in collaborazione con Le Belle Bandiere compagnia sostenuta da Regione Emilia Romagna, Provincia di Ravenna, Comune di Russi ANTIGONE ovvero Una strategia del rito da Sofocle regia di Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso progetto ed elaborazione drammaturgica di Elena Bucci e Marco Sgrosso con Elena Bucci (Antigone), Marco Sgrosso (Creonte), Daniela Alfonso (Corifeo) Maurizio Cardillo (Tiresia/Corifeo), Nicoletta Fabbri (Ismene/Coreuta) Filippo Pagotto (Emone/Coreuta), Gabriele Paolocà (Guardia/Coreuta) disegno luci Maurizio Viani drammaturgia del suono di Elena Bucci e Raffaele Bassetti suono e sensori Raffaele Bassetti direzione tecnica Giovanni Macis luci Loredana Oddone costumi Nomadea e Marta Benini assistente all’allestimento Alessandro Sanmartin ufficio stampa CTB Bianca Simoni - ufficio stampa Le belle bandiere Giulia Calligaro distribuzione Emilio Vita RASSEGNA STAMPA Il Resto del Carlino Rosanna Ricci La Stampa Osvaldo Guerrieri Il Quotidiano della Basilicata Francesco Altavista Il Giornale di Vicenza Lorenzo Parolin IL GIORNALE DI VICENZA.it Così il rito si fa strategia. Antigone di BucciSgrosso vale 5 minuti d'applausi TEATRO. Pieno e meritatissimo successo al Remondini per “La bella stagione” di Bassano. La sintesi dell'opera è l'immagine di una scia di luce che taglia lo sfondo nero alle spalle degli attori: il segnale di una rivolta all'ordine costituito 24/01/2013 L'obiettivo di Giancarlo Ceccon coglie un intenso frangente di “Antigone ovvero una strategia del rito” BASSANO. Lo sfondo nero alle spalle degli attori e una scia di luce che lo taglia. Per rendere in sintesi "Antigone ovvero una strategia del rito" di Elena Bucci e Marco Sgrosso, martedì a Bassano, si può partire da un'immagine. È ciò che gli spettatori hanno visto ma è anche il senso di una vicenda, quella della figlia di Edipo, nella quale Sofocle segna uno dei punti più alti del pensiero occidentale. Antigone è quella lama di luce, che in nome della pietà dovuta al fratello defunto, rompe l'adesione cieca alla legge spezzando l'ordine costituito e ricostruendolo sulle fondamenta dell'umanità. Tutto questo, sul palco del teatro Remondini, c'è stato. Merito della Bucci, capace di rendere con la sua vocalità le sfumature emotive della protagonista e di Sgrosso, un Creonte robotico, appiattito sull'obbedienza alle regole funzionali al potere. La versione di Antigone proposta a Bassano, però, è scesa ancor più in profondità, recuperando un concetto proprio degli albori della filosofia. Il termine che lo indica,"physis", in traduzione vale "natura". Non si tratta dell'insieme degli elementi naturali che compongono un paesaggio, ma del rapporto complessivo che l'uomo attraverso i cinque sensi intrattiene col mondo che lo circonda. Il tutto con riferimento particolare al percorso di formazione che porta alla saggezza. Calato nello spettacolo di martedì, significa che tra azione scenica, luci, suoni, modulazioni vocali e colori, gli attori hanno stimolato il pubblico a più livelli, proponendo un'esperienza da percepire e non solo da vedere. In altre parole la compiutezza della tecnica, nel caso di "Antigone - una strategia del rito", è servita come trampolino per andare oltre e dare forma all'insieme di emozioni che si nascondono nei ritmi, nei suoni e nel complesso di atmosfere che un'esperienza intensa sa generare. Sottotraccia, poi, la vicenda di Antigone che sfida le convenzioni e concede gli onori funebri al fratello Polinice, ha trasmesso, nella versione firmata Bucci, la sensazione piacevole del ritorno a casa. La casa, costruita sui versi di Sofocle, da cui due millenni e mezzo fa ebbe inizio una storia in cui ancora oggi ci riconosciamo. E il silenzio con il quale un pubblico di età diverse ha seguito l'ora e mezzo di spettacolo, liberando sul calo del sipario un applauso durato non meno di cinque minuti, è stato il certificato di qualità per una serata che ha conquistato la sala. Va detto che i due protagonisti e i cinque corifei presenti sul palco si sono guadagnati l'applauso anche con alcuni accorgimenti che hanno portato Antigone nella modernità. Gli intermezzi techno-rock, innanzitutto, e gli abiti vagamente ottocenteschi, ma anche la parlata dialettale del coro e alcuni sberleffi da commedia dell'arte, uniti a una simbologia (vedi Antigone che, imprigionata nella grotta, si cala un velo sul volto) immediatamente leggibile. Per chiudere, infine, sciogliendo la tensione del doppio suicidio della figlia di Edipo e del promesso sposo Emone (Filippo Pagotto) che mette fine alla vicenda, Elena Bucci è tornata, sorridente, sul palco, a ricordare che "La chiave della felicità per gli uomini è la saggezza". Cinque minuti di applausi. Lorenzo Parolin Linkiesta Andrea Porcheddu La danza di morte di Antigone Andrea Porcheddu - 25 Gennaio 2013 Me la ricordo bene. Era il 95 e quello spettacolo fu una specie di miracolo, qualcosa che segnò la storia del teatro italiano. Era "Il ritorno di Scaramouche", scritto, diretto e interpretato da Leo de Berardinis, forse al massimo della sua creatività. Il felicissimo gioco scenico, la struggente bellezza della poesia, l'implacabile sguardo sulle magagne del tempo, la rinnovata invenzione della Commedia dell'arte e dell'uso della maschera, fecero di quello spettacolo un evento vero. Con Leo c'era la sua compagnia, fatta di attori e attrici che seppero attingere al magistero