Disturbi dissociativi
CAPITOLO 7
Disturbi dissociativi
Guida rapida ai disturbi dissociativi
In questo capitolo viene trattata la maggior parte dei sintomi dissociativi, per quanto alcune
situazioni (in particolare quelle che riguardano la perdita di memoria o i vuoti di memoria) sono
affrontate altrove. Come per i precedenti capitoli, il numero di pagina che accompagna ciascun
item, rimanda all’inizio della discussione più approfondita sull’argomento.
Disturbi dissociativi primari
Amnesia dissociativa. Il paziente non è in grado di ricordare importanti informazioni personali.
Questo tipo di amnesia è generalmente associata a stress (pag. 237).
Disturbo dissociativo dell’identità. Una o più identità addizionali prendono a intermittenza il
controllo sul comportamento del paziente (pag. 243).
Disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione. Si verificano episodi di distacco, come se il
paziente osservasse i propri comportamenti dall’esterno. In questa situazione non vi è una reale
perdita di memoria (pag. 235).
Disturbo dissociativo con altra specificazione o senza specificazione. I pazienti che presentano
sintomi suggestivi di qualunque dei sopracitati disturbi, ma che non raggiungono i criteri per
nessuno di questi, possono essere collocati in una di queste due categorie (pag. 246).
Altre cause di perdita di memoria marcata
Quando sintomi dissociativi vengono riscontrati in presenza di altre diagnosi psichiatriche, di
solito non viene formulata una diagnosi di disturbo dissociativo.
Attacco di panico. Alcuni pazienti che soffrono di attacchi di panico possono presentare depersonalizzazione o derealizzazione come manifestazione di un attacco di panico acuto (pag. 171).
Disturbo da stress post-traumatico. Un mese o più dopo un grave trauma, il paziente può non
ricordare importanti aspetti della sua vita (pag. 216).
Disturbo da stress acuto. Subito dopo un grave trauma, i pazienti non sono in grado di ricordare
importanti aspetti della loro vita (pag. 222).
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Capitolo 7
Disturbo da sintomi somatici. I pazienti con storia di sintomi somatici che non possono essere
spiegati sulla base di meccanismi patologici conosciuti possono anche dimenticare importanti
aspetti della loro vita (pag. 249).
Disturbo dell’arousal del sonno non-REM, tipo sonnambulismo. Il sonnambulismo si avvicina ai
disturbi dissociativi per il fatto che è presente amnesia rispetto a complessi comportamenti. Ma
viene classificato altrove per mantenere raggruppati i disturbi del sonno (pag. 328).
Disturbo borderline di personalità. Quando marcatamente stressate, queste persone possono
talvolta avere episodi di dissociazione, come la depersonalizzazione (pag. 542).
Simulazione. Alcuni pazienti volutamente simulano sintomi di perdita di memoria. Il loro obiettivo è un guadagno materiale, come evitare una punizione, ottenere denaro o farmaci (pag. 597).
Introduzione
La dissociazione si verifica quando un insieme di normali processi mentali si separa dai restanti. In pratica, alcuni dei pensieri, sentimenti o comportamenti del soggetto sono rimossi
dalla coscienza vigile e dal controllo, come, per esempio, uno studente di liceo altrimenti
sano che non è in grado di ricordare gli eventi delle precedenti due settimane.
Così come nel caso di altri sintomi psichiatrici, può esserci la dissociazione senza che vi
sia un disturbo; se questa è moderata, può essere del tutto normale. (Magari, per esempio,
durante una lunga e noiosa lezione, non vi siete mai messi a vagare con la mente pensando
ai programmi per il weekend, non rendendovi conto che siete stati chiamati per rispondere
a una domanda?) Esiste inoltre una stretta connessione tra i fenomeni dissociativi e l’ipnosi.
Infatti, più della metà delle persone intervistate in alcuni sondaggi ha riferito di avere avuto
esperienze di tipo dissociativo.
Gli episodi di dissociazione sufficientemente gravi da costituire un disturbo presentano
diverse caratteristiche in comune.
• Iniziano e terminano improvvisamente.
• Sono percepite come un’interruzione delle informazioni che sono necessarie all’individuo. Possono essere positive, nel senso di qualcosa aggiunto (per esempio, i flashback) o negative (un periodo di tempo di cui il paziente non ha memoria).
• Sebbene i clinici spesso siano in disaccordo sulla loro eziologia, molti episodi vengono precipitati da conflitti psicologici.
• Per quanto vengano considerati come fenomeni rari, il loro numero potrebbe aumentare.
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Disturbi dissociativi
• In molte condizioni (eccetto nel disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione),
è presente un marcato disturbo della memoria.
• Per l’amnesia dissociativa e il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione è necessario che sia presente compromissione del funzionamento o soggettiva sensazione
di angoscia.
I sintomi conversivi (tipici del disturbo da sintomi somatici) e dissociativi tendono a coinvolgere
gli stessi meccanismi psichici. Ogni volta che si trova un paziente che presenta dissociazione, è
necessario considerare se tale diagnosi sia altrettanto giustificata.
F48.1 [300.6] Disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione
La depersonalizzazione può essere definita come la sensazione di essere separati o distaccati
da se stessi. Questa sensazione può essere vissuta come vedere un proprio processo mentale
o comportamento dall’esterno; alcuni pazienti si sentono come se si trovassero in un sogno.
