Parliamo di ernia iatale Il sistema immunitario

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15
gennaio2003
CHIRURGIA
Parliamo di ernia iatale
Nel prossimo incontro esamineremo la diagnosi, la prognosi e la terapia
Si sente spesso parlare di ernia iatale soprattutto in seguito alla
sempre maggior diffusione della
gastroscopia e del “digerente per
os”, una indagine radiologica
classica eseguita con l’ausilio di
un mezzo di contrasto che viene
fatto ingerire al paziente al momento opportuno.
Spesso rappresenta un reperto
collaterale non degno di nota e
asintomatico, emerso nel corso di
questi accertamenti, altre volte
viene invece specificatamente ricercato proprio in base alla particolare sintomatologia riferita dal
paziente. Il termine ernia iatale
indica una dislocazione intratoracica di una porzione dello stomaco attraverso lo iato esofageo del
diaframma. Il muscolo diaframma separa infatti la cavità addominale dalla gabbia toracica e necessariamente deve lasciarsi attraversare da alcune strutture
come per esempio i grossi vasi o
appunto l’esofago. Questi “fori”
vengono definiti iati e i propri bordi sono costituiti da fibre muscolari e connettivali che con il tempo, in certi soggetti e in determinate condizioni, possono andare
incontro ad un processo di sfiancamento così da far diventare lo
iato più largo e beante. È da questo presupposto che origina
l’ernia iatale.
Tre sono fondamentalmente i tipi
di ernia iatale.
L’ernia da scivolamento è la
più comune e rappresenta il
90-95% dei casi di ernia iatale; è
caratterizzata dallo scivolamento
del cardias nel torace pur conservando l’esofago una lunghezza
normale. La sua presenza è spesso intermittente, in parte o del tutto riducibile e può essere evocata
con i cambiamenti di postura o
con l’aumento della pressione addominale. La frequenza nella popolazione non è ben definibile in
quanto si tratta di una diagnosi radiologica e perciò la sua incidenza sarà tanto più elevata quanto
più il radiologo la ricerca. Basta
ricordare che con specifiche manovre come la variazione del decubito o la compressione addominale, si può riuscire a dimostrare
una piccola ernia iatale da scivolamento nel 50-80% dei soggetti studiati. La frequenza globale di tale
affezione nel mondo occidentale
si attesta comunque intorno al
5-10% della popolazione. L’età
maggiormente colpita è la medio
alta con massima incidenza a partire dalla 5a decade di vita e incide maggiormente nelle donne.
Nel caso invece dell’ernia paraesofagea si assiste alla formazione
di una sacca gastrica toracica che
si insinua nello iato lateralmente
all’esofago. La porzione gastrica
erniata è solitamente rappresentata dal fondo dello stomaco (cioè
la zona più alta). La differenza di
pressione tra addome e torace fa
sì che con il tempo questa ernia si
ingrandisca sempre di più determinando un allargamento dello
iato, condizionando anche la risalita della giunzione esofago-gastrica e dando vita ad una ernia
mista. Addirittura nei casi più
avanzati nell’ampio sacco erniario possono finire altri organi
come il colon, il piccolo intestino
e la milza. La frequenza di questa
varietà è comunque bassa (5-10%)
anche se può essere responsabile
di importanti manifestazioni sintomatologiche e di complicanze.
Infine, estremamente rara, ma
per completezza da menzionare,
va ricordata l’ernia da brachiesofago legata ad una congenita
brevità dell’esofago per cui parte
dello stomaco è sin dalla nascita
stirata all’interno del torace.
In linea di massima l’ernia itale è
sicuramente favorita da aumenti
della pressione endoaddominale;
potrebbe quindi essere influenzata ad esempio da gravidanze multiple, dall’obesità, dai busti, dalla
cifoscoliosi. Per certi versi è stato
tirato in causa anche il consumo
di una dieta raffinata e poco ricca
di scorie con formazione di feci
dure che condizionerebbero un
aumento della pressione endoaddominale durante l’evacuazione.
