La personalità “tossicomanica”.
1. Premessa.
Benché l’ipotesi di una “personalità tossicomanica” trovi parecchio disaccordo tra gli studiosi, cercherò
ugualmente di esporre qui di seguito gli argomenti a sostegno di un punto di vista così controverso.
Generalmente, infatti, si parla più facilmente di disturbi di personalità associati al comportamento
tossicomanico. Viceversa la posizione che si vuole qui sostenere si collega alla possibilità che esista una
specifica “organizzazione di personalità” che si ritroverebbe più o meno invariabilmente in tutti coloro che
sono inclini a fare ricorso ad un uso smodato di sostanze tossiche.
Il compito è estremamente arduo perché quasi tutte le ricerche tentate in questo senso (ma con eccezioni
rimarchevoli!) hanno smentito la possibilità d’individuare una specifica “personalità tossicomanica”.
Credo tuttavia che tali ricerche siano viziate da un presupposto errato che tende a confondere i “patterns
psicopatologici” con quelli “di personalità”, trascurando il fatto che analoghe condizioni psicopatologiche
(come per esempio la schizofrenia) possono manifestarsi in soggetti dalla personalità molto diversa
(violenti o, all’opposto, mansueti; creativi o affettivamente coartati; ecc.) e, viceversa, che determinate
caratteristiche di personalità possono trovarsi invariabilmente in soggetti con le più diverse diagnosi
psichiatriche.
Se dunque, come risulta evidente dalla pratica clinica, la tossicomania è un comportamento che può
trovarsi associato alle più varie condizioni psicopatologiche (si droga il nevrotico , lo psicotico, il borderline
e, addirittura, persino la persona “normale”), questo ci autorizza ad escludere che possano ugualmente
sussistere specifici “tratti” di personalità che tendono a riscontrarsi nei più diversi quadri sindromici?
Dopotutto la “personalità” è solo in parte collegabile (o sovrapponibile) al disturbo psichiatrico di cui può
essere affetto un determinato individuo: e se è lecito aspettarsi che un “nevrotico ossessivo” sia ordinato,
preciso e meticoloso come tutti gli altri individui con il suo stesso disturbo, nondimeno per un altro verso
questo stesso soggetto potrebbe avere in comune altri “tratti” (un interesse spiccato per gli argomenti di
natura sessuale, per esempio!) con altre persone affette da un differente disturbo mentale.
Tornando quindi alla tesi di questo lavoro, non è difficile constatare come, nonostante il comportamento
“tossicomanico” si riscontri nella più grande varietà di condizioni cliniche, ugualmente e unanimamente è
stato riconosciuto che le persone che fanno uso di sostanze siano accomunate da talune caratteristiche di
personalità che tendono a presentarsi invariabilmente, indipendentemente da quanto diversi possano
essere gli altri sintomi manifestati. L’individuazione di uno specifico “pattern di tratti” condiviso da tali
soggetti ci porterebbe così a convalidare l’ipotesi che una “personalità tossicomanica” effettivamente
esista.
Da ultimo intendo precisare perché preferisco parlare di “personalità tossicomanica” piuttosto che di
personalità “del tossicomane” proprio per mettere in risalto come il comportamento di “assunzione” della
sostanza sia in qualche modo secondario rispetto alla persistenza di questi “tratti”. Si tratta di un
argomento squisitamente (e radicalmente!) “psicologico” che pone in primo piano la questione del lavoro
psicoterapeutico necessario in questi casi anche dopo la scomparsa del comportamento di assunzione della
droga e che va quindi ben al di là della cosiddetta “dipendenza fisica” cercando piuttosto di intervenire sulle
condizioni “organizzative” della personalità che predispongono a fare uso di sostanze stupefacenti
2. Sigmund Freud e la cocaina.
Nei suoi scritti Sigmund Freud ha solo sfiorato l’argomento della tossicomania, pur essendo notoriamente
un tabagista accanito, vizio che gli causò un tumore osseo alla mascella. Si sa inoltre che faceva un uso
personale di cocaina, anche se non si potrebbe affatto definirlo un cocainomane nel senso che si attribuisce
oggi a questo termine.
Non c’è qui lo spazio per approfondire i numerosi ed interessantissimi spunti che possono essere collegati
alla “liason” di Freud con la cocaina. Ci si può limitare a dire, però, che nella proposta contenuta negli scritti
di un giovanissimo Freud (poi espunti da quasi tutte le edizioni “ufficiali” delle sue opere complete!) di un
uso “terapeutico” della cocaina è possibile intravedere una preconizzazione “ante litteram” della moderna
“terapia antidepressiva” in un periodo storico in cui quest’ultima era ancora molto al di là da venire e la
neuropsichiatria dell’epoca praticava soprattutto la “sedazione” degli stati mentali morbosi mediante
somministrazione di morfina e oppiacei.