Quando un paziente è ripetutamente stressato da episodi di depersonalizzazione e nessun
altro disturbo è in grado di spiegare tali sintomi, si può porre diagnosi di disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione (DDD).
Il DSM-5 offre un’altra alternativa per la diagnosi: per tutta la durata della derealizzazione, si ha la sensazione che il mondo esterno sia irreale o strano. I pazienti possono vedere
dimensioni o forma degli oggetti cambiate, oppure le altre persone possono sembrare loro
robotizzate o addirittura morte. La persona, comunque, mantiene sempre la consapevolezza
del fatto che si tratta solo di un cambiamento della percezione: ovvero, che il mondo di per
sé rimane invariato.
Poiché circa metà di tutti gli adulti ha avuto almeno un episodio simile, abbiamo bisogno di definire dei limiti rispetto a chi può ricevere questa diagnosi. Tale diagnosi non
dovrebbe essere posta nel caso in cui i sintomi non siano persistenti o ricorrenti e qualora
questi non causino compromissione del funzionamento o non siano fonte di marcato disagio
(ciò significa qualcosa oltre la confusa riflessione “Questo era strano”). Infatti, la depersonalizzazione e la derealizzazione si riscontrano più frequentemente come sintomi piuttosto che
come diagnosi. Per esempio, la derealizzazione o la depersonalizzazione è uno dei sintomi
qualificanti dell’attacco di panico (pag. 171).
Gli episodi di DDD sono spesso precipitati da stress; possono iniziare e finire all’improvviso. L’esordio del disturbo di solito avviene nell’adolescenza o intorno ai 20 anni; di
solito ha un andamento cronico. Sebbene non sia stato ancora sufficientemente studiato, la
prevalenza nella popolazione generale sembra essere circa dell’1-2%, con un’incidenza negli
uomini e nelle donne pressoché uguale.
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Capitolo 7
Caratteristiche essenziali del disturbo
di depersonalizzazione/derealizzazione
Un paziente vive la depersonalizzazione o derealizzazione, ma la percezione della realtà
rimane intatta durante l’esperienza (per le definizioni vedete pag. 235).
Nota bene
Non dimenticare le D: • Disagio o disabilità (in ambito di lavoro/educazione, sociale
o personale) • Diagnosi differenziale (utilizzo di sostanze e malattie fisiche, disturbo
dell’umore o d’ansia, disturbi psicotici, traumi e disturbi associati a fattori stressanti, altri
disturbi dissociativi).
Francine Parfit
“Mi sento come se stessi perdendo la testa”. Francine Parfit era una ragazza di soli 20 anni,
ma lavorava già come cassiera in banca da circa 2 anni. Aveva ricevuto diversi aumenti durante quel periodo e sentiva di essere brava nel suo lavoro: scrupolosa, gradevole e affidabile. Anche in buona salute, sebbene fosse sempre più preoccupata dalle sue “esperienze fuori
dal corpo”, come lei le chiamava.
“Sono dietro al mio sportello e, all’improvviso, mi ritrovo qualche metro staccata da
terra. Mi sembra di osservarmi da dietro le spalle mentre sto parlando con il cliente. Nella
mia testa mi pare di commentare tra me e me le mie azioni, come se fossi un’altra persona
che sto osservando. Cose del tipo ‘Ora dovrà chiamare il suo assistant manager per avere
l’autorizzazione al trasferimento di quei fondi?’ Sono venuta in clinica perché in televisione
ho visto qualcosa di simile qualche notte fa e la persona in quel caso era stata sottoposta a terapia elettroconvulsiva. È stato allora che ho iniziato a preoccuparmi del fatto che mi stesse
capitando qualcosa di tremendo”.
Francine negava di aver mai avuto perdite di coscienza, convulsioni, traumi cranici,
importanti cefalee o vertigini. Durante le scuole superiori aveva fatto sporadico uso di cannabinoidi, ma a parte quelle circostanze non aveva mai fatto uso di droghe o alcol. La sua
salute fisica era eccellente; era stata dal medico solo per le vaccinazioni, Pap-test e la visita
di medicina del lavoro prima dell’assunzione due anni fa.
Ciascun episodio iniziava in modo repentino, senza preavviso. La prima volta Francine si era sentita particolarmente ansiosa; poi aveva notato che la sua testa sembrava come
fluttuare, alzandosi e abbassandosi lentamente, fuori dal suo controllo. Talvolta sentiva una
sensazione di torpore in cima alla testa, come se qualcuno avesse rotto un uovo mezzo cotto
il cui tuorlo scendeva gocciolando lungo l’attaccatura dei capelli. Gli episodi di rado duravano più di pochi minuti, ma erano diventati più frequenti: ora si verificavano più volte a
settimana. Se si verificavano mentre era al lavoro, poteva fare una pausa fino a quando l’episodio non si risolveva; molte volte, però, accadevano mentre stava guidando e la paziente si
preoccupava di poter perdere il controllo dell’auto.
Francine non aveva mai sentito delle voci né aveva mai provato fenomeni allucinatori
relativi ad altri sensi; negava di aver mai avuto l’impressione che qualcuno stesse parlando
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di lei o complottando contro di lei. Non aveva mai avuto ideazione suicidaria né si era mai
sentita realmente depressa.
“Soltanto spaventata” aveva concluso la paziente. “È davvero spaventoso percepire una
sorta di esperienza di morte”.