È comunque vero che la grande
maggioranza dei pazienti con ernia iatale sono asintomatici. Certi
soggetti lamentano pirosi dopo
un eccesso alimentare o una sensazione di ingombro epigastrico
postprandiale o di “intrappolamento d’aria” o di temporaneo
impattamento di bolo alimentare
a livello dell’esofago distale. Da
non trascurare la possibilità di
sindromi dolorose toraciche anginoidi e di disturbi del ritmo cardiaco causati da stimoli vagali
con spasmi coronarici riflessi a
stiramenti diaframmatici, a compressione diretta da parte di grosse ernie che subiscono una improvvisa distensione. Ben diverso è il discorso quando invece
all’ernia iatale si associa la presenza di una esofagite per reflusso gastroesofageo patologico. Si
tratta di una evenienza non trascurabile se si pensa che il 32%
dei soggetti con esofagite presenta un’ernia iatale e che il 20% circa
dei pazienti con ernia iatale sviluppa una esofagite. In questo
caso compariranno il bruciore retrosternale, un eventuale rigurgito, la scialorrea, la disfagia e raramente, l’odinofagia (dolore alla
deglutizione). Nelle ernie
paraesofagee è invece raro il reflusso gastroesofageo in quanto
la giunzione gastroesofagea non
subisce variazioni, mentre invece
sono più temibili i problemi di ordine meccanico come la disfagia
da compressione esofagea. Altre
complicanze degne di nota sono
le emorragie che solo raramente
possono essere così gravi da dare
ematemesi o melena. Sicuramente più probabili e meno pericolosi
gli stillicidi con conseguente anemia sideropenica microcitica da
aree di ulcerazione gastrica o di
semplice congestione flogistica della mucosa. Nelle ernie di grosse dimensioni si può verificare il volvolo,
che si produce per rotazione dello
stomaco lungo l’asse longitudinale:
è una situazione che può comportare gravi alterazioni vascolari e
l’ostruzione completa di una porzione gastrica con drammatica sintomatologia dolorosa toracica da sovradistensione che può sfociare
nell’infarto del viscere con perforazione, mediastinite e peritonite.
Nel prossimo incontro completeremo l’argomento esaminando la diagnosi, la prognosi e la terapia
dell’ernia iatale.
Vi ricordo infine che il problema di
uno può essere quello di molti e in
questo senso invito i lettori a suggerire gli argomenti che desiderano
trattare in modo da creare un filo diretto che possa essere il più proficuo possibile.
dott. Marco Marranci
medico chirurgo
specialista in chirurgia
dell’apparato digerente
ed endoscopia chirurgica digestiva
e-mail: [email protected]
informazioni presso la redazione:
tel. 055340811
e-mail: [email protected]
CHIRURGIAPLASTICA
Non sempre
si tratta di bellezza...
Il melanoma è un tumore maligno della pelle che può
insorgere su un neo presente da tempo (anche dalla nascita)
o su una zona di pelle normale. Per la sua elevata tendenza
invasiva, è responsabile della maggior parte dei decessi dovuti
a tumori cutanei.
Studi statistici sulla popolazione dimostrano un costante
aumento dell’incidenza del tumore negli individui di pelle
bianca (l’incidenza di melanoma è aumentata del 600% negli
ultimi 15 anni). Colpisce persone di ogni età, di entrambi i
sessi.
Nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione,
accade ancora troppo spesso che il dermatologo ed il
chirurgo si trovino a dover osservare casi di melanoma in
stadio avanzato. Quindi nei confronti del melanoma, come
verso tutti i tumori maligni, l’unico vero approccio terapeutico
consiste nella prevenzione e nella diagnosi precoce. Il
melanoma si può infatti considerare l’esempio più chiaro di
neoplasia maligna nella quale un precoce trattamento
costituisce la chiave per la sopravvivenza.
Se diagnosticato, quando le cellule maligne sono localizzate
soltanto all’epidermide, il melanoma cutaneo può essere
asportato e definitivamente guarito in quasi il 100% dei casi;
quando invece la neoplasia si è estesa ai linfonodi regionali, le
possibilità di sopravvivenza a cinque anni si riducono al 30%.