Contrariamente però a quello che ci si sarebbe potuti aspettare, date queste premesse, una delle poche
volte che Freud parla di sostanze tossiche, nel “Disagio della civiltà”, esprime un giudizio tanto netto
quanto ambivalente sulla soluzione tossicomanica, dicendo che “.. quando si tratta di eliminare una
situazione di sofferenza il più rozzo, ma anche il più efficace metodo per influire sull’organismo è quello
chimico: l’intossicazione”. Quindi Freud considerava la soluzione tossicomanica efficace, ma rozza al
tempo stesso.
3. Cenni sull’abuso di sostanze.
Se ora guardiamo ai nostri giorni, possiamo introdurre il discorso sulle dipendenze patologiche così come
viene trattato nel DSM-IV che contempla da un lato l’alcolismo e dall’altro le sostanze stupefacenti. Il DSMIV distingue inoltre tra “abuso” e “dipendenza”.
Nei criteri diagnostici forniti dal DSM – IV per l’abuso di sostanze si parla di una modalità patologica di
utilizzo di alcool o stupefacenti che porta ad uno o più dei seguenti disagi clinicamente significativi per
almeno 12 mesi:
• incapacità a svolgere i compiti connessi al lavoro, a scuola o a casa;
• uso rischioso della sostanza (guidando l’auto, lavorando a macchinari di precisione ecc.);
• conseguenze giuridiche e legali provocate o correlate alla condotta di abuso.
Sarà il caso di notare che i medesimi criteri diagnostici possono caratterizzare anche il quadro clinico di
quelle che oggi vengono definite “nuove dipendenze” non-tossiche (gioco d’azzardo, sex addiction; internet
addiction ecc.).
Al contrario, se guardiamo a questi stessi criteri, dobbiamo necessariamente ridimensionare quel tipo di
“tossicodipendenze tra virgolette” consistenti nell’assunzione esagerata di caffeina, tabacco (tabagismo) o,
addirittura, la cioccolata: questi abusi non portano mai a conseguenze così gravose!
Tra le vere e proprie sostanze stupefacenti sono rubricate a) la cannabis e i suoi derivati, b) l’eroina, c) la
cocaina, e d) le droghe sintetiche, tipo LSD, e quelle più recenti come l’extasi e similari.
A questo elenco, oggi, si potrebbe aggiungere anche l’uso “tossico” degli “stimolanti a base di anfetamine”
a causa dell’attuale e preoccupante fenomeno di abuso, da parte di ragazzi adolescenti normali che devono
prepararsi agli esami, di farmaci la cui principale indicazione consiste nella cura dei decadimenti cognitivi
connessi al “morbo di Alzheimer”.
4. Eziologia della dipendenza patologica.
Naturalmente sono state proposte numerosissime ipotesi eziologiche per spiegare lo sviluppo della
tossicodipendenza: ognuna di queste può tendere ad enfatizzare ciascuno dei complessi fattori che portano
ad assumere sostanze stupefacenti e quindi ora l’elemento organico, ora quello psicologico ora quello
sociale ecc.
Nella teoria psicoanalitica classica sono sempre state evidenziate le “componenti pulsionali orali” alla base
della condotta tossicomanica (e questo anche quando la sostanza non è necessariamente assunta “per
bocca”). Inoltre un’ipotesi centrale, per quella psicoanalisi che ha accettato l’idea freudiana della “pulsione
di morte”, è quella che fa riferimento al concetto di “coazione a ripetere” che, come recita il titolo del
saggio freudiano in cui fu formulata per la prima volta, si pone per l’appunto “Al di là del principio di
piacere”.
Tra gli autori di orientamento psicoanalitico che si sono interessati più recentemente della tossicomania,
l’elemento pulsionale “orale” è stato notevolmente (e non so quanto opportunamente!) ridimensionato a
favore di una lettura del problema tossicodipendenza maggiormente centrata su manovre di tipo
“adattativo”.
Tra gli altri meritano di essere qui citati Olievenstein (“Il destino del tossicomane”) e Bergeret (“Lo
psicoanalista in ascolto del tossicomane”) oltre a Freda (“Psicoanalisi e tossicomania”).