Valutazione di Francine Parfit
La sensazione di essere un osservatore esterno di se stessi può essere piuttosto inquietante;
capita che molte persone, che non sono pazienti, abbiano avuto un’esperienza o due. Ciò che
rende l’esperienza di Francine rilevante è il fatto che si presentava abbastanza spesso (criterio A)
e abbastanza energicamente da causarle un considerevole disagio; abbastanza comunque da
spingerla a ricercare una valutazione (C). (Lei era piuttosto insolita dal momento che i suoi episodi non sembravano essere precipitati dallo stress; cosa che invece avviene in molte persone.)
Notate che la paziente descriveva la sua esperienza “come se io fossi un’altra persona” e non “io
sono un’altra persona”. Questo ci dice che la paziente manteneva il contatto con la realtà (B).
Le esperienze e le sensazioni di Francine erano molto simili a quelle di Shorty Rheinbold
(pag. 173), eccetto per il fatto che i sintomi di quest’ultimo erano sintomi di un disturbo di panico. Diverse altre condizioni includono la depersonalizzazione come sintomo: disturbo post-traumatico da stress, disturbi d’ansia, cognitivo, dell’umore, di personalità e da sostanze; schizofrenia; epilessia (D, E). A ogni modo, Francine non lamentava la presenza di attacchi di panico
né presentava sintomi riconducibili agli altri disturbi che potrebbero rendere conto dei sintomi.
Notate una nuova caratteristica nel DSM-5: a Francine sarebbe stata formulata questa
diagnosi anche se avesse provato solo sintomi di derealizzazione. Con un punteggio di 70 alla
VGF, la sua diagnosi sarebbe stata:
F48.1 [300.6]
Disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione
Per quanto non sia menzionato nel DSM-5, soprattutto nelle giovani donne, può verificarsi un
insieme di sintomi chiamato sindrome di depersonalizzazione fobico-ansiosa. In aggiunta alla
depressione, tali pazienti, in modo non sorprendente, presentano fobie, ansia e depersonalizzazione. Questa condizione può costituire una variante del disturbo depressivo maggiore, con
caratteristiche atipiche.
F44.0 [300.12] Amnesia dissociativa
Vi sono due principali requisiti per l’amnesia dissociativa (AD): (1) il paziente ha dimenticato
qualcosa di importante e (2) altri disturbi sono stati esclusi. Di certo, la caratteristica centrale
è l’incapacità di ricordare eventi significativi. Cento anni fa, medici come Pierre Janet avevano individuato diversi modi in cui queste dimenticanze possono verificarsi.
Localizzata (o circoscritta). Il paziente non ha ricordi di alcun evento avvenuto nel
corso di uno specifico periodo di tempo, spesso durante una calamità come una battaglia
in periodo di guerra o una calamità naturale.
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Capitolo 7
Selettiva. Alcuni momenti di un periodo di tempo, come la nascita di un bambino, sono
stati dimenticati. Questo tipo è il meno frequente.
I successivi tre tipi sono meno comuni e possono eventualmente portare a una diagnosi
di disturbo dissociativo dell’identità (vedete più avanti).
Generalizzata. Tutte le situazioni vissute dal paziente durante la sua intera vita sono
state dimenticate.
Continuativa. Il paziente dimentica tutti gli eventi da un dato periodo di tempo fino al
momento attuale. Questa situazione oggi è estremamente rara.
Sistematizzata. Il paziente ha dimenticato alcune selezionate informazioni, come quelle relative a famiglia o lavoro.
L’AD inizia in modo improvviso, di solito in seguito a un grave stress come un trauma
fisico, il senso di colpa per una relazione extraconiugale, l’abbandono del coniuge o un conflitto interno su tematiche sessuali. A volte i pazienti vagano senza meta intorno a casa. La
durata degli episodi è variabile, da minuti ad anni forse, dopo di che l’amnesia si interrompe
all’improvviso con il completo recupero della memoria. In alcuni soggetti può verificarsi
nuovamente, forse anche più di una volta.
L’AD oggi è stata poco studiata, pertanto si conosce ancora poco sulle sue caratteristiche
demografiche, familiarità e cose simili. L’inizio nella prima adolescenza è riportato molto
di frequente nelle giovani donne; può verificarsi in circa l’1% o meno della popolazione
generale, per quanto recenti indagini abbiano stabilito valori più alti. Molti pazienti con AD
hanno riferito traumi sessuali durante l’infanzia; un’elevata percentuale di essi non riesce a
ricordare il reale abuso.
Fuga dissociativa
Nel sottotipo di AD conosciuto come fuga dissociativa, la persona che soffre di amnesia fugge
improvvisamente da casa. Questo spesso fa seguito a un grave stress, come conflitti coniugali
o una catastrofe naturale o indotta dall’uomo. Il soggetto può provare disorientamento e un
senso di perplessità. Alcune persone possono assumere una nuova identità e un nuovo nome
e per alcuni mesi possono anche lavorare a un nuovo lavoro. A ogni modo, in molti casi l’episodio è un breve viaggio, che dura poche ore o giorni. Occasionalmente possono verificarsi
esplosioni di violenza. La ripresa è di solito improvvisa, con successiva amnesia dell’episodio.
