3. la situazione del territorio ligure fino alla conquista romana

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Luigi Gambaro
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3. LA SITUAZIONE DEL TERRITORIO LIGURE
FINO ALLA CONQUISTA ROMANA
3.1. INQUADRAMENTO STORICO
Il primo intervento militare romano contro i
Liguri si inserisce nel più vasto scenario dell’azione di Roma nel mar Tirreno, subito dopo la fine
della prima guerra punica, e si collega con le vicende che riguardano la Sardegna e la Corsica 85. Le
fonti attribuiscono al console del 238 a.C., Ti. Sempronio Gracco, una prima spedizione vittoriosa
contro popolazioni liguri86, proprio mentre i Cartaginesi venivano obbligati, sulla base di clausole
aggiuntive al trattato di Catulo del 241 a.C., a
sgomberare la Sardegna e la Corsica, dove subentrarono le truppe romane87.
Una parte della storiografia moderna ha giustificato l’intervento di Roma in chiave difensivistica, basandosi sulle fonti storiche 88 , secondo le
quali tra le motivazioni ufficiali addotte da Roma
per giustificare, pochi anni dopo la fine della guer-
ra contro Cartagine, questo intervento militare, ci
sarebbe stata la minaccia che il presumibile prossimo intervento cartaginese nell’isola, volto a
sedare la ribellione dei mercenari, avrebbe potuto
portare anche a Roma89. Altre fonti attribuiscono
ai Cartaginesi la responsabilità di aver fomentato
insurrezioni contro Roma ad opera di Sardi, Corsi
e Liguri90. Oltre che in funzione apertamente anticartaginese un’altra motivazione dell’intervento
di Roma nel mar Tirreno e in quello Ligure sarebbe stata la pirateria praticata da Sardi, Corsi e
Liguri, forse col beneplacito di Cartagine, a danno
di commercianti romani ed italici e dell’alleata
Marsiglia91.
Anche se è stato ipotizzato che la decisione di
agire contro la pirateria non soddisfacesse generici interessi commerciali ma potesse essere ispirata
da una precisa strategia del Senato, al cui interno
almeno dal 236 a.C. una politica in tale senso
avrebbe trovato numerosi fautori, aventi interessi
commerciali marittimi92, tuttavia la durezza e la
determinazione, con cui furono in genere condotte
queste azioni militari, appaiono decisamente spro-
85 I Romani furono impegnati in Sardegna e in Corsica particolarmente al termine della prima guerra punica; infatti tra il
236 e 231 a.C. uno dei due consoli fu sempre in Sardegna e nello
stesso periodo vennero celebrati sui Sardi tre trionfi; tuttavia il
controllo completo dell’isola non fu facile, come attesta la ribellione scoppiata nel 226 a.C., subito dopo la costituzione della
provincia. Le azioni militari in Corsica, isola che aveva già
suscitato un qualche interesse da parte di Roma nel 259 a.C.
con la presa di Aleria da parte di L. Cornelio Scipione, determinarono la celebrazione di un trionfo nel 231 a.C. (cfr. HARRIS
1979, pp.190-193; in particolare sulla conquista della Corsica
cfr. ZUCCA 1996, pp.88-97).
86 Cfr. Zonar. VIII, 18, 2 (=FLLA 510), al quale solo assai dubitativamente si può affiancare un passo, assai generico, della
perioché liviana (Liv. per. 20 =FLLA 200); recentemente HARRIS 1979, p.193 e DYSON 1985, p.95 attribuiscono valore alla
fonte. L’ipotetica ubicazione di questa spedizione del 238 a.C.
in territorio apuano, sostenuta in Fontes 1976, p.203, nota 435,
non è fondata su alcun specifico riferimento delle fonti.
87 Pol. III, 27, 3-4.
88 Pol. I, 88,10. In chiave difensivistica interpreta queste guerre DYSON 1985, p. 95: “The principal aim seems to have been
to defend (...) the northern Tuscan frontier”.
89 È probabile che una non trascurabile conseguenza della vittoria del 241 a.C. sia stato il venire meno del monopolio marit-
timo di Cartagine nel Mediterraneo occidentale, come sembrerebbe comprovato dalla relativa libertà di movimento delle
navi romane tra 241 e 238 a.C. sia in Africa che in Sardegna
(CASSOLA 1962, p.51). Una giustificazione, almeno in parte
difensivistica, della decisione romana, volta a prevenire la
minaccia di Cartagine alle coste della penisola, è proposta da
Gabba in Storia 1990, pp.65-66.
90 In Zonar. VIII 18, 9 (=FLLA 67) si adombra la possibilità di
un diretto intervento di emissari cartaginesi a sollevare una
vasta area contro Roma; tuttavia sulla dubbia attendibilità del
passo vedi le riserve di DYSON 1985, p.95 che lo definisce “a
cryptic passage”. L’opera di sobillazione delle popolazioni isolane da parte dei cartaginesi sarebbe stata resa possibile anche a
causa della presenza di gruppi filopunici tra la popolazione
rurale ed urbana (cfr. ZUCCA 1996, pp.92-94).
91 I Marsigliesi si lamentavano della pirateria ligure ancora
nel 181 a.C. (Liv. XL 17, 6 = FLLA 374); un breve riferimento a
“navibus praedatoriis” in occasione dei fatti dello stesso anno è
in Liv. XL 28, 7 = FLLA 381). Sembra dare una certa importanza alla pirateria ligure DYSON 1985, p.94.
92 L’ipotesi, secondo la quale “ fra il 240 e il 218 a.C. la politica
estera della repubblica fu in generale guidata dai gruppi favorevoli all’espansione marittima” (cfr. CASSOLA 1962, p.229),
ha trovato dure critiche (HARRIS 1979, pp.62, 193,nota 4 la
definisce “lacking evidence”).
1. Il territorio alto-tirrenico prima della
conquista - la situazione tra le due guerre
puniche (240-220 a.C.)
38
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
porzionate in relazione ad un finalità prevalentemente difensivistica, volta a bonificare le acque
dal pericolo della pirateria, 93 anche alla luce dei
precedenti contatti dei Romani con le due grandi
isole tirreniche, che sottintenderebbero consolidati interessi mercantili94.
Esistono d’altra parte fondati indizi che inducono a credere che esistessero interessi commerciali romano-italici non solo nel Tirreno ma anche
nell’Adriatico95, e che il fenomeno della pirateria a
loro danno fosse più vasto e generalizzato, coinvolgendo anche gli Illiri e gli Istri nell’Adriatico, che
provocarono infatti rispettivamente nel 229 e nel
221 a.C. l’intervento di Roma96.
L’esistenza di interessi commerciali italici in
Sardegna è comprovata dall’episodio che durante
la cosiddetta guerra dei mercenari vide protagonisti alcuni commercianti italici catturati dai Cartaginesi; anche se il fatto può aver costituito un
motivo di attrito tra le due potenze, essi furono
probabilmente liberati prima del 238 a.C.97.
Secondo altri le motivazioni di tipo difensivistico appaiono in gran parte surrettizie 98; infatti le
contemporanee campagne militari, intraprese da
Roma contro i Liguri e i Galli nel 238 e 237 a.C.,
non sarebbero difensive e permetterebbero di
rafforzare l’interpretazione globale di una politica
estera romana espansionistica e bellicosa, volta
“at increasing Roman power and possessions”99.
Sulle campagne in Liguria le fonti sono assai
scarse100; la causa o il pretesto del primo intervento romano documentato dalle fonti, nel 238 a.C. ad
opera di Ti. Gracco, sarebbero state le incursioni di
Liguri Apuani e dei loro alleati contro Pisae101. Si
sarebbe quindi trattato almeno inizialmente di
un’azione difensiva in un’area da tempo nella
sfera di interessi romani. Tuttavia le intenzioni
ostili ed espansionistiche sarebbero comprovate
dalle successive vicende militari, documentate da
un primo trionfo, forse sui Liguri Orientali, attestato dai Fasti, riportato dal console P. Cornelio
Lentulo nel 236 a.C., mentre il collega Licinio Varo
era impegnato in Corsica 1 0 2 , e da un secondo
trionfo nel 233 a.C. ad opera di Q. Fabio Massimo,
mentre il suo collega combatteva in Sardegna 103.
La vittoria riportata da Fabio Massimo viene considerata piuttosto importante se non decisiva 104;
anche se può apparire eccessivo il giudizio di Plutarco sull’importanza di essa, tuttavia dopo il 230
a.C., anno in cui entrambi i consoli operarono in
Liguria, Roma ritenne esaurito il suo impegno
militare nella regione105 .
Quali possano essere state le conseguenze di
questa prima serie di campagne militari in Liguria
non è facile a dirsi; escluse precipue finalità di
occupazione per colonizzare l’area, sembra più
probabile che con tale intervento Roma abbia cercato non solo di proteggere l’Etruria Settentrionale ma di assicurarsi un controllo strategico dell’Alto Tirreno e del mar Ligure, mirato a avere il pos-
93 Sulla pirateria ligure, ritenuta però di non grande impor-
portata al territorio gallico. Anche la spedizione militare in Illiria del 229 a.C. (Pol. II,11,1-7), sebbene in parte interpretabile
con finalità difensive per proteggere gli interessi commerciali
minacciati, sembra aver avuto la precipua finalità di estendere il
dominio romano sull’Illiria (HARRIS 1979, pp.195-197).
100 Le fonti sui primi tre anni di guerra (238-236 a.C.) sono raccolte in HARRIS 1979, p.193, nota 3; vedi anche LAMBOGLIA
1941, pp.17-172; DYSON 1985, pp.94-96.
101Per SARTORI 1965, pp.5-6, che cita Zon. VIII, 17 e Pol. III,
27, le incursioni liguri sarebbero state almeno in parte provocate dal divieto romano, imposto a Cartagine, di rifornirsi di
mercenari sulle coste liguri, che avrebbe quindi tolto alle popolazioni liguri un tradizionale cespite di guadagno e una valvola
di scarico al problema della sovrappopolazione.
102 Eutrop. breviarium III,2 (= FLLA 540), che però fa confusione tra i due consoli quasi omonimi del 237 e del 236 a.C.
(Fontes 1976, p.211, nota 460); cfr. anche Zonar. VIII, 18, 7
(=FLLA 511), che parla di alcune fortezze liguri espugnate. È
probabile che il teatro delle operazioni sia da collocare nella
Liguria orientale, nella regione apuana (LAMBOGLIA 1941,
p.171; Fontes 1976, p.203, nota 435; ROSSIGNANI 1995a,
p.1490).
103 Breve riferimento in Plut. Fab.Max. 2,1 (=FLLA 481).
104 Così HARRIS 1979, p.194, che ritiene che la trionfalistica
esaltazione da parte di Plutarco possa seguire una tradizione
autentica. Anche LAMBOGLIA 1941, p.172 pur senza alcun
riscontro obiettivo ipotizza che con tale azione Roma possa
avere esteso il suo controllo fino a Genua. Per CASSOLA 1991,
p.17 si deve intendere che Fabio Massimo arrivò durante la sua
spedizione fino alle Alpi Marittime.
105 A conferma di questo si può ricordare che entrambi i consoli del 229 a.C. furono impegnati nella prima guerra Illirica con
grande spiegamento di forze.
tanza, cfr. HARRIS 1979, p.225.
94 Diodoro e Teofrasto riferiscono di tentativi di stanziamento
di colonie da parte di Roma rispettivamente in Sardegna e in
Corsica. Mentre la spedizione in Sardegna è datata al 378/77
a.C., il fallito progetto di costruire un centro navale in Corsica
è di incerta datazione, seppure attribuibile probabilmente
anch’esso alla prima metà del IV sec. a.C. (cfr. ZUCCA 1996,
pp.74-79 con bibliografia precedente sul problema).
95 Si ricordi a conferma di interessi romani nell’Adriatico la
fondazione della colonia latina di Brundisium, avvenuta poco
tempo prima, nel 244 a.C.