Claude Olievenstein ha sottolineato che, se chiunque può fare un uso sporadico di sostanze stupefacenti
senza per questo sviluppare necessariamente una tossicodipendenza, evidentemente ci deve essere
qualcos’altro che porta solo alcuni individui a reiterare un’esperienza che negli altri rimane circoscritta ad
eventi episodici.
Jean Bergeret ha invece ribadito come la tossicodipendenza possa svilupparsi all’interno delle tre grandi
“strutture di personalita” a) nevrotica, b) psicotica e c) “depressivo – limite” (cioè “borderline”). Ma
nonostante questa premessa, così come si evince dallo stesso titolo di un altro suo libro sull’argomento
(“Chi è il tossicomane”), sotto differenti “macro-strutture psicopatologiche di personalità” risulterebbe
comunque ugualmente possibile individuare, in chi fa abuso di sostanze, altre ulteriori caratteristiche di
personalità, in qualche modo “trasversali” alle prime, che renderebbero molto più uniforme di quanto non
sembri a prima vista il quadro di personalità del tossicomane.
5. La personalità tossicomanica.
Da un punto di vista meno psicoanalitico e più “descrittivo”, esiste uno storico studio sull’argomento che
avrebbe individuato come il 78% dei tossicomani presentava un disturbo di personalità: in particolar modo
il 14% aveva un disturbo borderline; il 10% un disturbo narcisistico ed il 55% un disturbo antisociale.
Si può qui notare come questi tre disturbi di personalità appartengano tutti al “cluster B”, e quindi fanno
riferimento ad uno o più “fattori” di personalità piuttosto costanti ed uniformi.
Se perciò scorriamo la letteratura scientifica sull’argomento ritroviamo alcune “ridondanze” nel modo in cui
sono descritti i tossicodipendenti. Qualunque sia il quadro clinico-diagnostico della patologia preminente,
ritroviamo quasi invariabilmente nelle persone che abusano di sostanze stupefacenti (o anche di alcool), la
presenza di alcune caratteristiche.
A parte la manipolatività, di cui si dirà nel successivo paragrafo, a proposito dell’Io astenico dei tossicomani
(che si accompagna alla mancanza di confini chiari tra Sé e mondo esterno) si parla spesso di debolezza
dell’io (di una struttura egoica fragile), di bassa autostima, incapacità di essere autonomi e totale
dipendenza dagli altri.
Un altro tratto che è stato evidenziato in maniera invariabile è quello della compulsività, che in termini
freudiani si può collegare alla “coazione a ripetere” e quindi ai concetti di “pulsione di morte” e di
autodistruttività.
Una ulteriore caratteristica, evidenziata soprattutto da Bergeret, che probabilmente rende ragione anche
della difficoltà di individuare uno specifico profilo di personalità del tossicomane, è l’estrema mobilità
psichica.
Bergeret scrive in proposito che <<la psiche del soggetto tossicomane è in grado di imprimere accelerazioni
e decelerazioni prodigiose a tutti quei processi che nelle altre strutture di personalità impiegano anni a
strutturarsi o a destrutturarsi. […] Il tossicomane si trova a passare velocemente da una struttura ad
un’altra, da un meccanismo psichico ad un altro (ciclo o rottura). Perciò il significato che può assumere
l’assunzione di droga può essere diverso per uno stesso individuo>>.
Questa capacità o attitudine del tossicodipendente di riuscire a mutare rapidamente, ad organizzarsi e
riorganizzarsi su aspetti di personalità differenti è un concetto difficile da comprendere e per esemplificare
il quale io personalmente mi sono servito delle immagini del bellissimo film sul “Dr Jeckill”
(nell’interpretazione celeberrima di Spencer Tracy) in cui il mansueto dottore si trasforma improvvisamente
nel crudele e mostruoso Hyde. E già il solo fatto che questa trasformazione avvenga a seguito
dell’assunzione di una sostanza (si ricorderà che Jeckill comincia ad assumerla nel suo “laboratorio” chimico
dopo averla preparata personalmente fra alambicchi e provette), rende l’utilizzo delle qualità
“simbolicamente” tossicomaniche di Jeckill quanto mai pertinenti nel contesto del discorso che stiamo qui
facendo.
Questa mobilità psichica repentina, questo improvviso e velocissimo cambiamento di personalità possono
rendere ragione, oltre che della difficoltà riscontrata dagli studiosi a trovare un univoco “modo di essere”
del tossicomane, anche della rapida mutevolezza con cui questi soggetti cambiano, assieme al loro quadro
organizzativo, anche le loro idee, i loro valori o i loro propositi al punto che, quando promettono con
sincera convinzione che “smetteranno di farsi” da quello stesso giorno, si può essere sicuri che, appena
usciti dalla stanza, cominceranno a pensarla diversamente.