La fuga dissociativa è un altro di quei disturbi straordinariamente interessanti e rari – spunto
per romanzi e film – riguardo al quale è stato fatto poco in termini di recenti studi. Per esempio,
si conosce poco relativamente all’incidenza tra i sessi o alla storia familiare. Questo è parte
del motivo (oltre alla sua rarità) che ha contribuito alla retrocessione della fuga dissociativa da
diagnosi indipendente nel DSM-IV a mero sottotipo di amnesia dissociativa nel DSM-5. Il DSM-5
sottolinea, a ogni modo, che la maggiore prevalenza degli stati di fuga si riscontra tra i pazienti
con disturbo dissociativo dell’identità.
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Disturbi dissociativi
Caratteristiche essenziali dell’amnesia dissociativa
Ben oltre la comune dimenticanza, esiste un’incapacità nel ricordare importanti informazioni personali (di solito dolorose o traumatiche).
Nota bene
Non dimenticare le D: • Disagio o disabilità (in ambito di lavoro/educazione, sociale o
personale) • Diagnosi differenziale (uso di sostanze e malattie fisiche, disturbi cognitivi,
traumi e disturbi associati a fattori stressanti, disturbo dissociativo dell’identità, disturbo
da sintomi somatici, ordinaria dimenticanza).
Se rilevante, specificare:
F44.1 [300.13] Con fuga dissociativa
Holly Kahn
Un medico psichiatra sottopose il seguente dilemma a un centro di bioetica medica.
Una donna single di 38 anni si era più volte presentata agli ambulatori della clinica.
La paziente lamentava depressione e ansia, entrambe relativamente moderate. Tali sintomi
sembravano essere incentrati sul fatto che, a 38 anni, la signora ancora non era sposata e che
“il suo orologio biologico stava correndo”. La paziente non presentava problemi di sonno,
appetito o variazioni di peso e non aveva pensieri di tipo suicidario.
Per molti mesi, Holly Kahn aveva desiderato fortemente un bambino tanto da rimanere
intenzionalmente incinta del suo fidanzato. Quando il compagno scoprì che cosa aveva fatto
la paziente, decise di interrompere qualunque relazione con la donna. Nelle settimane successive la paziente aveva abortito spontaneamente. Bloccata in un lavoro noioso e poco soddisfacente di commessa in un negozio specializzato in materiale per l’insegnamento, la paziente
affermava di essersi recata alla clinica per un aiuto nel “trovare il significato della sua vita”.
Da figlia maggiore cresciuta in una famiglia del Midwest, Holly aveva trascorso gran parte
della sua adolescenza a prendersi cura dei fratelli minori. Sebbene avesse frequentato le scuole
superiori per due anni durante i suoi vent’anni, aveva abbandonato gli studi senza un diploma
né una carriera da seguire. Nell’ultimo decennio, la donna aveva convissuto con tre uomini diversi; la sua ultima relazione era stata quella più duratura e sembrava essere quella più stabile.
Non presentava storia di abuso di sostanze o di alcolismo e godeva di una buona salute fisica.
Nella relazione medica, venne descritta come una semplice, non più giovane (e forse mai
giovanile) e robusta donna dalle mascelle squadrate e dai capelli sfibrati: “Di fatto, era molto
simile a questa”. Il medico aveva disegnato un ritratto della testa e delle spalle della donna. Il
disegno era vago e confuso, ma le caratteristiche non corrispondevano alla descrizione verbale.
Il bioetico riconobbe nel disegno la persona indicata in un volantino che era stato di recente distribuito. Il testo sotto all’immagine riportava “Ricercata dall’FBI per sospetto di rapimento”.
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Capitolo 7
Una bambina neonata era stata rapita da un reparto di maternità di un ospedale della
zona. La neo-mamma, poco più che adolescente, aveva dato in braccio la sua bambina a una
donna che indossava una divisa da sala operatoria. La donna si era presentata come una caposala e aveva detto di aver bisogno di prendere la bambina per effettuare una valutazione
finale del peso e una visita generale prima che la madre potesse portarla a casa. Questa fu
l’ultima volta in cui sia la bambina sia la donna vennero avvistate. Il ritratto era stato disegnato da un ritrattista della polizia sulla base della descrizione fornita dalla madre sconvolta.
I nonni della bambina avevano offerto una ricompensa.
“La penultima volta che ho visto la mia paziente, abbiamo lavorato sui modi in cui
avrebbe potuto avere il controllo della sua vita. Sembrava un po’ più fiduciosa, meno depressa. La settimana successiva è arrivata in ritardo, sembrava frastornata. Si lamentava del fatto
di non avere memoria di quanto aveva fatto nei giorni trascorsi. Le ho domandato se fosse
stata malata, se avesse battuto la testa o cose simili. La paziente aveva negato ogni cosa. Avevo iniziato a indagare nel passato per vedere se potevo dare una spinta alla sua memoria, ma
divenne sempre più agitata e alla fine scappò via. Disse che sarebbe ritornata la settimana
successiva, ma da allora non l’ho più vista. Questo fino all’altro giorno, quando ho riconosciuto la somiglianza con la donna in questo ritratto”.
Il terapeuta si mise a fissare il volantino per alcuni secondi, poi disse: “Qui nasce il mio
dilemma. Penso di sapere chi ha commesso questo tremendo crimine, ma ho una relazione
riservata con la persona di cui io sospetto. Qual è il mio dovere morale?”.
Valutazione di Holly Kahn
Il punto della discussione, in questo caso, non è se Holly abbia rapito o meno la bambina.
