Teoria di Lebesgue Elenchiamo sotto alcune notazioni meno standard usate nel testo • Dato un insieme E ⊂ RN , E c indica il complementare di E, cioè E c = RN \ E; • Dato E ⊂ RN , indichiamo con int E, E parte interna e chisura di E, rispettivamente; • Dato E ⊂ RN , x ∈ RN x + E = {x + y | y ∈ E} è il traslato di E tramite x. • Dati due scalari a, b, a ∧ b, a ∨ b indicano rispettivamente il minimo e il massimo tra a e b. 1 1.1 Euristica Preambolo L’incipit della teoria è l’osservazione che quando il diametro di un insieme, inteso come l’estremo superiore della distanza tra due suoi qualsiasi punti, va a zero, non necessariamente la corrispondente oscillazione di una funzione limitata in esso definita, intesa come la differenza del suo estremo superiore e quello inferiore sull’insieme stesso, va anch’essa a zero, a meno che la funzione in questione non sia continua o quasi continua. Nella costruzione dell’integrale di Riemann unidimensionale precisamente questo gap determina la mancata contiguità della classe delle somme inferiori e superiori e quindi la non integrabilità di una funzione. Per ribadire il concetto: anche se l’ampiezza dei sottointervalli di una decomposizione dell’intervallo di integrazione diviene infinitesima, l’oscillazione della funzione da integrare può restare positiva non consentendo di approssimare efficientemente, nel senso di Riemann, l’area della regione curvilinea sotto il grafico. Questa situazione è perfettamente illustrata dalla funzione di Dirichlet, che vale 1 su Q ∩ [0, 1] e 0 su [0, 1] \ Q, in cui la classe delle somme superiori di Riemann si riduce al singleton {1}, e quella delle somme inferiori a {0}. Quindi, il massimo di non integrabilità secondo Riemann, anche se la funzione di Dirichlet ha carattere fondamentale in quanto si basa sulla primigenia ripartizione dei numeri reali tra razionali e irrazionali. La differenza di cardinalità tra razionali 1 e irrazionali di [0, 1], i primi hanno la potenza del numerabile e i secondi quella del continuo, suggerisce che il contributo dato dalle ascisse razionali debba essere trascurabile e quindi l’integrale, da intendere in senso opportuno, debba esistere ed essere nullo. Senso d’incompiutezza. L’idea di Lebesgue è quella di partire in un certo senso proprio dalle oscillazioni, cioè di decomporre non il dominio della funzione da integrare bensi’ il codominio, che tra l’altro ha il vantaggio di essere unidimensionale anche per funzioni definite in domini N –dimensionali. Data una funzione limitata f , il codominio è contenuto nell’intervallo [inf f, sup f ], Se si considera un insieme limitato E ⊂ RN , una funzione limitata f che poniamo per comodità definita su tutto RN e assumiamo non negativa, e una decomposizione s0 = inf f, s1 , · · · , sk = sup f E E di [inf E f, supE f ] con norma, cioè ampiezza massima degli intervalli, infinitesima allora si induce una decomposizione di E mediante gli insiemi f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E ( alcuni possibilmente vuoti) in cui, per costruzione, l’oscillazione di f è infinitesima. L’oscillazione di f su f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E è infatti evidentemente data da si+1 − si . Insomma, invece di considerare decomposizioni infinitesime del dominio, a cui in generale non corrispondono oscillazioni infinitesime della funzione, qui si prescrive che le oscillazioni siano infinitesime decomponendo opportunamente il codominio e si determinano, tramite controimmagine, le regioni del dominio dove tali oscillazioni vengono realizzate. Seguendo la nuova impostazione, si può pensare di approssimare per eccesso e per difetto la misura della figura curvilinea determinata dal grafico di f (che ricordiamo è non negativa) su E con la somma rispettivamente delle misure dei cilindroidi (f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E) × [0, si+1 ] e (f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E) × [0, si ]. (1) Da qui si vede che questa rivoluzione Copernicana comporta l’urgente problema di definire una misura, che generalizzi quella naturale degli insiemi elementari, per le controimmagini f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E, che possono avere a priori una forma assai complessa. Una volta fatto questo, si può accettare, almeno intuitivamente, che le misure dei cilindroidi si ottengano rispettivamente come si+1 · misura di f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E e si · misura di f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E, (2) a questo punto si sfrutta il carattere infinitesimo di si+1 − si per provare la contiguità delle approssimazioni per eccesso e difetto e quindi definire l’integrale come elemento separatore. Il problema d’integrazione si trasforma cosi’ in quello di definire una misura con opportune proprietà su una classe ampia di insiemi che saranno chiamati misurabili. 2 Supponiamo di aver definito questa misura, denotiamo con |E| la misura di un insieme misurabile E. Consideriamo i sottoinsiemi di RN costituiti dal prodotto cartesiano di intervalli (aperti chiusi o semiaperti), li chiameremo N –rettangoli o semplicemente rettangoli se non ci sono ambiguità di dimensione. Stabiliamo che i rettangoli sono misurabili con misura data dal prodotto delle ampiezze degli intervalli costituenti. Diamo la seguente Definition 1.1. Una funzione f : RN → R si dice misurabile se la controimmagine di ogni tipo di intervallo (aperto, chiuso, semiaperto) è misurabie. Richiediamo inoltre le seguenti proprietà minimali sulla misura da costruire M1 Se F1 , F2 sono misurabili allora F1 ∩ F2 è misurabile; M2 Se Fi , i = 1, · · · k è una famiglia finita P di insiemi misurabili disgiunti allora ∪ki=1 Fi è misurabile e ∪ki=1 |Fi | = i |Fi |; M3 la misura è monotona rispetto all’inclusione, e quindi la misura di ogni insieme misurabile limitato è finita in quanto ogni insieme limitato è contenuto in un opportuno rettangolo. Ricordiamo che per una funzione continua le controimmagini di insiemi aperti e chiusi sono aperti e chiusi rispettivamente. Per funzioni misurabili le controimmagini di intervalli e chiusi devono essere misurabili. Siccome vogliamo che funzioni continue siano misurabili, richiediamo anche M4 Tutti gli insiemi aperti e chiusi sono misurabili. Theorem 1.2. Ogni funzione misurabile limitata è integrabile su ogni insieme misurabile limitato. Proof. Denotiamo con E il supporto d’integrazione, che si suppone misurabile e limitato. Data una qualsiasi decomposizione {s0 , s1 , · · · , sk } dell’intervallo delle immagini di estremi inf E f = s0 , supE f = sk definiamo, come anticipato, le corrispondenti approssimazioni per eccesso date rispettivamente da P −1 s0 |f −1 (s0 ) ∩ E| + k−1 ((si , si+1 ]) ∩ E| (3) i=0 si |f P k−1 s0 |f −1 (s0 ) ∩ E| + i=0 si−1 |f −1 ((si , si+1 ] ∩ E)|. (4) Si noti che tutti gli insiemi nelle formule precedenti sono misurabili dato che f , E sono misurabili e grazie a M1. Denotiamo con S + , S − le classi numeriche formate da (3), (4) al variare di tutte le possibili decomposizioni di [inf f, sup f ]. Si vede come nella teoria di Riemann che questi due insiemi sono separati. Ammettiamo 3 ora che la decomposizione descritta precedentemente abbia norma ε, per un certo ε positivo, allora la differenza tra (3) e (4) si stima, sfruttando M2, M3, con k−1 X (si+1 − si ) |f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E| ≤ ε i=0 k−1 X |f −1 ((si , si+1 ]) ∩ E| i=0 ≤ ε |E|. Tale differenza diventa infinitesima per ε → 0. Quindi le due classi S + , S − sono contigue, e l’integrale è definito come l’elemento separatore. 