo k). Dunque esiste un polinomio f ∈ C[x] tale
che (f ) = ker va ; inoltre è chiaro che possiamo scegliere tra tutti i possibili generatori un
generatore f monico e di grado minimo. Ora, abbiamo che (x − a) = f · q con q ∈ C[x]
(dato che x − a appartiene a (f )); per la minimalità del grado di f , e per aver scelto
f monico, possiamo concludere che q = 1 e f = x − a. Questo chiude la prima parte
della dimostrazione per n = 1; osserviamo che la stessa dimostrazione funziona per campi
qualsiasi, dunque per ogni campo k e ogni a ∈ k l’ideale (x − a) è massimale in k[x].
L’implicazione opposta è più interessante: sia M ⊂ C[x] un ideale massimale e dimostriamo che M è della forma (x − a) per qualche a ∈ C. Come abbiamo già ricordato, ogni
ideale di C[x] è principale, dunque M ammette un generatore unico g; sicché M = (g).
Ora, poiché C è un campo algebricamente chiuso, il polinomio g ammette almeno una
radice in C. Altrimenti detto, esiste a ∈ C tale che g(a) = 0, equivalentemente, esiste
a ∈ C tale che g = (x − a)q dove q ∈ C[x]. Ma allora l’ideale generato da g è contenuto
nell’ideale (massimale come abbiamo visto prima) generato da x − a, ovvero M ⊂ (x − a).
Quindi, M essendo massimale, abbiamo M = (x − a). Osserviamo che l’unica proprietà di C che abbiamo utilizzato è il suo essere algebricamente chiuso. La stessa dimostrazione infatti dà che, per ogni campo algebricamente
chiuso k, ogni ideale massimale M ⊂ k[x] è della forma (x − a) per a ∈ k. Il teorema è falso
per campi non algebricamente chiusi, cioè esistono ideali massimali che non sono generati
da polinomi di grado 1:
Esempio 1.1.2. Nell’anello Q[x] (polinomi a coefficienti razionali) l’ideale M = (x2 + 1)
è massimale e non ammette un generatore di grado 1, poiché il polinomio x2 + 1 non ha
radici in Q.
Dimostrazione per ogni n. Anche adesso procediamo dimostrando prima che un ideale della
forma (x1 −a1 , . . . , xn −an ) è massimale in C[x1 , . . . , xn ]; questa è la parte facile del teorema
e vale per campi qualsiasi. Argomentiamo come per n = 1; dato a := (a1 , . . . , an ) ∈ Cn
definiamo l’omomorfismo di valutazione va come segue
va
C[x1 , . . . , xn ] −→
C
p(x1 , . . . , xn ) 7→ p(a1 , . . . , an )
(2)
Chiaramente va è un omomorfismo suriettivo il cui nucleo ker va è quindi un ideale massimale di C[x1 , . . . , xn ]. Osserviamo che per ogni i = 1, . . . , n il polinomio xi − ai sta in
ker va , sicché
(x1 − a1 , . . . , xn − an ) ⊂ ker va .
2
Dobbiamo quindi dimostrare che (x1 − a1 , . . . , xn − an ) = ker va .
Trattiamo prima il caso speciale a = (0, . . . , 0). Sia f ∈ ker va , cioè f (0, . . . , 0) = 0;
quindi a f manca il termine costante, ovvero abbiamo
f=
n
X
i=1
ci xi +
X
ci,j xi xj + ... =
n
X
xi gi
i=1
i≤j
dove le c∗ sono elementi in C e i gi ∈ C[x1 , . . . , xn ] sono polinomi. Quindi f ∈ (x1 , . . . , xn )
che è quello che volevamo. Il caso a qualsiasi si riconduce al caso appena trattato effettuando il cambiamento di variabili x0i = xi − ai per i = 1, . . . , n (detto in altri termini,
sviluppando f in serie di Taylor localmente nel punto (a1 , . . . , an )).
Come per il caso n = 1 la parte veramente interessante è l’implicazione opposta: dimostrare che un ideale massimale M ⊂ C[x1 , . . . , xn ] è generato da n polinomi lineari.