umano, intellettuale e scenico del Maestro. E nel gruppo c'era anche lei, Elena Bucci. Aveva una maschera dal becco incredibile, inquietante. Aveva un costume nero, le belle braccia scoperte diventavano ali minacciose, e faceva movimenti che richiamavano le ritualità delle arti marziali. Elena interpretava la Morte. La sua era una presenza magnetica. Astratta e concretissima, feroce e dolcissima. Da allora, quando penso alla morte, la immagino con quel becco violento. Con quegli occhi bui, e la voce suadente di bambina. Elena Bucci è una grande attrice. Da tempo con la sigla Belle Bandiere, sempre affiancata da Marco Sgrosso - anche lui memorabile protagonista della compagnia di Leo de Berardinis - la Bucci si cimenta in un sistematico attraversamento dei classici, da Shakespeare a Goldoni a Ibsen o Brecht, senza escludere autori più vicini la nostro tempo come Pinter (mentre Sgrosso ha firmato e interpretato anche una ottima edizione di "Ella" di Achternbusch). Ora, per riprendere la suggestione iniziale, era naturale che la Bucci incontrasse "Antigone": la sposa di Ade, colei che sceglie gli inferi. È, questo, un primo incontro del gruppo con la tragedia classica (anticipato da un lungo laboratorio che la compagnia ha tenuto a Brescia, con il CtB, che ha avuto come felice esito "Mythos", di cui ho già raccontato in questo blog). Elena Bucci dunque è una Antigone al tempo stesso lieve e tragica, disinvolta e consapevole. La sua scelta di seppellire il fratello Polinice, contravvenendo all'editto del re Creonte, è l'ineluttabile passo di una donna che non esita. Anche il candore con cui risponde a Creonte che la incalza, Còlta in flagranza di reato, affermando lievemente "sono qui, uccidimi" (vado a memoria) è sintomo di una avventura emotiva di grande sensibilità. L'eterno scontro tra due hybris, creato da Sofocle - il mondo dei morti di Antigone, con le sue leggi dell'oikos, e le leggi positive di Creonte, con la sua ostinazione a difendere la polis - per Bucci/Sgrosso, che firmano anche l'asciutto adattamento, diventa dialettica, confronto in cui spicca e si avverte però una propensione per la fanciulla ribelle. È in lei che pulsa il cuore (anche politico, anarchico) dello spettacolo di Bucci e Sgrosso. Creonte arriva sempre un minuto dopo, è in costante, simbolico, ritardo sui fatti e le loro interpretazioni (e non è un caso che tutti chiedano, continuamente, "dov'è Creonte?"). E troppo tardi si pentirà della sua severa condanna, nonostante gli ammonimenti, quasi minacce, di Tiresia. Il coro ha un gusto contemporaneo, contadino (cappotti, giacche, cappelli metà novecento) addirittura dialettale, ma con mezze maschere da Commedia che lo rendono ancora più straniante. Dal coro si staccano, di volta in volta, i coprotagonisti della tragedia: Ismene, Emone, la guardia, lo stesso Tiresia. E vale la pena citare gli interpreti, sono cinque e valgono il doppio: Daniela Alfonso (corifea mediterranea), Maurizio Cardillo (corifeo e Tiresia), Nicoletta Fabbri (Ismene e coreuta), Filippo Pagotto (Emone e coreuta) e Gabriele Paolocà (guardia e coreuta). Ma al centro è, si è detto, Antigone, dalla lunga sciarpa bianca che diventerà velo delle sue nozze di morte. Elena Bucci conferma, se ce ne fosse bisogno, le sue doti di interprete: il modo in cui muove le braccia (quello stendere la sinistra e piegare un po' la destra dietro il capo, quasi a difendersi), il modo in cui stringe le spalle, il volto verso l'alto, gli occhi spesso chiusi, come fa scivolare della terra tra le dita, nel gesto simbolico della sepoltura... E la voce, quella voce che modula emozioni, con un sapore antico, lontana e presentissima, popolare e poetica. Lo spettacolo, che si arricchisce continuamente del bellissimo disegno luci di Maurizio Viani, su musiche rock, etniche e cori popolari, vive di grande compattezza. E se pure non aggiunge molto alla lettura teatrale o filosofica del mito di "Antigone" - sui cui si sono cimentati, come si sa, in molti - ha dalla sua una cifra nitida, viva, essenziale. (Ma mi si consenta un appunto: perché chiamare Bacco il vecchio Dioniso? È vero, è pure filologicamente corretto e accettabile, ma che peccato per quel vecchio dio che con il teatro ha qualche frequentazione...). Ho visto questa "Antigone", prodotta da Le Belle Bandiere con il Centro Teatrale Bresciano, al teatro Remondini di Bassano del Grappa: straesaurito, pubblico attento, tanti giovani volti. E grandi applausi alla fine. Sipario.it Giulia Morelli Antigone - Ovvero una strategia del rito da Sofocle regia Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso progetto ed elaborazione drammaturgica Elena Bucci e Marco Sgrosso con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Daniela Alfonso, Maurizio Cardillo, Nicoletta Fabbri, Filippo Pagotto, Gabriele Paolocà disegno luci Maurizio Viani drammaturgia del suono Elena Bucci e Raffaele Bassetti suono e sensori Raffaele Bassetti direzione tecnica Giovanni Macis, luci Loredana Oddone, costumi Nomadea e Marta Benini assistente all'allestimento Alessandro Sanmartin una produzione CTB Brescia in collaborazione con Le Belle Bandiere e con il sostegno del Comune di Russi Teatro Ariosto, Reggio Emilia, 12, e 13 febbraio 2013 www.Sipario.it, 14 febbraio 2013 Nel buio del palazzo di Tebe, lontano dalla luce del sole, dal fulgore della ragione e del vero si consuma nuovamente il rito: il sacrificio della