96 Nel 230 a.C. pirati Illiri attaccarono dei mercanti italici e ne
imprigionarono alcuni, provocando da parte di Roma l’invio di
una delegazione di indagine presso la regina Teuta (HARRIS
1979, p.195). Anche l’intervento romano in Istria nel 221 a.C.
sarebbe stato provocato, secondo Eutrop.III,7, dalla pirateria
esercitata dagli Istriani a danno di navi romane che trasportavano grano (HARRIS 1979, p.199). In generale cfr. CASSOLA
1962, pp.229-231 che ricorda le fonti che farebbero esplicito riferimento ad un intervento “per garantire la sicurezza del commercio adriatico”. Minore importanza ad interessi economici
danneggiati è attribuita da Gabba in Storia 1990, pp.66-67.
97 Pol. I, 83,5-11. Sulla loro liberazione cfr. Pol I, 83,8; III, 28,3,
con accenno all’ambasceria inviata dal Senato (cfr. HARRIS
1979, p.65; un accenno anche in Gabba in Storia 1990, p.65).
98 Ad esempio la possibilità che la conquista della Sardegna
potesse rafforzare la difesa di Roma appare una motivazione
abbastanza debole, tenendo conto che l’isola non giocò pressochè
alcun ruolo a favore di Cartagine nella prima guerra punica.
99 È l’ipotesi di HARRIS 1979, pp.193-194; lo studioso è portato
a credere che l’incidente di Rimini sia stato non una risposta ad
un tentativo gallico di invasione ma una deliberata aggressione
Luigi Gambaro
39
sesso indirettamente, mediante accordi con popolazioni indigene, di limitate aree di interesse strategico e/o commerciale 106 , dove potevano essere
già presenti commercianti romani ed italici;
potrebbero rientrare tra questi obiettivi gli approdi di Pisae, del Portus Lunae107, di Genua e forse di
alcune località del Ponente ligure108.
Dall’altra parte l’esistenza di mire espansionistiche in territorio celtico, sebbene non unanimemente sostenute dal Senato, ma già implicite fin
dall’epoca della battaglia di Sentinum (295 a.C.)
ed esplicitate con la fondazione di Rimini nel 268
a.C. e col programma di distribuzione dell’ ager
Gallicus da parte di C. Flaminio 109 del 232 a.C.,
dovette comportare un disegno strategico più
ampio; esso avrebbe comportato la necessità di
controllare l’ampio settore appenninico occidentale, in gran parte in territorio ligure, almeno in termini di accessibilità sia degli approdi che dei percorsi appenninici di collegamento tra il Tirreno e
la Pianura Padana110.
Il progetto di espansione continentale, caldeggiato dai contadini, fu continuato dopo la fallita
incursione gallica, fermata a Talamone nel 225
a.C., dal gruppo capeggiato da Flaminio, console nel
223 a.C., e da M. Claudio Marcello, console nell’anno successivo, i quali, pur davanti alla crescente
ostilità di ampi settori della nobilitas, riuscirono a
portare a compimento la conquista militare di gran
parte della Cisalpina, sancita dalla fondazione di
Cremona e Placentia nel 218 a.C.111; a quest’ultima
colonia in particolare viene riconosciuto un duplice
ruolo di controllo dalla pianura sia verso i Liguri
delle vicine montagne sia dello sbocco di importanti
valichi appenninici di collegamento tra Etruria Settentrionale e Pianura Padana.
Accanto all’azione militare Roma svolse un’importante attività diplomatica tra il 230 e il 225 a.C.
che condusse all’alleanza con i Cenomani e i Veneti112; un tale impegno diplomatico, volto a creare
delle divisioni tra le diverse popolazioni cisalpine e
ad impedire collegamenti tra tribù cispadane e
transpadane, si spiega solo ammettendo un preordinato progetto di espansione in quell’area, che la
concitata ma forse tardiva reazione dei Boi nel 225
a.C. tende ad avvalorare113 .
Un egual spirito espansionistico è ravvisato da
alcuni nell’azione diplomatica di Roma anche
verso la Spagna, in particolare in relazione al trattato con Sagunto, databile probabilmente al 231
a.C.114.
Alla luce di questi fatti, in coincidenza con la
fine delle guerre liguri e con la serie di contatti
diplomatici dispiegati sia verso la Cisalpina che la
Spagna, non sembra inverosimile ipotizzare dopo
il 230 a.C. anche una eventuale alleanza tra Roma
e Genua, che il comportamento del capoluogo ligure durante la seconda guerra punica sembra presupporre115.
Non va sottovalutata anche l’ipotesi che già
all’epoca Genua fosse legata da forti vincoli commerciali e politici con Marsiglia, con la quale con-
106 “Hard skirmishing in the years after 241 won them (scil. i
ria 1990, pp.195-196). Sui fatti militari cfr. anche SARTORI
1965, pp.8-9.
112 Pol. II 23,2; 24,7.
113 Già Polibio collega strettamente la legislazione di Flaminio sull’agro gallico con l’invasione boica del 225 a.C., riflettendo una posizione senatoria di ostilità e di condanna al progetto e più in generale all’intero operato politico e militare di
Flaminio, probabilmente condiviso anche dagli Scipioni, ai
quali Polibio era molto vicino (Pol. II, 21,8-9; cfr. anche CASSOLA 1962, pp.212, 227 ed HARRIS 1979, p.198).
1 1 4 È stata giustamente notata la contraddizione, almeno
apparente, tra il trattato con Sagunto, espressione di una
politica aggressiva ed espansionistica di ingerenza negli affari spagnoli e l’accordo dell’Ebro, che riconosceva invece ampia
libertà di azione a Cartagine in gran parte della Spagna
(CASSOLA 1962, p.234). Anche se è possibile che tale accordo, probabilmente databile al 226 o 225 a.C., fosse stato concepito anche in chiave anti-gallica, per permettere a Roma di
dedicarsi completamente a respingere la minaccia celtica,
tuttavia anch’esso sanciva una sfera di influenza romana seppure limitata alla Catalogna. In generale sulla datazione del
trattato di Sagunto e l’accordo dell’Ebro cfr. CASSOLA 1962,
pp.245-250.
115 Per Lamboglia l’alleanza con Genua è databile al più tardi
all’epoca del primo scontro militare tra Romani e Liguri (238233 a.C.), forse intorno al 236 a.C. (LAMBOGLIA 1941,
pp.169-170). Invece SERENI 1955, pp.13-15 ritiene che non
sia possibile “asserire con certezza che fin da allora Genua
fosse associata a Roma da un patto formale di alleanza”. Per
DYSON 1985, p.96 l’alleanza potrebbe risalire al 218 a.C.,
quando P.Cornelio si fermò sulle coste liguri durante il suo
viaggio verso la Spagna.
Romani) control of the bay of Spezia and the port of Genoa in
or near the territories of the Ligurian Apuani and Ingauni
respectively” (SALMON 1982, p.76; cfr. anche SARTORI
1965, p.6).
107 Nel 195 a.C. il console M.Porcio Catone “ad Lunae portum
profectus est” (Liv. XXXIV 8,4= FLLA 963). A proposito dell’anno 185 a.C. Livio accenna al percorso seguito dalla spedizione del console Sempronio “usque ad Macram fluvium et
Lunae portum ” (Liv. XXXIX 32, 1=FLLA 363).
108 LAMBOGLIA 1941, p.171.
109 Sul plebiscito De agro Piceno Gallico viritim dividundo e
sulle diverse cause che determinarono l’ostilità di una consistente parte del Senato al progetto, perché in contrasto tra
l’altro con i piani di espansione commerciale mediterranea,
caldeggiati in alternativa ad una politica di espansione agricola verso settentrione e ad un impegno militare che essa
avrebbe inevitabilmente comportato, cfr. la teoria di Cassola,
che a riprova della sua ipotesi segnala come nel 236 a.C. dopo
un fallito attacco di Galli Boi a Rimini non venne decisa alcuna reazione (CASSOLA 1962, pp.209-213, 221); più recentemente sul problema cfr. BANDELLI 1988, p.3. Per Gabba
invece la colonizzazione del Piceno e la fondazione di Rimini
avrebbero motivazioni precipuamente difensivistiche per
allontanare la minaccia di una invasione gallica nell’Italia
centrale (Storia 1990, pp.69-70).
110 LAMBOGLIA 1941, p.169; SALMON 1982, p.76.
111 CASSOLA 1962, pp.221-228, ripreso da BANDELLI 1988,
p.4. Per Gabba l’espansionismo in Cisalpina, come pure in
Spagna e nella Gallia, era caldeggiato dalla massa dei contadini che formavano anche il nerbo dell’esercito, al punto che
egli definisce le guerre contro i Liguri e i Galli “popolari” (Sto-
40
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
divideva non solo una politica filoromana ma
anche una aperta ostilità sia verso Cartagine che
verso le tribù liguri della Riviera di Ponente116 .
2. La seconda guerra punica e la seconda
fase delle guerre liguri (197-180 a.C.)
Le conseguenze politiche e militari del primo
intervento romano, compreso tra il 238 e il 233
a.C. sono di notevole importanza, poichè determinarono il progressivo formarsi tra i Liguri durante
la seconda guerra punica di due schieramenti, uno
favorevole ed uno ostile ai Romani 117. Solo Genua
e pochi altri n o m i n a si schierarono con Roma,
mentre gran parte delle tribù della Liguria di
Levante e di Ponente, quest’ultime legate probabilmente da vincoli commerciali e politici con Cartagine, mostrarono un atteggiamento favorevole
ad Annibale. Bisogna tuttavia ricordare che la
maggior parte delle menzioni circa la partecipazione di Liguri al conflitto si riferiscono a mercenari
di origine ligure impegnati in Spagna, in Africa e
nella penisola italiana al seguito di Annibale118.
Il principale episodio della guerra che riguarda
il territorio ligure, oltre che il probabile passaggio
da Genua di P. Cornelio proveniente dalla Spagna
alla volta della pianura padana nel 218 a.C.119 , è la
spedizione di Magone nel 205-203 a.C.120. Il fratello di Annibale aveva intenzione di creare una testa
di ponte sulla costa ligure per poter guidare una
vasta sobillazione antiromana, comprendente non
solo Liguri ma anche Celti della pianura padana,
116 SERENI 1955, p.14.
117 LAMBOGLIA 1941, pp.173-174.
118 Le fonti (Polibio e Livio) che menzionano la partecipazione
di truppe liguri a fianco dei Cartaginesi sono raccolte in HARRIS 1979, p.225, nota 3. Per il riscontro dei passi citati cfr.
FLLA 221-222-223-300-305-306-308-309-311-312-315-320, ai
quali si aggiungano i passi di Frontin. strat. II 3,16 (=FLLA
466) ed Appian. Pum 40 (=FLLA 496).
119 Liv. XXI 32, 1 (=FLLA 1403); è possibile che si tratti di
un’aggiunta di Livio, omessa in un altro passo dello stessa
autore e non riportata da Polibio (cfr. la riserva in Fontes 1976,
p.361, nota 41, mentre invece la notizia è accettata da LAMBOGLIA 1941, p.174).
120 La fonte principale su Magone in Liguria è Liv. XXVIII 46,
7-11; Liv. XXXIX 5, 1-9 (=FLLA 311-312-313-314-315); tutti i
passi che accennano a Magone in Liguria sono elencati in Fon t e s1976, p.127, nota 152. Cfr. anche LAMBOGLIA 1941,
pp.174-175; DYSON 1985, pp.96-97.
121 Liv. XXVIII 46, 8 (= FLLA 311); Liv. XXX 1, 10 (=FLLA
1406). L’uso del verbo capere in Livio a proposito dell’impresa
di Magone indica conquista violenta, avvenuta rapidamente e
comportante anche distruzioni; sul passo cfr. il commento di
MILANESE 1987, pp.14-15, che considera la distruzione una
conseguenza del comportamento “filoromano” di Genua.
122 Emergono per la prima volta come potenza regionale in evidente antagonismo con Genua i Sabazi e gli Ingauni; tuttavia si
tende a limitare l’importanza del loro contributo all’impresa di
Magone, che non avrebbe trovato l’aiuto richiesto ma si sarebbe dovuto accontentare di reclutare quasi esclusivamente mercenari liguri e Galli (LAMBOGLIA 1941, pp.175-176).