2 Definizione di misura Procediamo ora a definire in maniera formale la misura di Lebesgue in RN . Ricordiamo che abbiamo già definito nel paragrafo precedente la misura dei rettangoli (N –dimensionali). Chiamiamo ora multirettangolo una qualsiasi unione finita di rettangoli con parte interna disgiunta. La misura di un multirettangolo è definita come la somma delle misure dei rettangoli costituenti. È importante notare che la misura non cambia, per rettangoli o multirettangoli, se si include o si elimina il bordo, in altri termini, conformemente all’intuizione, il bordo di un rettangolo o multirettangolo ha misura nulla. Vedremo che invece ci sono insiemi misurabili secondo Lebesgue il cui bordo ha misura positiva. 2.1 Misura di Peano–Jordan Una prima idea è quella di di approssimare un insieme limitato, diciamo E, per eccesso e per difetto con multirettangoli e di definirlo misurabile se tali approssimazioni costituiscono due classi contigue, cioè sup{|R| | R multirett. R ⊂ E} = inf{|R| | R multirett. R ⊃ E} (5) Definition 2.1. Un insieme limitato E si dice misurabile elementarmente o secondo Peano–Jordan (PJ–misurabile per abbreviare) se verifica (5). La misura, denotata con |E|, è l’elemento separatore. Tuttavia la definizione di misura secondo P–J è troppo restrittiva per i nostri scopi e va opportunamente estesa. Osserviamo innanzitutto che che tutti gli insiemi con parte interna vuota, avendo la classe delle approssimazioni per difetto vuota, se sono PJ–misurabili, devono avere misura nulla, il che già di per sè sembra una limitazione. Ma vi è una ragione più profonda che rende inadeguata la misura di Peano–Jordan, per illustrarla partiamo dal seguente 4 Lemma 2.2. Sia E un insieme limitato, allora sup{|R| | R multirett. R ⊂ E} = sup{|R| | R multirett. R ⊂ int E} inf{|R| | R multirett. R ⊃ E} = inf{|R| | R multirett. R ⊃ E} (6) (7) Proof. Denotiamo con I, J le quantità a membro sinistro e destro, rispettivamente, di (6). Dato che int E ⊂ E, allora I ≥ J. Sia ora R ⊂ E un multirettangolo, allora int R ⊂ int E e | int R| = |R|, cosicchè |R| ≤ J. Questo implica che J ≥ I e conclude la dimostrazione di (6). La relazione (7) si prova con un ragionamento simile. Il precedente risultato mostra che le approssimazioni per difetto in (5) non tengono conto di ∂E, mentre quelle per eccesso si, e questo rende automaticamente non PJ–misurabili insiemi, anche aperti o chiusi, con bordo, per cosi’ dire, importante. Il prossimo esempio illustra due situazioni di questo tipo. Example 2.3. Qui si prova che [0, 1] \ Q non è PJ–misurabile, e si costruisce un insieme aperto contenuto in [0, 1] non PJ–misurabile. Il primo fatto mostra che la funzione di Dirichlet non sarebbe integrabile nella teoria di Peano Jordan, mentre il secondo inficia (M4). Avendo [0, 1] \ Q parte interna vuota. se fosse PJ–misurabile, come già osservato, dovrebbe avere misura nulla. D’altro canto, per Lemma 2.2, le approssimazioni per eccesso sono date da multirettangoli R con R ⊃ [0, 1] \ Q = [0, 1] per i quali |R| ≥ 1. Questo mostra l’asserita non PJ–misurabilità. Ordiniamo ora i razionali di [0, 1] sotto forma di successione denotata con xn . Questo è possibile perchè i razionali hanno cardinalità numerabile. Per ribadire: la successione xn assume come valori tutti i numeri razionali di [0, 1] al variare di n in N. Per ogni prefissato ε consideriamo una successione εn con X εn = ε, (8) n quindi definiamo una successione di intervalli aperti In = (xn − εn , xn + εn ), chiaramente non disgiunti, e poniamo I = ∪n In . L’insieme I è aperto in quanto unione di intervalli aperti, e risulta intuitivo che tutti i multirettangoli che approssimano per difetto I devono avere misura inferiore alla sommatoria dell’ampiezza degli In . Tenuto conto di (8) si ha X R ⊂ I, R multirettangolo ⇒ |R| ≤ |In | = 2 ε. (9) n 5 D’altro canto, per il Lemma 2.2, possiamo prendere, come approssimazioni per eccesso, i multirettangoli che contengono la chiusura di I. Siccome I ⊃ [0, 1] ∩ Q allora I ⊃ [0, 1] ∩ Q = [0, 1] a causa della densità dei razionali, quindi R ⊃ I, R multirettangolo ⇒ |R| ≥ 1. (10) Dato che ε è arbitrario, (9), (10) provano la non PJ–misurabilità di I. 2.2 Misura di insiemi aperti e compatti Per definire la misura di Lebesgue, o misura tout court, che estende la misura di Peano–Jordan a una classe più ampia di insiemi , iniziamo a definire una misura per tutti gli insiemi aperti e compatti, vedi (M4). Dichiariamo ogni aperto e ogni compatto misurabile e usiamo solo le approssimazioni per difetto con multirettangoli per definire la misura degli aperti, solo quelle per eccesso per la misura dei compatti. In formule A aperto ⇒ |A| := sup{|R| | R multirettagolo R ⊂ A} K compatto ⇒ |K| := inf{|R| | R multirettagolo R ⊃ K} È chiaro che tutti i compatti hanno misura finita mentre ci sono degli aperti con misura infinita, banalmente |RN | = +∞. È anche chiaro che la definizione di misura per aperti e compatti è monotona per inclusione. Lemma 2.4. Siano A, K un aperto e un compatto rispettivamente, allora |A| = sup{|R| | R multirett. comp. R ⊂ E} |K| = inf{|R| | R multirett. aperto R ⊃ E} Proof. Per definizione di misura di un aperto, deve esserci per ogni prefissato δ>0 k [ R= Rj con Rj = ×i (aji , bji ) j=1 un multirettangolo tale che X XY j |R| = |Rj | = (bi − aji ) ≥ |A| − δ. j j i Consideriamo per ε piccolo Rε = k [ Rεj con Rεj = ×i [aji + ε, bji − ε], j=1 6 con ε tale che tutti gli intervalli nella formula precedente sono non degeneri. Gli Rε ⊂ R sono compatti contenuti in A e XY j |Rε | = (bi − aji − 2 ε) j i cosicchè lim |Rε | = |R| ε→0 e per un ε opportunamente piccolo |Rε | ≥ |E| − 2 δ. Questo prova la formula nell’enunciato relativa ad |A|. Quella su |K| si prova con piccole modifiche al precedente argomento. Diamo delle proprietà di additività e subadditività per la misura di aperti e compatti. Ammettiamo come intuitiva le seguente proprietà dei multirettangoli. (R1) Dato qualsiasi multirettangolo, decomponendo eventualmente i rettangoli che lo costituiscono in rettangoli più piccoli, possiamo supporre, senza perdere di generalità, che sia l’unione di rettangoli di diametro inferiore a δ, per ogni prefissato δ > 0. (R2) La misura dell’unione di una famiglia finita di multirettangoli disgiunti è data dalla somma delle misure deimultirettangoli costituemti. Nelle dimostrazioni che seguono ε indicherà una quantità infinitesima. Proposition 2.5. Sia Ki una famiglia finita di compatti disgiunti, sia K := S i Ki , allora X |K| = |Ki |. i Proof. Siano Ri deiPplurirettangoli le cui misure approssimano quelle dei Ki a meno di εi , dove i εi = ε. Dato che i Ki sono a distanza positiva l’uno dall’altro, possiamo supporre che gli Ri siano disgiunti. Deduciamo dall’additività della misura per plurirettangoli disgiunti, vedi (R2), e dal fatto che ∪i Ri è un plurirettangolo che contiene K X X |Ki | ≥ |Ri | − ε = | ∪i Ri | − ε ≥ |K| − ε. (11) i Sia ora R ⊃ K un plurirettangolo la cui misura approssima quella di K a meno di ε. Siano Ri ⊃ Ki dei plurirettangoli disgiunti e poniamo Ri0 = Ri ∩ R. Gli Ri0 sono plurirettangoli disgiunti con Ri0 ⊃ Ki , ∪i Ri0 ⊂ R. Si ha di conseguenza X X |K| ≥ |R| − ε ≥ | ∪i Ri0 | − ε = |Ri0 | − ε ≥ |Ki | − ε. (12) i Combinando (11), (12) si ottiene la tesi. 7 Proposition 2.6. Sia Ai una famiglia finita di aperti, e A := X |A| ≤ |Ai |. S i Ai , allora i Occorre premettere un risultato alla dimostrazione della Proposizione 2.6. Lemma 2.7. Sia Ai una famiglia finita di aperti