La questione è la causa della sua amnesia, cosa che costituisce il suo problema recente più
importante (criterio A). La paziente è stata sotto stress per via del suo desiderio di avere un
bambino e questo potrebbe avere costituito lo stimolo per l’amnesia. L’episodio era stato di
per sé evidentemente tanto stressante da interrompere il contatto con il suo terapeuta (B).
Nella storia clinica non sono riportate altre informazioni che possono sostenere altre cause
(più biologiche) dell’amnesia (D). In modo specifico, non vi era evidenza di trauma cranico
che potesse avere indotto un disturbo neurocognitivo maggiore dovuto a trauma cranico. Un
disturbo neurocognitivo indotto da sostanze, persistente, dovrebbe essere escluso dalla storia
di Holly di non uso di sostanze (C). La sua salute fisica generale era buona e non vi era una
storia di movimenti fisici anomali, riducendo così la probabilità di epilessia. Sebbene avesse
abortito spontaneamente, era trascorso troppo tempo perché vi fosse la possibilità di una psicosi postaborto. Alcune pazienti con amnesia sono anche mute; possono ricevere una diagnosi
errata come l’avere un’altra condizione medica con sintomi catatonici. E, al fine di essere
completi, dobbiamo sottolineare che la sua perdita di memoria è molto più singolare e significativa della comune dimenticanza che le persone provano in qualunque momento della loro vita.
Non vi era storia di un recente trauma importante che potesse indicare un disturbo
da stress acuto. Se si fosse trattato di simulazione, la paziente si sarebbe presentata senza
un chiaro motivo (avrebbe tentato di non ricevere una punizione per il crimine commesso
semplicemente stando lontano da un centro medico, le sarebbe stato maggiormente utile).
Certamente non sembrava essere un caso ordinario di sogni a occhi aperti. Holly era certa
della sua identità e non si era allontanata da casa, quindi non poteva corrispondere al sottotipo
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diagnostico di fuga dissociativa. Per quanto si debba fare attenzione a non porre diagnosi a un
paziente di cui non abbiamo un test di personalità e di cui non possediamo adeguate informazioni collaterali, se il materiale di cui disponiamo è stato avvalorato mediante indagini successive, la sua diagnosi è quella di seguito riportata. Avrei indicato un punteggio di 31 alla VGF.
F44.0 [300.12]
Amnesia dissociativa
John Doe
Quando l’uomo per la prima volta mise piede all’interno del ricovero per i senzatetto non aveva
con sé nulla che potesse aiutare a svelarne l’identità, compreso un nome. Era stato indirizzato
da un pronto soccorso, ma ammise, parlando al medico di guardia, che si era recato in quel
posto solo per cercare un luogo dove stare. Per tutto il periodo che ricordava, la sua salute fisica
era stata buona. Il suo problema era che non riusciva a ricordare nulla della sua vita precedente
al momento in cui, quella mattina, si era risvegliato su una panchina del parco. Più tardi, nel
compilare il foglio di pronto soccorso, il medico indicò come nome del paziente “John Doe”.
Tralasciando il fatto che il paziente era in grado di ricostruire la propria storia per un
totale di circa 8 ore, l’esame di stato mentale di John Doe era perfettamente normale. Sembrava avere una quarantina di anni. Indossava pantaloni casual, un’elegante camicia rosa e
un grazioso giubbotto sportivo aderente di velluto a coste con delle toppe di pelle sui gomiti.
L’eloquio era fluente e coerente; il suo umore era sereno, per quanto fosse chiaramente preoccupato dalla perdita di memoria. Negava la presenza di fenomeni allucinatori o di deliri
(“per quanto ne so”), sebbene sottolineasse logicamente: “Non posso garantire per le strampalate idee che potevo aver avuto fino a ieri”.
John Doe sembrava essere una persona intelligente e il suo fondo di conoscenze era buono. Era in grado di elencare in ordine i cinque più recenti presidenti e di discutere gli eventi
nazionali e internazionali recenti. Riusciva a ricordare serie di otto numeri ripetuti nello stesso
ordine e serie di sei numeri ripetuti in ordine inverso. Aveva totalizzato un punteggio di 29 su
30 al MMSE, sbagliando solo a indicare il nome del paese in cui si trovava il centro. Sebbene
ipotizzasse di essere sposato (portava una fede nuziale), dopo un’ora e mezza di colloquio non
era stato in grado di ricordare qualcosa relativo alla propria famiglia, lavoro, residenza o identità.
“Fammi controllare dentro al tuo giubbotto” gli disse il medico.
John Doe sembrava perplesso, ma slacciò la giacca e fece guardare il medico all’interno.
L’etichetta riportava il nome di un negozio di abiti da uomo di Cincinnati, a circa 800 chilometri di distanza.
“Proviamo lì” disse il medico. Diverse telefonate dopo, il dipartimento di Polizia di Cincinnati riconobbe in John Doe un avvocato di cui la moglie aveva denunciato la scomparsa
due giorni prima.
Il giorno successivo John Doe si trovava su un pullman che lo avrebbe riportato a casa,
ma solo alcuni giorni dopo il medico venne a conoscenza dell’intera storia. John Doe era un
uomo di 43 anni di età, di professione notaio, che era stato accusato di aver indirizzato soldi
dai conti correnti bancari dei suoi clienti al proprio. L’uomo aveva proclamato la propria innocenza e aveva assunto la propria difesa, ma l’Ohio State Bar Association decise di procedere immediatamente contro di lui. La pressione derivante dal chiarire i propri libri contabili,
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Capitolo 7
dall’allestire la propria pratica legale, dal difendersi in tribunale e contro il suo stesso ordine
degli avvocati era stata enorme. Due giorni prima di scomparire disse a sua moglie: “Non so
se riesco a reggere ancora molto questa situazione senza andare fuori di testa”.