Le note che seguono rappresentano uno strumento di
educazione sanitaria per informare i pazienti, per riconoscere
i soggetti ad alto rischio e sottolineare le misure di
prevenzione. Vogliono sensibilizzare la popolazione
sull’importanza di un autoesame regolare, sulla necessità di
chiedere spontaneamente al dermatologo un esame
periodico della cute.
Una lesione scura della pelle si valuta ricordando le prime 5
lettere dell’alfabeto: A B C D E.
n A come Asimmetria: una forma irregolare, con una
metà della lesione diversa dall’altra, depone per un neo
atipico;
n B come Bordi: se i bordi sono frastagliati, irregolari, con
un aspetto a carta geografica, la lesione deve essere
valutata da uno specialista;
n C come Colore: se il neo presenta un colore molto
scuro o non uniforme e/o se sono comparse modifiche
anche minime, la lesione deve essere adeguatamente
OMEOPATIAOMOTOSSICOLOGIA
Il sistema immunitario
Ricordiamoci che psiche e corpo fisico sono nostri alleati (2ª parte)
Come abbiamo avuto modo di osservare, il sistema immunitario
del corpo umano è composto da
molti organi e tessuti che hanno
un’attività perfettamente sincronizzata. Ma si è accennato inoltre
al fatto che anche la psiche, in realtà, può avere un’influenza sulla
nostra immunità. Le scoperte relativamente recenti in campo medico hanno portato a coniare una
sigla che faremo bene ad imparare: P.N.E.I. Cosa significa? P sta
per psiche, N sta per neurologico,
E sta per endocrino (ormonale), I
sta per immunitario. In pratica,
q u e s ti
quattr o
sistemi
dell’organismo si influenzano vicendevolmente: è sufficiente che
uno di questi si alteri, o funzioni
non correttamente, per provocare una reazione a catena sugli altri. Facciamo qualche esempio
per chiarirci le idee: molto frequentemente capita di osservare
che donne che assumono per lungo tempo la pillola estro-progestinica, si ammalino di candidosi vaginale. In questo caso la E di
PNEI (endocrino, ormonale) si è
alterata (assunzione di ormoni) e
ha provocato un abbassamento
delle difese immunitarie (la I di
PNEI), per cui si può avere
un’infezione fungina.
Altro esempio: uno stress prolungato nel tempo (mesi o anni), oppure uno stress iperacuto, può
scatenare l’insorgenza di una malattia autoimmune come la colite
ulcerosa, oppure l’artrite, ecc. In
questo caso la P (psiche) della
PNEI ha comportato una alterazione della I (immunità). Quest’ultima evenienza è quella che
accade con una frequenza elevatissima in campo medico; dobbiamo necessariamente far mente
locale su questo fatto. Le nostre
emozioni, i nostri conflitti biologici possono creare delle vere e
proprie malattie fisiche! Ma può
avvenire anche il contrario: alcune malattie croniche e invalidanti
possono creare nei pazienti situazioni pesanti da un punto di vista
psicologico ed emozionale. Per
esempio, una artrite cronica (autoimmunità) può, nel tempo, indurre nella persona uno stato depressivo (psiche): la I che a sua
volta altera la P della PNEI. Altro
esempio: vaccinazione o virus
che provoca un quadro encefalitico. In questo caso, la I (perturbazione immunitaria provocata dal
vaccino o da un virus) altera il sistema neurologico (la N della
PNEI). Tutti questi dati, peraltro
ormai confermati da numerose
pubblicazioni internazionali,
sono importanti perché ci fanno
capire che il nostro organismo è
un “sistema aperto” e dobbiamo
fare in modo che sia il più possibile equilibrato e “pulito” per poter
rispondere in modo corretto alle
perturbazioni quotidiane sia di
tipo fisico, ma soprattutto di tipo
psicoemotivo. Una alimentazione
biologica, che ESCLUDA il più
possibile cibi conservati, surgelati, non freschi, una attività fisica
blanda ma costante, un drenaggio periodico che consenta di
mantenere i nostri organi filtro in
buone condizioni, metodi non
chimici che permettano di riequilibrare le nostre emozioni ed un
sistema immunitario in buono
stato sono i presupposti di una
buona salute. È chiaro che tutto
questo, al giorno d’oggi, è molto
difficile, ma non è impossibile!