123 Sulla paura dei Celti cfr. Pol. XVIII,11.2; in effetti nel 200
con la finalità di intralciare i collegamenti di Roma
nell’intera regione. Come prima mossa per ingraziarsi il fondamentale appoggio degli Ingauni vi fu
l’incursione navale contro la loro principale nemica, Genua, divenuta durante la guerra un importante approdo strategico 121; tuttavia Magone, che
aveva fatto base a Savo, non riuscì nell’intento di
creare una forte coalizione contro Roma e anche
l’alleanza che aveva cercato faticosamente di costituire con i Liguri Ingauni non sembra che sia stata
particolarmente fruttuosa122.
Si ritiene che dal 201 al 187 a.C. il principale
teatro di operazione sia stata la Pianura Padana,
dove era necessario ristabilire il controllo dei capisaldi di Placentia e Cremona e dove appariva particolarmente grave e incombente la minaccia di
incursioni da parte di Insubri e Boi, anche verso il
territorio centroitalico123. Se effettivamente dopo
la ritirata di Magone nel 203 a.C. una delle principali finalità dell’azione militare di Roma fu il
ristabilimento del proprio potere nell’Italia Sett e n t r i o n a l e 1 2 4 , tuttavia non sembra possibile
escludere l’esistenza di ambizioni espansionistiche sostenute da personaggi politici “interpreti
delle aspirazioni economiche di clientele contadine”125 in un’area da tempo considerata uno sbocco
alla colonizzazione agricola126.
Già la grande sollevazione congiunta delle
popolazioni galliche e di una parte di quelle liguri
nel 201-200 a.C. aveva reso più pressante la necessità di affrontare il problema nella sua globalità,
con una strategia militare che includesse anche il
a.C. la colonia di Placentia fu saccheggiata; un’analoga sorte fu
risparmiata a Cremona solo grazie alla strenua resistenza di
L.Furio Purpurio, che ottenne un’importante vittoria, tale da
poter celebrare un trionfo. Forse intorno al 193 a.C. il territorio
di Placentia fu nuovamente saccheggiato da popolazioni liguri
(Liv. XXXIV 56.10). Per Gabba invece la conquista della Pianura padana è almeno in origine volta a soddisfare prevalenti esigenze difensive, al fine di eliminare il pericolo di invasioni galliche nel territorio peninsulare (Storia 1990, p.71).
124 Sono attestati un impegno quasi continuo fino al 190 a.C. di
almeno uno dei due consoli nella regione e lo stanziamento di
un numero di legioni superiore a quello impegnato contemporaneamente in Spagna (cfr. HARRIS 1989, p.110). Per CASSOLA 1991, p.17 non si deve parlare di riconquista del territorio
cisalpino dopo Annibale, almeno per quel che riguarda la Transpadana, dove il possesso di Cremona e il controllo su Cenomani ed Insubri vennero mantenuti.
125 BANDELLI 1988, p.4.
126 Sulle guerre contro i Galli Insubri e Boi cfr. HARRIS 1989,
pp.111-114. Sul carattere prevalentemente offensivo ed
aggressivo della politica romana in Cisalpina cfr. HARRIS
1979, p.211. Un attento lavoro prosopografico condotto sui
triumviri coloniarii, attivi in Cisalpina agli inizi del II sec. a.C.,
ad Aquileia in occasione della fondazione del 181 a.C. e del sup plementum del 169 a.C., a Placentia e Cremona in occasione del
loro supplementum del 190 a.C., permette a BANDELLI 1988,
pp.4, 21-31 di ravvisare una stretta continuità di azione e di
intenti, in merito al problema dell’espansione romana in Cisalpina, tra il gruppo, costituito da C. Flaminio ed alcuni personaggi a lui legati, vissuti prima e durante la seconda guerra
punica, e ad alcune coalizioni di personaggi politici attivi in
epoca post-annibalica.
Luigi Gambaro
41
territorio ligure; senza il suo controllo l’indispensabile collegamento tra il territorio centro-italico e
le acquisizioni cispadane, già effettuate o previste,
sarebbe stato assai difficoltoso, visto che alcuni dei
principali assi viarî di collegamento tra la costa
tirrenica e la Pianura Padana passavano in territorio ligure127.
Dovette avere un’importanza non secondaria la
persistente minaccia della pirateria ligure, che
poteva infastidire i collegamenti marittimi con la
Spagna; benchè resti ancora in dubbio la reale
importanza della rotta di cabotaggio lungo la costa
ligure nella traversata dai porti del Tirreno a quelli della Spagna, un ruolo di una certa importanza è
riconosciuto almeno agli approdi di Portus Lunae e
forse di Genua.
Questo precoce interessamento anche per l’area ligure, seppure non comprovato da particolari
fatti militari, risulta implicito sulla base di alcuni
elementi, come ad esempio la presenza continuativa ogni anno dal 197 al 172 a.C. di armate romane
in Liguria128 e l’immediata ricostruzione di Genua
nel 203 a.C. ad opera del propretore Spurio Lucrezio subito dopo l’incursione cartaginese 129. Va
ricordato anche il trattato stipulato con Roma dai
Liguri Ingauni nel 201 a.C. 1 3 0 , che ebbe come
primo risultato la loro mancata adesione alla
grande sollevazione del 200 a.C. Tale trattato sembra dimostrare che, qualora fosse possibile, Roma
non prevedeva unicamente un’opzione militare ma
anche una politica di amicizia, in particolare nei
riguardi di quelle popolazioni, come i Genuenses,
gli Statielli e appunto gli Ingauni, maggiormente
progredite in termini economici e sociali131.
È stato giustamente sottolineato lo stretto collegamento tra gli ultimi due fatti sovramenzionati, in quanto il trattato con gli Ingauni contribuì
senza dubbio a rafforzare la sicurezza di Genua, la
cui ricostruzione ben dimostra l’importanza strategica che veniva attribuita allo scalo genuense132.
I due principali episodi militari in Liguria nell’arco del decennio avvennero nel 197 e nel 192 a.C. Il
console del 197 a.C., Q. Minucio Rufo, partendo da
Genua, dove era giunto da Pisae per terra, prima di
passare in territorio gallico, soggiogò popolazioni
liguri probabilmente tutte transappenniniche133, a
Nord e a Est di Genua (rispettivamente i Celeiates
con i Cerdiciates e gli Ilvates134). Sebbene la mancata assegnazione al console di un trionfo, a differenza
del suo collega C. Cornelio Cetego, sembra dimostrare che non vennero da lui raggiunti risultati definitivi135, tuttavia questa azione, concertata con il collega
impegnato in territorio cenomane, dimostra come
venisse fin d’allora avvertita la necessità di azioni
simultanee a Nord e Sud degli Appennini, il cui controllo almeno limitatamente ai valichi e ad alcuni
percorsi si rivelava di grande importanza per le azioni condotte in pianura padana136; è stato giustamente rilevato che le azioni militari di Minucio avvennero lungo il tracciato della pista protostorica che poi
sarebbe divenuta la via Postumia137.
L’altro episodio di una certa importanza si svolse tra il 193 e 191 a.C. e vide protagonisti i Liguri
Apuani138; l’attacco da loro portato all’agro pisano
127 HARRIS 1979, p.225. Tale ipotesi presuppone da parte dei
Romani un atteggiamento espansionistico programmato e continuativo, che urta contro altre ipotesi che privilegiano motivazioni difensivistiche. Forse una mutata strategia romana, che
prevedeva uno stretto collegamento tra area ligure e area celtica, è ravvisabile nell’azione del console del 223 a.C. P. Furio
Filo, che trionfò sia sui Liguri che sui Galli (Pol. II.32.1)
(DYSON 1985, p.96). Anche nel 200 a.C. il pretore L. Furio
Purpurio sconfisse Galli e Liguri (DYSON 1985, p.98, nota 48).
Lo stretto collegamento tra le guerre liguri e quelle galliche a
partire dal 200 a.C. è ribadito da Gabba in Storia 1990, p.72.
128 HARRIS 1979, p.225; HARRIS 1989, p.111; con i termini
Ligures o Pisae con Liguribus o semplicemente Pisae, citati in
Livio, nei primi decenni del II sec. a.C. ci si riferiva non ad una
provincia ordinaria ma ad una “sfera di competenza” territoriale, corrispondente ai territori abitati dai Liguri, poi compresi nella regio IX augustea. L’elenco delle diverse citazioni liviane è contenuto in CASSOLA 1991, p.35; sul problema cfr. CASSOLA 1991, pp.35-37.
129 Liv. XXX 1, 10 (=FLLA 1406); LAMBOGLIA 1941, p.177;
MILANESE 1987, p.15.
130 Liv. XXXI 2, 11 (=FLLA 322); sulle cause del foedus tra
Romani e Ingauni cfr. LAMBOGLIA 1933b, pp.9-11.
131 SERENI 1955, pp.145-146 con fonti.
132 HARRIS 1989, p.114.
133 Liv. XXXII 29, 5 -8 (=FLLA 325); Liv. XXXII,31,4 (=FLLA
326). È stato supposto che come conseguenza di questo intervento Minucio sia divenuto patronus di Genua, forse perché
queste azioni militari portarono ad un ampliamento territoriale di Genua a danno delle tribù sottomesse. La possibilità di
creazione di vaste clientele in loco potrebbe essere adombrata
dalla cifra assai alta (20.000 persone) di Liguri che si arresero
(HARRIS 1989, p.114, nota 32; DYSON 1985, pp.98, 123 che
ritiene che le norme riportate nella Tavola di Polcevera potessero essere già state sancite, seppure informalmente, dallo
stesso Minucio; cfr. anche MILANESE 1987, pp.16-17; BANDELLI 1998a, pp.37-38).
134 È stato supposto pur con riserve che insieme con gli Ilvates
si possa essere confuso anche il gruppo dei Veleiates, sottomessi nello stesso anno (LAMBOGLIA 1941, p.193).
135 Gli venne tributato un trionfo “minore” sul Monte Albano,
che tuttavia eguagliò per importanza di “signis carpentisque et
spoliis” quello ufficiale dell’altro console (sulle operazioni del 197
a.C. cfr. HARRIS 1989, pp.112, 114). La citazione del bottino non
trascurabile indurrebbe a pensare che non venisse considerata
del tutto secondaria la possibilità di bottino anche contro i Liguri (HARRIS 1979, p.227). Di scarsa importanza dovette essere
anche il consolato di Scipione Africano nel 194 a.C., che forse
guidò una spedizione di saccheggio contro i Liguri e i Boii (cfr.
HARRIS 1979, p.258, che riconosce validità all’episodio).
136 HARRIS 1979, p.225; LAMBOGLIA 1941, pp.178-179.
137 LAMBOGLIA 1941, p.179. È possibile che tra gli oppida
espugnati ci fossero anche quelli di Libarna e di Dertona, centri indigeni entrambi poi interessati dal passaggio della via
Postumia. Per DYSON 1985, p.98 una delle principali finalità
dell’azione di Minucio sarebbe stata di ridurre la pressione
ligure su Placentia. Cfr. anche BALDACCI 1986, p.97 per il
quale il teatro di operazioni di Q. Minucio si sarebbe esteso da
Casteggio fino alle spalle del golfo del Tigullio.
1 3 8 LAMBOGLIA 1941, pp.178-182; SERENI 1955, p.117;
DYSON 1985, pp.98-99; HARRIS 1989, p.115. Notizie sugli
avvenimenti in Liv. XXXIV 56,1; XXXV 3,4,6,11,20,21; XXXVI
38,1-4) (=FLLA 333; 335-340; 345).
42
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
è stato generalmente interpretato come una incursione con razzia139. Tuttavia da una attenta lettura delle fonti sorge il sospetto che si sia trattato di
una vera e propria guerra, che accanto a probabili
motivazioni contingenti, quali la sovrappopolazione e le pressioni di popolazioni confinanti140, abbia
implicato anche finalità strategiche più complesse.
