I caratteri dell’emergenza educativa: una chiave di lettura pedagogica (Prof.ssa Maria Teresa Moscato) La condizione educativa del nostro tempo In questa riflessione tengo presenti sia il più recente documento di Vescovi italiani1, sia il volume collettivo apparso alla fine del 2009 a cura del Progetto Culturale della CEI2, ma prima occorre che proviamo a condividere una rappresentazione dell’educazione umana in quanto tale. Al momento, nel groviglio di immagini e idee, spesso confuse, con cui ci rappresentiamo l’educazione umana prevalgono le nostre concezioni sul suo “dover essere”, e spesso una visione riduttiva di tipo intellettualistico, per cui l’educazione coinciderebbe con “ciò che sappiamo” e/o che ci è stato insegnato. In realtà l’educazione è di fatto un avvenimento dinamico che interviene nell’esperienza umana, nel rapporto fra le generazioni, nelle relazioni singole, nel tempo e nello spazio storici; non è mai un fatto solo intellettuale, perché la sua caratteristica principale, all’opposto, è proprio il dinamismo globale con cui l’intera persona si forma, in intelligenza, emozione, affetti, decisioni etiche e politiche, scelte religiose. Per capire i caratteri della supposta emergenza come della supposta mutazione antropologica, dobbiamo prima capire meglio l’educazione stessa. Per “educazione” dobbiamo intendere quel processo vitale interattivo, protratto almeno per tutta l’età evolutiva, in cui il soggetto umano, dentro un orizzonte culturale e sociostorico dato, entra in una specifica relazione con una serie di persone adulte significative per lui, con cui si identifica e da cui viene, per molti versi, psicologicamente “contenuto”, fino al momento in cui egli diventa capace di “auto-contenersi”, e raggiunge una soglia di autonomia, intellettuale ed etica, in base alla quale assume il controllo e la responsabilità delle proprie condotte. L’autonomia personale progressivamente conquistata assume forme e contenuti fissati dalla sociocultura di riferimento. Si nasce e si cresce in uno spazio-tempo definito, in rapporto a culture materiali che sono “intrise”, potremmo dire “grondanti” di significati. La relazione è interattiva, e la conquista dell’autonomia è progressiva: come in un “gioco della fune” prolungato, il controllo della fune passa da una mano all’altra, via via che la mano dell’ex immaturo diventa più salda e forte. Così definita, l’educazione è 1 Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Roma, ottobre 2010. 2 AA.VV., La sfida educativa, Laterza, Roma-Bari, 2009 inevitabile, nel bene e nel male: nessuno può sottrarsi ad essa, ma allo stesso modo, e progressivamente, nessuno può essere educato contro la propria volontà. C’è una condivisione progressiva, fra l’ex bambino e gli adulti per lui significativi, che porta questi a condividere e poi a trasformare le mete educative che gli sono state proposte (Moscato, 1994; 1998). C’è sempre un progetto di vita che sostiene il processo: colui che cresce lo percepisce nelle attese degli adulti, ma progressivamente lo fa proprio e lo modifica di conseguenza. Non è possibile concludere il percorso educativo dell’età evolutiva senza un progetto di vita, ed è il progetto che governa le scelte singole via via necessarie, che dirige le condotte rinnovate come i cambiamenti di direzione. Si comprende quindi come, se tale è l’educazione, essa sia inseparabile dal continuo conferimento di senso alla vita, agli oggetti e agli avvenimenti, ed anche alle relazioni umane che si vivono. I “grovigli” di significati si collocano tuttavia a diversi livelli di esperienza e in diverse dimensioni di realtà. Se è vero che il più concreto di tali livelli permane quello personale e soggettivo, è inevitabile che esistano mondi di significati condivisi, stratificati a diverse dimensioni della socialità, in qualche modo trasparenti e sovrapposti gli uni a gli altri. Come le nostre appartenenze sociali, così i mondi significanti appartengono ad orizzonti che sconfinano ed emergono l’uno nell’altro, in una sorta di proiezione circolare, e/o di stratificazione, sia psichica, sia materiale. La nostra socialità è inseparabile, ad ogni livello, dai significati conferiti, negoziati, condivisi; ogni gesto comporta il riferimento a questi mondi di significato. Nel singolo gesto con cui un ventenne si alza per far sedere in autobus un donna avanti negli anni traspare un mondo interpretativo e valoriale articolato, del quale si potrebbero esplicitare, al di là del condizionamento delle abitudini determinato dall’educazione, una rappresentazione delle corrette relazioni umane, una visione delle differenti identità di genere, e molte altre cose. Per inciso, quasi nessun giovane si alza oggi in autobus; una ragazza lo fa più frequentemente di un ragazzo; un uomo anziano lo fa più spesso di entrambi. Una donna anziana se lo aspetta sempre meno. Possiamo dire che si tratta di uno dei tanti significati che le generazioni non condividono più. La prima variazione intervenuta nella contemporaneità riguarda la mancata condivisione sociale del senso globale dell’esistere. La perdita dell’identità religiosa non è certo indifferente a questo proposito. Questa mancata