Intanto, cominciamo con il prendere coscienza che la nostra psiche PUO’ provocare dei sintomi,
delle malattie: molte volte questa
presa di coscienza è già di per sé
un atto terapeutico. Ricordiamoci, inoltre, che la psiche e il corpo
fisico sono comunque nostri alleati: se ci mandano sintomi, dobbiamo ascoltarli e soprattutto interpretarli correttamente. Forse,
essi ci stanno dicendo che dobbiamo modificare qualcosa nel
nostro stile di vita.
Ritornando al sistema immunitario, c’è oggi la possibilità di valutare il suo stato (o, per meglio
dire, una parte del suo stato) attraverso uno screening semplice
per il paziente: esiste un esame del
sangue che si chiama tipizzazione
linfocitaria. Questa è una indagine
che, se ben effettuata, consente di
valutare in maniera piuttosto precisa lo stato della nostra immunità
cellulo-mediata (mediata appunto
dai linfociti). In passato (ma molto
in passato!) si riteneva che questo
esame fosse utile solo a certe categorie di pazienti immunodepressi
(HIV, neoplasie maligne): in realtà,
grazie a studi effettuati da medici
francesi e del Belgio, la tipizzazione linfocitaria è da considerare una
sorta di “istantanea” delle difese
immunitarie ed è assolutamente
indispensabile per il medico che
voglia conoscere l’impatto di una
malattia (per esempio virale, o autoimmune) sul sistema immunitario e agire di conseguenza. Ci tengo a ricordare che l’omeopatia
oggi ha a disposizione dei prodotti
immunomodulanti molto efficaci,
la cui attività può essere monitorizzata nel tempo proprio con questo
esame del sangue.
Siamo, comunque, ancora molto
lontani dall’aver compreso le funzioni biologiche del corpo umano,
ma se riusciamo a muovere i primi
passi senza preconcetti, sono sicuro che potremo comprendere meglio certe malattie ancora oggi difficilmente curabili.
dott. Danilo Vaccai
medico-chirurgo
omeopata-omotossicologo
specialista in reumatologia
Gli interessati a maggiori informazioni
possono rivolgersi alla nostra redazione
il lunedì e il martedì tel. 055340811,
fax 055340814
e-mail: [email protected]
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monitorizzata;
D come Dimensione: se il neo ha un diametro
superiore a 6 millimetri o se ha avuto un aumento di
dimensione negli ultimi mesi, dovete rivolgervi allo
specialista;
n E come Evoluzione o Emorragia: se il neo ha
modificato il suo aspetto iniziale o se ha sanguinato
spontaneamente senza traumi, la lesione deve essere
controllata dal dermatologo
Un grande passo in avanti per l’individuazione di lesioni a
rischio è stato compiuto con l’avvento di una nuova metodica
diagnostica chiamata dermatoscopia che, se usata
correttamente, aumenta del 30% la capacità di diagnosi
precoce del melanoma rispetto alla sola visita clinica,
permettendo così di differenziare il melanoma sia dai nei che
da altri tumori cutanei benigni.
L’avvento della informatizzazione e dei software di gestione
dati in campo sanitario, ha poi consentito un altro passo in
avanti. È stato infatti ideato un Dermatoscopio Digitale
Computerizzato che consente di effettuare accurate
mappature dei nei
Il Dermatoscopio Digitale utilizza una fotocamera digitale o
una telecamera ad altissima risoluzione ottica collegata al
computer, con cui è possibile riportare sullo schermo
l’immagine clinica e dermatoscopica dei nei. L’esame è simile
ad una ecografia, semplice, rapido e indolore. Si esegue
appoggiando il dermatoscopio digitale sulla pelle del paziente
e visualizzando sullo schermo del computer la lesione
sospetta. La qualità delle immagini così ottenute è
elevatissima e ciò è fondamentale per una corretta
esecuzione della tecnica.
Il computer, dotato di un particolare software di gestione
dati, permette di creare una cartella clinica personalizzata ed
una mappa delle lesioni neviche.
n
dott. Vanni Giannotti
specialista in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica
C/o Medlight
Tel 055410180
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