Si sarebbe trattato di un’azione articolata su più
fronti, non solo sul versante tirrenico, dove si
potrebbe ipotizzare come motivazione principale la
riconquista dell’ampia fascia pianeggiante tra
Magra ed Arno, compresa Pisae, ma anche sul versante padano in direzione della colonia di Placen tia141. A suffragare questa ipotesi ci sarebbero una
serie di indizi; in primo luogo i due riferimenti alla
coniuratio per omnia conciliabula universae gentis
f a c t a 142 e alla lex sacrata coacto exercitu 143 a d
opera dei Liguri, cioé a giuramenti comuni particolarmente solenni, probabilmente anche con implicazioni religiose144, che precedettero i fatti militari
del 193 e del 191 a.C. Altri indizi sono rappresentati dalla presenza di un vero e proprio esercito
ligure, inizialmente composto da 20.000 unità, ben
presto raddoppiatesi, e dalla necessità da parte dei
Romani di creare veri e propri castra stabili da contrapporre a quelli del nemico, indizio di una azione
militare complessa ed importante 145. Dopo due
anni di combattimenti il console Q. Minucio
Termo, sebbene fosse riuscito pur con alterne
vicende ad allontanare il nemico e a conseguire
alcune vittorie, non ottenne risultati definitivi146.
Dopo la definitiva sottomissione degli Insubri
(194 a.C.) e dei Boi (191 a.C.) e il consolidamento
della presenza romana in Cispadania, avviato con
la fondazione di Bononia nel 189 a.C., si aprì una
seconda fase (187-181 a.C.), durante la quale l’im-
pegno di Roma contro i Liguri appare maggiore
pur senza risultati decisivi.
Secondo l’interpretazione più accreditata questo coinvolgimento non sarebbe stato rivolto ad
una vera e propria conquista dell’intera area ma
avrebbe avuto principalmente la funzione di arginare e contenere la minaccia rappresentata dalle
continue razzie ed incursioni liguri ai danni sia del
territorio emiliano occidentale, in fase di colonizzazione, sia di quello etrusco settentrionale, ormai
romanizzato, comprendente l’agro coltivato intorno a Pisae, che si doveva estendere probabilmente
fino alla foce del Magra, area quest’ultima già presidiata per mezzo del Portus Lunae147. Sono state
tuttavia espresse alcune riserve a questa interpretazione, che si basa in gran parte sulla fonte liviana, la quale è portata ad esaltare l’intero coinvolgimento romano in Cisalpina con finalità prevalentemente difensivistiche148 .
Si possono distinguere due settori del territorio
ligure interessati all’azione romana; uno orientale,
che si estende da Genua a Pisae, ritenuto più importante, perché vi si concentrò il maggior numero di
azioni, e uno occidentale, corrispondente alla Riviera di Ponente da Genua ad Albintimilium.
Nel settore orientale l’episodio più importante è
l’azione concertata dai due consoli del 187 a.C., C.
Flaminio e M. Emilio Lepido, contro i Friniati dell’Appennino emiliano-pistoiese e contro gli Apuani149. Sembra evidente che la principale motivazione di queste azioni militari sia stata di assicurare il
controllo della percorrenza appenninica, che da
Arezzo raggiungeva la neonata colonia latina di
Bononia, tramite la via costruita proprio in quell’anno ad opera del console C. Flaminio 150. Tale
decisione si inserisce in una strategia di avanza-
139 In Liv. XXXV 21, 9 si accenna a praedae, trovate nel campo
146 Il rifiuto oppostogli al trionfo da parte del Senato nel 190
ligure abbandonato, e si fa riferimento a spolia agrorum, che i
Liguri avevano già mandato alle loro case. In un altro passo si
parla della vis magna pecorum praedaque da parte dei Liguri
(Liv. XXXV 3,6). Secondo il Sereni le guerre degli Apuani e dei
Friniati sarebbero collegate alla loro condizione di estrema arretratezza sociale ed economica e sarebbero state accompagnate da
pratiche migratorie, indizio di una ancora precaria stabilità degli
insediamenti (SERENI 1955, pp.116-122; 170-172). Tuttavia la
pratica del saccheggio in guerre di conquista è una prassi ampiamente consolidata anche da parte degli stessi Romani.
140 Forse non è casuale che le popolazioni apuane abbiano deciso di iniziare le ostilità subito dopo l’annientamento dei Galli
Boi, che costretti ad abbandonare le loro sedi in pianura potrebbero aver messo in movimento i vicini Liguri Apuani. Anche
DYSON 1985, p. 98 sottolinea il “degree of coordinated political
and military action”.
141 Nello stesso anno diecimila Liguri avevano invaso il territorio di Placentia, minacciando la stessa città (Liv. XXXIV
56,10=FLLA 334).
142 Liv. XXXIV 56, 2.
143 Liv. XXXVI 38,1.
144 Su questi termini cfr. il commento di SERENI 1955, pp.156157.
145 In Liv. XXXV 3, 2-3 si fa esplicito riferimento all’esistenza
di castra in entrambi gli schieramenti.
a.C. dimostra la modestia dei suoi successi militari, anche se si
vantava di aver soggiogato l’intera Liguria.
147 Dopo l’incursione contro Pisae del 192-191 a.C. sembra che
i territori pianeggianti finitimi all’area collinare ligure, sia sul
versante tirrenico che su quello padano, fossero interessati da
razzie ed incursioni, attribuite agli Apuani, che rendevano problematica la vita nelle campagne e le coltivazioni (Liv. XXXIX
2,5). SARTORI 1965, p.12 definisce le guerre romano-liguri “un
problema di repressione, di polizia più che una guerra vera”.
148 Secondo Livio (Liv. XXXI,2. 5-6) anche le guerre contro i Boi
sarebbero state causate da una legittima difesa di Roma in
risposta alle continue incursioni galliche (cfr. HARRIS 1979,
p.211). Il maggior impegno romano a partire dal 191 a.C., con
caratteristiche più apertamente offensive, è sottolineato anche
da BARIGAZZI 1991, p.56.
149 Sulle azioni del 187 a.C. cfr. LAMBOGLIA 1941, pp.182183; HARRIS 1979, pp.225-226; DYSON 1985, pp.99-100;
HARRIS 1989, p.115; BARIGAZZI 1991, pp.59-74. Liv. XXXVIII 42,8 (FLLA 353); Liv. XXXIX 2, 1-11 (FLLA 357-359; 941).
150 Un breve riferimento alle motivazioni e al percorso della via
in BARIGAZZI 1991, p.62, che ricorda anche come i Liguri
Apuani, probabilmente attraverso le valli del Reno e del Panaro, fossero giunti a minacciare l’agro bolognese (“in agrum
bononiensem ita incursaverant”: Liv. XXXIX 2,5).
Luigi Gambaro
43
mento del movimento colonizzatore, di lì a poco concretizzatosi con l’apertura della via Emilia, che lambiva nel suo ultimo tratto il territorio ligure, con la
fondazione del forum di Regium Lepidi151 e con le
due deduzioni del 183 a.C. di Mutina e Parma152. In
subordine e ad integrazione di quest’intervento si
cercò di ripristare la tradizionale percorrenza
costiera tirrenica, compromessa tra Pisae e Genua
dalle azioni degli Apuani degli anni 193-191 a.C.
Anche se sembra che in entrambi i casi non si
sia trattato di azioni decisive e risolutive153, tuttavia la campagna contro i Friniati, che erano probabilmente i principali obiettivi dell’azione romana,
fu condotta con molta durezza e si concluse con la
conquista di un loro importante caposaldo, il
monte Auginus154.
Il teatro delle operazioni contro gli Apuani,
condotte da M. Emilio Lepido, che votò allora un
tempio a Diana e uno a Giunone Regina, si suppone che fosse inizialmente nella valle del Serchio155,
per poi spostarsi oltre il crinale appenninico, probabilmente nella valle del fiume Secchia, e concludersi nella pianura emiliana, dove furono trasferiti molti nemici vinti156. È stato posto in evidenza
che per la prima volta azioni in profondità nel territorio ligure ebbero come conseguenza non solo la
devastazione degli abitati indigeni, ma anche la
deportazione degli abitanti in pianura, in zone
facilmente controllabili157.
La guerra ebbe ulteriori strascichi nel 186 a.C.,
con una grande sconfitta riportata dal console C.
Marcio Filippo probabilmente nell’alta Garfagna-
na158, e nel 185 a.C., quando il console M. Sempronio Tuditano pacificò la fascia costiera con una
spedizione da Pisae all’approdo di Portus Lunae,
forse con un tragitto interno attraverso la Garfagnana e la valle Aulella159.
Nel settore occidentale la guerra contro gli
Ingauni, dopo ben 26 anni di pace, riprese nel 185
a.C. con la vittoria di Ap. Claudio Pulcro 160 e fu
continuata nel 182-181 a.C. da L. Emilio Paolo, il
quale dovette, almeno inizialmente, combattere
contro una coalizione, che comprendeva “tutti i
Liguri della Riviera di Ponente ancora ostili a
Roma, Sabazi, Ingauni e Intemeli” 161 . Dopo una
non facile campagna egli ottenne una decisiva vittoria contro gli Ingauni, giungendo direttamente a
minacciare le mura del loro oppidum principale,
prima di accettare la loro deditio e di celebrare il
trionfo162. Anche in questo caso se non prevalente
almeno importante dovette essere l’intento di contenere la minaccia arrecata dai Liguri alla fascia
costiera e in particolare alla navigazione in transito verso la Spagna163, come sembra confermare tra
l’altro l’istituzione nel 181 a.C. dei duumviri navali, uno dei quali fu immediatamente mandato in
Liguria, dove catturò 32 navi164.
151 Secondo HARRIS 1979, p.226, nota 2, la sua fondazione
risalirebbe già al 187 a.C.; secondo DYSON 1985, p.117 invece
esso probabilmente data al 175-173 a.C.; sulla personalità di
Emilio Lepido cfr. anche BANDELLI 1988, pp.23-24.
152 Le due colonie avevano tra l’altro lo scopo di controllare e
bloccare le scorrerie dei Liguri (DYSON 1985, p.101).
153 Sia gli Apuani nel 186 a.C. che i Friniati nel 177-176 a.C.
continuarono la resistenza con nuove azioni militari; in particolare i Friniati nel 177 a.C. occuparono la neonata colonia di
Parma per un anno, prima di essere pesantemente sconfitti
(Liv. XLI 14,2=FLLA 400; Liv. XLI 16,7-8 =FLLA 404).
154 Sebbene di ubicazione ignota, si è recentemente ipotizzato
una sua collocazione nell’Appennino modenese, probabilmente
nell’alta valle dello Scoltenna o Panaro (LAMBOGLIA 1941,
p.183; Fontes 1976, p.293; BARIGAZZI 1991, p.60).
155 LAMBOGLIA 1941, p.183. Dal passo liviano sembra di capire
che le prime operazioni si svolsero “cis Appenninum” (Liv. XXXIX
2,7). Anche DYSON 1985, p.100 e BARIGAZZI 1991, p.63 credono
che le prime operazioni si siano svolte in Garfagnana.
156 Sull’ubicazione dei capisaldi liguri dei monti Ballista e Sui smontium citati in Liv. XXXIX 2,7, sebbene il riferimento geografico non sia chiaro, appare condivisibile l’ipotesi di collocarli nell’Appennino emiliano, probabilmente nella media valle
del Secchia, presso Bismantova e Castelnuovo dè Monti (LAMBOGLIA 1941, p.183; HARRIS 1979, p.226, nota 2) o presso
l’alta valle sul crinale divisorio con la Garfagnana, forse presso
il passo delle Radici (BARIGAZZI 1991, p.64).
157 Liv. XXXIX 2, 9: “Aemilius... de montibus in campos multi tudinem deduxit”; DYSON 1985, pp.100, 104-105.
158 BARIGAZZI 1991, pp.64-65, in cui si accetta la collocazione
del toponimo saltus Marcius presso il passo dei Carpinelli.
159 Secondo BARIGAZZI 1991, p.65 il console del 185 a.C.
avrebbe seguito lo stesso percorso del suo immediato predecessore, riuscendo però ad aprire un varco tra Garfagnana e val di
Magra, seguendo anch’egli il passo dei Carpinelli.
160 Liv. XXXIX 32, 4. Cfr. LAMBOGLIA 1933b, pp.12-13, che
tende a considerare la ricostruzione liviana dei fatti non scevra
da esagerazioni, eccessivamente trionfalistica e poco fededegna, quando accenna addirittura a sei oppida espugnati e al
grandissimo numero di nemici uccisi dal console, che tuttavia
non ottenne il trionfo.