Valutazione di John Doe
John Doe era tipicamente incapace di ricordare importanti informazioni autobiografiche: in
realtà, nessuna di queste (criterio A). È comprensibile, e richiesto (B), che la cosa lo preoccupasse.
Né al momento della valutazione né al successivo follow-up c’era evidenza di altri possibili disturbi (D). John non aveva variato in modo ripetitivo tra le identità, cosa che permetteva di escludere la diagnosi di disturbo dissociativo dell’identità (non si può formulare
diagnosi dei due disturbi contemporaneamente). A parte l’ovvia amnesia, non c’era evidenza
di disturbo cognitivo. All’età di 43 anni sarebbe stato improbabile un caso ex novo di epilessia del lobo temporale, tuttavia una valutazione completa dovrebbe comprendere delle indagini neurologiche. Di certo, qualunque paziente con episodi di amnesia dovrebbe essere
valutato per disturbi correlati a sostanze (soprattutto alcol, C).
L’imitazione volontaria dell’amnesia nella simulazione può risultare particolarmente
difficile da discriminare dall’amnesia presente nell’AD con fuga dissociativa. A ogni modo,
John Doe aveva dei problemi legali, che non sarebbero stati risolti da un’amnesia simulata.
(Quando la simulazione sembra poter essere una possibilità, può essere utile ricostruire la
storia del paziente con l’aiuto di familiari o amici rispetto a precedenti comportamenti simili
o al disturbo antisociale di personalità.) Una storia clinica di molteplici sintomi medici nel
corso della vita può essere indicativa di disturbo da sintomi somatici. John non presentava
sintomi trasversali che potessero fare pensare a un episodio maniacale o a schizofrenia,
dove in entrambi i casi possono verificarsi vagabondaggi e altri comportamenti bizzarri.
L’epilessia viene sempre riportata tra le diagnosi differenziali dei disturbi dissociativi.
A ogni modo, nella pratica, l’epilessia e la dissociazione non dovrebbero essere difficili da
distinguere, anche senza ricorrere all’aiuto dell’EEG. Gli episodi di epilessia di solito non
durano più di cinque minuti e comprendono sintomi che interessano il linguaggio e comportamenti motori ripetitivi, apparentemente afinalistici. Il comportamento dissociativo, d’altra
parte, può durare giorni o più e comprende comportamenti complessi di linguaggio e motori
che apparentemente sono finalizzati.
Sebbene il caso di John Doe non sia particolarmente ordinario (non ha assunto una
nuova identità e non ha adottato una nuova vita), il paziente si è allontanato da casa e intenzionalmente ha iniziato a cercare un rifugio. Queste condizioni costituiscono gli specificatori
utili alla sua diagnosi. A ogni modo, il suo punteggio alla VGF poteva essere 55.
F44.1 [300.13]
Z65.3 [V62.5]
Amnesia dissociativa, con fuga dissociativa
Inchiesta da parte dell’ordine di appartenenza
Notate che il sottotipo della fuga ha un differente codice numerico rispetto alla semplice
vecchia amnesia dissociativa. Questo rispecchia il fatto che nell’ICD-10 e nell’ICD-9, la diagnosi di stato di fuga costituisce un’anamnesi distinta e separata dall’amnesia dissociativa.
Quindi, il cambio di codice non è da considerarsi un errore.
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Disturbi dissociativi
F44.81 [300.14] Disturbo dissociativo dell’identità
Nel disturbo dissociativo dell’identità (DDI), conosciuto in precedenza come disturbo di personalità multipla, la persona possiede almeno due distinte identità. Possono arrivare fino a 200,
ciascuna delle quali possiede un proprio nome; non devono neppure essere dello stesso sesso del
paziente. Alcune possono essere simboliche, come “Il lavoratore”. Possono variare ampiamente
in termini di età e modo di fare: se il paziente è normalmente timido e tranquillo può avere
un’identità estroversa o addirittura vivace. Le identità possono essere reciprocamente e in certa
misura consapevoli della loro esistenza, sebbene soltanto una alla volta interagisca con l’ambiente
circostante. La transizione da un’identità all’altra è di solito repentina, spesso è precipitata dallo
stress. Molte delle identità sono consapevoli del tempo trascorso quando un’altra identità ha assunto il controllo. A ogni modo, molti pazienti non sono consapevoli del loro particolare stato fino
a quando amici stretti non fanno loro notare i cambiamenti del loro carattere nel corso del tempo.
Di importante rilevanza diagnostica sono gli stati di possessione, che possono presentare caratteristiche simili al DDI. Questi possono essere descritti dal paziente come la presenza di uno spirito o di un’essenza esterna che ha preso il controllo sul funzionamento della
persona. Se questo comportamento rientra in una pratica religiosa riconosciuta e accettata,
di solito non viene diagnosticato come DDI. Tuttavia, una persona che presenta ripetuti stati
di possessione tali da causare sofferenza e altrimenti conformi ai criteri del DSM-5 può meglio candidarsi per tale diagnosi. Di certo non porremo diagnosi di DDI a un bambino per il
fatto di avere un amico immaginario.
