VI Conversazione - Archiviabsentia

annuncio pubblicitario
VI Conversazione
12 novembre 2007
Incontro di filosofia e assenza.
Paolo Ferrari: A te la prima mossa. Il nostro cavaliere della tavola rotonda.
Luciano Eletti: Mi trovo più vicino al cavaliere di Bergman, che gioca a scacchi. Ricordo
che una delle cose più interessanti e anche stupefacenti, allorché ti conobbi x anni orsono,
era non solo l’attenzione a molteplici fatti culturali e storico-culturali ma come questi
riuscissero a intrecciarsi in modi inusuali, anche per chi venisse dall’accademia. Nel corso
degli anni abbiamo visto più volte come si siano presi per mano e intrecciati un’infinità di
temi della storia culturale dell’occidente e dell’oriente, tanto che per noi è diventata una
cosa normale, non ci facciamo più caso. Invece per me questo fatto richiederebbe un
inquadramento che non c’è mai stato, disegnare “in che modo” ciò sia avvenuto e ancora
avvenga. Allora io ponevo delle domande, non avevo curiosità: avevo delle necessità, delle
domande che richiedevano risposte. Storia, filosofia della cultura, filosofia della storia.
Tutti i temi che abbiamo dibattuto possono essere fatti rientrare in questi tre punti di vista
sul mondo culturale. Non è mai capitato però che tu dessi un quadro di questa fantastica - si
può dire - elaborazione culturale dal tuo punto di vista.
P:. Non so neanche se ne posso dare un quadro. Se esista in realtà questa possibilità o
necessità di un quadro.
L.: Mi chiedo, per chiarire, qual’è l’intenzionalità. Tu agisci con un metodo che ti
appartiene direttamente, e quindi non hai bisogno di rispondere a questa domanda. Per noi
2
altri, che agiamo in modo ordinario, è definibile un’intenzionalità con cui tu agisci e osservi
queste esperienze dell’umanità?
P.: Sì, in realtà me lo sto sempre più chiedendo. Come ho scritto adesso per l’introduzione
ai Seminari di quest’anno, circa la radicalità del pensiero. Osservando la storia del pensiero,
quindi la storia della filosofia, oppure la stessa letteratura - per certi versi sì, per certi versi
no -, la musica, la pittura, l’arte. Alcune di queste varie discipline si sono orientate verso
una radicalità. L’arte in un certo senso si è posta più radicalmente e ha detto: c’è il triangolo
nero sul fondo nero, e c’è nulla. Ha preso la forma, l’ha disgregata, ha prodotto una
destrutturazione del reale, ha prodotto la forma astratta. Poi ha preso anche questa forma
astratta, l’ha disfatta ulteriormente, ha prodotto l’Informale. All’interno di questo si è
sviluppato il Dada, che è senza fine per certi versi, e c’è la non importanza, il gioco al
limite, pur essendo un gioco serio. Nell’ambito del pensiero si è arrivati invece
all’affermazione “Dio è morto”. E’ come se fosse l’affermazione “il pensiero è morto”. Il
pensiero essendoci stato, fino a quel momento, in qualche modo con questa presenza di
dio, è finito. Mi sto chiedendo che cos’è questo ‘finito’, al di là del fatto che esiste
un’esperienza particolare mia che ho descritto in In morte assente, questa vicinanza tra
l’essere, il morire, il cessare, il cessare dell’essere. A mano a mano mi sto avvicinando di
più a quello che è il pensiero ordinario, la norma, che pure mi appartiene. E che mi è
sempre appartenuto, nel senso che vivo questo scoperchiamento del pensare, ma è tutto
normale. Non vivo in una landa dell’India, oppure nel Mali, non faccio lo sciamano, né il
mistico sulle montagne della Grecia o dell’Himalaya. Amo il pensiero, e quindi amo la
filosofia. Però il pensiero è morto. Con una certa immagine si può dire che il pensiero è
stato una grande marea, questa marea si è ritirata, si è formata tutta una riva asciutta, e
questa è stata presa da un altro evento che ho chiamato Assenza. Adesso sto cercando di
definire - ed è complicato – ma perciò siamo anche intorno a questo tavolo: cercare di
definire, di pensare attraverso il pensiero che cos’è questa assenza che non è più pensiero,
secondo quei termini in cui è stato pensato fino ad ora. E’ una radicalità del pensiero,
3
perchè il pensiero ha perso, si è arreso, è sconfitto, è svuotato, è morto. Perciò mi inserisco
in quell’idea del fatto dove il pensiero è morto. C’è un radicale scoperchiamento del
pensiero per cui il pensiero non può pensarsi come prima. In questo vengo dietro anche a te,
una volta mi aveva colpito un problema che avevi posto circa le Meditazioni cartesiane
affermando che Cartesio era arrivato fino a un certo punto a vedere davanti a sé il pensiero,
e a un certo punto si era ritratto, come spaventato ...