A queste caratteristiche si può aggiungere ancora l’autosensorialità, un’aspetto studiato soprattutto nel
caso dell’autismo infantile. Consiste nella tendenza a ricercare sensazioni vitali, ripiegandosi su se stessi
(come fanno i bambini autistici, per esempio, dondolandosi). Nella tossicomania (soprattutto in quella “non
socializzata”) è stato spesso osservato un meccanismo simile. Quando invece la droga è assunta “in gruppo”
questo meccanismo tende a ridimensionarsi a scapito di tendenze imitative, emulative ecc.
Inoltre, a partire dall’osservazione di quei ragazzi che usano le anfetamine per prepararsi agli esami, si
potrebbe aggiungere un’ulteriore caratteristica di personalità, peculiarmente legata alla tossicomania, a cui
darò il nome di: “ricerca dell’effetto doping”. Si tratta della tendenza a “falsificare le carte”, a “truccare il
gioco” e, in ultima analisi, anche se stessi: a presentare cioè un’immagine falsata di se stessi in grado di
poter fare, proprio come uno sportivo “dopato”, qualcosa che normalmente non si saprebbe o si potrebbe
fare. Ha certamente a che fare con l’insincerità del tossicomane ma va ben al di là del semplice scarso
amore per la verità concretizzandosi in una predisposizione all’”alterazione della realtà” ed in una spiccata
tendenza all’”artifizio”.
Riassumendo quanto siamo andati dicendo, in chi fa abuso di sostanze ed è portato a sviluppare una
dipendenza da queste ultime, potremmo aspettarci di trovare i seguenti “tratti di personalità”, a costituire
uno specifico “pattern tossicomanico”:
• debolezza dell’Io;
• compulsività;
• manipolatività;
• estrema mobilità psichica;
• autosensorialità;
• ricerca dell’effetto doping (artificialità).
6. La tossicodipendenza nell’arte, nella mitologia ecc .
A proposito di quest’ultima tendenza all’artifizio si potrebbero innanzitutto ricordare le pagine che
Baudelaire, grande consumatore di vino e hashish oltre che di “assenzio” (l’eroina dei poeti maledetti!), ha
dedicato ai “paradisi artificiali”.
Soprattutto questa tendenza all’artificiosa alterazione della realtà è esemplificata dalla figura di Dioniso,
uno dei più importanti riferimenti mitologici per la tossicodipendenza.
Nel dionisismo infatti, al di là dei molteplici significati simbolici che vi si condensano, è espressa in modo
particolarmente efficace questa propensione alla “falsificazione della realtà” che è alla base delle categorie
del “teatro” e della “maschera” (sappiamo che Dioniso è il dio del teatro, il dio del travestimento; nelle
tragedie che lo vedono protagonista, come Le Baccanti, si trova sempre questa idea dell’inganno e della
menzogna espresse attraverso il mascheramento).
Sembra, addirittura, che il vino servito nel corso delle feste dionisiache non fosse come quello dei nostri
giorni, ma una bevanda che veniva “alterata” con l’aggiunta di sostanze tossiche che provocavano
fenomeni allucinatori.
Nel dionisismo troviamo espressa altrettanto bene l’idea dell’iniziazione. Non dobbiamo sottovalutare, per
il tossicodipendente, la problematica dell’iniziazione: l’entrare a far parte di un “gruppo” col quale
sperimentare insieme che cosa si prova veramente assumendo sostanze stupefacenti sembra riproporre
una sorta di nuovo “culto antropologico” simbolicamente assimilabile a quell’antica religione misterica che
fu il dionisismo.
Data l’elevata correlazione tra abuso di sostanze e disturbi di personalità del “cluster B”, di cui si è già
detto, non ci stupiremmo di trovare nel tossicodipendente la disonestà e la menzogna del disturbo
antisociale; la cronica sensazione di vuoto e le condotte suicidarie del disturbo borderline e, infine, la
mancanza d’empatia caratteristica del disturbo narcisistico con il conseguente disconoscimento dei bisogni
altrui e la tendenza a strumentalizzare gli altri.
Sono caratteristiche che hanno genericamente a che fare con la “manipolatività” del tossicomane. Possono
trovare una singolare coincidenza con la descrizione psicopatologica del “caratteriale ostile-dipendente”
che vive ”sfruttando” gli altri (come si vede dal suo comportamento, che non è solo manipolatorio, ma
anche seduttivo e solo apparentemente “ipersociale”) e “dipendendo” da coloro con cui instaura un
rapporto “simbiotico-parassitario”.