Consideriamo il morfismo quoziente π
π
C[x1 , . . . , xn ] −→
C[x1 , . . . , xn ]
=K
M
dove K è un campo. Consideriamo la restrizione di π al sottoanello C[x1 ] ⊂ C[x1 , . . . , xn ],
e denotiamola π1 :
π1
C[x1 ] −→
K
π1 è dunque un omomorfismo. Il punto della dimostrazione è il seguente
Passo cruciale: π1 non è iniettivo (ovvero ker π1 6= (0)).
Diamo per dimostrato il Passo cruciale e mostriamo come da esso il Teorema segue
facilmente. Ricordiamo nuovamente che C[x1 ] è un dominio a ideali principali, quindi
esiste f ∈ C[x1 ] tale che ker π1 = (f ), e possiamo scegliere f monico e di grado minimo.
Poiché ker π1 non è l’ideale 0, certamente f 6= 0.
Poiché C è algebricamente chiuso, esiste a1 ∈ C radice di f , ovvero f = (x1 − a1 )q dove
q ∈ C[x1 ] è un polinomio di grado minore del grado di f . Abbiamo quindi
0 = π1 (f ) = π1 ((x1 − a1 ))π1 (q),
poiché K è un campo, almeno uno dei due fattori del prodotto a destra si annulla. Ne
concludiamo che almeno uno tra x1 − a1 e q sta nel nucleo di π1 . Ora, ricordando che f è
un generatore monico e di grado minimo, l’unica possibilità è che q = 1 e f = x1 − a1 .
La conclusione è che x1 − a1 ∈ ker π1 ⊂ ker π = M . Applicando lo stesso ragionamento
alle altre variabili, otteniamo che esistono a1 , . . . , an in C tali che l’ideale (x1 − a1 , . . . , xn −
an ) è contenuto in M . Sappiamo però che (x1 − a1 , . . . , xn − an ) è un ideale massimale,
quindi (x1 − a1 , . . . , xn − an ) = M . Si noti che abbiamo in particolare ottenuto che K = C
e che π = va .
Dimostrazione del passo cruciale. Supponiamo per assurdo che π1 sia iniettivo, e quindi
che il campo K contenga una copia dell’anello dei polinomi in una variabile a coefficienti
in C; denotiamo C[t] ⊂ K tale copia (sicché t = π(x1 )). Poiché K è un campo, K contiene
anche il campo dei quozienti di C[t], che denotiamo, come d’uso, C(t) (il campo delle
funzioni razionali in una variabile). Riassumendo, abbiamo un’inclusione
C(t) ⊂ K =
C[x1 , . . . , xn ]
M
3
che vogliamo ora studiare come inclusione di spazi vettorial su C, e dimostrare in tal modo
che tale inclusiome non può sussistere.
Lo spazio vettoriale C[x1 , . . . , xn ] ha una base su C data dall’insieme di tutti i momomi:
B = {xd11 · . . . · xdnn ∀di ≥ 0}. B è ovviamente un insieme numerabile ovvero B ha la stessa
cardinalità di N; in simboli, scriveremo #B = #N. Ora, le immagini in K degli elementi
di B generano necessariamente K come spazio vettoriale su C; concludiamo quindi che la
dimensione di K (come spazio vettoriale su C) è al più numerabile (cioè o finita o uguale
a #N).
Guardiamo ora a C(t) e costruiamo un suo sottoinsieme G di elementi linearmente
indipendenti, tale che G ha cardinalità più che numerabile (ovvero #G > #N). Sia
G := {
1
∀a ∈ C}.
t−a
É evidente che #G = #C dato che G è in corrispondenza biunivoca con C. É un fatto
noto (si veda 1.2.3) che #C > #N; quindi G è un insieme più che numerabile. Ora, se G
contiene un sottoinsieme di elementi linearmente indipendenti, abbiamo un’identità
m
X
i=1
ci
=0
t − ai
dove le ci sono numeri complessi non nulli e ai 6= aj . Nel punto a1 (per fissare le idee)
c1
la funzione razionale t−a
non è definita, quindi il suo valore assoluto è una funzione
1
ci
non limitata localmente in a1 . D’altro canto per i ≥ 2 le funzioni t−a
sono tutte di valore
i
assoluto limitato in a1 . L’identità precedente darebbe quindi che una funzione non limitata
è uguale ad una limitata il che è ovviamente impossibile.