L.: L’aveva detto Husserl ...
P.: e non aveva portato fino alle estreme conseguenze questo pensiero, che cos’era,
dov’era, che cosa succedeva al di là di queste Meditazioni le quali mettono a posto il
pensiero, lo pongono in una certa condizione, lo pongono lì, lo guardano, siamo sul filo
dell’abisso, ma l’abisso è ancora distante.
L.: E’ quasi un tradimento di Giuda da parte di Cartesio. In quel momento si profilava
quello che Husserl aveva inteso come il problema trascendentale e che Cartesio utilizza
trasformandolo in un razionalismo. Il razionalismo classico dell’Occidente, la metafisica
razionale che arriva fino a Kant. Cioè, voltandolo contro se stesso. Quello che è incredibile
è che la filosofia cartesiana si basa su questo cogito, che sembra tutto il contrario di quello a
cui è arrivato Cartesio.
P.: E infatti ho preso questo pensiero, ho detto: “parliamo di questo cogito”. Non so se ne
parlo in maniera sufficientemente corretta secondo l’accademia. Questo cogito, io dico che
questo pensare non può essere nient’altro che autoreferenziale, si basa non solo su se stesso
ma si basa su uno scarto da sè. In un certo senso basandosi su questo scarto è già
precipitato nell’abisso e già pensa ad altro. Se non pensasse ad altro non potrebbe generare
pensiero, non potrebbe esserci il cogito. Il paradosso del pensiero è il fatto che il pensiero
pensa ad altro, pensando altro allora pensa se stesso. E da qui nasce la filosofia. Ma se non
ci fosse questo altro e quindi questo annullamento del pensiero, non ci sarebbe la filosofia.
Ma non ci sarebbe nulla del pensiero dell’Occidente. Quello che osservo è che manca
questo antecedente. E’ come se il pensiero fosse nato ad un certo punto, come se anche lì si
4
fossero messe le mani avanti. Ma anche come il timore di una disgregazione, perchè se
antecedi il pensiero entri in un processo disgregativo. E credo che la tragedia greca l’abbia
toccato in vari punti, questo farsi e disfarsi. Omero l’abbia toccato. E continuamente è
toccato e sollecitato questo farsi e disfarsi e questo mancare. In realtà io parlo di nientità, di
questo mancare, ma che sono degli oggetti particolari. Sono degli oggetti che il pensiero
non può pensare. Li chiamo oggetti perchè non posso chiamarli in altro modo perchè sto
comunque con il pensiero parlando di questo oggetto, che è questo oggetto reale che
continuiamo a generare. Se noi toccassimo questo oggetto in realtà, della realtà in realtà,
questo oggetto sparirebbe. Noi stessi siamo disposti a sparire. Ritornando alla storia di
questo pensare, questo pensare si è posto come finito, in questo finito è entrato un infinito,
ha perso il finito e l’infinito, ha perso il pensare. E cosa è successo? E’ successo che
avviene un alcunché. Avviene un evento il il quale evento non è un evento del tempo e non
può entrare nel tempo. Siamo di fronte a un’altra creazione. Perchè la creazione del mondo
occidentale – la creazione dei sette giorni - è una creazione del tempo. Questo tipo di
processo di creazione - o questo antecedente di creazione, ma che non è un crescere perchè nella parola creazione c’è il crescere -, è un antecedente del crescere, è un mancare
del crescere, è un mancamento del crescere. In questo è successo che questo pensiero di cui
parlo si è posto. Lo chiamo pensiero, in realtà dovrei chiamarlo continuamente assenza, è
assenza di pensiero, assenza di materia. Potrei dire altra materia. Potrei dire spostamento.
