Università di Bologna – Dipartimento di Filosofia e comunicazione a.a. 2015/16 Corso del 1° semestre, 2° periodo Paolo Leonardi Filosofia del linguaggio 6/9 cfu Che temi toccano Socrate e Ermogene nelle prime deci pagine circa del Cratilo? La correttezza naturale per Greci e barbari/correttezza-accordo convenzionale. Tre esempi di nomi: Cratilo, Socrate e Ermogene. Due giusti e uno no, secondo Cratilo. Quello non “giusto” non lo è per ragioni etimologiche (anticipazione, fra l’altro, dell’argomentazione centrale del dialogo). Ermogene sostiene che il nome che si dà è il nome giusto, e se lo si cambia, il nuovo nome è altrettanto giusto. Socrate gli propone un esempio estremo Cavallo —> Uomo / Uomo —> Cavallo, ma un esempio di evoluzione diacronica della lingua sarebbe stato molto vicino a quanto dice Ermogene, come il passaggio dal latino classico a quello tardo medievale e poi all’italiano in Equus —> Caballus —> Cavallo. La risposta di Ermogene a Socrate su questo punto, che si sviluppa in diversi turni, una lettura tendenziosa, la mia, trova la posizione di Ermogene migliore di quanto Socrate non la riconosca. Ermogene parla dell’individuo come quello che introduce, usa, un nome particolare, ma anche dichiara che c’è una regola, una consuetudine nel chiamare in un modo piuttosto che in un altro – chi introduce il mutamento linguistico è sempre un individuo, e se la comunità accetta il mutamento, la lingua muta, altrimenti la cosa finisce lì in un uso difforme. Socrate quindi incalza Ermogene sulla verità/falsità dei nomi. Dire il vero, dire il falso, come ho insinuato indicando perché il nome di Ermogene non sarebbe il suo vero nome, sembra riguardare una 2 natura più predicativa che nominale del nome, l’attribuire al nome una caratterizzazione del suo portatore, l’evidenziazione di una caratteristica del portatore indipendente dal suo avere un nome, che potremmo presentare come una scelta su che ruolo sintattico hanno davvero i nomi, se sono nomi nomi o nomi predicati. Ricordo ancora una volta che il nome di Ermogene per Cratilo non è vero perché non predica il vero di Ermogene. Come ho detto, la questione non è svuotata nel convenzionalismo, Ermogene rifiuta l’accostamento della propria posizione a quella di Protagora che ha una visione relativista della verità. Un nome, per Ermogene, è vero, ricordo, se è il nome che si dà per consuetudine. Chiamare qualcuno col suo vero nome, oggi che riteniamo che la verità sia propriamente una qualità di un enunciato e non di una sua parte, cioè di un elemento subenunciativo, possiamo esprimere la questione così: la verità di un asserto è una funzione delle sue parti, che diremo vere se l’asserto è vero. Il nome è la parte più piccola di un asserto, come sostiene Socrate. Socrate, fra l’altro, propone la seguente definizione della verità: Quindi, il discorso che dice gli esseri come sono è vero, e quello invece che li dice come non sono è falso. La verità è una proprietà di ciò che diciamo, e solo derivativamente di ciò di cui diciamo, cioè dell’oggetto del discorso. La verità è la dimensione propria dell’adeguatezza delle rappresentazioni linguistiche. Incidentalmente, Platone si mostra consapevole delle differenze dei dialetti delle diverse città e tra il greco e le lingue barbare, e nello stesso tempo consapevole dell’incidenza che hanno su un lingua i contatti con le altre lingue – il contatto linguistico, che è una delle origini del mutamento linguistico. Dopo il primo accenno a Protagora, secondo il quale di tutte le cose misura è l’uomo, Socrate critica anche la posizione opposta, che qui attribuisce a Eutidemo, per il quale le cose per tutti sempre allo stesso modo. Eutidemo era un sofista protagonista ed eroe eponimo di un altro dialogo di Platone, che, sofisticamente sembra sostenere una posizione parmenidea. A questo punto Socrate guarda all’altra faccia della nominazione, cioè più che al nome al nominato, e difende l’idea che le cose hanno naturalmente una loro sostanza. Fra le cose cita le azioni; fra le azioni indica il dire; del dire ricorda che il nominare è parte, e 3 dunque che il nominare è un’azione. Il nome è uno strumento e, come il linguaggio tutto che è costituito da nomi, aggiungo io come se questi fossero i pezzi di una costruzione, i mattoni diciamo, è uno strumento per insegnare e distinguere come stanno le cose, per coglierne l’essenza (la prima parte mi sembra più che accettabile – per distinguere le cose come stanno; la seconda, che parla dell’essenza è più difficile da accettare). Quindi Socrate introduce l’immagine della legge che assegna il nome. Un po’ incredibile, certo, a prima vista. Indubbiamente però ci sono nomi corretti e nomi scorretti. Tutti coloro che parlano una lingua, aggiungo io, a volte correggono altri che pretendono di parlarla. Questa è il senso in cui c’è una norma linguistica. L’artefice dei nomi, il nomoteta, è per Patone il poeta, come Omero, che ha un ruolo importante all’inizio della parte sulle etimologie. Ciò che i nomi nominano, per Socrate, è l’essenza delle cose, ovvero l’idea – l’idea di uomo, di spola, ecc. L’idea per Platone, nel Fedro, un altro dialogo, è un’entità incorruttibile, collocata nell’iperuranio, cioè al di là del cielo. Come il falegname fa la spola con legni diverse, così l’artefice delle parole le fa con suoni diversi, ma esse tutte significano le idee (anche se non tutte le parole sembrano significare idee, non le parole per cose basse, come il fango, almeno così si dice nel dialogo intitolato Parmenide). Siccome il dialettico (il filosofo, lo scienziato) è colui che studia la natura delle cose, è questi che giudica della qualità del lavoro dell’artefice delle parole, del nomoteta. Il dialettico è detto anche colui che sa interrogare e rispondere. Socrate sembra sostenere la posizione naturalista, ma Ermogene non è convinto dalle sue argomentazioni.