Questo rapporto di dipendenza fondato sullo sfruttamento, sulla manipolazione e sull’asservimento ci fa
ritornare all’ipotesi psicoanalitica più antica sulla tossicodipendenza, quella basata sull’”oralità”, di cui
negli ultimi tempi si è parlato sempre meno, ma che al contrario meriterebbe di essere rivisitata e
riproposta nella sua giusta collocazione.
In realtà la dipendenza e molti degli altri tratti caratteristici del tossicomane riguardano proprio l’oralità.
Soprattutto un’oralità di tipo “parassitario” che è “sadica” ma, al tempo stesso, “passivo-dipendente”.
Forse nessun’altra figura letteraria o cinematografica si presta altrettanto bene ad esemplificare questo
“sadismo orale e dipendente” del tossicocomane come la figura del “vampiro” che ricorda un “drogato” per
più di un aspetto, primo fra tutti quello della compulsività e della reiterazione notte dopo notte, a cicli
regolari, dello stesso comportamento stereotipato finalizzato all’approvigionamento della sostanza tossica.
Questa, consistente nel sangue della vittima, viene letteralmente assunta attraverso un atto cannibalico (il
morso sul collo) che oltre a ribadire l’oralità sadico-dipendente che “tossici” e “vampiri” sembrano avere in
comune, ci dice molto anche del comportamento distruttivo di tali “sanguisughe” verso gli oggetti con cui
stabiliscono il loro legame, le loro vittime, che è contemporaneamente autodistruttivo, dato che le vittime
sono nello stesso tempo anche le persone da cui dipendono per la loro sopravvivenza, molto più di quanto
non avvenga negli stessi rapporti sado-masochistici.
Che dire poi di questa condizione perennemente in bilico tra la vita e la morte che accomuna ancora una
volta “tossici” e “vampiri” e che tanto ricorda le figure spettrali uscite dalla penna di quell’alcolista
autodistruttivo che fu Edgar Alan Poe?
Esiste un film di qualche anno fa che sembra aver colto intuitivamente molte delle assonanze che
sussistono tra “vampiri” e “drogati: si tratta di “The Hunger” (in italiano fu presentato con il titolo “Miriam
si sveglia a mezzanotte”) dove David Bowie e Catherine Deneveu interpretano due vampiri dei giorni
nostri, vestiti in maniera punk, che a mezzanotte in punto escono dalle discoteche a caccia delle loro
vittime cui “succhiare il sangue”, proprio come noi potremmo immaginarci che facciano i tanti “tossici” che
girovagano nelle nostre metropoli alla ricerca della loro “dose”.
Per finire, rimanendo nell’ambito delle suggestioni culturali, vorrei qui citare una frase tratta dallo
“Zibaldone” di Giacomo Leopardi che, anche se non parla direttamente di tossicomania, centra comunque
la questione dell’ ”artificiosità” contrapposta all’”autenticità” e mi sembra quanto mai adatta a concludere
le considerazioni sulla “personalità tossicomanica” che ho cercato di proporre in questa sede.
Scrive Leopardi: “I mezzi più semplici e veri e sicuri sono gli ultimi che gli uomini trovano, così nelle arti e
nei mestieri come nelle cose usuali della vita, e così in tutto. E così chi sente e vuol esprimere i moti del suo
cuore l'ultima cosa a cui arriva è la semplicità e la naturalezza, e la prima cosa è l'artifizio e
l'affettazione…….”.
Come dire che la soluzione tossicomanica è la più rozza, la più immediata, quella che non presuppone
nessuno studio, nessun percorso interiore: ed è la più artificiale, la più falsa e la più menzognera di tutte.
Bibliografia
American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 4th edn.: APA:
Washington, DC, 1994.
Bergeret J., Lo psicoanalista in ascolto del tossicomane, Borla, Milano 1983.
Cotrufo P. et al., Tossicomania e organizzazione di personalità:risultati preliminari, Psychofenia – vol. VI, n.
9, 2003.
Freda , Psicoanalisi e tossicomania, Mondatori, Milano 2001.
Freud S., (1924-29)Disagio della civiltà in opere vol. X, Boringhieri., Torino, 1978. Kernberg O., “Aggressività,
disturbi di personalità e perversioni”, Cortina, Milano 1993.
Olievenstein C., Destin du toximane, Fayard, Paris, 1983.