Possiamo quindi concludere che K, contenendo C(t), contiene una collezione più che
numerabile di elementi linearmente indipendenti. Questo è in contraddizione con il fatto
che K ha dimensione al più numerabile (si veda 1.2.4). 1.2
Cenni sulla cardinalità di insiemi infiniti.
Proposizione 1.2.1. Sia X un’unione numerabile di insiemi al più numerabili, ovvero
X = ∪i∈N Xi dove #Xi ≤ #N. Allora X è al più numerabile (ovvero #X ≤ #N).
Dimostrazione.
Proposizione 1.2.2. L’insieme dei numeri reali non è numerabile, ovvero #R > #N.
Dimostrazione.
Corollario 1.2.3. #C > #N
Dimostrazione. Un sottoinsieme di un insieme numerabile è o finito o numerabile (esercizio). Dunque il Corollario segue dalla Proposizione 1.2.2.
Ci è utile il seguente
Lemma 1.2.4. Sia V uno spazio vettoriale (su un campo qualsiasi) di dimensione numerabile. Allora ogni collezione di elementi linearmente indipendenti di V è o finita o
numerabile.
Dimostrazione.
4
2
Varietà algebriche
Nel definire le vaietà algebriche consideremo Cn come spazio ambiente. Premettiamo la
seguente notazione: Sia T ⊂ C[x1 , . . . , xn ] una qualsiasi collezione di polinomi.
Z(T ) := {a ∈ Cn : p(a) = 0 ∀p ∈ T }
Definizione 2.0.5. Un sottoinsieme V ⊂ Cn è una varietà (algebrica) se esiste T ⊂
C[x1 , . . . , xn ] tale che V = Z(T ). Ovvero: una varietà algebrica in Cn è l’insieme di tutti
gli zeri comuni ad una qualsiasi collezione di polinomi in
Esercizio 2.0.6. Se l’ideale generato da T è generato dai polinomi f1 , . . . , fr , allora
Z(T ) = Z((T )) = Z({f1 , . . . , fn }).
Esempio 2.0.7. Cn è una varietà algebrica: Cn = Z(0); un punto a = (a1 , . . . , an ) ∈ Cn
è la varietà a = Z(x1 − a1 , . . . , xn − an ).
Dal Teorema degli zeri di Hilbert si deduce la seguente generalizzazione:
Proposizione 2.0.8. Sia I ⊂ C[x1 , . . . , xn ] un ideale e sia V = Z(I). Allora i punti di V
sono in corrispondenza biunivoca con gli ideali massimali di C[x1 , . . . , xn ]/I
Dimostrazione.
Poniamoci adesso il problema di caratterizzare le collezioni di polinomi che determinano
l’insieme vuoto, ovvero le collezioni di polinomi che non hanno zeri in comune. Sia V =
Z(I) e denotiamo R := C[x]/I l’anello quoziente. Per il risultato precedente V = ∅ se e
solo se R non ha ideali massimali. Dobbiamo quindi stabilire quali anelli sono privi di
ideali massimali. Si tratta di una questione interessante per tutti gli anelli, dimostriamo
quindi un risultato generale, piuttosto che uno limitato ai quozienti di anelli di polinomi.
Teorema 2.0.9. Sia R un anello commutativo con unità . Allora R possiede un ideale
massimale.
Dimostrazione. Comiciamo con il considerare un ideale proprio, I1 ( R, che sicuramente
esiste, per esempio c’è l’ideale (0). Se I1 è massimale abbiamo finito, altrimenti esiste un
ideale I2 tale che I1 ( I2 ( R. Di nuovo, se I2 è massimale abbiamo finito, altrimenti
iteriamo la costruzione. Questo ci porta a costruire una catena di ideali propri di R:
I1 ( I2 ( . . . ( Im ( · · · ( R
(3)
Consideriamo l’unione di tutti gli ideali di questa catena,
Ib := ∪m∈N Im
naturalmente Ib è un ideale, inoltre Ib ( R perché Ib non contiene 1, dato che nessuno degli
In contiene 1. Non possiamo però concludere che Ib è un ideale massimale, difatti potrebbe
benissimo non esserlo (si pensi al caso in cui R contiene catene più che numerabili di ideali).