e K ⊂ ∪i Ai un compatto, allora si può determinare r > 0 tale che per ogni x ∈ K esiste j (in generale non unico) con B(x, r) ⊂ Aj . Proof. Basta provare il risultato per due aperti A1 , A2 . Si considera f (x) = d(x, Ac1 ) + d(x, Ac2 ). per la condizione K ⊂ A1 ∪ A2 , la f risulta positiva su K ed essendo continua ha per il Teorema di Weierstrass minimo positivo su K, denotato con 3 r. Dato x ∈ K si ha f (x) = d(x, Ac1 ) + d(x, Ac2 ) ≥ 3 r e quindi uno dei due addendi d(x, Ac1 ), d(x, Ac2 ) deve essere strettamente maggiore di r. Se ad esempio d(x, Ac1 ) > r allora B(x, r) ⊂ A1 . Proof. (Proposizione 2.6) Supponiamo dapprima |A| < +∞. Sia R ⊂ A un plurirettangolo compatto la cui misura approssima per difetto quella di A a meno di ε. Non è restrittivo supporre, vedi (R1), che i diametri di tutti i rettangoli che costituiscono R abbiano raggio minore di r, dove r è quantità data dal lemma precedente in corrispondenza degli Ai e del compatto R. Possiamo allora associare in base al lemma precedente ad ogni rettangolo costituente R uno degli Ai che lo contiene. Tenendo conto di questo, definiamo per ogni i Ri = {unione rett. di R associati ad Ai }. (13) Si ha |A| ≤ |R| + ε = X |Ri | + ε ≤ X i |Ai | + ε. i Questo prova la tesi per l’arbitrarietà di ε. Se invece |A| = +∞, allora per ogni prefissato M > 0, esiste un plurirettangolo R con R ⊂ A, |R| > M . Definendo Ri come in (13), si ha X X M < |R| = |Ri | ≤ |Ai |. i Quindi, per l’arbitrarietà di M X i |Ai | = +∞ = |A| i che conclude la dimostrazione. 8 Lemma 2.8. Sia A un insieme aperto e K un compatto and K ⊂ A, allora |A \ K| = |A| − |K|. Proof. Dato ε > 0, sia R un multirettangolo compatto con R⊂A\K |R| ≥ |A \ K| − ε per l’additività delle misure dei compatti |A| ≥ |R ∪ K| = |R| + |K| ≥ |A \ K| − ε + |K| da cui per l’arbitrarietà di ε |A \ K| ≤ |A| − |K|. (14) Sia R0 un multirettangolo aperto con R0 ⊃ K |R0 | ≤ |K| + ε per la subadditività della misura degli aperti |A| ≤ |R0 | + |A \ K| ≤ |K| + |A \ K| + ε e per l’arbitrarietà di ε |A \ K| ≥ |A| − |K| (15) Le disuguaglianze (14), (15) danno la tesi 2.3 Misura in generale Per determinare in generale gli insiemi misurabili e la loro misura, l’idea è quella di usare approssimazioni con compatti e aperti. Se approssimassimo per difetto con aperti allora ci troveremmo nella stessa difficoltà segnalata prima con i multirettangoli, cioè staremmo in effetti approssimando la parte interna dell’insieme in questione. Un problema dello stesso tipo, mutatis mutandis, ci sarebbe per l’approssimazione per eccesso con compatti, tra l’altro in questo caso l’insieme dovrebbe essere limitato. Allora, dato un insieme E, consideriamo approssimazioni per difetto con insiemi compatti e per eccesso con insiemi aperti, e chiediamo che le misure di queste famiglie di insiemi costuiscano due classi contigue. Esse sono separate per la proprietà di monotonia rispetto all’inclusione delle misure di aperti e compatti. In formule inf{|A| | A aperto, A ⊃ E} = sup{|K| | K compatto, K ⊂ E}. 9 (16) Se l’elemento separatore delle due classi di approssimazioni è finito, la condizione (16) viene assunta come definizione di misurabilità, e l’elemento separatore è la misura (di Lebesgue) di E, denotata con |E|. Se invece l’elemento separatore è +∞, cioè equivalentemente se sup{|K| | K compatto, K ⊂ E} = +∞ (17) allora bisogna fare un ulteriore passo poichè, come mostreremo nell’Esempio 3.11, vi sono degli insiemi che verificano (17), quindi la continguità a +∞ delle approssimazioni per eccesso e difetto, ma la cui eventuale misurabilità inficerebbe alcune proprietà fondamentali e irrinuciabili della misura che stiamo costruendo, segnatamente la σ–additività e il fatto che se due insiemi sono misurabili anche la loro differenza lo deve essere. Se quindi vale (17), per affermare che un insieme è misurabile, richiederemo ulteriormente che per ogni n E ∩ B(0, n) sia misurabile nel senso di (16). (18) In questa situazione la misura di E è chiaramente infinita. La condizione di misurabilità (16) per un insieme E di misura finita può essere equivalentemente espressa richiedendo ∀ε > 0 ∃A ⊃ E ap., K ⊂ E comp. | |A| − |K| = |A \ K| < ε. (19) Si noti che l’uguaglianza |A| − |K| = |A \ K| viene dal Lemma 2.8. Lemma 2.9. Se E, F sono misurabili con misura finita, allora E \ F e E ∩ F sono anch’essi misurabili. Proof. Dato ε > 0, troviamo, facendo uso del criterio (19), A, A0 aperti e K, K 0 compatti con A ⊃ E ⊃ K e A0 ⊃ F ⊃ K 0 |A| − |K| < ε e |A0 | − |K 0 | < ε. Definiamo B = A \ K0 C = K \ A0 , essendo la differenza di una aperto ed un compatto, B è un insieme aperto, essendo la differenza di una compatto ed un aperto, C è un insieme compatto, inoltre B ⊃ E \ F ⊃ C. Si ha B \ C ⊂ (A \ K) ∪ (A0 \ K 0 ) 10 che implica |B \ C| ≤ |A \ K| + |A0 \ K 0 | ≤ 2 ε e quindi,in base a(19), la misurabilitàdi E \F . Quella di E ∩F viene dalla formula E ∩ F = E \ (E \ F ). Riguardo alla consistenza delle varie nozioni di misura introdotte, osserviamo: • Il Lemma 2.4 mostra che le misure di aperti e compatti pssono essere ottenute tramite (16); • ogni insieme chiuso è misurabile. Difatti se C è un chiuso (non limitato) allora C ∩ B(0, n) = (C ∩ B(0, n + 1)) ∩ B(0, n) e quindi, essendo l’intersezione di un compatto con un aperto di misura finita, è misurabile ai sensi del Lemma 2.9. • ogni misurabile di misura finita soddisfa (18) sempre per il Lemma 2.9. Inoltre mettiamo in luce tre proprietà rilevanti che vengono dalla stessa definizione della misura di Lebesgue • la misura di Lebesgue è monotona per inclusione, cioè se E, F sono misurabili con E ⊂ F allora |E| ≤ |F | • la misura di Lebesgue è invariante per traslazioni, cioè se un insieme E è misurabile allora x + E è misurabile per ogni x e |E| = |x + E| • Ogni sottoinsieme di un insieme di misura nulla è misurabile ed ha misura nulla. Si dice che una proprietà vale quasi ovunque, q.o. per abbreviare, se vale a meno di insiemi di misura nulla. Concludiamo la sezione con un risultato che cartterizza bei termini della misura di Lebesgue insiemi misurabili secondo Peano–Jordan Theorem 2.10. Un insieme limitato è misurabile secondo Peano–Jordan se e solo se la misura di Lebesgue del suo bordo è nulla. 11 Proof. Sia E un insieme limitato PJ–misurabile, allora per il Lemma 2.2 | int E| = |E| (20) e di conseguenza |∂E| = |E| − | int E| = 0. Viceversa, sia E un insieme limitato con |∂E| = 0 allora vale (20) e tenuto conto della definizione di misura per aperti e compatti e del Lemma 2.2 |E| = inf{R | R multirett. R ⊃ E} = inf{R | R multirett. R ⊃ E} | int E| = sup{R | R multirett. R ⊂ int E} = sup{R | R multirett. R ⊂ E}. Questo prova l’assunto. 3 3.1 Proprietà della misura σ–additività della misura In questa sezione mostriamo l’additività numerabile o σ–additività della misura su insiemi misurabili disgiunti. In tutte le dimostrazioni indicheremo con ε una quantità infinitesima. Theorem 3.1. S Sia Ei una successione (finita o infinita) di insiemi misurabili allora E := i Ei è misurabile e X |E| = |Ei |. i Il Teorema 3.1 si basa sulla Proposizione 2.5 e sulla seguente generalizzazione della proposizione 2.6 S Lemma 3.2. Sia Ai una famiglia numerabile di aperti, sia A := i Ai , allora X |A| ≤ |Ai |. i Proof. Supponiamo dapprima |A| < +∞. Sia R ⊂ A un multirettangolo compatto la cui misura approssima quella di A a meno di ε, vedi il Lemma 2.4. Per la definizione di compattezza si possono estrarre dagli Ai , un numero finito di insiemi, diciamo A1 , · · · , Am , per un certo indice m, tale che R ⊂ ∪m i=1 Ai . Si ha per la Proposizione 2.6 |A| ≤ |R| + ε ≤ | ∪m i=1 Ai | + ε ≤ m X i=1 12 |Ai | + ε ≤ ∞ X i=1 |Ai | + ε. Questo mostra la tesi. Se invece |A| = +∞, fissiamo M e denotiamo con R un multirettangolo compatto con R ⊂ A, |R| > M . Supponiamo ancora che A1 , · · · , Am costituisca un ricoprimento di R, allora M < |R| ≤ | ∪m i=1 Ai | ≤ m X |Ai | ≤ i=1 il che prova ∞ X ∞ X |Ai |, i=1 |Ai | = +∞ = |A| i=1 e conclude la dimostrazione. Proof. (Teorema 3.1) Supponiamo che la famiglia Ei sia infinita e che X |Ei | < +∞. (21) i P Questo implica che le code della serie ∞ i=1 |Ei | sono infinitesime, per cui esiste un indice m0 tale che m0 ∞ X X ε |Ei | ≤ |Ei | + . 