161 È l’ipotesi formulata da LAMBOGLIA 1933b, p.14, riferita
all’anno 182 a.C.
1 6 2 Per una dettagliata ricostruzione dei fatti militari cfr.
LAMBOGLIA 1933b, pp. 13-21, il quale tende a considerare
sostanzialmente attendibile la dettagliata descrizione liviana
degli avvenimenti; cfr. anche LAMBOGLIA 1941, pp.189-192;
DYSON 1985, pp.102-103; HARRIS 1989, p.115. Per le fonti
antiche sulle guerre contro gli Ingauni cfr. Liv. XL 16,4-6; 25,18; 26,8; 27, 8-15; 28, 1-7; 34, 7-12 (=FLLA 372; 375-383); Plut.
Aem. Paul. 6,1-7 (=FLLA 482). È possibile che dopo questa vittoria Emilio Paolo abbia costituito delle clientele tra le popolazioni liguri, come sembrerebbero confermare sia le condizioni
di pace piuttosto miti in termini economici, sia l’episodio dei
suoi funerali, seguiti da gran numero di Liguri, acclamanti
Emilio Paolo come benefattore e salvatore delle loro patrie
(Plut. Aem. Paul. 39, 8-9=FLLA 485).
163 Un riferimento alla pirateria dei Liguri e alla presenza di
prigionieri, anche Romani, caduti nelle loro mani e liberati da
Emilio Paolo dopo la sua vittoria, è contenuto in Plut. Aem.
Paul. 6, 3-7.
164 Liv. XL 26,8; 28,7; DYSON 1985, p.102.
3. L’ultima fase delle guerre liguri (180155 a.C.)
Intorno al 181-180 a.C. si verificò una svolta
radicale nella strategia militare in Liguria; in quegli anni iniziarono infatti le sistematiche deporta-
44
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
zioni della popolazione indigena, con il trasferimento coatto nel Sannio di circa 40.000 maschi
adulti (181-180 a.C.) 165,al quale seguirono tra 180
e 179 a.C. ad opera di Q. Fulvio Flacco e del suo
omonimo cugino altre deportazioni ancora nel
Sannio di 7000 Apuani 166, mentre nella pianura
padana sarebbero stati trasferiti 3200 Liguri montani, forse Statielli dell’alta valle del Tanaro167.
La causa principale di questo cambiamento di
strategia non sarebbe da attribuire ad un aumentato pericolo da parte dei Liguri nel corso degli anni
‘80, ma dipenderebbe dal nuovo interesse maturato
verso alcune parti del territorio ligure, in particolare
la Lucchesia, la Lunigiana e il Piemonte meridionale, considerate atte ad un’occupazione agricola sia di
singoli gruppi di coloni, sia di stanziamenti coloniali. Tale nuovo interesse coincise infatti cronologicamente con il completamento della colonizzazione del
territorio dei Galli Boi tramite lo stanziamento delle
colonie romane di Mutina e Parma nel 183 a.C. e si
accompagnò ad altri ambiziosi programmi, come la
deduzione della colonia latina di Aquileia nel 181
a.C. e gli stanziamenti di Saturnia e di Graviscae,
rispettivamente nel 183 e 181 a.C.168.
Va inoltre ricordato che in altre parti del territorio ligure, non interessate direttamente da conquista, l’azione dei Romani fu assai più cauta, con
l’evidente finalità di non indebolire il controllo sul
proprio territorio da parte delle popolazioni indigene, che venivano così a costituire una sorta di
cuscinetto di protezione nei confonti di finitime e
bellicose popolazioni di frontiera169. Un indizio che
permette di avvalorare tale ipotesi è il programma
di bonifica etnica, che richiama per alcuni verso
quello messo in pratica alcuni anni prima proprio
nei confronti dei Boi170.
Negli anni immediatamente successivi (177175 a.C.) continuarono le azioni contro i Friniati e
i Liguri Orientali, che si conclusero nel 175 a.C.
con il trionfo celebrato da entrambi i consoli di
quell’anno, Mucio Scevola e M.Emilio Lepido171.
Una analoga politica di deportazione e di assegnazione delle terre fu continuata da M. Popillio
Lenate, console nel 173 a.C. nei confronti di un’altra popolazione ligure, seppure forse parzialmente
celtizzata, quella degli Statielli del Piemonte meridionale, i quali pur dopo aver fatto atto di sottomissione furono in gran numero (forse 10.000), ridotti
in schiavitù172. Questa volta però l’azione di deportazione e di annientamento, intrapresa da Popillio
e continuata insieme al fratello Caio, console nel
172 a.C., suscitò vivaci reazioni a Roma; apparentemente gli si rimproverava un brutale trattamento dei vinti, in realtà non sembra possibile escludere che almeno parte del risentimento suscitato dal
magistrato fosse provocato dal timore che questi
potesse non solo fare una rapida carriera politica
ma anche crearsi tramite la concessione di terre
una forte base clientelare173. Al termine di un contrasto, forse più formale che sostanziale174, si giunse nel 171 a.C. ad un accordo che stabilendo la liberazione dalla schiavitù degli Statielli comportava a
titolo risarcitorio il loro trasferimento in Transpadana, forse nell’agro mantovano o nel Vercellese175.
165 Liv. XL 41, 1 (=FLLA 389). Sulle azioni del 181 a.C. ad
opera di P. Cornelio Lentulo e M. Bebio Tanfilo cfr. BARIGAZZI 1991, pp.65-66; DYSON 1985, pp.105-106; secondo quest’ultimo il successo riportato sarebbe in gran parte da attribuire
alla decisione di anticipare l’inizio delle operazioni alla primavera, quando i Liguri si trovavano ancora con i loro armenti
presso i pascoli invernali a quote poco elevate.
166 Liv. XL 41, 1-5 (=FLLA 389). Sulle azioni del 180 a.C. ad
opera di Q. Fulvio Flacco e di A. Postumio Albino Lusco cfr.
BARIGAZZI 1991, pp.66-67, che ritiene entrambi i consoli
impegnati contro gli Apuani, probabilmente nell’alta valle
della Magra e nella valle del Serchio.
167 Liv. XL 53, 3 (=FLLA 392) “Consul deditos in campestres
agros deduxit”. Per BALDACCI 1986, p. 97 le operazioni militari di Fulvio Flacco si sarebbero svolte nel territorio dei
Bagienni in Valle Stura; per SARTORI 1965, p.14 e GABBA
1987, p.28 la vittoria di Fulvio Flacco sarebbe avvenuta sugli
Statielli; per LAMBOGLIA 1933b, p.30 forse nell’alta Val
Tanaro. A favore di tale ipotesi potrebbe esserci il riscontro
archeologico, costituito dall’abbandono nel primo venticinquennio del II sec. a.C. dell’insediamento indigeno di Montaldo
di Mondovì (GAMBARI, VENTURINO GAMBARI 1988,
pp.119, 140).
168 HARRIS 1989, pp.117-118.
169 È la strategia che ispira tutta la campagna di Emilio Paolo
contro gli Ingauni (cfr. DYSON 1985, p.103, che definisce queste popolazioni di confine “buffer tribes”, includendovi anche gli
Statielli del Piemonte meridionale, che avrebbero avuto la funzione di difendere le vie di transito appenninico da Genua e le
valli appenniniche dal Bormida al Tanaro).
170 HARRIS 1989, p.118. Gran parte del territorio dei Boi fu
confiscato, mentre la popolazione sopravvissuta al massacro
sembra essere stata in gran parte allontanata (HARRIS 1989,
p.113).
171 Sulle guerre di questi anni cfr. LAMBOGLIA 1941, pp.193194; DYSON 1985, pp.108-109; BARIGAZZI 1991, pp.68-74;
quest’ultimo suppone che a conclusione della guerra del 175
a.C. M. Emilio Lepido avrebbe deportato forse in una terra lontana le popolazioni vinte, tra i quali oltre i Friniati vengono
menzionati Garuli, Lapicini ed Hergates (BARIGAZZI 1991,
p.72). Tuttavia il passo lacunoso di Liv. XLI 18, 16 non permette di avere alcuna certezza a proposito. Per BALDACCI 1986,
p. 97 non si potrebbe escludere qualche forma di aggregazione
di Friniati nei territori delle colonie di Mutina e Bononia.
1 7 2 LAMBOGLIA 1941, pp.195-199; SARTORI 1965, p.14;
DYSON 1985, pp.110-113; BALDACCI 1986, p.98.
173 Alcuni negano che il principale intento di Popilio sia stata
la conquista di nuove terre da colonizzare, a causa della posizione poco favorevole del territorio, lontano dagli altri nuclei
cisalpini di colonizzazione e ancora circondato da popolazioni
indigene ostili a Roma, mentre riconoscono l’esistenza di ambizioni famigliari e di rivalità politiche (DYSON 1985, p.110).
174 HARRIS 1979, p.226 e in particolare pp. 270-271; lo studioso minimizza l’importanza dello scontro tra Popilio e il Senato,
notando che non influì sulla sua carriera (fu censore nel 159
a.C.), né su quella dei suoi amici (il fratello fu eletto console nel
172 a.C.). Anche DYSON 1985, p.112 riconosce la possibilità
che almeno nell’assemblea dei comizi centuriati, responsabile
dell’elezione a console del fratello, prevalessero tendenze favorevoli ad una “aggressive frontier policy”.
Luigi Gambaro
Questa decisione, difficilmente giustificabile solo
con l’esigenza di evitare una reazione violenta da
parte degli indigeni liberati, qualora fossero rimasti
nelle loro sedi 176, sembra trovare una spiegazione
più valida, ammettendo motivazioni espansionistiche, avvallate anche dal Senato. Sembrerebbero
confermare tale ipotesi le assegnazioni viritane, che
proprio in quegli anni interessarono il territorio
cisalpino; esse erano guidate da magistrati che avevano fatto carriera proprio in Cisalpina, esercitandovi il consolato ed ottenendo spesso il trionfo.
Un’azione in aperta rivalità con quella dei
Popilli sembra che sia stata svolta dalla commissione decemvirale, preposta alla distribuzione
viritim negli agri gallico e ligure, istituita nel 173
a.C. e guidata da L.Emilio Lepido177. Secondo una
recente ipotesi l’Ager Ligustinus interessato da
questa assegnazione viritana potrebbe coincidere
con un ampio settore del Piemonte meridionale, in
cui sono ancora visibili tracce di un progetto unitario di centuriazione, già considerata pertinente l’agro di Dertona ma che sembra in realtà estendersi
verso Nord e verso Ovest ben oltre i presunti limiti della pertica di Dertona178.
Con l’inizio della guerra macedonica nel 171
a.C. sembra che l’espansione romana in Liguria si
sia almeno per qualche tempo arrestata 179 , anche
se era ben lungi da essere conclusa; infatti benché
per gli anni ‘60 e ‘50 venga a mancare la nostra
principale fonte (Livio), siamo informati di almeno
3 trionfi De Liguribus nel giro di pochi anni. Quello conseguito da entrambi i consoli del 166 a.C. e
quello tributato a M.Fulvio Nobiliore nel 158 a.C.
sembra che abbiano riguardato tra l’altro la tribù
degli E l e i a t e s, concordemente ubicati presso
Veleia, mentre il trionfo del consul iterum del 155
a.C., M. Claudio Marcello, fu riportato sui Liguri
Apuani, ancora una volta in rivolta180 .
3.2. AGGREGAZIONIETNICHE E FORMEDEL POPOLAMENTO INDIGENO NELLA TARDA ETÀ DEL FERRO
1. Gli aggregati semplici: le tribù e la loro
unità d’insediamento (il pagus)
Il più semplice tipo di aggregato etnico è la
175 L’ipotesi di un loro trasferimento nell’agro mantovano è
sostenuta in BALDACCI 1986, p.98. Per SALMON 1982, p.97 e
SPAGNOLO GARZOLI 1998, p.68 gli Statielli avrebbero occupato il territorio presso Vercelli.