Abbiamo due possibilità per procedere, che esaminiamo entrambe separatamente.
5
(1)Supponiamo R Noetheriano (come nel caso in cui R è della forma C[x]/I). Ricordiamo
che un anello noetheriano è caratterizzato dalla condizione della catena ascendente di ideali,
ovvero R è Noetheriano se e solo se ogni catena ascendente di ideali
J1 ⊂ J2 ⊂ . . . ⊂ Jm ⊂ . . .
diventa stazionaria dopo un numero finito di passi (ovvero esiste m0 tale che Jm = Jm0 per
m ≥ m0 ). Allora la catena costruita in (3) è stazionaria dopo finiti passi, e quindi l’ideale
Ib è sicuramente massimale.
(2)caso generale. Utilizziamo il
Lemma di Zorn: Sia S un insieme parzialmente ordinato tale che ogni catena (catena =
insieme totalmente ordinato) T di elementi di S possiede un elemento maggiorante in S
(ovvero per ogni catena T esiste M (T ) ∈ S tale che M (T ) ≥ T per ogni T ∈ T ). Allora
S contiene un elemento massimale.
Applichiamo il Lemma di Zorn prendendo come S l’insieme di tutti gli ideali propri
di R parzialmente ordinato rispetto all’inclusione. Ragionando come prima abbiamo che
ogni catena possiede un elemento maggiorante (l’unione di tutti gli ideali appartenenti alla
catena). Quindi S ha un elemento massimalo, che è un ideale massimale di R.
Corollario 2.0.10. Siano f1 , . . . , fr ∈ C[x1 , . . . , xn ]. Allora
Z(f1 , . . . , fr ) = ∅ ⇐⇒ ∃ h1 , . . . , hr ∈ C[x1 , . . . , xn ] :
r
X
hi fi = 1
i=1
Dimostrazione. Per 2.0.8 Z(f1 , . . . , fr ) = ∅ se e solo se C[x]/(f1 , . . . , fn ) non possiede ideali
massimali. Per il Teorema 2.0.9 questo è possibile solo se C[x]/(f1 , . . . , fn ) è l’anello {0},
ovvero se e solo se (f1 , . . . , fn ) = (1) = C[x1 , . . . ,P
xn ]. Quest’ultima condizione è equivalente
a dire che esistono polinomi h1 , . . . , hr tali che ri=1 hi fi = 1.
Osserviamo adesso che mentre un ideale I determina una varietà V = Z(I), l’ideale I
non è univocamente determinato da Z. Per esempio, è chiaro che in C, il punto 0 soddisfa
0 = Z(xd ) per qualsiasi d ∈ N. Ne segue che non possiamo neanche associare a V un unico
anello R i cui ideali massimali corrispondano ai punti di V . Per ovviare a questo problema
restringiamo l’attenzione ad ideali “radicali di C[x1 , . . . , xn ].
√
Definizione 2.0.11. Sia I un ideale di C[x1 , . . . , xn ]. Il radicale di I è l’ideale I
√
I := {f ∈ C[x1 , . . . , xn ] : ∃d ∈ N : f d ∈ I}
√
Un ideale I si dice radicale se I = I.
√
√
Esercizio √2.0.12. I dimostri che I è un ideale. È ovvio che I ⊂ I. Si dimostri che
Z(I) = Z( I).
Limitiamoci quindi a considerare i soli ideali radicali di C[x1 , . . . , xn ]. Abbiamo una
corrispondenza che associa ad ogni ideale radicale I la varietà Z(I). Vogliamo mostrare
che questa è una corrispondenza biunivoca tra gli ideali radicali di C[x1 , . . . , xn ] e le varietà
di Cn . Per far ciò costruiamone l’inversa.
6
Sia V ⊂ Cn una varietà algebrica e definiamo
I(V ) := {f ∈ C[x1 , . . . , xn ] : f (a) = 0 ∀a ∈ V }
(4)
Allora, come conseguenza del Teorema degli zeri di Hilbert si dimostra il seguente
Teorema, che è in realtà la forma originale Teorema degli zeri di Hilbert.