2 i=1 i=1 Siano Ki ⊂ Ei dei compatti le cui misurano per difetto quelle di P approssimano ε Ei , per i = 1, · · · , m0 a meno di εi , con εi = 2 , essi sono disgiunti dato che gli Ei lo sono. Si ha per la Proposizione 2.5 m0 X |Ki | = | 0 ∪m i=1 Ki | ≥ i=1 m0 X i=1 ∞ ε X |Ei | − ε. |Ei | − ≥ 2 i=1 (22) Siano Ai ⊃ Ei degli aperti le cui misure P∞approssimano per eccesso quelle di Ei , per i = 1, · · · , ∞, a meno di ρi , con i=1 ρi = ε. Si ha per la σ–subadditività degli aperti, provata nel Lemma 3.2 ∞ X |Ei | + ε ≥ X |Ai | ≥ | ∪∞ i=1 Ai |. (23) i=1 Combinando (22), (23) otteniamo ∞ X |Ei | − ε ≤ sup{K compatto | K ⊂ E} i=1 ≤ inf{A aperto | A ⊃ E} ≤ ∞ X i=1 13 |Ei | + ε. P Questo implica che E è misurabile e che la sua misura eguaglia |Ei |, lo stesso argomento, con ovvie modifiche, permette di raggiungere la stessa conclusione se gli Ei sono finiti. Se viceversa la famiglia Ei è infinita e X |Ei | = +∞. i allora si tratta allora solo di provare la misurabilità di E, cioè (18), dato che in questo caso esso avrebbe automaticamente misura infinita per la monotonia della misura. Fissiamo n ∈ N, si ha [ E ∩ B(0, n) = Ei ∩ B(0, n) (24) i per la proprietà di additività provata nella prima parte del teorema e per la monotonia della misura m m [ X |Ei ∩ B(0, n)| = Ei ∩ B(0, n) ≤ |B(0, n)|, i=1 che implica i=1 ∞ X |Ei ∩ B(0, n)| < +∞. i=1 Tenendo conto di (24) e sfruttando la prima parte della dimostrazione si deduce che E ∩ B(0, n) è misurabile. Per la genericità di n questo a sua volta implica che E è misurabile in base a (18), come si voleva provare. Dato che ogni punto, essendo un rettangolo totalmente degenere, ha misura nulla, il teorema precedente implica • ogni insieme di cardinalità numerabile è misurabile con misura nulla. In particolari i razionali sono misurabili in R con misura nulla, gli irrazionali, essendo i complementari degli irrazionali, sono misurabili con misura infinita. Gli insiemi Q ∩ [0, 1], [0, 1] \ Q sono misurabili con Q ∩ [0, 1] = 0, [0, 1]. \ Q = 1 3.2 σ–algebre Ricordiamo, senza dimostrazione, altre proprietà degli insiemi misurabili • Se Ei è una successione di insiemi misurabili (non necessariamente disgiunti) allora E := ∪i Ei è misurabili; 14 • se E, F sono misurabili, allora E \ F è misurabile e X |E| ≤ |Ei |; i • se E, F sono misurabili, con E ⊂ F , allora |E \ F | = |E| − |F |; • l’intersezione numerabile di insiemi misurabili è misurabile; Si osservi che le proprietà da M1 a M4 che avevamo indicato come irrinuciabili per la misura nella sezione introduttiva sono effettivamente tutte verificate. Le proprietà elencate sopra danno alla famiglia degli insiemi misurabili una struttura peculiare. Definition 3.3. Una famiglia di sottoinsiemi F di RN è una σ–algebra se • contiene RN • è chiusa per unioni numerabili, cioè l’unione di una successione di insiemi di F appartiene a F • è chiusa per complementazione. Questo implica immediatamente che contiene l’insieme vuoto e che è anche chiusa per intersezioni numerabili. È immediato verificare che l’intersezione di σ–algebre è ancora una σ–algebra, per cui ha senso considerare la più piccola σ–algebra che contiene una data famiglia di sottoinsiemi di RN , diciamo G, questa si indica con hGi, e si dice che G è una famiglia di generatori di hGi. Theorem 3.4. Gli insiemi misurabili costituiscono una σ–algebra, detta di Lebesgue e denotata con L. Inoltre, data una successione di insiemi misurabili Ei lim |Ei | = | ∪ Ei | se Ei è crescente rispetto all’inclusione (25) lim |Ei | = | ∩ Ei | se Ei è decrescente rispetto all’inclusione. (26) i i Conviene introdurre la σ–algebra generata dagli aperti, e/o dai chiusi, di RN . Questa si indica con B e si chiama σ–algebra di Borel o dei Boreliani di RN . Dato che tutti gli aperti sono misurabili e quindi sono contenuti in L, si ha B ⊂ L. L’inclusione in effetti è stretta. Si può più precisamente provare che la σ–algebra di Lebesgue è generata dai Boreliani e dalla famiglia degli insiemi di misura nulla, denotata con N . In formule L = hB ∪ N i. 15 Aggiungendo a B, per ottenere L, gli insiemi di misura nulla, dobbiamo ovviamente aggiungere unioni di elementi di B e N , intersezioni e complementi. Questo aumenta significativamente la taglia di L rispetto a quella di B. Si può provare addirittura che vi è un aumento di cardinalità. Facendo uso delle σ–algebre e ricordando le proprietà della misura di Lebesgue, possiamo dare una nozione di misura astratta in RN . Definition 3.5. sia F una σ–algebra di RN , una funzione µ : F → [0, +∞] si chiama misura se • µ(∅) = 0 • (σ–additività) se Ei è una successione di insiemi di F allora X µ (∪i Ei ) = µ(Ei ). i Una misura si dice localmente finita se è finita sui compatti. È chiaro che la misura di Lebesgue soddisfa la definizione di sopra ed è localmente finita. Anche se può sembrare intuitivamente vero, è invece falso che due misure definite sulla stessa σ–algebra coincidono se sono uguali su una qualsiasi famiglia di generatori. È facile costruire dei controesempi, che comunque esulano dagli scopi di questa trattazione. Per particolari famiglie di generatori, tuttavia, la coincidenza vale. Registriamo un risultato di questo tipo di cui faremo uso nella Sezione 7. Lemma 3.6. Siano µ1 , µ2 due misure localmente finite definite sulla σ–algebra dei Boreliani di RN . Se µ1 (A) = µ2 (A) per ogni aperto A allora µ1 = µ2 . 3.3 Misura prodotto Abbiamo sinora definito non una singola misura, bensi’ una famiglia di misure di Lebesgue N –dimensionali in RN al variare della dimensione N dello spazio ambiente. La nozione di misura prodotto, che tratteremo in questa sezione serve, tra l’altro, a mettere tali misure in relazione tra di loro. 16 Denotiamo con | · |N , | · |M le misure di Lebesgue in RN e RM rispettivamente, e con LN , LM le corrispondenti σ–algebre di Lebesgue. Nel seguito indicheremo il generico punto di RN +M con (x, y) dove x varia in RN e y in RM . Definiamo la σ–algebra prodotto LN × LM in RN +M mediante la formula LN × LM = hE × F | E ∈ LN , F ∈ LM i È opportuno sottolineare che gli insiemi del tipo E × F con E ∈ LN , F ∈ LM non costituiscono di per sè una σ–algebra. Per un insieme B ∈ LN × LM definiamo Bx = {y ∈ RM | (x, y) ∈ B} per ogni x fissato in RN B y = {x ∈ RN | (x, y) ∈ B} per ogni y fissato in RM le Bx si chiamano sezioni verticali di B e le B y sezioni orizzontali. La connessione della σ–algebra prodotto con LN ed LM è data dalla seguente Proposition 3.7. Sia B ∈ LN × LM , ogni sezione Bx appartiene a LM , ogni sezione B y appartiene a LN . Precisiamo per completezza che il viceversa non è vero, le conseguenze di questo fatto sono rilevanti nello studio delle σ–algebre prodotto, ma non riguardano la nostra trattazione. Definiamo su ogni insieme E × F con E ∈ LN , F ∈ LM µ(E × F ) = |E|N |F |M . (27) Un primo risultato importante, vedi la discussione prima del Lemma 7.2, è Proposition 3.8. La µ definita in (27) può essere estesa in maniera unica ad una misura, sempre denotata con µ, definita sulla σ–algebra prodotto LN × LM . La misura µ definita tramite (27) e la Proposizione 3.8 è chiamata misura prodotto di | · |N e | · |M . Il risultato clou della sezione è Theorem 3.9. La σ–algebra prodotto LN × LM coincide con LN +M . La misura prodotto µ, definita tramite (27) e la Proposizione 3.8, coincide con | · |N +M . Una formula più precisa che riduce il calcolo delle misura prodotto LN +M a opportuni integrali rispetto a LN e LM verrà data nel Teorema 5.7. 