Il DDI interessa circa l’1% della popolazione generale e risulta maggiormente diagnosticato nel Nord America che in Europa. Questa situazione ha dato vita a una discussione oggi
ancora in atto. I clinici europei (naturalmente) sostengono che il disturbo sia raro, mentre
pongono particolare attenzione ai pazienti che presentano dissociazione, i clinici americani
in realtà incoraggiano l’indagine dei casi. Mentre scrivo, la disputa è ancora in atto. L’esordio
di questo disturbo così affascinante è, probabilmente, nell’infanzia sebbene non sia comunemente diagnosticata. La maggior parte dei pazienti sono donne; molti possono essere stati
abusati sessualmente. Il DDI tende ad assumere un andamento cronico. Può esserci familiarità per il disturbo, ma la questione della trasmissione genetica non è ancora stata chiarita.
Caratteristiche essenziali del disturbo dissociativo dell’identità
Il paziente sembra possedere almeno due distinte personalità, ciascuna delle quali presenta una specifica caratteristica in termini di umore, percezione, memoria e controllo dei
processi fisici e mentali. Risultato: la persona presenta vuoti di memoria per informazioni
personali che, normalmente, una semplice dimenticanza non è in grado di spiegare.
Nota bene
Non dimenticare le D: • Disagio o disabilità (in ambito di lavoro/educazione, sociale
o personale) • Diagnosi differenziale (utilizzo di sostanze e malattie fisiche, disturbo
dell’umore o d’ansia, disturbi psicotici, traumi e disturbi associati a fattori stressanti, altri disturbi dissociativi, stati di possessione religiosa accettati in culture non occidentali,
amici immaginari dell’infanzia/giochi di fantasia).
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Capitolo 7
Effie Jens
In occasione della sua prima visita in clinica psichiatrica, Effie piangeva e raccontava delle sue
perdite di memoria. All’età di 26 anni, troppo giovane per avere la malattia di Alzheimer, in alcuni giorni si sentiva senile. Per diversi mesi aveva notato dei “buchi nella sua memoria”, che talvolta duravano 2 o 3 giorni. La sua memoria non era soltanto lacunosa; per quanto ne sapeva di
tutto ciò che aveva fatto in quei giorni, poteva essere stata sottoposta ad anestesia. A ogni modo,
da indizi indicativi (come il cibo che era sparito dal suo frigorifero e lettere recentemente arrivate che erano state aperte), sapeva che doveva essere stata sveglia e attiva durante quei periodi.
In seguito ai proventi derivanti dall’accordo di divorzio, Effie viveva sola in un appartamento; la sua famiglia viveva in uno Stato distante. Le piaceva trascorrere il tempo leggendo
e guardando la televisione. Era timida e aveva difficoltà nell’incontrare le persone; non vi era
nessuno che l’avesse vista per un tempo sufficiente per renderle conto del tempo mancante.
Oltretutto, a Effie non erano del tutto chiari i dettagli della sua vita iniziale. Era la seconda di tre figli di un predicatore itinerante; i ricordi della sua prima infanzia erano un miscuglio di campi di lavoro, stanze di albergo a basso costo e sermoni con i pugni sulla Bibbia.
All’età di 13 anni aveva già frequentato 15 diverse scuole.
Più tardi, durante il colloquio, la paziente affermò di non avere praticamente memoria
dell’intero periodo dei suoi 13 anni. Le prediche del padre avevano riscosso un moderato successo, pertanto si erano fermati per un po’ di tempo in un piccolo paese dell’Oregon del sud,
l’unica volta in cui aveva iniziato e terminato un anno scolastico nella stessa scuola. Ma che
cosa le era accaduto durante quei mesi? Di quel periodo non era in grado di ricordare niente.
Effie ritornò la settimana seguente, ma era diversa. “Chiamami Liz” disse mentre lasciava cadere la sua borsa sul pavimento e si appoggiava indietro sulla sedia. Senza altri indugi,
si lanciò in un lungo, dettagliato e drammatico racconto delle proprie attività degli ultimi 3
giorni. Era andata fuori a cena e a ballare con un uomo che aveva incontrato in un negozio
di alimentari e avevano poi fatto tappa insieme in un paio di bar.
“Ma io ho bevuto solo un ginger ale” disse sorridendo e incrociando le gambe. “Io non
bevo mai. È terribile per la linea”.
“Ci sono altri momenti della scorsa settimana che non ricordi?”.
“Oh, no. È lei quella con l’amnesia”.
“Lei” era Effi Jens, che Liz chiaramente considerava una persona nettamente differente da se stessa. Liz era felice, spensierata e socievole; Effie era introspettiva e preferiva la
solitudine. “Non sto dicendo che non sia una persona decente” ammetteva Liz “ma... l’hai
incontrata! Non ti sembra che sia un pochino timida?”.
Sebbene per molti anni “avesse condiviso gli spazi vitali” con Effie, è stato solo dopo
il divorzio che Liz aveva iniziato a “uscire”, come lei stessa puntualizzava. Le prime volte
accadeva solo per un’ora o due, soprattutto quando Effie si sentiva stanca o depressa e “aveva
bisogno di una pausa”. Più di recente Liz aveva assunto il controllo per periodi sempre più
lunghi di tempo; una volta addirittura per 3 giorni.
“Ho cercato di fare attenzione, lei si spaventa così tanto” aveva detto Liz con un’espressione preoccupata. “Ho seriamente iniziato a pensare di avere il controllo per tutto il tempo.
Penso di poter fare un lavoro migliore. Certamente ho una vita sociale migliore”.