176 DYSON 1985, p.113.
177 Per tale distribuzione cfr. Liv. XLII 4.3-4. È stato giustamente posto in evidenza che uno dei rivali di Popillio fu il pretore A. Atilio Serrano, che presiedette l’elezione del decemvirato (HARRIS 1979, p.271).
178 Cfr. ZANDA 1998a, p.63; la studiosa ritiene che la scelta della
Transpadana per trasferirvi gli Statielli potrebbe essere stata
imposta dal fatto che i territori cispadani erano già stati oggetto
di assegnazioni, collegate verosimilmente all’azione del 173 a.C.
179 Il nuovo console del 170 a.C. Atilio Serrano, giunto in Ligu-
45
tribù, in cui prevalgono elementi tipici di una
costituzione gentilizia piuttosto che territoriale;
essa in genere conta poche migliaia di individui, i
quali occupano un territorio ridotto (una vallata o
un bacino idrografico), all’interno del quale si erge
un unico centro principale, con caratteri di difesa o
di rifugio, avvicinato in genere alla tipologia del
castellum, mentre appare meno sicura l’esistenza
anche di piccoli oppida.
All’epoca della romanizzazione tale stadio di
organizzazione sociale sembra essere stato superato dalla maggior parte delle popolazioni liguri, a
favore di forme di aggregazione intertribale più
complesse, mentre si sarebbe conservato presso le
popolazioni ubicate in alcune zone appenniniche
isolate e in particolare nella zona alpina181.
L’unità territoriale d’insediamento della tribù
è considerato il pagus, che in un’epoca in cui non si
è ancora pienamente affermata una costituzione
della comunità di tipo territoriale si identifica,
anche linguisticamente, col nome della tribù che lo
occupa. È il caso delle tribù circostanti Genova,
menzionate nella Tavola di Polcevera, ad esempio
i Langates, etnico che identifica anche il pagus e il
centro d’insediamento, chiamato c a s t e l u m. Il
pagus spesso persiste in età romana con confini
propri sia nei confronti dell’unità fondiaria del
fundus, sia nei confronti dell’ambito politico ed
amministrativo della civitas, conservando anche
norme, funzioni e magistrature proprie182. La sua
superficie si adatta alle esigenze produttive e commerciali oltre che alle possibilità di insediamento
della tribù e alla configurazione geomorfologica
del territorio. Al suo centro vi sono le terre comuni,
intorno alle quali si distribuiscono gli abitati; in
prossimità di essi iniziano a distinguersi aree adibite a forme intensive di sfruttamento di tipo privato, cioé riservate alla singola gens o al singolo
vicus. Ai margini del pagus sono ubicate le terre
del compascuo, inteso come punto d’incontro di più
tribù, spesso ubicato in zone di crinale e di confine
ed adibito sia a pratiche economiche, come il
pascolo e il legnatico, sia a culti intertribali da
parte di comunità tra loro confinanti.
A testimonianza dell’evoluzione che l’istituzione tribale subisce nel corso della romanizzazione
si deve ricordare la caratterizzazione della comuria, congedò le truppe perché non ne era necessario l’impiego
(Liv. XLIII 9).
180 LAMBOGLIA 1941, p.195. Le fonti inducono lo studioso a
ritenere che i Liguri menzionati a proposito del trionfo del 166
a.C. siano da ubicarsi nella Pianura Padana o nelle Alpi.
181 Si tratta delle gentes alpinae menzionate dalle fonti (cfr.
SERENI 1955, pp.122 ss.).
182 Il pagus conserva ancora in età imperiale caratteri di circoscrizione territoriale, di aggregato etnico e di unità militare,
che richiamano ad un’organizzazione territoriale più antica,
come si evince dalla Tabula Alimentaria di Veleia e dalla loro
citazione epigrafica nel Piemonte transpadano, dove conservano una autonomia amministrativa, finanziaria e religiosa (cfr.
SPAGNOLO GARZOLI 1998, pp.70-74).
46
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
15 - Principali nomina indigeni della Liguria nella tarda età del Ferro (BERTOCCHI TINÈ 1986, fig.10)
nità dei Langenses all’epoca della Sententia Minu ciorum, quando essa si è ormai strutturata su base
decisamente territoriale e non più gentilizia, con
una progressiva differenziazione e sviluppo delle
forze produttive, dedite non solo alla coltura del
grano ma anche a culture perenni, arbustive, come
la vite. Domina ormai un tipo di proprietà fondiaria, diffusa sia nell’ager privatus (con facoltà di
vendita e di trasmissione ereditaria), sia in quello
publicus, dove viene ribadita la proprietà sul prodotto, necessaria per la periodica corresponsione
di un canone.
Tale corresponsione di un v e c t i g a l anche in
denaro implica la piena diffusione di una pratica
agricola, che permettesse una periodica e costante
eccedenza della produzione.
Da un punto di vista politico però si tende ad
escludere la possibilità che questo tipo di organizzazione economica abbia comportato l’esistenza di
una costituzione statale; mancano infatti riferimenti a magistrature specifiche e l’unico organismo menzionato è l’assemblea popolare di tutti i
membri della comunità; tuttavia l’esistenza di una
I populi sono aggregati etnici formati da più
tribù, ai quali sono riconducibili alcuni nomina,
caratterizzati da una sostanziosa consistenza
numerica; si tratta di popolazioni che grazie a condizioni ambientali particolarmente favorevoli
hanno raggiunto forme di vita piuttosto evolute da
un punto di vista economico e sociale, con una
organizzazione ormai pienamente territoriale e con
una relativa unità anche linguistica. Nella Liguria
costiera si riferiscono a questo tipo di aggregazioni
almeno 5 grandi nomina: gli Intemelii (comprendenti Vediantii, Deciates e Oxybii), gli Ingauni
(comprendenti Sabates e Docilii), gli Statielli, i
Genuenses e i Veleiates184. Le informazioni per rico-
183 SERENI 1955, p.40; la presenza stessa di un vectigal è con-
184 SERENI 1955, pp.103 ss., 172-173.
siderato un elemento di un’incipiente evoluzione “in senso statale” della comunità territoriale dei Langates.
seppure tenue differenziazione al suo interno è
ipotizzabile in base al riferimento, contenuto nella
Tavola di Polcevera, al fatto che il vectigal doveva
essere corrisposto pro portione183.
2. Gli aggregati intertribali: populi e con
federazioni e la loro unità d’insediamento (il
conciliabulum) (fig. 15)
-
Luigi Gambaro
47
struire il carattere sociale di uno di questi nomina
maggiori all’epoca della romanizzazione riguardano in particolare gli Ingauni e i Genuenses.
Tra i primi sembra essersi ormai differenziato
un ceto dedito ad attività marinare, composto da
navigatori, pirati e mercanti, con ulteriori specializzazioni tecniche, come i gubernatores e nautae,
che seppure indirettamente confermano l’esistenza anche di una sofisticata industria navale. Questa spiccata divisione del lavoro, che pure non
sembra aver comportato l’esistenza di classi sociali pienamente individualizzate, riguarda anche la
pratica dell’agricoltura, che in base alle fonti sembra essere piuttosto estesa e sviluppata185.
È stato notato anche che la consuetudine degli
I n g a u n i di catturare nel corso di scorrerie e di
azioni belliche prigionieri in gran numero potrebbe implicare l’esistenza di un mercato di schiavi,
nato per soddisfare la domanda di tale merce da
parte di altre popolazioni, come ad esempio l’alleata Cartagine, senza per questo escludere l’impiego
seppure in forma embrionale di una manodopera
schiavistica per esigenze locali sia nei lavori agricoli sia per le ciurme delle navi186.
Anche se mancano capi militari o magistrati,
sembrano emergere alcune figure, ad indizio di una
qualche gerarchia sociale 187; si ricordino a questo
riguardo i legati, che ricevono dalla popolazione il
mandato per svolgere attività diplomatica, o i Prin cipes Ligurum, che vengono presi come ostaggi da
Roma, secondo una pratica applicata anche verso
popolazioni piuttosto evolute. Questi principes sono
probabilmente da identificarsi con esponenti delle
gentes più eminenti, a capo dei vici188, i quali potevano esercitare una qualche autorità decisionale in
seno alla comunità, sia nell’ambito dell’assemblea
popolare, sia in occasione di attività di rappresentanza. Sul grado di relativa agiatezza goduta da
alcune di queste gentes si ha notizia a proposito del
trionfo celebrato da Emilio Paolo sugli Ingauni nel
181 a.C., durante il quale furono esibite venticinque
corone d’oro, frutto del bottino189.
Le notizie circa le guerre combattute dagli
Ingauni contro altre popolazioni liguri montane,
tra cui gli Epanterii, indicano sia la necessità di
respingere scorrerie ad opera di queste tribù,
attratte dalla maggiore ricchezza degli Ingauni,
sia forse una nascente spinta espansionistica per
il controllo di nuovi territori, a conferma tra l’altro
dell’affermarsi della proprietà individuale della
terra190. Anche tale espansionismo territoriale
rispetto ad altre forme più primitive, come la scorreria o l’impegno militare mercenario, denota un
maggiore grado di sviluppo e la ricerca di sbocchi
per i propri commerci; sembra tuttavia ancora
mancare un esercito vero e proprio, distinto dal
popolo armato, come pure una gerarchia militare.
Nella città di Genua, grazie alle preziose informazioni desunte dalla Tavola di Polcevera, appare
certa almeno dalla fine del II sec. a.C. una marcata divisione del lavoro, con la creazione di uno stabile ceto di artigiani, mercanti e navigatori e una
economia ormai pienamente monetaria, che tende
a propagarsi anche presso le comunità rurali circostanti. Pur con qualche dubbio potrebbe essere
ammessa già nel corso del II sec. a.C. l’esistenza
embrionale di magistrature pubbliche 191 c o m e
pure di una forza pubblica192.
L’egemonia politica e territoriale, esercitata da
Genua sulle comunità circostanti, è riflessa ancora
una volta nella Tavola, quando si accenna alla condizione dell’ager publicus dei Langenses, su cui
Genua sembra esercitare una qualche forma di controllo, con pretese di ulteriore espansione, che una
serie di norme contenute nella Tavola193 si pongono
evidentemente lo scopo di limitare e contenere194.
Le confederazioni sono degli aggregati etnici,
anch’essi formati da più tribù, parzialmente simili
ai populi ma in una fase di sviluppo sociale più
arretrato, in alcuni casi caratterizzati da popolazione molto numerosa, nell’ambito del cui territorio tuttavia nessun tipo di abitato (v i c i ,
castella,piccoli oppida) assume “nei confronti dell’aggregato etnico preso nel suo complesso una
prevalenza e funzione unificatrice”195.
Carattere comune di questi nomina, che pure
presentano comunanza di lingua, tradizione e cultura, è la notevole arretratezza economica e sociale, che si traduce in un passaggio non pienamente
compiuto a forme della “comunità di tipo territoriale”196 e in una stabilità degli insediamenti ancora piuttosto precaria, come confermerebbero i riferimenti nelle fonti a non occasionali trasmigrazioni, seppure sotto la pressione militare romana197.
185 SERENI 1955, p.207.
erano stati iudicati, damnati e ridotti in vinculeis a Genova
(cfr. SERENI 1955, pp.46-48).
193 Tra queste norme si ricordano l’obbligo di vectigal anche da
parte dei Genuates, la conferma di importanza dell’assemblea
dei Langates, la precisazione del percorso dei confini degli agri.
194 SERENI 1955, p.46. DYSON 1985, p.123 suppone che già
dopo la campagna di Minucio Rufo nel 197 a.C. Genua avrebbe
esercitato mediante norme definite “informal” un controllo seppure parziale sulle finitime popolazioni confinanti “by the process later known as attribution”.
195 SERENI 1955, p.118.
196 SERENI 1955, pp.119-120.
197 SERENI 1955, p.125 con menzione delle fonti a proposito
degli Apuani e dei Friniati.
186 SERENI 1955, pp.111; 204 -205.
187 Citati in Liv. XL, 35. Sul loro significato cfr. l’ipotesi di
SERENI 1955, pp.215-216, che tuttavia nega loro un potere oligarchico, eventualmente contrapposto a quella dell’assemblea
popolare (cfr. SERENI 1955, pp.249-250).