17 3.4 Insiemi di Vitali Lo scopo della sezione è provare il seguente Theorem 3.10. Ogni insieme misurabile di misura positiva di R ha un sottoinsieme non misurabile. Mostreremo anche con un esempio che la contiguità delle misure delle approssimazioni per eccesso con aperti e per difetto con compatti non garantisce la misurabilità di un insieme quando l’elemento separatore è infinito. Partiamo dalla costruzione dell’insieme di Vitali classico. Consideriamo in R la relazione d’equivalenza xvy se x − y ∈ Q. Siccome ogni x è in relazione con la sua parte frazionaria che appartiene a [0, 1) possiamo, facendo uso dell’assioma della scelta, selezionare un rappresentante di ogni classe d’equivalenza in [0, 1). Chiamiamo V l’insieme cosi’ ottenuto. Lo scopo è di provare • V non è misurabile. Dato x ∈ [0, 1], denotato con x̄ l’elemento di V in relazione con x, si ha per qualche q ∈ Q x = q + x̄ e q = x − x̄ ∈ [−1, 1]. Questo prova [ q + V ⊃ [0, 1] (28) q + V ⊂ [−1, 2]. (29) q∈[−1,1]∩Q e d’altro canto banalmente [ q∈[−1,1]∩Q Ora osserviamo che (q + V ) ∩ (q 0 + V ) = ∅ se q, q in Q con q 6= q 0 difatti se ci fosse un elemento in comune, diciamo se esistesse y = q + v = q0 + v0 con v, v 0 in V allora v − v 0 = q 0 − q 6= 0 ∈ Q ⇒ v v v 0 18 che non può essere per il modo in cui è stato costruito V . In definitiva [ q+V q∈[−1,1]∩Q è un’unione numerabile di insiemi disgiunti ottenuti l’uno dall’altro per traslazione. Se fossero misurabili avrebbero tutti quanti la stessa misura, data l’invarianza per traslazioni della misura di Lebesque. Se tale comune misura fosse positiva allora la misura dell’unione sarebbe infinita per la σ–additività, in contrasto con (29), se invece fosse nulla allora la misura dell’unione sarebbe nulla, in contrasto con (28). Questa impasse prova la non misurabilità di V . Lo stesso argomento, con una postilla, mostra anche: • Ogni sottoinsieme misurabile di V , e quindi di q + V per q ∈ Q, ha misura nulla. Difatti se per assurdo, esistesse W ⊂ V misurabile con |W | > 0 allora [ q + W = +∞ q∈[−1,1]∩Q in contrasto con [ [ q+W ⊂ q∈[−1,1]∩Q q + V ⊂ [−1, 2]. q∈[−1,1]∩Q Sia ora E un insieme di misura positiva in R. Dato che [ R= q+V q∈Q allora E= [ [(q + V ) ∩ E] q∈Q Se (q + V ) ∩ E fosse misurabile per ogni q ∈ Q, allora per quanto provato precedentemente, dovrebbe avere misura nulla, ma se fosse cosi’ X |E| = |(q + V ) ∩ E| = 0 q∈Q che non è possibile per l’assunta positività della misura di E. Quindi esiste q ∈ Q per cui (q + V ) ∩ E ⊂ E non è misurabile. Questo prova il Teorema 3.10. 19 Example 3.11. Questo esempio mostra come esistano insiemi non misurabili per cui vale (17), quindi la continguità a +∞ delle approssimazioni per eccesso e difetto. Questo spiega la ragione della condizione aggiuntiva (18). Sia E = (−∞, 0) ∪ V . Questo insieme non è misurabile, altrimenti anche V = E \ (−∞, 0) lo sarebbe. D’altro canto sup{|K| | K comp., K ⊂ E} ≥ sup{|K| | K comp., K ⊂ (0, +∞)} = +∞ per cui la condizione (17) è verificata senza che ci sia misurabilità. 4 Funzioni misurabili Come già anticipato nella Sezione 1.1, la definizione di misurabilità per una funzione viene data in termini di controimmagini. Definition 4.1. Una funzione f definita su un insieme misurabile B ⊂ RN e a valori in R si dice misurabile (secondo Lebesgue) se f −1 (E) ∈ LN per ogni E ∈ B 1 , dove LN è la σ–algebra di Lebesgue in RN e B 1 la σ–algebra di Borel in R. Nel seguito della sezione porremo, per semplicità notazionale, B = B 1 , L = L . La funzione di Dirichlet da [0, 1] a R è misurabile in quanto l’immagine inversa di ogni Boreliano non contenente nè 0 nè 1 è l’insieme vuoto, la controimmagine di quelli contenenti 0 ma non 1 è [0, 1] \ Q, di quelli contenenti 1 ma non 0 è [0, 1] ∩ Q, di quelli contenenti sia 0 sia 1 è [0, 1]. E quindi tutte le possibili controimmagini sono misurabili. L’asimmetria nella definizione, cioè il fatto che si considerino σ–algebre di Lebesgue nel dominio e di Borel nel codominio, è rilevante. Se si richiedesse, come uno potrebbe essere tentato di fare, che tutte le controimmagini di insiemi misurabili secondo Lebesgue in R fossero insiemi misurabili secondo Lebesgue in RN , si otterrebbe una nozione nettamente più restrittiva, e come tale non utile, che escluderebbe anche alcune funzioni continue. Per ribadire: esistono funzioni continue per cui controimmagini di alcuni insiemi misurabili secondo Lebesgue in R non sono insiemi misurabili secondo Lebesgue in RN . Un esempio si costruisce a partire dalla Scala di Cantor. N Dato che le controimmagini commutano con unione, intersezione e complementazione, è immediato che l’ immagine inversa di una σ–algebra tramite qualsisi funzione è ancora una σ–algebra. Inoltre è equivalente, per le prorietà di commutatività ricordate sopra, data una qualsiasi famiglia F di sottoinsiemi del codominio, partire dalla σ–algebra 20 generata da F nel codominio e poi farne la controimmagine, oppure fare prima la controimmagine di F e poi generare da f −1 (F) la σ–algebra nel dominio. Queste due operazioni portano a costruire la stessa σ–algebra. Sintetizziamo questa discussione nel seguente enunciato: Proposition 4.2. Sia g : RN → R una qualsiasi funzione, F una qualsiasi famiglia di sottoinsiemi di R, allora g −1 (hFi) = hg −1 (F)i. La definizione di misurabilità per una funzione f si può riformulare richiedendo che la σ–algebra immagine inversa dei Boreliani di R sia contenuta in L. In formule f −1 (B) ⊂ L. (30) La prossima proposizione permette di verificare la misurabilità di una funzione controllando la controimmagine non di tutti i Boreliani di R, ma di una qualsiasi famiglia che li genera. Proposition 4.3. Sia F una famiglia di generatori di B in R. Se f −1 (F) ⊂ L allora f è misurabile. Proof. Per ipotesi L ⊃ hf −1 (F)i e quindi per la Proposizione 4.2 e il fatto che hFi = B L ⊃ hf −1 (F)i = f −1 (B). Questo conclude la dimostrazione tenendo conto di (30). È facile provare che ogni tipo di intervallo non degenere genera la σ–algebra dei Boreliani in R. Ad esempio intervalli aperti e illimitati a destra, chiusi e illimitati a sinistra, compatti, aperti e limitati e cosi’ via. In base al risultato precedente, quindi, per provare che una funzione è misurabile basta controllare le controimmagini di una qualsiasi di queste famiglie di intervalli. Come applicazione di questo principio proviamo Proposition 4.4. Tutte le funzioni continue, semicontinue superiormente e inferiormente da RN a R sono misurabili. Ricordiamo che una funzione f di dice semicontinua superiormente se lim sup f (y) ≤ f (x) per ogni x y→x si dice invece semicontinua inferiormente se lim inf f (y) ≥ f (x) y→x 21 Proof. (della Proposizione 4.4) Se f è continua la controimmagine di ogni aperto di R è un aperto di RN . Gli aperti di R generano la σ–algebra dei Boreliani, quelli di RN appartengono a L. Segue la misurabilità di f per la Proposizione 4.3. Sia ora f semicontinua superiormente, consideriamo C := f −1 ([a, +∞)) per un certo a ∈ R. Sia xn una successione di elementi di C, cioè tale che f (xn ) ≥ a, e supponiamo che ammetta limite x, allora f (x) ≥ lim sup f (y) ≥ lim sup f (xn ) ≥ a, y→x n in altri termini x ∈ C. Per la caratterizzazione dei chiusi di RN tramite successioni deduciamo che C è chiuso. Dato che gli intervalli della forma [a, +∞) generano B e gli insiemi chiusi appartengono a L concludiamo, sfruttando la Proposizione 4.3, che f è misurabile. Se f è semicontinua inferiormente si prova, come nel punto precedente che f −1 ((−∞, a]) è chiuso per ogni a ∈ R e si deduce la misurabilità di f di nuovo mediante la Proposizione 4.3. Le principali proprietà delle funzioni misurabili sono • se f , g sono misurabili allora lo sono anche f + g e f g; • se fn è un successione di funzioni misurabili allora x 7→ sup fn (x) n x 7→ inf fn (x) n sono entrambe misurabili; • f (x) := lim supn fn (x) e g(x) := lim inf n fn (x) sono misurabili. In particolare se la successione fn converge puntualmente allora il suo limite è misurabile. 