Theorem 2.0.13. Sia I ⊂ C[x1 , . . . , xn ] un ideale. Allora
√
I(Z(I)) = I
Osservazione 2.0.14. In particolare se I è un ideale radicale, I(Z(I)) = I. Abbiamo
quindi una corrispondenza biunivoca tra varietà di Cn e ideali radicali di C[x1 , . . . , xn ].
√
√
Dimostrazione. L’inclusione I ⊂ I(Z(I)) è facile: sia f ∈ I, ovvero f d ∈ I per qualche
intero d. Quindi per ogni a ∈ Z(I) abbiamo che f d (a) = 0. Abbiamo 0 = f d (a) = f (a)d ,
il che implica che f (a) = 0 e quindi f ∈ I(Z(I)).
Scegliamo ora per I un sistema finito di generatori: I = (f1 . . . , fr ). Mostrare l’inclusione opposta significa mostrare che se g ∈ C[x1 , . . . , xn ] si annulla in ogni zero comune
di f1 , . . . , fr , allora esiste un intero d tale che g d ∈ I. Nell’anello di polinomi in r + 1
variabili C[x1 , . . . , xn , y] consideriamo il polinomio g(x)y − 1; questi ovviamente non si
annulla laddove g si annulla. Da ciò segue che i polinomi f1 , . . . , fr , g(x)y − 1 non ammettono zeri comuni (in Cr+1 ). Per 2.0.10 questo equivale a dire che esistono polinomi
h1 (x, y), . . . , hr+1 (x, y) in C[x1 , . . . , xn , y] tali che vale l’identità
1=
r
X
h1 (x, y)f (x) + hr+1 (x, y)(g(x)y − 1)
i=1
Sostituendo in essa la funzione razionale g(x)−1 al posto di y otteniamo
1=
r
X
h1 (x,
i=1
1
)f (x).
g(x)
Questa è un’identità di funzioni razionali nelle x1 , . . . , xn , con un (possibile) denominatore
P
comune di tipo g d . Moltiplicando entrambi i lati per tale g d si ottiene g d = r1 pi fi con
pi ∈ C[x1 , . . . , xn ] e quindi la tesi.
2.1
La topologia di Zariski su Cn .
La topologia di Zariski su Cn è definita dall’avere come classe di insiemi chiusi la classe C
di tutte le varietà in Cn , ovvero
C := {Z(T ), ∀T ⊂ C[x1 , . . . , xn ]}
Ricordiamo che per definire una topologia la classe C deve
(1) contenere ∅ e Cn ,
(2) contenere l’unione di due suoi elementi qualsiasi;
(3) contenere l’intersezione di una qualsiasi collezione di suoi elementi.
Dimostriamo che valgono queste tre proprietà : Poiché Z(0) = Cn e Z(1) = ∅ la (1) vale.
7
La (2) segue dal fatto che Z(T1 ) ∪ Z(T2 ) = Z(T1 · T2 ) per ogni coppia di sottoinsiemi
T1 , T2 di C[x1 , . . . , xn ] (dove T1 · T2 := {t1 t2 , ∀ti ∈ Ti }).
Infatti, sia a ∈ Z(T1 ), allora f (a) = 0 per ogni f ∈ T1 , quindi per ogni g ∈ T2 abbiamo
f g(a) = f (a)g(a) = 0 e quindi a ∈ Z(T1 · T2 ). Dunque Z(T1 ) ⊂ Z(T1 · T2 ); analogamente
si mostra che Z(T2 ) ⊂ Z(T1 · T2 ) e quindi Z(T1 ) ∪ Z(T2 ) ⊂ Z(T1 · T2 ).
Per l’inclusione opposta, sia a ∈ Z(T1 · T2 ); se a ∈ Z(T1 ) abbiamo finito. Altrimenti
esiste f ∈ T1 tale che f (a) 6= 0. Allora per ogni g ∈ T2 , poiché 0 = (f g)(a) = f (a)g(a),
otteniamo g(a) = 0 e quindi a ∈ Z(T2 ).
La (3) segue osservando che, se J è una qualsiasi collezione di indici, allora per ogni
Tj ⊂ C[x1 , . . . , xn ] abbiamo ∩j∈J Z(Tj ) = Z(∪j∈J Tj ). Quest’ultima verifica è banale.