volontà che soccombe al potere, degli affetti annientati dalla dikè, del coraggio piegato dalla legge degli uomini, dell'amore asfissiato dall'obbedienza e dal castigo. Un rito nel rito: il teatro celebra la figlia d'Edipo, metonimia essa stessa del teatro, della ricerca del giusto e del buono secondo coscienza, della purificazione collettiva dal male. La tragedia sofoclea d'Antigone, con la regia e l'intensa interpretazione di Elena Bucci, si impregna di tenebre e si riscatta nel gioco di rifrazioni e superfici specchiate che riflettono la luce che manca nella città dalle sette porte – una tomba oscura, in cui non penetrano che ombre, la prefigurazione d'un Ade violato da luci stroboscopiche -, offuscata dalla hybris del tiranno Creonte, che ancora,dopo millenni, bestemmia la divinità e la morte, proibendo alla sorella la sepoltura di Polinice, il traditore della patria, esposto allo sfacelo e al banchetto dei rapaci. L'Antigone di Bucci e Sgrosso è ridotta all'essenziale, epurata dal superfluo, filologicamente precisa e calata con riferimenti minimali in un tempo indefinito, tra il medioevo e la fantascienza, universale nella sua indeterminatezza, sulla cui scena si stagliano maestose le mitiche, granitiche e fragili figure dei giganti: Antigone, la sorella Ismene, Creonte e il suo furor, il mite ribelle Emone e Tiresia. Al loro fianco, in una concatenazione gestuale centellinata, attenta, puntualissima, il corifeo e tre coreuti, la voce della città sconvolta dalla lacerante guerra fratricida tra Eteocle e Polinice e ora piegata al giogo tirannico della cieca autorità di Creonte. Gli dei e le erinni in questa tragedia di uomini non trovano spazio. Lo scontro tra il figlio di Meneceo-Sgrosso e la nipote è feroce e contenuto, in un equilibrio compositivo della scena di estrema pulizia e forza drammatica: la mastodontica staticità del primo incontra la fremente e tesa gestualità della seconda, immagini fisiche d' attitudini interiori. Il coro è l'elemento di novità grande, reintrodotto e interpretato da cinque figure fantasmatiche e un po' avicunicole, quasi pirandelliane, un mascherato manipolo di saltimbanchi, artisti di strada con movenze di marionette e ballerine di carillon, seguono sul filo d'una vocalità d'insieme rarefatta e multiforme – in cui appare evidente l'eredità di Leo De Berardinis – il calvario d'Antigone, che velata di bianco, sposa vergine mai destinata al talamo, viene sepolta viva per ordine dello zio. La giovane, che ha sparso terra in suggestiva danza sul corpo del fratello, uno specchio che le riflette il volto, intona allora il suo imeneo mortale e nella luce dell'ultimo sole dei suoi giorni – che finalmente appare, riflesso, in scena - si ricongiunge agli estinti, nell'unico culto degno dello vita. Il rito di Bucci e Sgrosso si sostanzia in un'intensa corrispondenza di sguardi e movimenti, in un commento musicale stridente e violento, contrastatissimo, e soprattutto nelle dicotomie fondamentali, fedelmente riproposte dalla presenza e assenza delle luci, le ultime elaborate dallo scomparso Maurizio Viani: la giustizia e la follia, l'interno e l'esterno, l'amore e l'ordine. Con mano leggera e greve, solenne e consapevole del fardello della Storia e delle sue contraddizioni e della molteplicità stessa delle Antigoni che sulla scena si sono avvicendate nei secoli, la drammaturgia impernia sulla poesia della luce la vicenda, e dal sepolcro della viva Antigone nata per amare s'irradia la luce della saggezza, della sapienza del cuore, la sola in grado di fugare il male, la follia, la morte. Giulia Morelli Corriere della sera Franco Cordelli Archivio Storico ELENA BUCCI FIRMA L'ALLESTIMENTO DELLA TRAGEDIA GRECA CON LA COMPAGNIA LE BELLE BANDIERE Giochi di luce tra terra e rinascita L a compagnia Le belle bandiere nacque vent'anni fa, a Russi in provincia di Ravenna. Benché non si pensi a essa come una delle compagnie emiliane, che sono il corpo centrale del nostro teatro di ricerca, lo è. Non ci si pensa perché i suoi spettacoli nascono spesso in coproduzione e debuttano in altri luoghi, come questa Antigone (coprodotto con lo Stabile di Brescia e debutto al Gobetti di Torino). I due fondatori nel 1993 erano parte del nucleo storico del gruppo di Leo De Berardinis, e sempre se ne vedono le tracce. In Antigone un sipario nero chiude sul fondo lo spazio teatrale, ma uno spicchio di luce rossa ne insidia la compattezza, è come volesse squarciarlo: a che prezzo? Non è quel rosso un segnale di sangue? Siamo dunque in un certo, particolare uso delle luci; una vera e propria simbologia delle luci. Altro tratto distintivo è la raffigurazione del Coro: nelle maschere dei coreuti c'è l'idea d'una imprescindibile, quasi tragica ritualità. Pure, i singoli membri di questo Coro, e tutti insieme, si esprimono con voci ghignanti, con sberleffi. Le maschere iper-espressive, furenti, alludono a un uso rituale, evocano un mondo primitivo. Non è tutto ciò l'esplicito rinvio a una consuetudine teatrale? Il rito è un rito, ma qui esula da un'ipotetica modalità antica. Appartiene a una storia reale, la storia della rappresentazione, la storia stessa del teatro. Come nelle scritture di Leo, il «teatro» sempre si sovrappone ai suoi contenuti: ciò che stiamo dicendo è buffo, o serio (tremendamente serio), ma è pur sempre teatro. Altri tratti dello spettacolo che ricordano Leo: la polvere, cioè la terra, con cui