condivisione di un orizzonte globale di senso determina la separazione fra le generazioni, ma anche fra i gruppi interni a ciascuna società; comporta la perdita di regole sociali condivise a vari livelli, da quelle etico-politiche alle norme di galateo. Ne deriva la perdita dei rituali sociali (per esempio di accompagnamento alla morte) e un disperato bisogno di ricostruirli in termini spontanei (lucchetti, piantare alberi, applausi ai funerali). La perdita di un senso globale condiviso è di per sé un elemento che indebolisce i processi educativi, perché è come se tutti gli adulti con responsabilità educativa diventassero “stranieri” nella società in cui vivono, talvolta assolutamente “marziani”. Esiste certamente, oggi, un orizzonte di senso condiviso in maniera serpeggiante: individualismo, spontaneismo naturalistico, ideologie materialistiche di tipo radicale, un relativismo etico-sociale che si presenta come garante delle libertà individuali, e che rivendica una legittimazione a partire dal multiculturalismo diffuso nelle società contemporanee (per poter essere tolleranti e pacificamente conviventi “dobbiamo” essere relativisti). L’educazione è possibile ed è rappresentabile solo in società che si percepiscono come internamente solidali, sia nel rapporto intergenerazionale (non solo fra due generazioni contigue, ma anche rispetto a tutte le generazioni passate), sia nella condizione umana comune. L’educazione non può essere pensata dove l’individuo non si rappresenta più come collocato nello spazio-tempo storico con una identità culturale, dentro una catena di solidarietà reciproche (verso il passato e verso il futuro). Caratteri indicativi dell’emergenza educativa Esiste una serie di elementi di dettaglio che evidenziano la crisi educativa che stiamo attraversando. - Lo sviluppo precoce e la fragilità nello stile cognitivo ed emotivo delle generazioni più giovani. Individualismo radicale, narcisismo diffuso, enfatizzato dalla spettacolarizzazione dell’esistenza. Apparire e comunicare (non essere e “valere”). - Le condotte adulte precoci e il prolungamento dell’immaturità come stile di vita. La condizione adulta è segnata dalla capacità di scegliere e di decidere. Le generazioni giovani sembrano rifiutarsi sia di scegliere sia di decidere. - L’influenza anticipata e l’apparente crescita della rilevanza del gruppo dei coetanei. - Scelte affettive e sessuali precoci come espressione di bisogni di sicurezza? - Ridotta influenza educativa della famiglia in relazione alle sue trasformazioni strutturali? Tali trasformazioni comportano di fatto l’impossibilità per le famiglie di costruire una socialità precoce di tipo solidaristico: condivisione della materialità della vita, dei pasti, delle regole, dei prodotti culturali anche di intrattenimento (un televisore e un computer per ciascuno). - È però possibile che la famiglia sia venuta meno sul piano della proposta di adulti affidabili, anche quando i genitori sono affettuosamente presenti, e indipendentemente dai loro conflitti, generando una insicurezza personale radicale che spinge l’adolescente a rifugiarsi nel gruppo dei coetanei e/o in una relazione sentimentale precoce. - Il rifiuto tendenziale dell’impegno scolastico e della “messa alla prova”, insieme ad una aspettativa ancora mitica nei confronti degli insegnanti. - La ritardata scelta accademica e professionale. La rappresentazione del lavoro in termini separati da un impegno etico-politico. - L’orizzonte mediatico. Il sistema mass-mediatico oggi si presenta con una diffusività pervasiva che invade tutte le dimensioni dell’esperienza personale, e che conferisce senso all’esperienza concreta (anziché venire mediato dall’esperienza concreta). A questo quadro “apocalittico” occorre però aggiungere che il nostro primo obiettivo deve essere la riconquista del senso dell’educare e la coscienza della propria responsabilità educativa per ciascun adulto, non tanto l’introduzione propositiva di modelli educativi. Non si possono infatti riportare in vita stili e costumi appartenenti al passato. Esiste una creatività tipicamente umana nel riprogettare il mondo, sulla base di un rinnovato conferimento di senso alla vita umana e alla vita associata degli uomini. Dentro nuove prospettive gli attuali adulti rigenereranno i processi educativi e troveranno nuove strade. Il senso della proposta dei Vescovi per il prossimo decennio sta proprio in una presa di coscienza condivisa della crisi che stiamo attraversando e delle sue ragioni profonde. Il Cristianesimo non richiede di per sé un nuovo ideale educativo, ma ogni generazione ha bisogno di una rinnovata coscienza, per riprogettarsi in termini educativi. Riferimenti bibliografici M. T. Moscato, Il viaggio come metafora pedagogica, Brescia, La Scuola, 1994; Il sentiero nel labirinto, Brescia, la Scuola, 1998; Diventare insegnanti, Brescia, La Scuola, 2008; Una “mutazione antropologica” come nuova sfida per la scuola cattolica?, in: G. MALIZIA, S. CICATELLI (a cura di), La scuola della persona, Roma, Armando, 2010, pp. 91-103; Emergenza educativa o mutazione antropologica?, in: “Formazione psichiatrica e scienze umane”, a. XXXI, n. 1, gennaio aprile 2010, pp. 5- 21.