5 5.1 Integrale Funzioni limitate Data una funzione f da un sottoinsieme di RN a R, definiamo per ogni x nel suo dominio f + (x) = f (x) ∨ 0 f − (x) = −f (x) ∨ 0 22 f + è chiamata parte positiva di f , f − parte negativa. Sia f + che f − sono non negative e si ha f = f + − f − |f | = f + + f − . Se f è misurabile allora sia f + che f − sono misurabili in quanto ottenute come massimo di funzioni misurabili. Data una funzione limitata non negativa definita su un insieme E, considereremo il sottografico e il grafico di f su E definiti rispettivamente da ΓE f = {(x, y) ∈ E × [0, +∞) | 0 ≤ y ≤ f (x)} graph E f = {(x, f (x)) | x ∈ E} La definizione di integrale si dà a partire da funzioni misurabili limitate non negative su insiemi misurabili limitati. La seguente proposizione è una riformulazione del Teorema 1.2 nei termini della misura di Lebesgue (N +1)–dimensionale come prodotto della misura di Lebesgue N –dimensionale e quella 1–dimensionale. Proposition 5.1. Sia f una funzione misurabile limitata non negativa definita in un insieme misurabile limitato E, allora il sottografico ΓE f ed il grafico graph E f sono misurabili in RN +1 , con | graph E f | = 0. Proof. Consideriamo una succesione di decomposizioni dell’intervallo [inf E f, supE f ], al variare di n ∈ N sn0 = inf f, sn1 , · · · , snkn = sup f E E ottenute per infittimento e di norma infinitesima per n → +∞. Tenendo conto dei risultati della sezione sulla misura prodotto, le unioni dei cilindroidi En = (f −1 (sn0 ) ∩ E) × [0, sn0 ) Fn = (f −1 (sn0 ) ∩ E) × [0, sn0 ] k[ n −1 i=0 k[ n −1 (f −1 ((sni , sni+1 ]) ∩ E) × [0, sni ) (f −1 ((sni , sni+1 ]) ∩ E) × [0, sni+1 ] i=0 sono misurabili in RN +1 con |En | = |f −1 (sn0 ) ∩ E| sn0 + |Fn | = |f −1 (sn0 ) ∩ E| sn0 + kX n −1 i=0 kX n −1 i=0 23 |f −1 ((sni , sni+1 ] ∩ E| sni |f −1 ((sni , sni+1 ]) ∩ E| sni+1 , inoltre En ⊂ ΓE f ⊂ Fn graph E f ⊂ Fn \ En . Definiamo E= [ En F = n \ Fn , n per quanto dimostrato nel Teorema 1.2 e per (25), (26) |E| = lim |En | = lim |Fn | = |F | n n e quindi |F \ E| = |F | − |E| = 0. Di conseguenza Γn f ⊂ E ∪ (F \ E) è l’unione di F \ E, che è misurabile, e di un insieme di misura nulla e, come tale, è misurabile, inoltre graph E f ⊂ F \ E è misurabile ed ha misura nulla. Definiamo l’integrale di una funzione misurabile limitata non negativa f su un supporto d’integrazione E misurabile e limitato tramite Z f dx = |ΓE f |. (31) E Tenuto conto che, in base alla Proposizione 5.1, la misura del grafico di f è nulla, si ha che {(x, y) ∈ E × [0, +∞) | y < f (x)} è misurabile e Z f dx = |{(x, y) ∈ E × [0, +∞) | y < f (x)}| (32) E Se f è la funzione di Dirichlet allora Γ[0,1] f = [(Q ∩ [0, 1]) × [0, 1]] ∪ [(Q \ [0, 1]) × {0}] e di conseguenza Z 1 f dx = |[Γ[0,1] f | = 0 0 come era stato annunciato nella sezione introduttiva. Si può dare una formulazione più funzionale della definizione di integrale per funzioni limitate non negative facendo uso delle funzioni semplici. 24 Definition 5.2. Una funzione g si dice semplice se il suo codominio è finito, ogni valore è finito e ha come supporto un insieme misurabile. Si usa la notazione ∞ X g(x) = ai χ(Ei )(x) (33) i=1 dove gli ai sono i valori assunti da a, Ei = g −1 (ai ), per ogni i, e χ(Ei ), che vale 1 in Ei , 0 in Eic , è detta funzione caratteristica o indicatrice di Ei . Si definisce l’integrale di una funzione semplice g, data da (33), su un insieme misurabile limitato E tramite Z X g dx = ai |Ei ∩ E|. E i Il seguente risultato è una riformulazione del Teorema 1.2, della Proposizione 5.1 e di (31), (34) con le funzioni semplici. Proposition 5.3. Data una funzione misurabile limitata non negativa f su un insieme misurabile limitato E, gli insiemi numerici Z g dx | g sempl., g ≤ f in E E Z g dx | g sempl., g ≥ f in E E sono contingui e R E f dx è il loro elemento separatore. Se f è misurabile limitata senza ipotesi di segno poniamo Z Z Z + f dx = f dx − f − dx. E 5.2 E (34) E Funzioni qualsiasi La nozione di integrale si estende a funzioni misurabili f non negative, possibilmente illimitate, su insiemi misurabili E, possibilmente illimitati, ponendo Z Z f dx = lim (f ∧ n) dx E n E∩B(0,n) si noti che il limite, essendo monotono, esiste sempre, possibilmente uguale a +∞. La successione ΓE∩B(0,n) (f ∧ n) 25 è crescente per inclusione e ΓE f = [ ΓE∩B(0,n) (f ∧ n) n inoltre graph E f = [ graph E∩B(0,n) (f ∧ n) n Questo consente di generalizzare, facendo uso di (25) e della subadditività della misura per unioni non digiunte, la Proposizione 5.1 e le formule (31), (34) al caso illimitato Proposition 5.4. Sia f una funzione misurabile non negativa definita in un insieme misurabile E, allora il sottografico ΓE f ed il grafico graph E f sono misurabili in RN +1 , con | graph E f | = 0. (35) Inoltre, tenuto conto di (35) {(x, y) ∈ E × [0, +∞) | y < f (x)} è misurabile e Z f dx = |ΓE f | = |{(x, y) ∈ E × [0, +∞) | y < f (x)}| E Per una qualsiasi funzione misurabile f , senza ipotesi di segno, si calcolano con la regola precedente Z Z + f dx f − dx (36) E E Definition 5.5. Una funzione misurabile f si dice integrabile su un insieme misurabile E se almeno uno dei due integrali in (36) è finito, in questo caso Z Z Z + f dx = f dx − f − dx. E E E Si pone, com’è ovvio, +∞ + quantità finita = +∞ −∞ + quantità finita = −∞. Se una funzione misurabile non cambia segno in E è ivi integrabile. Si usa la dizione sommabile per dire che una funzione è integrabile con integrale finito. È chiaro, da quanto detto sinora, che ogni funzione misurabile limitata è sommabile su un insieme misurabile limitato. Date due funzione misurabili f , g integrabili su un insieme misurabile E, le principali proprietà dell’integrale sono: 26 • R R f dx per λ ∈ R R R • f ≥ g in E implica E f dx ≥ E g dx R R • se f ≥ 0, F ⊂ E misurabile allora : Ef dx ≥ F f dx. R R • E f dx ≤ E |f | dx E λ f dx = λ E Valgono anche proprietà di linearità e additività a patto che si eviti la forma indeterminata +∞ − ∞, in questo caso si ha R R R • E (f + g) dx = E f + E g dx • se E, F sono misurabili disgiunti ed f è integrabile anche su F Z Z Z f dx = f dx + f dx. E∪F E E Registriamo per uso futuro Lemma 5.6. Si g una funzione misurabile non negativa, E ⊂ RN un insieme misurabile. Se Z g(x) dx = 0 E allora g = 0 q.o. in E. Proof. Definiamo per ogni n F = {x ∈ E | g(x) > 0} Fn = {x ∈ E | g(x) > 1/n}, la tesi equivale a mostrare che |F | = 0. Gli Fn sono una successione di insiemi decrescenti per inclusione e \ F = Fn , conseguentemente per (26) |F | = lim Fn . n Se, per assurdo, |F | > 0 allora esiste un indice m con |Fm | > 0, e per le proprietà dell’integrale Z 1 |Fm | > 0 g dx ≥ inf g dx > Fm m E in contraddizione con l’ipotesi. 