Antigone ricopre l'insepolto cadavere del fratello Polinice, qui diventa una realtà fisico-metafisica o, se si vuole, magico-propiziatoria: un fascio di esile luce, ancora una volta rossa, continua a scendere dalle mani dell'eroina. Oppure l'entrata in scena di Creonte. Egli laggiù, da dietro il sipario che si è infine aperto, arriva come fantasma del futuro, è l'opposto d'una rievocazione di tempi antichi ? poiché la tirannia non è una semplice memoria, essa sempre ci incombe. Più personali, tutti assolutamente distintivi, sono i caratteri che i due protagonisti in lotta attribuiscono al proprio personaggio. Il Creonte di Marco Sgrosso è ieratico e risonante, ha perfino nella potenza fisica il segno del suo potere o, forse, della sua volontà di potenza. Come sappiamo, in Antigone non c'è nulla di fragile, di sottomesso. Ma l'Antigone di Elena Bucci, che è anche regista, non si limita a contendere da pari a pari. In lei non c'è femminile debolezza; non vi sono che risolutezza, oltranza. Nei tagli e nei riflessi della luce scorgiamo «l'impossibilità di far brillare quella del Sole, più volte evocata nelle parole e nelle preghiere». Eppure, quando Antigone dopo la sentenza di morte si ricopre il capo con il suo bianco velo, su di esso vediamo brillare una specie di aureola che è sì il segno della sua qualità di resistente all'ordine ingiusto della Legge, ma è anche luce del Sole, simbolo d'una Rinascita, allegoria della Speranza. Creonte dice che non si deve mai infrangere l'ordine costituito. Probabilmente ha torto. Ma egli sottolinea come Antigone commetta «peccati di superbia e di ostinazione». C'è in lei il residuo di un'anima bella, è lei stessa a dire: «Mi sposerò solo con la morte». L'una di fronte all'altra sono due ragioni, o due istanze, difficile dire se ugualmente legittime. Ma, come chiude il Coro, il primo requisito della convivenza è «non peccare mai per empietà». RIPRODUZIONE RISERVATA Cordelli Franco 21 febbraio 2013 Giornale di Brescia Paola Carmignani Brescia Oggi Francesco de Leonardis Corriere della sera Nino Dolfo La Provincia di Cremona Nicola Arrigoni Il Sole 24 ore Renato Palazzi Antigone dietro Pirandello Renato Palazzi, 22 gennaio 2012 Per il suo primo confronto con la tragedia classica, la compagnia «Le belle bandiere» di Elena Bucci e Marco Sgrosso ha scelto di puntare sull'Antigone di Sofocle: un'Antigone di grande intensità, affrontata con uno sguardo fuori dal tempo, com'è nelle abitudini di questi due discepoli di Leo De Barardinis, spasmodicamente prosciugata, ridotta alla pura essenza del mito, e resa ancora più squassante dalle febbrili atmosfere oniriche create dalle luci di Maurizio Viani e da immagini capaci di attingere direttamente all'inconscio dello spettatore. L'invenzione più significativa della loro messinscena è costituita dal coro, formato da un gruppo di figurette mascherate che emergono dalla penombra come fragili fantasmi del teatro, pronti ad assumere di volta in volta anche i ruoli della sorella Ismene o del cieco Tiresia. Al loro primo apparire, più che a comici dell'arte, fanno pensare agli scalcinati fabbricanti di sogni dei Giganti della montagna di Pirandello: e l'imprevedibile accostamento fra stili così lontani aggiunge a questa interpretazione ulteriori, misteriose stratificazioni. Il nucleo dell'azione è ovviamente lo scontro fra Antigone e Creonte, fra una sorta di divina follia della protagonista, che incarna la rivolta della passione nei confronti di un'arida ragion di Stato, e l'autoritarismo maschilista del tiranno. Se in certe altre chiavi di lettura costui era stato visto come l'emblema di un freddo spirito oggettivo del diritto, contrapposto alle leggi della pietas famigliare, qui egli è soprattutto un uomo di potere ciecamente prigioniero della propria arroganza, dell'incapacità di recedere da una decisione sbagliata. Il contrasto fra i due, suggestivamente, è anche di tipo visivo, gestuale. Il Creonte del bravo Sgrosso entra in genere in scena con una maschera metallica sul volto, quasi da "über"-marionette alla Craig o alla Schlemmer, mentre la fibrillante Antigone della Bucci accenna movenze da invasata, compie convulsi atti cerimoniali, sparge a terra un'impalpabile sabbia rossastra. Lui tiene sempre le mani congiunte, un po' contratte, in una posa vagamente nevrotica, lei tende a portare le palme aperte verso l'alto, chiara espressione di innocenza disarmata. Ad assumere un'inedita importanza centrale è tuttavia in questo caso il personaggio – di solito un po' defilato – di Emone, il figlio di Creonte, che nella regia della Bucci diventa una specie di accorata voce della ragione, il portatore di una più lucida e pacata saggezza politica. E proprio con un esplicito richiamo alla saggezza si conclude lo spettacolo, che pur nel funesto epilogo, suggellato dalle urla disperate del despota, sembra voler lanciare un labile segnale di speranza, suggerendo in tal modo una possibile via d'uscita. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gazzetta di Parma Valeria Ottolenghi Corriere di Bologna Massimo Marino Avvenire Domenico Rigotti Hystrio Giuseppe Liotta Culture Teatrali – Studi interventi e scritture sullo spettacolo Silvia Mei Womencaust: il dovere del sacrificio muliebre “Indicibilmente vuota. Nessuno più per cui vivere”. Sono le parole sconsolate di Kristine Linde, amica di Nora Hellmer in Una casa di bambola. Parole reversibili anche per un’icona come quella di Antigone, suicida per il fratello insepolto Polinice, o aderenti alla sciagurata sorte di Cassandra, sacerdotessa pervertita dal contrappasso di Apollo che le mette in bocca solo auguri nefasti. Dall’amore fraterno a quello nuziale per desiderio di sacrificio, di affermazione della persona nella proiezione totale con l’altro da sé. Letteratura femminile, dunque? In gioco non c’è più la desueta rivendicazione sessista, lo scandalo della libertà. Si tratta piuttosto di uno sguardo lucido e desolato sul presente e sulla plausibilità di una redenzione futura. È una centaura l’Antigone di Elena Bucci in giacca di pelle nera, decorata da un lungo serico scialle che descrive volute e arabeschi piriformi. Appena traccia la diagonale della sua entrata, in apertura, produce un corto circuito, un time shift siglato dall’afrojazz di Miriam Makeba: è un’Antigone già morta, che rivive la sua storia, ricompie il suo olocausto, appartata, estatica, invasata, rimembrante le isteriche di Charcot: ora bambina, ora donna, ora anima celeste piena di grazia. “Se è il corpo morto di Polinice a orientare tutto l’orizzonte scenico, - osserva Adriana Cavarero nel denso saggio filosofico su Antigone compreso in Corpo in figure (1996) - è tuttavia un sangue di generazione materna a polarizzare l’azione tragica decidendone il meccanismo. […] È dunque proprio la potenza del sangue a far muovere Antigone, obbligandola nei vincoli di un’identificazione materna che costringe il suo agire a un sacrificio del sé per corrispondere al desiderio di sua madre che si incarna nel morto Polinice”. Il motivo della consanguineità non è stato un’urgenza critica della messinscena, volta piuttosto a riattivare artigianalmente i dispositivi tragici, la regia tuttavia riporta il motivo della simbiosi materna e della corporeità femminile come sofferenza nell’attestarsi dello stato logocentrico della polis. L’entrata di Antigone-Bucci, di cui sopra, richiama la figura di Giocasta, strozzatasi col proprio scialle, come quello indossato da Antigone, facendo aderire le due figure, di madre e di figlia, che rivendicano la loro autorità e diritto sui corpi. Il testo asciutto e compatto di Sofocle diventa l’occasione per riflettere sul tempo del rito, della condivisione di una ritualità collettiva col pretesto dell’esequie non compiute del disonorato Polinice, che ha ingaggiato una battaglia contro la sua città natale, Tebe, e contro il gemello Eteocle, in una lotta fratricida per il trono. Antigone, la minore della famiglia, orfana di padre e di madre, abbandonata inizialmente dalla sorella Ismene, decide di reclamare il corpo del germano, pasto di uccelli e belve fuori del recinto murario, disobbedendo all’editto dello zio despota Creonte. Ma si avvertono lontane reminiscenze della riscrittura francese del mito di Jean Anouhil nel 1944, precipitata nella testura complessiva, che gode del disegno luci di Maurizio Viani (scomparso nel corso delle prime repliche): il coro di sfollati, in allerta su pagliericci accatastati, vive di un clima da diaspora sotto i bombardamenti nemici, restituendo quel gusto nostalgico, vagamente francese alla comunità separata dei coreuti e dei deuteragonisti. Per Le Belle Bandiere di Elena Bucci e Marco Sgrosso il recupero della tragedia attica - con la quale si confrontano per la prima volta nel solco della rilettura dei classici che ha visto alternarsi in compagnia Shakespeare a Pinter, Ibsen a Goldoni non è il semplice recupero di un testo antico ormai perduto: si tratta piuttosto di rendersi consapevoli di una relazione teatrale, di un tipo di teatro che è andato estinto e che può essere riattivato imbastendo un nuovo rito nella comunione e condivisione del tempo unico e irripetibile dello spettacolo. Con questo allestimento, spartano ed essenziale, fatto di accessori semplici come una decina di sedie, a comporre strutture pericolanti, e del corpo-voce di sette attori, si giunge ad una reinvenzione di forme desuete come il coro, di accessori quali la maschera, riabilitati nell’impasto dialettale e nel tappeto sonoro costante (ad opera di Raffaele Bassetti), mai utilitaristicamente espressivo, su cui appoggiare una voce e soprattutto una parola che reclama un tessuto armonico di note. Ecco allora la scelta di un prologo (tratto dalle Fenicie di Euripide per recuperare l’antefatto di Edipo, capo stirpe) volto in siciliano da Daniela Alfonso e Maurizio Cardillo, in una sorta di eco black and white: una lingua-mondo che richiama formule arcaiche, sonorità magiche che iniziano alla ritualità. Ma anche un omaggio alla Magna Grecia, culla della civiltà, i cui paesaggi il solo dialetto riesce a evocare. Mentre il coro, da cui nascono tutti i personaggi della tragedia, recupera la maschera, intermittente e funzionale, in omaggio alla tradizione improvvisativo-musicale dei Comici dell’Arte, cui Le Belle Bandiere teatralmente discendono. La loro Antigone inizialmente nasce come una “lettura in concerto”, nel sogno di una composizione d’attori d’impianto jazzistico, dove ognuno con le sue parti sale in palco per dar inizio ad una jam session. Elena Bucci regala altissimi momenti di poesia alla Isabella Andreini, tra il rispetto letterale del testo e la polluzione di momenti espressivi che predicano il personaggio. Accanto alla sua figura, “perimetrale”, mai assertiva o prevaricante nell’economia dello