Dicevo in un antico aforisma che in realtà è un piccolissimo spostamento che dovrebbe
avvenire. Ma questo piccolissimo spostamento vuole dire incominciare da capo. Vuol dire
il fatto che il corpo nostro accetta di entrare in questo abisso, morire in questo abisso, il
cervello muore in questo abisso e incominciare da capo. L’intreccio di diverse discipline
che ho operato in questi anni, è proprio dato da questa vicenda strana, particolare, nel
senso che ... ce lo avevo nella mente ... si era formato l’intreccio e mi è scomparso
improvvisamente attraverso un altro pensiero che mi è entrato dentro, ma non so da dove ...
perchè quando parlo di questo pensiero, non so se i conviviali che stanno qui condividendo
5
si accorgono che mano a mano c’è una cessazione, c’è una diminutio di un qualche cosa,
avviene uno svanimento, svanisce qualche cosa di quello che era in precedenza questo
crescere che ognuno si porta appresso nel corpo e entrando qui dentro, entrando dentro a
questa condizione, perchè questo è un altro tipo di condizione. Allora, il problema è che
condizione, il pensiero cos’è? Allora per forza le diverse metodologie, il metodo
scientifico, il metodo filosofico, il metodo musicale, il metodo artistico, tutte queste varie
entità si devono mettere insieme per poter creare una specie di crogiuolo, di punto, di punto
dove si intrecciano, ovvero dove l’intreccio viene a mancare, e si forma un centro. Un
centro che è un centro mancato. Noi stiamo generando questo centro mancato per cui il
pensiero crea il suo mancamento stesso, questo centro, questa freccia che va all’infinito,
svanisce, e non è neanche più un infinito perchè buca l’orizzonte.
L.: Una forma di economia dell’assenza - nel libro, di cui non ricordo più neanche l’autore.
Che richiede appunto, ... la sparizione immediata non è possibile e non ha forse senso.
Richiede delle mediazioni. La storia della cultura serve a offrire un’economia a questa
azione in assenza, a questo giro in assenza. Si può dire una cosa del genere?
P.: Non ho capito, fai riferimento a che cosa?
L.: All’aspetto economico occidentale, gloria ed economia.
P.: All’economia?
L.: Come l’economia sia funzionale e necessaria alla gloria.
P.: Certamente. Ma questa gloria in realtà non è niente. Non è in realtà un oggetto. Tutte le
varie questioni della teologia producono dei non-oggetti. Questa gloria in realtà non è nulla.
E quindi economia ha alla sua base questo nihil. Il pensiero occidentale si porta appresso
questo nihil. Ex nihilo viene creato qualcosa. Io dico, come Nancy dice, perchè non ci sia
annichilimento questo nihil deve finire. Perchè è un nihil ancora troppo cosa. Perchè anche
questo nihil è come se avesse dentro ancora questo crescere, dico io, che poi è la creazione.
Qui ci sono una serie passaggi anche in Nancy sul pensiero finito molto interessanti. E’
scritto ‘pensiero finito’. Ci sono una serie di tematiche, ad esempio circa il fatto del senso.