27 5.3 Spazi prodotto Diamo due teoremi su misura e integrazione in spazi prodotto. Facciamo uso delle notazioni introdotte nella Sezione 3.3. Theorem 5.7. Sia B ∈ LN +M , allora le funzioni x 7→ |Bx |M e y 7→ |B y |N sono misurabili da RN a R e da RM a R, rispettivamente e Z Z |Bx |M dx = |B y |N dy. |B|N +M = RN RM Ricordiamo, per completezza, la formula di riduzione degli integrali. Theorem 5.8. (Fubini) Sia f una funzione sommabile da RN +M a R allora y 7→ f (x, y) è sommabile in RM , q.o. in x ∈ RN x 7→ f (x, y) è sommabile in Rn , q.o. in y ∈ RM Z x 7→ f (x, y) dy è sommabile in RN RM Z y 7→ f (x, y) dx è sommabile in RM RN e Z f dxdy N +M Z ZR Z f (x, y) dy dx = = RN RM RM Z f (x, y) dx dy. RN dove dxdy indica l’integrazione rispetto alla misura di Lebesgue in RN +M . 5.4 Integrabilità secondo Riemann e Lebesgue Lo scopo della sezione è provare il Teorema di Lebesgue–Vitali, ne daremo una formulazione unidimensionale perchè non abbiamo mai esplicitamente definito la nozione di integrale di Riemann in RN , inoltre assumeremo un ipotesi di segno sulla funzione integranda. Il teorema nella sua generalità vale in qualsiasi dimensione e senza ipotesi di segno. 28 Theorem 5.9. (Lebesgue–Vitali) Una funzione misurabile limitata non negativa f definita in un intervallo compatto [a, b] è integrabile secondo Riemann se e solo se i suoi punti di discontinuità costituiscono un insieme di misura di Lebesgue nulla. Avremo bisogno di una serie di risultati preliminari. Proposition 5.10. Una funzione f , che soddisfa le ipotesi del Teorema 5.9, è integrabile secondo Riemann se e solo se il sottografico Γ[a,b] f è misurabile secondo Peano–Jordan. Proof. Mostreremo solo il verso facile dell’equivalenza nell’enunciato, cioè f integrabile secondo Riemann ⇒ Γ[a,b] f PJ–misurabile Se f è integrabile secondo Riemann allora le somme superiori ed inferiori di Riemann costituiscono due classi contigue. Tali somme sono le misure di multirettangoli bidimensionali che approssimano per eccesso e per difetto Γ[a,b] f . Questo prova appunto che Γ[a,b] f è PJ–misurabile. Sia f una funzione limitata in R, si definisce f ∗ (x) = lim sup f (y) y→x f∗ (x) = lim inf f (y) y→x Si prova (non è difficile) che f ∗ è semicontinua superiormente (scs), f∗ è semicontinua inferiormente (sci). Inoltre f ∗ è la più piccola funzione scs che domina f , f∗ la più grande funzione sci dominata da f . Lemma 5.11. La funzione f è continua in x se e solo se f ∗ (x) = f∗ (x). Proof. Se f è continua in x allora f ∗ (x) = lim sup f (y) = lim f (y) = f (x) y→x y→x e un’uguaglianza simile vale per f∗ . Viceversa se f∗ = f ∗ in x allora, dato che f ∗ ≥ f ≥ f∗ , si deve avere f ∗ (x) = f (x) = f∗ (x) e f (x) = lim sup f (y) = lim inf f (y) = lim f (y) y→x y→x che equivale all’asserita continuità. 29 y→x Si definisce epi f = {(x, y) | y ≥ f (x)} hypo f = {(x, y) | y ≤ f (x)} epi f è detto epigrafico, hypo f ipografico di f . Si osservi che Γ[a,b] f = hypo f ∩ ([a, b] × [0, +∞)). (37) Ragionando come nella Proposizione 4.4 si prova Lemma 5.12. Se f è scs allora hypo f è un insieme chiuso di R2 . Se f è sci allora epi f è chiuso. Proposition 5.13. l’ipografico di f ∗ è la chiusura di quello di f . Proof. Sia (x, y) ∈ hypo f ∗ , allora, per definizione di f ∗ (xn , f (xn )) → (x, f ∗ (x)) per un’opportuna successione xn , conseguentemente (xn , f (xn ) − f ∗ (x) + y) → (x, y). (38) Per definizione di ipografico, f ∗ (x) − y ≥ 0 cosicchè (xn , f (xn ) − (f ∗ (x) − y)) ∈ hypo f. (39) Ricaviamo da (38), (39) che (x, y) ∈ hypo f e conseguentemente hypo f ∗ ⊂ hypo f . L’inclusione opposta viene dal fatto che hypo f ∗ ⊃ hypo f , per la relazione f ∗ ≥ f , e epi f ∗ è chiuso per il Lemma 5.12. Lo stesso argomento di sopra, con ovvi adattamenti, dà Proposition 5.14. l’epigrafico di f∗ è la chiusura di quello di f . Da questo discende: Proposition 5.15. hypo f∗ = graph f∗ ∪ int (hypo f ) . 30 Proof. Dato che (epi f∗ )c = {(x, y) | y < f∗ (x)} (epi f )c = int (hypo f ) viene dall’ uguaglianza epi f∗ = epi f nell’enunciato della Proposizione 5.14 {(x, y) | y < f∗ (x)} = int (hypo f ) . Quindi se (x, y) ∈ hypo f∗ \ int (hypo f ) allora y = f∗ (x), cioè in altri termini (x, y) ∈ graph f∗ . Questo prova l’assunto. Proof. (del Teorema 5.9) In base alla Proposizione 5.10, la funzione f è integrabile secondo Riemann in [a, b] se e solo se Γ := Γ[a,b] f è PJ–misurabile il che succede, in base al Teorema 2.10, se e solo se il suo bordo ha misura di Lebesgue bidimensionale nulla. Si ha, tenendo conto di (37) ∂Γ = (∂ hypo f ) ∩ ([a, b] × [0, +∞)) ∪ ({a} × [0, f (a)]) ∪ ({b} × [0, f (b)]). Dato che palesemente {a} × [0, f (a)] e {b} × [0, f (b)] hanno misura bidimensionale nulla, si deduce che l’integrabilità secondo Riemann è equivalente a |(∂ hypo f ) ∩ ([a, b] × [0, +∞))| = 0. (40) Sappiamo che sia f ∗ che f∗ sono misurabili, in base alla proposizione 4.4, e quindi sommabili in [a, b] essendo limitate. Per (31) e (37) si ha Z f ∗ dx = | hypo f ∗ ∩ ([a, b] × [0, +∞))| Z f∗ dx = | hypo f∗ ∩ ([a, b] × [0, +∞))| tenendo conto dei Lemmi 5.13, 5.15 e del fatto che | graph f∗ = 0| per la Proposizione 5.1, si deduce Z f ∗ dx = |hypo f ∩ ([a, b] × [0, +∞))| Z f∗ dx = | int hypo f ∩ ([a, b] × [0, +∞))| 31 Si ha Z (f ∗ − f∗ ) dx = |(hypo f ∩ ([a, b] × [0, +∞))) \ (int hypo f ∩ ([a, b] × [0, +∞)))| = |(hypo f \ int hypo f ) ∩ ([a, b] × [0, +∞))| = |∂ hypo f ∩ ([a, b] × [0, +∞))|. Per cui in definitiva, tenuto conto di (40), l’integrabilità secondo Riemann è equivalente a Z (f ∗ − f∗ ) dx = 0. In base al fatto che f ∗ ≥ f∗ e al Lemma 5.6 quest’ultima relazione equivale a sua volta a f ∗ = f∗ q.o. in E, cioè, per il Lemma 5.11, f deve essere continuo q.o. come volevasi dimostrare. 6 Teoremi di passaggio al limite sotto il segno di integrale In questa sezione diamo i tre teoremi fondamentali che legano convergenza puntuale di una successione di funzioni a convergenza dei rispettivi integrali. Sappiamo che la sola convergenza puntuale non è sufficiente per questo, in ogni teorema quindi essa viene complementata con altre specifiche condizioni che consentono di provare la convergenza degli integrali. Nel primo risultato vi è una ipotesi di segno e di monotonia sulla successioni di funzioni approssimanti fn . Theorem 6.1. (della convergenza monotona o di Beppo Levi) Sia E un insieme misurabile, fn una successione non decrescente di funzioni misurabili non negative e f (x) := lim fn (x) = sup fn (x). n Allora n Z lim n Z fn dx = E f dx. E Proof. Poniamo Γn = {(x, y) ∈ E × [0, +∞) | y < fn (x)} Γ = {(x, y) ∈ E × [0, +∞) | y < f (x)}, 32 per la monotonia delle fn e per la Proposizione 5.4 Γn è una successione crescente di insiemi misurabili di RN +1 e Γn ⊂ Γ per ogni n. (41) Proviamo che [ Γn = Γ, (42) n difatti, discende da (41) che l’unione di sopra è contenuta in Γ, viceversa se (x, y) ∈ Γ allora, per definizione di estremo superiore, (x, y) ∈ Γn per qualche n, il che prova (42). Deduciamo allora da (25) che |Γ| = lim |Γn | n e quindi per la Proposizione 5.1 Z Z f dx = lim f dx, n E E come si voleva dimostrare. Nel prossimo risultato vi è solo un’ ipotesi di segno sulla successioni di funzioni approssimanti fn . Theorem 6.2. (Lemma di Fatou) Si fn una successione di funzioni misurabili non negative, E un insieme misurabile, definiamo f (x) = lim inf fn (x). n Allora Z Z f dx ≤ lim inf n E fn 1, dx. E Proof. Definiamo gn = inf fk , k≥n si ha che gn ≤ f n per ogni n, (43) e inoltre lim gn (x) = lim inf fn (x). n (44) n Dato che gn è successione di funzioni misurabili non decrescenti allora si ottiene applicando il Teorema della convergenza monotona e tenendo conto di (43), (44) Z Z Z lim inf fn dx ≥ lim gn dx = f dx, n E n come volevasi dimostrare. 