Esercizio 2.1.1. Si dimostri che la topologia di Zariski su C non è di Hausdorff, dimostrando che ogni aperto non vuoto di C è denso in C.
La topologia di Zariski induce una topologia sulle varietà algebriche di Cn per restrizione. Ovvero, data V ⊂ Cn , i chiusi di V sono tutti e soli quelli ottenuti intersecando V
con i chiusi (cioè le varietà ) di Cn .
Da ora in poi quindi le nostre varietà saranno dotate di una struttura topologica.
Possiamo quindi considerare il concetto di funzioni e applicazioni continue. Il termine
funzione è di norma usato per denotare un’applicazione a valori nel campo di numeri di
“base (il campo C nel nostro caso).
Sulle nostre varietà possiamo considerare le funzioni determinate da polinomi.
Consideriamo il caso di Cn ; sia p ∈ C[x1 , . . . , xn ], allora p definisce la funzione seguente
Cn −→
C
a
7→ p(a)
(5)
è ovvio che due polinomi diversi definiscono funzioni diverse. Dunque C[x1 , . . . , xn ] può
esser visto come un insieme di particolari funzioni su Cn , dette funzioni regolari.
Sia ora V ⊂ Cn una varietà; un polinomio p definisce anche una funzione su V . Due
polinomi p e p0 definiscono su V la stessa funzione se e solo se per ogni a ∈ V risulta
p(a) = p0 (a), ovvero se e solo se p − p0 ∈ I(V ). Sia I = I(V ); da quanto detto segue
che l’anello quoziente C[x1 , . . . , xn ]/I definisce un insieme di funzioni su V , dette funzioni
regolari. Dunque l’anello quoziente C[x1 , . . . , xn ]/I ha una sua interpretazione geometrica;
introduciamo la notazione
C[x1 , . . . , xn ]
C[V ] :=
.
I(V )
Per caratterizzare gli anelli di tipo C[V ] premettiamo
Osservazione 2.1.2. Sia I ⊂ C[x1 , . . . , xn ] un ideale. Allora I è un ideale radicale se e
solo se C[x1 , . . . , xn ]/I è un anello ridotto, ovvero, un anello privo di elementi nilpotenti. La
dimostrazione è lasciata per esercizio (ricordiamo che un elemento nilpotente è un elemento
non nullo f tale che esiste d ∈ N per cui f d = 0.
Dunque la corrispondenza biunivoca descritta in 2.0.14 tra varietà in Cn e ideali radicali
in C[x1 , . . . , xn ] induce una corrispondenza biunivoca tra l’insieme di tutte le varietà in Cn e
l’insieme di tutti i quozienti di C[x1 , . . . , xn ] che siano privi di nilpotenti. Più precisamente,
tale corrispondenza è infatti un’equivalenza di categorie che inverte i morfismi. Questo
significa che ad ogni omomorfismo λ : C[V ] −→ C[V 0 ] corrisponde un unico morfismo di
varietà Φ : V 0 −→ V tale che λ coincide con il pull-back di funzione tramite Φ.
8
3
Geometria algebrica su anelli commutativi arbitrari.
Sia adesso R un anello commutativo qualsiasi, tale che 1 ∈ R. Vogliamo associare ad R
un oggetto geometrico, estendendo quanto fatto nel caso in cui R è un anello di polinomi
a coefficienti in C o, più in generale, una C-algebra finitamente generata. Chiameremo
schema tale oggetto geometrico
Il primo passo è quello di associare a R uno spazio, che costituisca l’insieme di punti
soggiacente allo “schema che vogliamo definire. Sul modello di quanto studiato, ispirati
dal teorema degli zeri di Hilbert, un candidato naturale per tale spazio è l’insieme di tutti
gli ideali massimali di R. Denotiamo M ax(R) l’insieme di tutti gli ideali massimali di R.
L’obiettivo finale è quello di ottenere una equivalenza di categorie tra la categoria degli
anelli commutativi unitari, con gli omomorfismi di anelli, e la categoria di questi schemi
(da definire) con i loro morfismi (anch’essi da definire).
Tale equivalenza, come nel caso delle varietà , deve invertire le frecce, ovvero ad un
omomorfismo λ : R −→ R0 deve corrispondere un morfismo di schemi che vada dallo
schema associato ad R0 a quello associato ad R.