6
Noi viviamo, abbiamo passato un secolo che si è interrogato sul senso. Ha superato il
senso. Il Novecento ha superato il senso. E adesso in che secolo siamo, in che millennio
siamo in questo mancato senso o in questa perdita di senso? Lo dobbiamo ricondurre a un
senso, ma allora storicamente torniamo indietro, ritorniamo a questo senso perduto? Oppure
tralasciamo il senso e ci indirizziamo verso il mancato senso, o il mancamento del senso? Si
può dire con Nancy che la libertà è libertà dal senso. E qui c’è una costruzione sulla
tematica della libertà di un certo tipo. La libertà come mancanza di senso è questo altro
elemento di limite. Perchè fino adesso la mancanza di senso ha prodotto un qualche cosa
che non si sa come manovrare, dove metterlo. Allora si sono prodotte delle costruzioni, a
esempio in campo artistico, nei termini dell’Informale; in campo musicale, con certe cose
di Cage. O questo sfuggire, o fuggire al senso, ma non generare il mancamento del senso. Il
pensiero fino adesso non si è permesso il fatto di generare una mancanza di senso. Deleuze
lo pone. Molta filosofia attuale ha posto questo problema, questo tema della mancanza di
senso, anche come libertà dal potere del senso. Però non ne conosco gli abissi. Non ne
conosco questo abisso del senso in cui c’è la morte del senso. C’è questa formula della
libertà, ma con che cosa va a parare, dove va a finire questa mancanza di senso, questa
libertà dal senso? Certamente apre nuovi orizzonti. Apre alla possibilità di un non controllo,
di un potere che non è più un potere verticistico. Apre anche alle tecnologie attuali, che
sono una rete, priva di senso, spesso. Questo ‘priva di senso’ a che cosa porta, porta a
morte del senso, alterità del senso? A quale oggetto? Dobbiamo tornare all’oggetto
precedente? Dobbiamo ancora generare realtà oppure la realtà ha perso di senso e non
genera più nulla, se non il suo mancamento di realtà?
Assenza è tutto questo. E nello stesso tempo assenza è anche aprire a questo abisso, a
questo mancamento che - ritornando agli intrecci fra le varie scienze - porta fuori
l’evoluzione. E dice all’evoluzione: te la senti di entrare in campo di assenza? te la senti di
mancare? te la senti di generare un mancamento? te la senti di cessare, di morire? E quindi
di entrare dove l’evoluzione si è continuamente spostata? Te la senti di entrare dove i
7
dinosauri hanno cessato di esistere? E con questa cessazione è nato qualche cosa che ha
avuto più senso ma di cui prima non si sapeva assolutamente nulla. La nascita del cervello
non era prevedibile. Con questa mancanza o questa assenza non sappiamo che cosa si possa
generare. Però sembra implicito in questo tipo di cervello che noi abbiamo che questo possa
passare. Nel discorso che stiamo facendo, sembra che alla base ci sia la sua stessa fine, la
sua stessa assenza. Questa assenza è pensiero di questo cervello? E’ pensiero di un cervello
che non ha mai parlato? E’ pensiero di una qualche altra entità, attività corporale che non è
mai esistita, oppure che esiste ma che non si fa vedere? E’ cessazione del mondo, è
apocalisse? E’ comunque scoperchiamento. In questo scoperchiamento i vari generi si
devono intrecciare. Anche se questo mi dispiace, perchè mi piacerebbe essere più purista.
Distillare il sapere. Come quando faccio il musicista faccio il musicista, quando faccio il
pensatore mi piacerebbe distillare il pensiero in termini puramente filosofici. Però non
credo che si possa. Nello stesso tempo ci tento, provo nelle varie discipline a stare dentro a
quella disciplina, e parlare nel contesto di quella disciplina, anche se però, probabilmente,
non ne ho gli strumenti. Ma anche perchè dati quegli strumenti non avrei potuto passare in
questo finire del tempo, finire del pensiero.
L.: E’ probabile. Però da un punto di vista storico, anche l’aspetto dell’interazione,
l’attività dalla quale viene il senso filosofico degli uomini, che gli uomini di volta in volta
si sono costruiti, ... Per cui dall’intersezione tra i vari ambiti culturali che gli uomini hanno
distinto per autonomia ideale, c’è poi il mondo in cui gli uomini sono immersi e agiscono, e
agiscono con queste idee che storicamente si sono costruiti. Mi sembra che l’umanità che si
trova in questi frangenti potrebbe dar più ascolto al cardinale della favola dostoevskijana, il
Grande Inquisitore a cui Gesù non risponde. Il Grande Inquisitore domanda “Ma perchè sei
tornato? Gli uomini hanno bisogno di una risposta, di un senso. Tu credi di far il loro bene,
e in realtà fai loro male”. Gesù non risponde, perchè non può rispondere a questa domanda.