spettacolo, si staglia un Marco Sgrosso assoluto, sprezzante e altezzoso Creonte, elegantemente in nero e oro con lunghe maniche vagamente pulcinellesche. Mirabile Maurizio Cardillo, coreuta e Tiresia, una presenza che si impone per nettezza espressiva. Rimarcabili i giovanissimi Nicoletta Fabbri e Filippo Pagotto, rispettivamente Ismene ed Emone. Myword.it Maria Grazia Gregori Un’Antigone eterna e spolpata L’allestimento delle Belle Bandiere riduce all’osso la scena, isolandone con perspicacia gli elementi fondanti. Bravi Elena Bucci e Marco Sgrosso La prima immagine di questa spiazzante Antigone di Sofocle secondo Le belle bandiere, il gruppo che due attori di Leo De Berardinis, Elena Bucci e Marco Sgrosso hanno formato alla morte del grande attore e regista, è la visione di una luce accecante che appare sul fondo della scena e da cui, improvvisamente, esce Antigone. Del resto è proprio quello il luogo delle apparizioni, la “porta” dalla quale entrano, di volta in volta, i personaggi per rappresentare di fronte a noi un rito - che è poi quello del teatro - in cui si racconta una vera e propria lotta di potere fra chi, come Creonte, re di Tebe, pretende da tutti la più assoluta obbedienza alle leggi e chi, come Antigone, crede in una legge diversa che nasca dal cuore o, più precisamente, da un diverso modo di intendere la giustizia. Ma questa Antigone rappresenta anche la lotta fra uomo e donna, l’apparente inconciliabilità dei sessi che certo non sfuggiva neppure a Sofocle anche se non raggiungerà mai le vette della drammatizzazione euripidea dell’argomento. Qui ci si batte, senza quartiere, in modo inconciliabile, su due giovani morti: ha diritto a essere sepolto solamente chi muore per difendere la propria città oppure anche chi le si è ribellato prendendo le armi contro di essa? Antigone non ha alcun dubbio: ne hanno diritto entrambi, che oltretutto le sono fratelli. Ma Creonte che il potere lo ha e lo gestisce con durezza vi si oppone. Una storia che ovviamente arriverà a un violento finale con la morte, sepolta viva, della protagonista. A Elena Bucci e a Marco Sgrosso sta a cuore un’Antigone ridotta all’osso, una rappresentazione nella rappresentazione dove, escluso i due protagonisti, il coro, grande figura drammatica che tutto vede e tutto sa, non ha solo il compito di commentare e ragionare sui fatti, ma anche quello di dare voce ad altri personaggi, quasi come uno spettacolo che nasce all’improvviso, proprio come succedeva alla Compagnia degli Scalognati nei Giganti della montagna di Pirandello. E l’impressione si fa ancora più forte visto che essi si esprimono in parlate dal forte accento dialettale, ancestrale che le maschere che talvolta portano sul volto sembrano dilatare nel tempo e nello spazio. Creonte, il re, porta una maschera bianca su cui sinistramente si riflettono le belle luci di Maurizio Viani. Antigone invece è a viso nudo, solo le mani, che agita in continuazione, sembrano rosse come rossa è la terra che le sta attorno, a simboleggiare il sangue del fratello che lei vuole a ogni costo onorare. Due esseri opposti anche nella gestualità: tanto la sensitiva, inquietante Antigone di Elena Bucci si muove in un crescendo di tensione, tanto il Creonte regale del bravo Marco Sgrosso è ieratico, all’apparenza impassibile e impermeabile alle passioni. A pensarci, però, questa Antigone di Bucci e Sgrosso rappresenta anche una lotta fra generazioni, il bisogno di un modo diverso di stare insieme , di pensare alla città, alla vita. Creonte non può che essere fuori da questo progetto, che invece riguarda, sia pure con il sacrificio della propria vita, Antigone ed Emone figlio del re (con bello spicco Filippo Pagotto) e perfino la timida Ismene (Nicoletta Fabbri) sorella di Antigone. Da vedere. Maria Grazia Gregori Teatrionline Maurizio Carra “ANTIGONE ovvero Una strategia del rito” da Sofocle In scena fino al 5 febbraio al Teatro Carcano di Milano Attraverso una personale lettura del testo Elena Bucci e Marco Sgrosso rappresentano la tragedia di Sofocle facendo ricorso a linguaggi teatrali diversi senza alterare la struttura poetica del testo: il linguaggio del corpo, le posture, i gesti, i movimenti che da soli raccontano, la musica che avvolge e coinvolge, il linguaggio delle luci che creano atmosfere dense di poesia ed emozioni. La parola non è sola al centro della scena, altre discipline contribuiscono a creare il pathos ed esaltare la cifra epica della tragedia. Nell’Antigone l’azione scenica è caratterizzata da contrasti violenti di caratteri. Il coro è composto da un gruppo di attori che indossano una maschera e disvelano il volto solo quando interpretano diversi personaggi dell’opera. Gruppi che si compongono e ricompongono interpretando il testo con gestualità spiccatamente marionettistica. In altre parole il coro non ha, come nella tradizione, una funzione prettamente liturgica. La tragedia mette l’accento sul contrasto generazionale. Antigone, Ismene e lo stesso Emone sono contro Creonte (bene interpretato da Marco Sgrosso), che rappresenta la superbia, l’arroganza, la ferocia, l’ottusità del potere. La materia del dissidio è un gesto religioso, anche se in questa rappresentazione il senso del sacro è marginale. Antigone (la bravissima Elena Bucci), invocando la legge divina, vuole dare sepoltura al corpo del fratello Polinice caduto combattendo contro la patria. Ma Creonte, che lo