188 SERENI 1955, p.421.
189 SERENI 1955, p.132; cfr. Liv. XL, 34.
190 Liv. XXXVIII,46; cfr. anche SERENI 1955, p.198.
191 Nella Sententia si fa riferimento a particolari decisioni che
devono essere prese in poplicum Genuam.
192 Alcuni L a n g e n s e s, scarcerati a seguito della S e n t e n t i a,
48
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
È stato giustamente notato che “l’organizzazione
socio-politica degli Apuani e dei Friniati è chiaramente imperniata su un territorio a sfruttamento
agricolo-pastorale (ager), su insediamenti rurali
(vici), su formazioni armate che talora in pianura
sono concentrate in castra, ma più spesso si rifugiano nelle fortificazioni difensive dei montes. Non
si fa assolutamente menzione di centri urbani
(oppida)”198.
Essendo ubicati in prevalenza in area montana essi sono dediti a forme di sussistenza imperniate sulla pastorizia, anche se non mancano
riferimenti all’agricoltura. È stato considerato
non casuale il fatto che siano proprio le tribù più
arretrate quelle maggiormente citate dalle fonti
come protagoniste di scorrerie e incursioni; tali
razzie sarebbero provocate da esigenze di
sopravvivenza, a causa di un fenomeno di
sovrappopolazione e quindi di crescente pressione demografica 1 9 9 in un’area povera e assai
ridotta, incapace di fornire i mezzi indispensabili di sussistenza 200. Come conseguenza di tale
situazione si potrebbe almeno in parte collegare
il fenomeno dell’emigrazione militare mercenaria, assai sviluppato tra le popolazioni liguri già
in epoca preromana 201.
Tra i principali nomina, espressione di queste
confederazioni, si possono ricordare i Bagienni, gli
Apuani e i Friniati. Tra i nomina minori sono comprese le tribù indigene costiere stanziate nella
Liguria di Levante, ad Est di Genova; in particolare le prime due delle quattro tribù comprese tra gli
Statielli e i Veleiati nel famoso elenco pliniano dei
Ligures celeberrimi , quelle dei Bimbelli e dei
Magelli, vengono ubicate seppure molto dubitati-
vamente in val Lavagna 202. La zona di Chiavari e
di parte del suo entroterra sarebbe stato di pertinenza dei Levi, mentre ad Est dell’Entella si sarrebe stato occupato dai Tigullii, ai quali viene seppure dubitativamente attribuito un controllo territoriale di tutta la fascia costiera da Moneglia a La
Spezia203.
Nel tratto compreso tra il golfo del Tigullio e la
Lunigiana si è proposto di collocare le altre due
tribù comprese nella lista pliniana tra gli Statielli
e i Veleiati, quelle degli Euburiates e dei Casmo nates. I primi avrebbero occupato le valli della
Trebbia e della Nure, mentre la posizione dei
Casmonates sarebbe da fissarsi a Sud-Est della
precedente tribù, almeno in parte anche sul versante tirrenico intorno al monte Penna204.
Il tratto più orientale del comprensorio era abitato dalla popolazione degli Apuani205; marginale
e limitata alle estreme propaggini dell’alta val di
Magra e forse anche dell’alta val di Vara era la
presenza dei Veleiati, citati sia da Plinio, come
estrema popolazione orientale ligure, sia dalla
Tabula Peuntigeriana 206.
Problematica è l’identificazione dell’etnico Sen gauni, che a differenza degli Apuani, è citato nella
Tabula Peuntigeriana e collocato in una posizione
coincidente con la Val di Vara e parte della Val di
Magra207.
Quanto al problema dell’identificazione del territorio dei Friniati 208 in genere si ritiene che esso
fosse compreso tra i due contigui bacini idrografici
del Secchia e dello Scoltenna-Panaro, con un limite meridionale corrispondente allo spartiacque
appenninico dal passo del Cerreto tramite il passo
delle Radici fino al Corno delle Scale 209; tuttavia
198 PETRACCO SICARDI 1977, p.14.
199 Cfr. sul problema DYSON 1985, p.89, il quale, pur ricono-
ci, linguistici ed antropologici, è proposta da AMBROSI 1981,
pp.160-165.
206 Sulla immediata contiguità e parziale sovrapposizione etnica e culturale tra Apuani e Veleiati insistono FORMENTINI
1949, pp.214-215, che ipotizza su base toponomastica un controllo veleiate anche nell’alta val di Vara, ed AMBROSI 1981,
pp.159-160.
207 Per AMBROSI 1981, p. 160 potrebbe trattarsi di un errore
della TabulaPeutingeriana, che colloca nella Liguria di Levante un etnico tipico di popolazioni della Liguria di Ponente
(Ingauni=Sengauni?).
208 Una importante raccolta di dati storici e topografici sui Friniati è contenuta in PETRACCO SICARDI 1977, pp.10-19.
209 Una utile informazione è fornita in Liv. XLI 19, che a proposito della popolazione dei Briniates, sicuramente da identificarsi con i Friniati, riconosce la loro ubicazione trans Appenni num intra Audenam amnem, essendo il torrente Audena probabilmente da identificarsi con lo Scoltenna o il Silla. Anche se
si esclude una identificazione tra l’attuale territorio del Frignano e l’etnico Friniates dal punto di vista linguistico, è riconosciuta probabile l’identificazione tra Frignano e il territorio
transappeninico di questa popolazione, che potrebbe tuttavia
estendersi su di un comprensorio più vasto comprendente l’intero Appennino modenese (cfr. PETRACCO SICARDI 1977,
p.16; BARIGAZZI 1991, pp.73-74).
scendo che le stime sulla popolazione ligure contenute nelle
fonti latine, relative al numero di indigeni caduti in guerra o
fatti prigionieri, possano essere almeno parzialmente esagerate, ammette l’esistenza di un problema di sovrappopolazione
all’epoca della romanizzazione.
200 È stato giustamente osservato che questa spiccata mobilità,
da non confondersi con forme di nomadismo o di seminomadismo, può essere stata influenzata ed agevolata anche dalla geomorfologia del territorio, caratterizzato dalla linea dello spartiacque appenninico molto spostata a Sud, con un versante
meridionale poco esteso, percorso da solchi vallivi in genere
lineari, facilmente percorribili, mentre invece il versante settentrionale è in genere più lungo e complesso. Tale fatto è
anche riscontrabile nelle fonti antiche, che hanno difficoltà nel
definire la posizione reciproca di questi diversi n o m i n a
(PETRACCO SICARDI 1977, p.14).
201 SERENI 1955, pp.181-200 con citazione di fonti.
202 FORMENTINI 1949, pp.211-212.
203 Sul problema dei Levi e sul limite dello stanziamento dei
Tigullii cfr. FORMENTINI 1949, pp.218-219.
204 FORMENTINI 1949, pp.213-214.
205 Un’importante sintesi, volta a definire il territorio degli
Apuani nella seconda età del Ferro utilizzando dati archeologi-
Luigi Gambaro
persiste qualche dubbio sull’estensione del loro
territorio anche sul versante meridionale e toscano dell’Appennino210.
L’organismo, che traduce il rapporto dei
sovramenzionati aggregati etnici con il territorio,
è il conciliabulum, che da un significato ristretto
e forse originario indicante il “luogo di assemblea” si evolve ad indicare la “confederazione di
più pagi o tribù che hanno un luogo di convegno o
un’assemblea in comune”211 .
L’ager compascuo menzionato nella Tavola di
Polcevera sarebbe pertinente al conciliabulum
composto dalle comunità citate, facente capo
all’oppidum di Genua212.
3. Le forme del popolamento: vici, castella
ed oppida
Il vicus rappresenta il luogo e la forma d’insediamento, oltre che centro di colonizzazione,
caratteristico dell’elemento costitutivo della
tribù, cioé della gens, anche se non sembra possibile considerarlo una semplice ripartizione del
pagus, che presenterebbe parti non ripartite 213.
Al suo interno si svolgono specifiche attività,
quali culti gentilizi e assemblee presiedute dal
capo della gens; in genere il termine è tradotto
come “villaggio” o “stanziamento accentrato e
compatto”.
Nell’ambito del pagus i vici sono ubicati intorno alle terre comuni, spesso in pianura e lungo le
vie di comunicazione214 ; sono stati definiti anche
210 Tale dubbio deriva dall’analisi del passo di Liv. XXXIX 2,
che a proposito del 187 a.C., anno della grande offensiva dei
consoli Flaminio ed Emilio Lepido, colloca una prima fase di
combattimenti a Sud degli Appennini, prima che le legioni
venissero trasferite trans appenninum; anche l’ubicazione di
due castella dei Friniati sui monti Ballista e Suismontium sembra essere cis appenninum, da intendersi probabilmente a Sud
dell’Appennino, dato che i Friniati sotto l’incalzare dei romani
fuggirono verso Nord, rifugiandosi sul monte Auginum, che è
sicuramente a Nord dell’Appennino (PETRACCO SICARDI
1977, p.12 ss.).
211 Con tale valenza sembra interpretabile il conciliabulum
nella famosa citazione liviana (Liv. XXXIV 56). Sulla definizione di conciliabulum cfr. SERENI 1955, pp. 41, nota 40, 356,
453-455. Anche in PETRACCO SICARDI 1958-59, p.16 il con ciliabulum è definito “luogo di convegno che gli abitanti dei vici
e dei castelli avevano fin dall’epoca preromana a scopo politicoreligioso”; viene anche ribadito il rapporto di continuità che con
esso hanno i centri commerciali (fora) e le pievi medievali.
212 SERENI 1955, p.453.
213 Sul vicus in area ligure cfr. l’ampia disamina in SERENI
1955, pp.384-422. Tra le fonti che parlano di un popolamento
ligure organizzato per vicos et castella cfr. Liv. XXXV 3; Liv.
XXXV 21.
214 SERENI 1955, pp.386-388 con raccolta di fonti che menzionano vici. Anche in altre regioni dell’Italia pre-romana, come
ad esempio in Daunia, il modello insediativo prevalente fino
agli inizi della romanizzazione è costituito dai vici, ai quali si
affiancano alcuni centri fortificati maggiori (cfr. VOLPE 1990,
pp.28-29).
49
“agglomerati rurali situati prevalentemente in
luoghi pianeggianti, privi di opere di difesa” 215.
Il c a s t e l l u m preromano viene definito dal
punto di vista dell’organizzazione sociale “centro
di organizzazione e di aggregazione delle varie
unità tribali ed etniche” 216; risulta essere il centro, inteso per importanza e non come ubicazione,
della tribù e del pagus, con funzione “ di raccordo
e di difesa di un gruppo di vici”217.
La prima attestazione del termine in area
l i g u r e218 è di natura epigrafica ed è contenuta
nella Tavola di Polcevera, in cui il Castelum Vitu riorum è il centro della comunità dei Langenses,
definiti anche castelanos Langenses. All’epoca
della redazione della Tavola nell’avanzato II sec.
a.C. tale termine ha ormai assunto il significato
di “ piccolo centro abitato privo di autonomia” 219,
occupato da una tribù adtributa a Genua, anche
se la mancanza di un nome proprio può rappresentare l’indizio della persistenza, almeno parziale, di caratteri gentilizi, che si perpetuano
anche nell’esclusivismo, ancora tipicamente tribale, nella concessione di terre nell’ager publicus,
riservata ai soli Langenses e Genuates220.
Indipendentemente dal suo significato politico e sociale al castellum vengono attribuite, fin da
epoca preromana 2 2 1 , prevalenti connotazioni
difensive e militari, confermate dall’ubicazione
in genere su altura222 e dalla presenza (non sempre) di una cinta fortificata223 .
Indicativo della presenza di un insediamento
215 PETRACCO SICARDI 1958-59, p.15.
216 LAMBOGLIA 1955d, p.2.
217SERENI 1955, pp.388, 396.
218 È stata supposta un’etimologia non latina del termine, che
sarebbe di origine ligure o celto-ligure (cfr. sul problema SERENI 1955, pp.377-378).
2 1 9 PETRACCO SICARDI 1958-59, pp.14-15; si tratta del
diminutivo di castrum, attestato per la prima volta nella Sen tentia Minuciorum.