Salvo baciarlo alla fine.
P.: C’è un libricino intitolato Gesù perchè non rispondi? fatto da Cacciari ...
8
L.: Al di là dei rapporti che possono esserci tra ciò che viene creato, inventato, strutturato,
... strumenti ideali con cui leggere il mondo, perchè è ancora questo in realtà il tentativo. La
cosa implicita è che ci sia una leggibilità del mondo. Nell’ambito della storia,
dell’economia della storia, della storia che fa l’economia, degli uomini che pensano e che
dall’altro lato non pensano, oppure pensano in modo riduttivo – questa fascia della storia,
che poi fa parte a pieno titolo della storia della cultura: è storia della cultura l’interazione
tra fatto pratico e fatto ideale, interazione addirittura brutale per cui l’uomo deve fare i
conti con se stesso e con l’animalità altrui. Con l’animalità propria biologica, che ha delle
richieste, se non delle pretese. Tu hai mai portato un’indagine “storica” su questo mondo
economico intermedio? Indubbiamente sì. Ma come punto di vista strutturato, come una
ritmica, come l’uso di un obbiettivo particolare per mettere in luce questi fattori
dell’economia del senso, della dialettica della gloria che necessita all’economia, cui
l’economia tende ancora?
P.: In che modo? In realtà non ci ho mai pensato. Ci ho pensato indirettamente attraverso il
pensiero degli altri. Anche perchè non mi sono mai occupato di una tematica direttamente
economica. So che in tutto questo di cui stiamo parlando c’entra il corpo. Ma il corpo che è
diventato assente. In questo pensiero che finisce, finisce anche il desiderio del corpo.
L.: In senso quasi paolino ...
P.: Finisce il desiderio, ma questo è quasi al confine. Non che questo diventi un corpo
insensibile, anzi. Diventa un corpo estremamente sensibile, ma con una sensibilità di altri
sensi. Adesso un po’ meno. Quello che dicevo mesi fa, anni fa, come se il corpo avesse
superato l’elemento della sensibilità, e sia un corpo direttamente appercettivo. O addirittura
un corpo che è diventato pensiero. Perciò l’attività del corpo non passa attraverso queste
gradazioni, queste categorie, e quindi l’economia deve cambiare in quanto il corpo diventa
pensante. L’azione di questo assentarsi della materia del corpo implica il fatto che il corpo
sappia pensare. Ma ‘sappia pensare’ vuol dire che, riprendendo quello che dicevo prima,
che ad esempio non ha più bisogno di assumere il potere, non ha bisogno di assumere un
9
controllo. La sensibilità è rovesciata, per cui è una a-sensibilità. E questa a-sensibilità
permette il pensiero che si fa, il pensiero del gusto. E quindi entra nelle varie discipline del
corpo ponendo quello che invece è l’ultimo punto di arrivo solitamente nel corpo umano. E
questo è un corpo post-umano. Il quale ha probabilmente, come tu mi suggerisci,
un’economia post-umana. Ma che riconosce l’altro parimenti a se stesso. Per cui non esiste
il problema della competizione, che è implicito invece nell’economia occidentale. Alla base
di questo, in questo tipo di corpo che è un corpo economico nel nuovo tipo di economia molto probabilmente è il corpo glorioso, quello che è stato detto il corpo glorioso - c’è un
mancamento continuo, che è un sabbatismo all’ennesima potenza. Ma che permette il fatto
che il corpo degli altri, gli altri corpi possano stare. C’è una diminutio di quel corpo che ha
all’interno quel crescere che non fa stare altri corpi. Dico adesso, il creor, crescere della
creazione divina è quello che impedisce altre crescite. Questo è quello che permette altre
crescite. Permette queste altre crescite persino sul proprio corpo. Quello che è, in tale
ambito, il fatto della sottrazione di questo corpo, il fatto della sottrazione di quel pensiero
che si genera da questo essere, da questo ex nihilo che permette questa crescita, permette il
fatto che ci sia un ribaltamento. E in questo ribaltamento gli uomini possono stare, perchè
non c’è più uomo contro uomo, o uomo – lupo. Perchè non c’entra più l’elemento ferino,
l’elemento animale. Perchè c’è stato un ribaltamento. Non c’è più un pensiero che deve
agire opponendosi o componendosi con la corporeità. Perchè la corporeità è assunta nel
pensiero, il quale pensiero è anche pensiero-corpo. Ma è un pensiero-corpo nella
sottrazione. In sottrazione il pensiero e il corpo si autopensano, si autoorganizzano. E
autoorganizzano tutto l’ambito di un ambiente, il quale ambiente non è generato in concreto
ma è generato questo concreto che continua a essere rovesciato. Questo rovesciamento
impedisce qualsiasi tipo di competizione, uccisione, assassinio.