Oltre all’essere in grado di riferire le sue attività nei momenti di vuoto di memoria che
avevano portato Effie a cercare aiuto, Liz poteva fornire una testimonianza anche su tutte le
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Disturbi dissociativi
attività coscienti di Effie. Addirittura sapeva che cosa era successo durante l’anno “perso” di
Effie, quando aveva 13 anni.
“È stato papà” disse con una smorfia delle labbra. “Disse che era parte della sua missione religiosa il ‘praticare per il ritorno dell’Annunciazione’. Ma in realtà era soltanto un altro
uomo lussurioso che molestava uno dei suoi figli, se non peggio. Effie lo disse alla mamma.
In principio la mamma non voleva crederle. Quando finalmente le credette, fece poi promettere a Effie di non raccontarlo in giro. Diceva che questa cosa avrebbe potuto distruggere la
famiglia. Per tutti questi anni sono stata la sola altra persona a sapere questa cosa. Non c’è da
meravigliarsi se ha perso il controllo, questo ha disgustato anche me”.
Valutazione di Effie Jens
Le due personalità di Effie (criterio A) sono piuttosto tipiche del DDI: una era tranquilla e
senza pretese, piuttosto timida, mentre l’altra era molto più assertiva. (La storia di Effie era
piuttosto atipica dal momento che la regola è che vi siano più di due personalità.) Effie ignorava quanto avveniva quando Liz riacquisiva il controllo e viveva tali periodi come episodi
di amnesia. Questa difficoltà a ricordare era ampiamente più estesa di quanto ci si potesse
aspettare nel caso di una comune dimenticanza (B). Era sufficientemente angosciante da
spingere Effie a rivolgersi a una clinica (C).
Molte altre cause di amnesia dovrebbero essere prese in considerazione nella diagnosi
differenziale di questa condizione. Di certo, qualunque possibile condizione medica dovrebbe essere in primo luogo esclusa, ma Effie/Liz non presentava alcun indizio suggestivo
di epilessia o di abuso di sostanze (ci riferiamo in questo caso ai black-out alcolici e all’epilessia parziale). Sebbene Effie (o Liz) avesse un importante problema di amnesia, questo non
era il suo principale problema, come sarebbe stato nel caso dell’amnesia dissociativa, che è
meno ricorrente e non implica multiple e distinte identità. Si noti, anche, che non si hanno
notizie del fatto che Effie appartenesse a un gruppo culturale o religioso le cui pratiche comprendessero trance o altri rituali che potessero giustificare la sua amnesia (D).
La schizofrenia è stata spesso confusa con il DDI, in primo luogo da persone poco
competenti che mettono sullo stesso piano una “personalità dissociata” (il modo in cui molte
persone definiscono la schizofrenia) con il disturbo di personalità multipla, il vecchio nome
del DDI. A ogni modo, sebbene possano essere bizzarri i comportamenti che si ritrovano
nel DDI, nessuna delle identità risulta essere tipicamente psicotica. Come nel caso di altri
disturbi dissociativi, la distinzione dalla simulazione può risultare difficile; le informazioni
ottenute da altre persone relative a possibili vantaggi materiali derivanti rappresentano
la fonte di maggior valore. La storia di Effie non soddisfaceva alcuna delle diagnosi sopra
riportate.
Alcuni pazienti con DDI possono avere anche un disturbo borderline di personalità.
Il pericolo è che solo l’ultimo sia diagnosticato, con il medico che commette l’errore di fraintendere le personalità alternanti per un umore instabile e comportamenti tipici del disturbo
borderline di personalità. I disturbi correlati a sostanze possono talvolta verificarsi in concomitanza con DDI; né Effie né Liz bevevano alcol (E). Il suo punteggio alla VGF era di 55.
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Z63.5 [V61.03]
Disturbo dissociativo dell’identità
Divorzio
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Capitolo 7
F44.89 [V300.15] Disturbo dissociativo con altra specificazione
Questa categoria è rivolta a quei pazienti i cui sintomi rappresentano un cambiamento nella
loro normale funzione integrativa di identità, memoria e coscienza, ma che non raggiungono
i criteri per uno degli specifici disturbi dissociativi sopra elencati. Qui sono riportati alcuni
esempi; una particolare condizione dovrebbe essere indicata dopo che un’altra specifica diagnosi viene formulata.
Disturbo dell’identità dovuto a persuasione coercitiva prolungata e intensa. Le persone che hanno subito un lavaggio del cervello o che sono state in altro modo indottrinate possono sviluppare degli stati dissociativi misti.
Reazioni dissociative acute reattive a eventi stressanti. Il DSM-5 riporta che queste
situazioni spesso durano solo poche ore, in ogni caso meno di un mese, e sono caratterizzate da sintomi dissociativi misti (depersonalizzazione, derealizzazione, amnesia,
restringimento della coscienza, stupor).
Trance dissociativa. In questo caso la persona perde il focus sul qui e ora e può comportarsi in modo automatico. (Una persona coinvolta volontariamente in un rituale religioso
o culturale non costituisce un esempio di trance dissociativa.)
F44.9 [V300.15] Disturbo dissociativo senza specificazione
Questa diagnosi è utile per catalogare quei pazienti che presentano evidenti sintomi dissociativi, ma che non raggiungono i criteri per la diagnosi standard già menzionati in precedenza e per i quali non è importante specificare perché i criteri non sono soddisfatti.
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