considera un traditore si oppone a questo atto di pietà imponendo la sua legge malgrado il veggente Tiresia (che rappresenta la coscienza critica) gli predica la morte del figlio e della moglie. Ma Antigone non cede di fronte al compromesso e sacrifica la propria vita per amore di giustizia, di libertà e di pace. Si può dire che Antigone è la metafora della condizione della donna (oggi come ieri) nel mondo. La scenografia affida a un gruppo di sedie una specifica funzione. Ogni cambio di scena viene fatto semplicemente dislocando le sedie da una parte all’altra del palcoscenico. Grazie alla superba regia di Elena Bucci e Marco Sgrosso il meccanismo teatrale gira alla perfezione, i tempi e i ritmi degli attori sono sempre puntuali. Oltre a Elena Bucci e Marco Sgrosso ricordiamo Daniela Alfonso, Maurizio Cardillo, Nicoletta Fabbri, Filippo Pagotto e Gabriele Paolocà. Alla fine dello spettacolo gli applausi del numeroso pubblico sono calorosissimi con numerose chiamate degli attori alla ribalta. Maurizio Carra Teatroteatro.it Cristina Fortisi Antigone ovvero una strategia del rito Regia di Elena Bucci Al teatro Don Bosco di Rivoli dal 26.01.2012 al 26.01.2012 Quando si riaccendono le luci, un “Bravi!” si leva spontaneo e immediato dal pubblico, sostenuto da lunghi applausi. Antigone ovvero strategia di un rito, della compagnia Le Belle Bandiere, è uno spettacolo che ha molti punti di forza. Conquista da subito, fin dalla scena iniziale, quando il coro comincia a raccontare la storia di Laio e di suo figlio Edipo: come l'oracolo aveva predetto, Edipo uccise il padre e siglò nozze incestuose con la madre. I figli nati dall'unione contaminata furono maledetti e destinati a contendersi il potere sul regno di Tebe; Eteocle e Polinice, fratelli, si ritrovano infine uno di fronte all'altro come nemici. Si scontrano, si sconfiggono, si uccidono. Al coro spetta il compito di raccontare l'antefatto della vicenda che oppone Antigone e Creonte in nome di leggi che “non sono d'oggi né di ieri ma da sempre vivono”. Alle spalle della scena e di fronte, si immaginano il palazzo reale e la pianura: cinque personaggi in tutto danno vita al coro, le maschere sul viso. I costumi di Nomadea e Marta Benini li collocano in un'epoca non ben precisata e li avvicinano ad un gruppo di artisti girovaghi, provenienti o diretti chissà dove. Anche se indossano pesanti giacconi con colli di pelliccia e giacche di velluto, cappelli a cilindro o a bombetta, la regia di Elena Bucci e Marco Sgrosso affida loro strumenti della narrazione squisitamente tragici, attingendo alla perfetta commistione tra parole e gesti, tra suoni e una musicalità ricercata anche attraverso la parlata dialettale. Se Elena Bucci è una Antigone ribelle e passionale, travolta dall'amore per il fratello, un sentimento per la verità di sentore vagamente incestuoso anche questo, al punto che a tratti si muove e danza come costretta, ingabbiata in ciò che deve assolutamente fare, Marco Sgrosso è un Creonte di nero vestito, le mani nascoste dalle lunghe maniche, tutto legge e diritto. Gli altri interpreti emergono di volta in volta come partoriti dal coro: togliersi la maschera muta la condizione e segna il passaggio dal coro al personaggio. Ed ancora Ismene, di verde vestita, non altrettanto coraggiosa come la sorella; e poi la guardia che consegna soddisfatta la colpevole; e poi Emone, il figlio innamorato e anche lui ribelle al padre; e infine Tiresia, l'indovino che, oltre la vista che non ha, scorge la finale sciagura. L'accostamento organico e combinato di testo drammaturgico, interpretazione, drammaturgia sonora e disegno luci è in realtà la cornice strutturale ideata da un piano di regia chiaro, preciso e ben congegnato. Cristina Fortisi Niù odeon Antonella Vercesi Elena Bucci è: Antigone – ovvero una strategia del rito. La scena si apre con un immaginario gotico – post punk che subito conquista sguardi e attenzione del pubblico più giovane in sala. C’è un simbolo al centro della scena, il punto di equilibrio tra i due poli. Le luci e gli attori, ci fanno già percepire l’incomunicabilità tra i personaggi monumentali. Relazioni in perenne conflitto. L’amore e la morte. L’aspetto etico e politico. Chi ascolta e chi parla da solo. Al Teatro Carcano fino al 5 febbraio poi in tournée tra Cervia, Lecco e Pesaro, l’Antigone di Elena Bucci è incandescente. L’attrice ci parla attraverso un corpo che si fa sabbia, sangue e vento. Anche se immobile questa materia pulsa la vita. Quando prende la parola, gli afflati di Antigone, firmati dal linguaggio di Sofocle capace di attraversare il tempo e le mode con semplice poesia, sono i segni vibranti della ribellione. Antigone è una giovane donna; si è impotenti di fronte alla sua sorte. La nostra è un’ empatia proporzionale al distacco che si prova da adulti di fronte ai più giovani. Loro, animati da principi e volontà senza limite sono in opposizione rispetto ai saggi con esperienza che li osservano da lontano; perché questi ultimi non si ricordano più le gesta eroiche che caratterizzano la giovinezza. La ragazza è spinta da quella forza brutale e istintiva che si conosce solo negli anni dell’adolescenza. Non si arresta di fronte a niente. Nemmeno la paura può fermarla. La paura della morte o di un tiranno disposto a tutto pur di non sentire pensieri indipendenti dai suoi. La compagnia “Le belle bandiere” non vuole parlare di masochismo