L.: Dal lato del corpo glorioso. Quindi possiamo dare per assodato che questa
trasformazione non possa essere contemporanea in maniera uniforme, non possa essere
continua neppure nella stessa persona. Questa produzione di questo nulla non oggettivato,
10
di questo corpo non animale, non pensi che mentre ciò si attua che questo manchi di una
competizione, di un rapporto direzionale verso l’altro, così come avviene nell’economia in
senso lato nel mondo occidentale? Non pensi che mentre ciò si forma, l’uomo ordinario
possa provare al contrario aggressività verso ciò che si sta producendo in termini gloriosi?
P.: Penso di sì.
L.: Questo è un altro problema economico.
P.: Ma non solo in termini di aggressività. Ipotizzo il fatto che se tolgo il terreno all’umano
corpo, questo corpo tende a ribellarsi. Se avviene questa trasfigurazione o questa
trasformazione del corpo, l’evoluzione tende a ribellarsi.
L.: Quindi è un rischio serio.
P.: Ma anche un rischio in generale. Questo pensiero comunque è nato, comunque è questo
altro corpo. Questo non so che cosa all’interno di un processo complesso, o a-complesso,
non so che cosa comporti.
L.: ... sembra occorrere una mediazione, un’attività di mediazione.
P.: D’altra parte una mediazione è quella per cui stiamo parlando. Io faccio continuamente
mediazioni relativamente a questo pensiero mancato, da quando avevo diciott’anni.
Continuo a mediare. E vedi che facciamo introduzioni, introduzioni, introduzioni.
Continuiamo a scavare questa galleria. Non so se questo ... Non credo più a un’evoluzione.
Non voglio passare attraverso a un problema di evoluzione-trasformazione, arrivando a
questa mercanzia dei corpi. Voglio pensare a questo pensiero come a questa marea. Se
Nancy parla di pensiero finito, non è che si preoccupi perchè il pensiero è finito. E io non
voglio preoccuparmi perchè sto dicendo che il pensiero è finito. Vediamo che cos’è questo
pensiero finito. La filosofia si è interrogata fino adesso sul pensiero non finito, oppure
comunque probabilmente si è interrogata sul pensiero finito. Nel momento stesso che
Socrate pone le domande, pone il problema del pensiero finito, del pensiero che sta
cessando nel momento stesso che pone la domanda, tant’è che arriva alla sua morte stessa.
Platone, nel momento stesso in cui incomincia a parlare della caverna, fuori dalla caverna,
11
dentro la caverna, continua a pensare a questo pensiero finito. Infatti lì per me ci sono una
serie di problemi, e pensa al tiranno, perchè non sa più dove mettere questo corpo.
Moltissimi pensatori non sapevano più dove mettere questo corpo, Beethoven è diventato
sordo, quell’altro è impazzito. Questi mancamenti producono delle fortissime assenze o
mancamenti che non sai come porre. Una persona che vivesse soltanto dieci secondi quello
che io sto vivendo in questo momento, non ce la farebbe, è una cosa spaventosa rispetto a
quello che solitamente pensa, solitamente vive. Perchè deve viversi interamente, totalmente
travestito di pensiero. Ma io sto dicendo questa cosa, la sto dicendo distaccata. Dico esiste
questa cosa, esiste una marea che si è ritirata. Come Nancy ne pensa, come Kant ne pensa,
come Hegel ne ha pensato, come Nietzche ne ha pensato. La storia dell’umanità è andata
avanti attraverso questo tipo di pensiero. Sono convinto che ha pensato continuamente in
assenza. Ma non ha potuto fare emergere questo elemento perchè non lo sa nominare, non
lo sa pensare.