33 E E Nel prossimo risultato non vi sono ipotesi di segno o di monotonia sulla successioni di funzioni approssimanti fn . Theorem 6.3. (Teorema di Lebesgue o della convergenza dominata) Si fn una successione di funzioni misurabili, E un insieme misurabile, supponiamo che esista una funzione g sommabile in E per cui fn (x) → f (x) |fn (x)| ≤ g(x) Allora q.o. in E q.o. in E. (45) (46) Z |fn − f | dx = 0, lim n E il che implica Z Z fn dx = lim n E f dx. E Proof. Tenendo conto di (45), (46), viene dal Lemma di Fatou Z Z Z lim inf (2 g − |f − fn |) dx ≥ lim inf(2 g − |f − fn |) dx = 2 g dx, E E e d’altro canto (47) E Z Z (2 g − |f − fn |) dx ≤ E 2 g dx. (48) E Da (47), (48) si deduce Z (2 g − |f − fn |) dx = lim n Z E 2 g dx E e sottraendo ai due membri della relazione di sopra Z lim |f − fn | dx = 0 n R E 2 g dx E come volevasi provare. 7 Invarianza Il risultato rilevante della sezione è il Teorema 7.6 che è propedeutico alla formula di cambio di variabile nell’integrale, non trattata in queste note. Tuttavia sono anche significative le proprietà di invarianza della misura di Lebesgue che vengono ricavate. Partiamo da una definizione e un lemma. 34 Definition 7.1. Si chiama (N –)rettangolo chiuso a sinistra un insieme del tipo ×N i=1 [ai , bi ) per certi bi > ai in R. Lemma 7.2. Ogni insieme aperto di RN è l’unione di una famiglia numerabile di rettangoli chiusi a sinistra disgiunti. Proposition 7.3. Sia µ una misura localmente finita definita sulla σ–algebra B dei Boreliani di RN e invariante per traslazioni. Allora esiste α ≥ 0 per cui µ(E) = α |E| per ogni E ∈ B. Proof. Ambientiamo la dimostrazione per semplicità in R2 . Sia R0 = [0, 1)2 il rettangolo unitario chiuso a sinistra con vertice in basso a sinistra nell’origine. Definiamo α = µ(R0 ), per la locale finitezza di µ, α è una quantità finita. A causa dell’invarianza per traslazioni di µ, tutti i rettangoli unitari chiusi a sinistra avranno misura α. Ora decomponiamo R nell’unione disgiunta di quattro rettangoli chiusi a sinistra di lato 21 , chiamiamoli Ri , i = 1, · · · , 4. Data l’invarianza per traslazioni, i quattro rettangoli avranno la stessa µ–misura , e per l’additività avremo µ(Ri ) = 1 1 µ(R) = α = α|Ri | i = 1, · · · 4. 4 4 Iterando questa costruzione, si vede che µ(R) = α |R| per ogni rettangolo R chiuso a sinistra, da cui, sfruttando il Lemma 7.2 e la σ–additività di µ e della misura di Lebesgue, si deduce µ(A) = α |A| per ogni aperto A. Si conclude applicando il Lemma 7.2 alle misure µ e α | · |. Il risultato precedente dice in particolare che la misura di Lebesgue in RN è univocamente determinata dalle proprietà di essere definita in B, essere invariante per traslazioni e soddisfare |[0, 1)N | = 1. Una mappa ψ : RN → RN si dice un’ isometria se |ψ(x)| = |x| per ogni x ∈ RN . 35 Ricordiamo che ogni isometria di RN è della forma ψ(x) = y + T x dove y è un vettore fissato e T è una matrice ortogonale, cioè i cui vettori colonna formano una base ortonormale di RN . In termini più geometrici, ogni isometria di RN è data dalla composizione di una traslazione e di una rotazione. Proposition 7.4. Sia T una matrice ortogonale, allora |T (E)| = |E| per ogni E ∈ B. Proof. Definiamo µ(E) = |T (E)| per ogni E ∈ B, essendo x 7→ T x continua con inversa continua, T (E) ∈ B se E ∈ B, inoltre se E e F sono due Boreliani disgiunti, anche T (E) e T (F ) sono Boreliani disgiunti poichè x 7→ T x è iniettiva. Di conseguenza µ(E ∪ F ) = |T (E ∪ F )| = |T (E) ∪ T (F )| = |T (E)| + |T (F )| = µ(E) + µ(F ) il che mostra l’additività di µ e, ragionando nello stesso modo, la σ–additività. La µ è localmente finita in quanto l’immagine attraverso T di un compatto è ancora un compatto, inoltre sfruttando la linearità di T e l’invarianza per traslazioni della misura di Lebesgue, si ha µ(x + E) = |T (x + E)| = |T (x) + T (E)| = |T (E)| = µ(E). Per riassumere, la µ è una misura definita in B, localmente finita e invariante per traslazioni, per cui applicando la Proposizione 7.3 troviamo che per un opportuno α>0 µ(E) = α |E| per ogni E ∈ B. La trasformazione x 7→ T x, essendo un’isometria, lascia fissa la palla unitaria B, per cui µ(B) = |T (B)| = |B| e di conseguenza α= µ(B) = 1, |B| che mostra la tesi. Il risultato precedente si può enunciare dicendo che la misura di Lebesgue è invariante per rotazioni. Tenuto conto della sua invarianza per traslazioni e della caratterizzazioni delle isometrie di RN ricordata sopra, abbiamo il seguente corollario che illustra il carattere metrico della misura di Lebesgue: 36 Corollary 7.5. La misura di Lebesgue è invariante per isometrie di RN . In altri termini, se ψ : RN → RN è un’isometria, allora |ψ(E)| = |E| per ogni E ∈ B. Data una matrice T di dimensione N × N invertibile, ricordiamo cosa è la sua decomposizione polare. Consideriamo T ∗ T , dove T ∗ indica la trasposta, si tratta per definizione di una matrice simmetrica con (T ∗ T x) · x = |T x|2 > 0 per l’invertibilità di T , quindi di una matrice simmetrica definita positiva. Definiamo √ Te = T ∗ T , come la matrice univocamente determinata dal fatto di essere simmetrica, e dalla condizione ∗ • vi autovettore √ di T T con autovalore λi autovalore λi . ⇔ vi autovettore di Te con Si prova che S := T Te−1 è ortogonale, per cui T si scrive, tra l’altro in maniera unica, come T = T Te−1 Te = S Te (49) con, per ripetere, S ortogonale e Te simmetrica definita positiva, questa è appunto la decomposizione polare di T . Theorem 7.6. Sia T una qualsiasi matrice N × N , allora |T (E)| = | det T | |E| per ogni E ∈ B. Proof. Se T non è invertibile, allora la sua immagine ha dimensione strettamente minore di N , per cui la misura N –dimensionale di T (E) è nulla per ogni E, quindi la formula è valida tenendo conto che il determinante di T in questo caso è nullo. Supponiamo ora che T sia invertibile, allora ragionando come nella Proposizione 7.4, si vede che µ(E) = |T (E)| è una misura localmete finita sui Boreliani e invariante per traslazioni. Di conseguenza per la Proposizione 7.3 esiste α > 0 per cui µ(E) = α |E| per ogni E ∈ B. Possiamo decomporre polarmente T , vedi (49), scrivendo T = S Te 37 con S ortogonale e Te definita positiva; di conseguenza, dato che il determinante di S è ±1 e quello di Te deve essere positivo | det T | = det Te, (50) inoltre, tenuto conto della Proposizione 7.4, si ha µ(E) = |S Te(E)| = |Te(E)| per ogni E ∈ B. (51) Sia v1 , · · · , vN una base ortonormale di autovettori di Te e λ1 , · · · , λN i corrispondenti autovalori. Per determinare il coefficiente di proporzionalità α consideriamo l’inviluppo convesso dei vi , cioè nX o X F = ρi vi | ρi ≥ 0, ρi = 1 , dato che gli vi costituiscono una base ortonormale, F non è altro che un rettangolo unitario ruotato, cosicchè |F | = 1. (52) Si ha Te(F ) = nX ρi λi vi | ρi ≥ 0, X o ρi = 1 , quindi T (f ) è un rettangolo ruotato con lunghezze dei lati dati dagli autovalori λi cosicchè, ricordando che il determinante è il prodotto degli autovalori |Te(F )| = N Y λi = det Te. i=1 Tenuto conto di (50), (51), si ha µ(F ) = |Fe| = det Te = | det T | e per (52) α= µ(F ) = µ(F ) = | det T |, |F | che mostra l’assunto. Antonio Siconolfi, Dipartimento di Matematica, Università di Roma “La Sapienza”. [email protected] 38