Persinsala Teatro
Marco Zuccaccia
maggio 12, 2015
Livia Ferracchiati e Danilo Nigrelli traducono e adattano il testo
di Georges Feydeau del 1888 Chat en poche, ritratto di una
società ottocentesca ipocrita, bramosa, tracotante, astuta e,
allo stesso tempo, incapace di ascoltare il prossimo, nella
nuova produzione del Teatro Stabile dell’Umbria, volta a portare in scena
una compagnia di talenti locali, A scatola chiusa.
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La commedia portata in scena presso il ridotto del teatro Morlacchi di
Perugia è una delle prime di Georges Feydeau. Perno attorno a cui ruota la
vicenda è Pacarel, un ricco industriale che commercializza zucchero per
diabetici che vuole lasciare traccia di sé nella storia facendo rappresentare
un’opera lirica musicata dalla figlia Giulia. L’opera in questione è il Don
Giovanni (nel testo originale di Feydeau si trattava del Faust) che, come
afferma Pacarel, «Giulia ha musicato dopo Mozart in quanto nata dopo».
Nell’epoca in cui visse Feydeau non esisteva ancora il termine, ma lo
stesso drammaturgo francese fu contemporaneo di Alfred Jarry autore di
Ubu Roi, opera considerata un’anticipazione del movimento surrealista.
Feydeau, nel suo personale stile, mantiene un forte legame con il contesto
in cui i personaggi agiscono e Nigrelli sembra voler contribuire con alcune
sue invenzioni a enfatizzare la percezione di insensatezza in questa
rappresentazione.
Per riuscire nell’intento di rendere gloria alla figlia Giulia, Pacarel pensa di
scritturare per primo un giovane e promettente tenore di Bordeaux, un
certo Dufausset (Edoardo Chiabolotti, un’autentica rivelazione in scena)
per poi cedere le sue prestazioni all’Opéra in cambio della
rappresentazione scritta dalla figlia. La scatola dentro cui tutto si muove è
una stanza nella casa di Pacarel ed essendo l’universo scenico tutto
rappresentato al suo interno, un giovane che suona alla porta è senza
ombra di dubbio per Pacarel, il tenore venuto direttamente a far visita
all’imprenditore. Un’aria di esagerata festa accoglie il giovane che prende
gli abitanti della casa per pazzi, ma non vuole contraddirli perché questa è
una delle raccomandazioni di suo padre. Certamente, il giovane non può (e
non vuole) offendere Pacarel che gli offre 3500 franchi per cantare, proprio
a lui che è stonato come una campana.
Francesco Bolo Rossini interpreta Pacarel con una comicità inconsueta e
convincente rispetto a precedenti ruoli da lui ricoperti, mentre la moglie
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Marta è tradotta da Caterina Fiocchetti con una interpretazione brillante e
sicura. Funzionale alla rappresentazione è la scelta di lasciare gli attori non
impegnati nella scena a margine di questa immaginaria scatola, immobili.
Come si trattasse di marionette che reagiscono a comando, essi entrano
nella scena e prendono vita solo quando necessario. Singolare è il fatto
che a muovere i fili siano due domestici della casa (altra differenza
rispetto al testo originale in cui il ruolo dei due è secondario), i quali
ironizzano spesso sui modi degli altri personaggi. Ogni cosa deve essere al
suo posto e il cameriere Tiburzio, in particolare, nel sistemare il tutto usa
dei termini tipici del teatro (il proscenio, il boccascena, le assi, il fondale, il
golfo mistico, gli attori, il gobbo, …), anche se questi non sono visibili agli
spettatori che vedono sistemare dai due domestici dei semplici
suppellettili. Il tutto appare come mosso da macchine che rispondono a
comando quando si pronuncia a voce alta la parola «infernali».
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A comando, successivamente, gli attori entrano in scena pronunciando
frasi sconnesse. O, meglio, ciascuno pronuncia frasi legate al proprio io
personale che diventano estranee fra loro e generano soltanto caos con le
scene che, spesso, vengono divise da intermezzi di Duke Ellington tratti
dall’album Such Sweet Thunder, mentre i domestici, a volte, si fermano
a riflettere se valga la pena cambiare qualche azione che porti a un finale
diverso da quello classico.
Curioso il fatto che due scene – che ricordano film horror-comici diventati
di culto per gli amanti del genere – siano rintracciabili in questa
rappresentazione. In una di esse, i due domestici fanno ballare tutti gli
attori come se questi non potessero opporsi alla musica come nel
Beetlejuice di Tim Burton in cui gli occupanti la casa ballano Banana
Boat Song. Altra scena, questa volta non soggettiva nell’interpretazione e
nel rimando, è quella in cui Tiburzio riprende un gesto di Dufausset. Per
paura che il suo tenore perda la voce Pacarel gli impone di coprirsi il collo
con uno scialle nonostante il clima sia mite. Dufausset di fronte a una delle
donne che corteggia prova un certo imbarazzo e l’attore Chiabolotti
nasconde questo scialle sotto la giacca, creando una sorta di gobba.
Ancora, in maniera estemporanea al contesto, Tiburzio entra in scena e
cammina aiutandosi con un bastone. Qui il rimando a Frankenstein
Junior di Mel Brooks è inevitabile con Tiburzio pronuncia la frase «gobba,
quale gobba?». La rappresentazione è condita da una serie di divertenti
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giochi di equivoci scanditi con un ritmo frenetico che gli attori reggono con
una tempistica di battute impeccabile dove il colpo di scena e il malinteso
si susseguono senza sosta in questa rilettura di Chat en poche.
Rilettura decisamente interessante e non scontata.
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Lo spettacolo continua
Teatro Morlacchi
Piazza Morlacchi 13, Perugia
fino al 17 maggio
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A scatola chiusa
di Georges Feydeau
traduzione e adattamento Livia Ferracchiati, Danilo Nigrelli
con Francesco Bolo Rossini e Giordano Agrusta, Caroline Baglioni, Edoardo Chiabolotti, Caterina Fiocchetti,
Elisa Gabrielli, Elisabetta Misasi, Ludovico Röhl, Samuel Salamone
regia Danilo Nigrelli
assistente alla regia Livia Ferracchiati
luci Simone de Angelis
scene Danilo Nigrelli
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