L.: Implicherebbe assentare il proprio corpo animale.
P.: Ma il proprio corpo in generale, non solo animale. E’ un corpo che perde ma diventa un
corpo pensante. E’ un corpo straordinario. La sensibilità è straordinaria. Sono assaggiatore
di vino, mi piace l’amoroso atto, mi piace andare a spasso. Il piacere non si è estinto, anzi,
però non è il piacere infantile. E’ un altro tipo di piacere. E non è neanche il piacere di
Bataille. Ho letto Bataille, mi ha stufato. E’ troppo appiccicoso. Non è l’erotismo di
Bataille. E’ un altro tipo di elemento erotico di grandissima specie. Che è al di là del
principio del piacere, in termini freudiani. Però è un altro tipo di piacere ed è una tale
sensibilità emotiva. E’ l’introduzione dell’affettività nel piacere, nel pensiero, nel corpo in
continuazione. Una volta dicevo una sorta di luce, adesso dico una sorta di affettività.
Quell’altro pensiero che non aveva l’affettività si è ritirato, e cosa è emerso? E’ emersa
l’affettività. Io non so se questo possa esserci in continuazione, però dico questo esiste. Mi
interessa che questo esiste in termini anche soltanto di scrittura, in termini di teorizzazione,
ed è per questo che ho chiamato te, ho chiamato Marco Dotti. Per questo facciamo i
12
Seminari. Mi interessa in termini di teorizzazione. Non mi interessa che esista in termini di
vissuto. Di teorizzazione, ma che è vera. C’è questo elemento che è vero, che non so bene
ancora cosa sia. Non sono dettagli. E’ anche la discussione sui dettagli, ma è vera. Una
delle cose di questa comunità, di questo Centro è il fatto che le persone sono vere. Quello
che è l’autenticità probabilmente in senso heideggeriano. Se mi metto a parlare, se sento un
altro che parla, è vero, non si arrampica sui vetri. Ma non che non mi piacciano quelli che, i
finisseur, alla fine non me ne importa nulla.
L.: C’è un’intuizione del vero.
P.: C’è tutta un’area grandissima da dissodare. ...
L.: C’è un’intuizione del vero, come c’è l’intuizione del bello, che non passa dalla
sensibilità.
P.: Del vero, del bello, perchè c’è un’area grandissima.
...
Comunque, al di fuori della teorizzazione, questo stato del corpo glorioso è straordinario.
Però certi giorni quando è troppo presente, certi giorni nel corpo dà un dolore grandissimo.
L.: Possiamo dire che qualche cosa di questa gloria abbiamo attinto in quest’ora. Mi
sembra che ciò che resta è comunque il fatto che paradossalmente il discorso si è
concentrato e nello stesso tempo allargato. Si è talmente allargato che ha lasciato fuori tutti
gli aspetti quotidiani della mente.
P.: E però c’era qui il quotidiano. Io contemplo sempre il quotidiano.
L.: Intendo il quotidiano dell’uomo economico in senso stretto, che deve fare sempre i
conti con la propria mente.
P.: Però non prescinde dal fatto che il quotidiano, di questo fare i conti con la propria
mente ... certamente io pongo il quotidiano lì, pongo qui un’entità che sta li distaccata. Ma
questo vero di cui parlo, è perchè fa i conti con la quotidianità. Questo vero nasce dalla
quotidianità. Io non sono mai disgiunto dalla quotidianità. Ed è perciò che le altre persone
che partecipano di questo entrano col loro quotidiano. Ed è perciò che dicevo che
13
all’interno di ciò, addirittura questo corpo fa crescere il corpo degli altri. Perchè entra nella
quotidianità del corpo che magari è fermo, ...
L.: Intendevo la quotidianità ristretta.
P.: Del focolare, come hai scritto.
L.: Il fumo del focolare.
P.: Era bello quello scritto. Carino. E’ il tuo stile.
Scarica