o atti autolesionisti, ma è stata spinta dalla necessità di comunicare tramite un fuoco, quello dei temi attuali, in uno spazio dove fosse possibile fondere la comunità attraverso il rito. Il testo è decisamente attuale, in opposizione con la morìa di pensiero riguardo al futuro che attanaglia le giovani generazioni in questo tempo presente. Marco Sgrosso ed Elena Bucci, attori e forse anche allievi prediletti, del nucleo storico di Leo De Berardinis, vestono i panni di Creonte, l’impietoso re di Tebe e Antigone, eroina leggendaria, colei che si sacrifica in nome di un ideale. Una convinzione resa concreta dalla morte del fratello Polinice a cui Creonte non vuole dare degna sepoltura, lo considera un insorto contro la propria terra. L’antefatto è il seguente: i figli di Edipo ereditano la maledizione del padre. I due maschi sono in perenne conflitto per il potere. Eteocle esilia il fratello Polinice ad Argo, il quale tornato a Tebe dichiara guerra. I due si uccidono. Antigone pretende che ai fratelli sia riservato lo stesso trattamento. Trasgredisce le regole e cerca di dare una degna sepoltura al sangue del suo sangue. Per questo motivo sarà condannata a morte, rinchiusa in una tomba da viva. Intorno ai due protagonisti si muove il corifeo . Gli attori saltano da un piano all’altro – il coro diventa testimone – popolo impaurito – osservatore maligno – ciascun interprete prende la forma di personaggio in maschera e poi se ne libera. Le rovine di una città antica costruita e distrutta intorno a semplici sedie sono tagliate da lampi di luce, che raccontano, amalgamandosi all’intera opera. A volte si distinguono in modo feroce altre caldo e protettivo. Il gruppo decide di dedicare la prima a Maurizio Viani – poeta della luce scomparso il 25 gennaio a Reggio Emilia. Faceva parte della loro tribù. Aveva firmato numerosi progetti insieme alle Belle Bandiere, l’ultimo, l’Antigone. Antonella Vercesi Krapp’s Last Post Mattia Visani Antigone e la strategia del rito. La tragedia secondo Bucci e Sgrosso GIOVEDÌ 09 FEBBRAIO 2012 10:53 MATTIA VISANI Le Belle Bandiere sono nate nel 1992 in seno al gruppo storico del Teatro di Leo, diretto da Leo de Berardinis. Ai fondatori della compagnia Elena Bucci e Marco Sgrosso, da anni sotto i riflettori, si deve aggiungere oggi anche Maurizio Cardillo, di cui troppo poco si è sentito parlare. Il duo ormai è diventato un trio, capace di adattarsi perfettamente al sistema di ruoli della prosa classica e sostenerne il repertorio. Insieme a loro, un gruppo di giovani attori e tecnici, con piena adesione al progetto artistico della compagnia, cerca di costruire qualcosa di importante. Dopo Shakespeare, Ibsen, Brecht e Goldoni, Bucci e Sgrosso affrontano per la prima volta in termini autonomi la tragedia antica. La radice di questo confronto, infatti, deve essere cercata nel cuore della poetica del loro maestro de Berardinis, nella sua riflessione sul “teatro popolare di ricerca”, dove definiva “popolare” proprio la tragedia greca, negli spettacoli “Quintett” e “Come una rivista”, rispettivamente del 1988 e del 1999. Proprio in “Come una rivista”, Sgrosso aveva affrontato il ruolo di Creonte, che incarna nuovamente in questo allestimento disegnando una figura ieratica e fortemente evocativa. È l’interpretazione più originale e convincente che appartenga alla nostra breve memoria. Il suo abito scuro, lungo fino ai piedi, colpisce per l’ampiezza delle maniche, che coprono le mani del sovrano fino a farle scomparire. La maschera dorata che indossa al suo ingresso in scena evoca le vestigia funebri di Agamennone a immagine del potere. Alla figura simbolica del sovrano fa da contraltare Antigone, ribelle alle leggi dello stato, che decide per pietà umana di concedere degna sepoltura al cadavere del fratello Polinice, gesto che un editto di Creonte aveva espressamente vietato, pena la morte. Elena Bucci, nei panni di Antigone, veste un abito nero e un “chiodo”, simbolo della ribellione giovanile. Se a questo livello il contrasto è fin troppo esibito, tutt’altro avviene sul piano dell’esecuzione. La Bucci riesce a dare sostanza alla materia profonda della tragedia sofoclea, costruendo momenti di limpida, autentica, comunicazione. Riesce a “commuovere”. Il testo di Sofocle è ridotto all’osso e l’elaborazione drammaturgica ne conserva lo schema, “la strategia”. Su questa struttura si innestano i contenuti più altamente poetici dell’opera, rimasti pressoché inalterati. Il compito di portare avanti il racconto è consegnato al coro, dove tutti gli attori indossano la maschera. Una voce indistinta e funerea mescola la lingua italiana a quella dialettale, sapientemente orchestrata da Cardillo in veste di corifeo. Da questa articolata e “pastrocchiata” composizione si staccano in forma di assolo le altre figure del racconto, che conquistano lentamente spazio e identità: Ismene, Emone, una guardia, Tiresia. Uno spettacolo da guardare con attenzione. Per l’ultima volta citiamo le luci di Maurizio Viani, capaci di “illuminare” la sostanza del teatro. “Il sole” di Leo è tramontato. informazioni e contatti CTB – Centro Teatrale Bresciano Contrada delle Bassiche, 32 25122 Brescia tel. (+39) 030.2928602- fax (+39) 030.293181 Francesca Daldossi [email protected] www.ctbteatrostabile.it LE BELLE BANDIERE Via Faentina Nord 4/1 48026 Russi (Ravenna) tel. + 39 393 9535376 [email protected] www.lebellebandiere.it