Se i nostri schemi fossero supportati sull’insieme degli ideali massimali, dovremmo avere
un morfismo φ : M ax(R0 ) −→ M ax(R) associato a λ in modo funtoriale. In particolare
dovremmo avere che φ(M 0 ) = λ−1 (M 0 ). C’è però un problema: se M ⊂ R0 è un ideale
massimale in R0 , l’ideale λ−1 (M 0 ) non è necessariamente un ideale massimale di R.
Per esempio, nell’inclusione λ : Z ,→ Q[x] la preimmagine dell’ideale massimale (x) è
l’ideale 0 in Z che certo non è massimale.
Questo ci dice che M ax(R) non è lo spazio giusto. Osserviamo ora che per ogni omomorfismo λ : R −→ R0 , la preimmagine di un ideale primo di R0 è un ideale primo di
R. Il modo giusto di procedere è infatti proprio quello di considerare non solo gli ideali
massimali (che ovviamente sono anche primi) ma tutti gli ideali primi di R. Definiamo
Spec R := {P ( R : P è un ideale primo }.
(Ricordiamo che un ideale primo di un anello R è un ideale proprio P ⊂ R tale che l’anello
quoziente R/P è privo di divisori dello 0).
Consideriamo questa definizione nel caso R = C[x], e confrontiamola con C, la varietà
associata ad R precedentemente. Notiamo che, come insiemi di punti, Spec C[x] contiene
esattamente un punto in più rispetto a C. Sia infatti P ⊂ C[x] un ideale primo, allora ci
sono due possibilità , o P è l’ideale (0) oppure P è un ideale massimale. Sappiamo che gli
ideali massimali di C[x] sono in corrispondenza biunivoca con i punti di C; concludiamo
quindi che, come insieme, Spec C[x] è come C con l’aggiunta del punto (0). Vedremo tra
poco che questo comporta un’importante differenza geometrica (anzi, topologica).
3.1
Spec R come spazio topologico
Procedendo in modo analogo a quanto fatto per le varietà , definiremo ora su Spec R una
struttura di spazio topologico, basata sulla definizione seguente: sia T ⊂ R,
V (T ) := {P ∈ Spec R : T ⊂ P } ⊂ Spec R
Ovvero: V (T ) è il luogo di tutti gli ideali primi contenenti T . Definiamo ora su Spec R la
topologia di Zariski, che ha come classe di insiemi chiusi la classe C definita qua sotto in
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due modi equivalenti
C = {V (T ), ∀T ⊂ R} = {V (I), ∀I ideale di R}.
(6)
Va verificato che la classe C definisce una topologia, e che le due definizioni sono equivalenti.
Questa seconda verifica è banale e lasciata per esercizio. Dimostriamo invece che (1) C
contiene l’insieme vuoto e tutto Spec R, e che C è chiusa (2) rispetto all’unione finita e (3)
rispetto all’intersezione qualsiasi.
Per (1), osserviamo che ∅ = V (1) e Spec R = V (0).
Per (2) abbiamo che V (I1 ) ∪ V (I2 ) = V (I1 · I2 ).
Infatti, l’inclusione V (I1 ) ∪ V (I2 ) ⊂ V (I1 · I2 ) è ovvia, poichè Ij ⊃ I1 · I2 .
Viceversa, se P ∈ V (I1 · I2 ) e, diciamo, P non contiene I1 , allora esiste f ∈ I1 non
contenuto in P . Poiché P ⊃ I1 ·I2 , per ogni g ∈ I2 abbiamo che f g ∈ P e quindi, poiché P è
primo e non contiene f , ogni elemento g di I2 sta in P . Quindi P ∈ V (I2 ) ⊂ V (I1 ) ∪ V (I2 ).
Per (3) si mostra facilmente che ∩i V (Ti ) = V (∪i Ti ) per i in qualsiasi insieme di indici.
Riferimenti bibliografici
[1] Michael Artin Algebra. Prentice Hall, Inc., Englewood Cliffs, NJ, 1991
[2] M.F.Atiyah, I.G. Macdonald Introduzione all’algebra commutativa Feltrinelli
[3] D. Mumford The red book of Varieties and Schemes Springer LNM 1358
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