220 In realtà il sito, dove sorse il castellum, era probabilmente
indicato da un toponimo *Langa, senza per questo che esso sia
divenuto poi il nome del castello (PETRACCO SICARDI 195859, p.16).
221 Fondamentali sono a questo proposito le citazioni di Livio
nell’ambito delle guerre romano-liguri (Liv. XXXIX 1-2).
222 PETRACCO SICARDI 1958-59, p.15: “I castelli dovevano
trovarsi sulle alture, in posizione adatta alla difesa e dovevano
essere (sia pure in maniera primitiva) murati e fortificati.”
223 Nel 181 a.C. dopo la vittoria di Emilio Paolo sugli Ingauni
viene richiesto alle comunità indigene di abbattere i bastioni e
le opere difensive delle loro città, che vengono per il resto
lasciate stare (cfr. Plut. Aem. Paul. 6,6); cfr. anche DYSON
1985, p.103 che ricorda gli analoghi casi imposti dai Romani in
Spagna. Per alcuni rientrerebbero tuttavia nella stessa tipologia anche abitati “aperti”, sprovvisti di difese, dove si realizzerebbe il sinecismo di alcune “grandi famiglie” (cfr. CIAMPOLTRINI 1996, p.53 sul sito di Monte Pisone in Garfagnana;
CIAMPOLTRINI 1995a, p.108 sul sito di Pietra Pertusa).
50
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
preromano di questo genere è ancor oggi il toponimo “castellaro” 224.
L’oppidum, che funge da capoluogo e che presenta connotati già almeno parzialmente di tipo
urbano225 , risulta spesso ubicato lungo la costa226;
proprio alla sua posizione deve una spiccata vocazione marinara e commerciale, che implica
influenze e contatti con la cultura greca, etrusca e
r o m a n a 227. In ogni territorio vi possono essere
anche più oppida, da intendersi come centri di
dimensioni ed importanza diverse “di unità etniche subordinate al grande nomen”228.
Dalle fonti latine vengono menzionati con la
qualifica di oppidum i centri di Albium Inteme lium, Aegitna e Cemenelum nel territorio degli
Intemeli, mentre Albium Ingaunum è considerato
il capoluogo degli Ingauni, nel cui territorio si trovavano altri sei o p p i d a minori, come quello di
Savo, centro dei Sabates.
C a r y s t u m è il capoluogo degli S t a t i e l l i,
Genua dei Genuates e probabilmente Veleia dei
V e l e i a t e s2 2 9 .
La nascita di questi capoluoghi rappresenta
un fenomeno di notevole complessità non sempre
unitario, come hanno dimostrato le ultime ricerche archeologiche sull’oppidum di Genua, dove
l’impianto di un nucleo emporico di età tardoarcaica con componente etnica etrusca favorì il
coagularsi di un insediamento etnicamente e culturalmente composito 2 3 0 . È necessario quindi
mostrare grande prudenza nei confronti di ipotesi tradizionali, tra le quali ha avuto autorevoli
sostenitori quella che prevede l’origine di almeno
parte di questi oppida da un vero e proprio sinecismo di varie comunità intertribali, che avrebbero deciso di costituire delle capitali confederali,
“come centri di raccordo e di coesione fra le tribù
o le comunità” 231.
224 Non sempre tuttavia a tale toponimo corrisponde l’effettiva
presenza di un insediamento; ad esempio Massari registrava in
tutto il comprensorio lunigianese 15 toponimi “castellaro”, dei
quali solamente tre hanno confermato l’esistenza di una fase
della seconda età del Ferro (MASSARI 1981, pp.97-100). Anche
Ambrosi raccolse 44 toponimi, di cui solo 13 hanno restituito
tracce archeologiche, anche riferibili all’età del Bronzo (cfr.
AMBROSI 1981, pp.115-116; l’autore nella carta di distribuzione (fig. p.111) però indica solo 7 castellari). Ricerche di superficie condotte presso le omonime località Castellaro di Genicciola e di Cassana non hanno restituito alcun indizio né di strutture murarie, né di ceramiche protostoriche (cfr. BERNABÒ
BREA 1942, pp.41-43).
225 SERENI 1955, p.109.
226 Da un punto di vista topografico essi sembrano rispondere
sempre a due requisiti fondamentali: la presenza di un facile
approdo, determinato da un’insenatura naturale o dalla foce di
un fiume, e la vicinanza di un rilievo facilmente fortificabile; si
ricorda anche la citazione straboniana che parla di “epoikiai”
sul mare (Strab. IV 6,3).
227 SERENI 1955, pp.136-141 approfondisce gli influssi esercitati sull’evoluzione delle tribù liguri da parte di Marsiglia e
degli Etruschi.
228 SERENI 1955, p.109.
229 Il termine ligure Alba (in latino Album ed Albium) con il
significato di capitale sinecistica deriva da una base alb/alp con
un duplice valore, sia di oronimo, sia di luogo dell’alpeggio, cioé
del compasco estivo (l’alpe) (SERENI 1955, pp.523-524).
230 Sul problema cfr. la bibliografia fornita in par. 4.6.1.
231 L’ipotesi, già sostenuta da Formentini, è stata ripresa da
SERENI 1955, pp.113-114 e da LAMBOGLIA 1975, pp.362364; quest’ultimo studioso, trattando della nascita dei due
oppida di Albium Intemelium e Genua, poneva l’accento sulla
loro relazione e filiazione rispettivamente dai castellieri di
Monte Bignone e Sestri Ponente, da lui considerati centri generatori di importanti aggregazioni etnico-topografiche. Nel caso
specifico di Genova ipotizzava che accanto ad un popolamento
tradizionale accentrato tra Sampierdarena e Voltri, dove è ubicato il castellaro di Sestri Ponente, a controllo delle due direttive transappenniniche dei passi dei Giovi e del Turchino, gli
indigeni avrebbero deciso a partire da un determinato momento di dare vita ad un nuovo centro portuale. Nel caso di Albium
Intemelium sottolineava lo stretto rapporto col castellaro di
Monte Bignone, posto a controllo e a difesa orientale del terri torio intemelio, la cui occupazione, iniziata forse nel V sec. a.C.,
si porrebbe in relazione con un primo stanziamento nella piana
allo sbocco del Nervia. Simile a quella genovese considerava
anche la situazione di Savo, oppidum marittimo, che avrebbe
assorbito la popolazione presso la vicina area di Vado.
Luigi Gambaro
51
3.3. I DATI TOPOGRAFICI
1. Il territorio intemelio
In tale territorio le informazioni maggiori
riguardano il centro capoluogo Albium Inteme lium (pianta a1); l’oppidum preromano, già ritenuto ubicato sul sito della città medievale di Ventimiglia, ma ricordato da Strabone in prossimità
del mare, sorgeva a ridosso del più antico insediamento romano, da cui si svilupperà la città di
Albintimilium, sulla collina di Collasgarba, in particolare sul suo versante orientale, dove una serie
di fattori come la pendenza moderatamente acclive, l’abbondanza di acqua dolce nei dintorni e la
vicinanza di un approdo naturale alla foce del torrente Nervia, offrivano condizioni particolarmente
favorevoli all’insediamento umano.
Sulla collina furono rinvenute ceramiche protostoriche e alcune monete greche 1 , che insieme a
materiali di importazione, trovati in altri scavi,
documentano un livello di vita relativamente alto e
l’esistenza di contatti commerciali transmarini 2.
Scavi condotti negli anni ‘50 presso l’area del
Cavalcavia confermarono l’esistenza di una fase di
vita preromana, al di sotto dei livelli tardo-repubblicani3; furono individuati dei “recinti”, interpretati come basi di capanne, aventi forma circolare,
tendente all’ovale, con diametro non sicuramente
accertato4; erano costituiti da massi di puddinga,
rozzamente squadrati, di circa 50 cm. di altezza,
privi di fondazione e direttamente piantati sui
livelli di spiaggia sterili5. In mancanza di uno studio dei reperti la datazione della loro costruzione,
che si basa sul materiale rinvenuto nel terreno che
sembra addossarsi ad essi internamente, resta
piuttosto vaga, forse nell’ambito del IV sec. a.C. con
continuità di vita nel corso del secolo successivo6.
Un secondo scavo, effettuato nell’area Libanore-Rossi, a Nord-Est del precedente, permise di
individuare al di sotto di una ricca domus augustea con mosaici una stratigrafia preromana 7. Le
più antiche tracce di frequentazione (strato VIII)
1 Vennero raccolti in loc. Nervia (comune di Camporosso) diversi
frammenti di ceramica protostorica, forse in relazione a strutture murarie a secco, mescolati con ceramiche romane (cfr. LAMBOGLIA 1948, p.121; LAMBOGLIA 1950a, pp.82-83). Le monete preromane edite comprendono un didramma di Velia (g. 7;
diam. cm. 2,1 D/ testa di Atena a s.; R/ leone a s. in esergo VELHTON), con datazione al IV sec. a.C. e una dramma padana con
probabile datazione nell’avanzato II sec. a.C. (ae g. 2; diam. cm
2,1 D/testa di Artemide a d.; R/”leone-scorpione” a d.) (cfr. LAMBOGLIA 1948, pp.121-122; figg.1-2, p.122; PIANA AGOSTINETTI 1996c, p.233). Una moneta, rinvenuta in proprietà
Ascenso (D/ Testa elmata? a sinistra; R/Illeggibile) è considerata
pertinente alla colonia greca di Thurii, con datazione al IV sec.
a.C. (cfr. LAMBOGLIA 1950a, p.83).
2 La possibilità da parte degli indigeni di disporre di un surplus
finanziario può anche essere collegata alla pratica assai diffusa
del mercenariato ligure a favore di Greci e Cartaginesi, documentato già a partire dal V sec. a.C. Il tenore di vita relativamente elevato e il benessere goduti dai Liguri della costa, compresi gli Intemelii, è confermato anche dalla notizia liviana
16 - Ceramica preromana da Albintimilium (V-IV sec.
a.C.) (LAMBOGLIA 1956, figg.6-7)
(Liv. XXVIII 46,9-10=F 312), che ricorda le incursioni a scopo di
razzia subite dai vicini Ingauni alla fine del III sec. a.C. da
parte delle limitrofe popolazioni dell’interno.
3 In generale sullo scavo cfr. la notizia preliminare in LAMBOGLIA 1956, pp.91-156.
4 Non sembrano sicure le misure di ricostruzione delle capanne, oscillanti tra i 6-8 m. e i 9-10 m. (LAMBOGLIA 1956, p.95;
LAMBOGLIA 1950a, p.83). Recentemente è stato ipotizzato
che i tre recinti scavati avessero un diametro di circa 13 m.
(PALLARES 1987, p.10).
5 LAMBOGLIA 1956, pp.95-98; PALLARES 1987, p.10, secondo la quale i blocchi fondano invece su uno strato di riporto di
80 cm. di spessore.
6 Sulla base dei reperti in associazione fu ipotizzata in un primo
momento una datazione della costruzione dei recinti approssimativamente tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C.
(cfr. LAMBOGLIA 1956, p.100). Recentemente tale datazione è
stata rialzata al IV sec. a.C. (PALLARES 1992, p.172).
7 Sullo scavo cfr. LAMBOGLIA 1958a, pp.60-62.
52
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
sono state datate tra la metà del IV e gli inizi del
III sec. a.C., mentre per la seconda fase insediativa (strato VII) è proposta una datazione complessiva dal 290-270 a.C. al 180 a.C. circa 8. Analizzando i pochi reperti editi una datazione iniziale nell’ambito del IV sec. a.C. sembra confermata dalla presenza di anfore massaliote di tipo
Py 5-6 e Py 7-8 9, anche se l’attestazione di ceramica pseudo-attica di produzione massaliota
potrebbe alzare la datazione all’avanzato V sec.
a.C.10 (fig. 16).
Gli scavi condotti a più riprese nella cosiddetta
area del Gas e presso il pulpitum del teatro hanno
permesso inoltre di avanzare anche le prime ipotesi topografiche sull’insediamento preromano; si è
infatti osservato che i livelli antropici preromani
non sembrano raggiungere verso mare il limite
della città romana ma si arrestano più a Nord,
all’altezza della parodos del teatro11, in corrispondenza del limite verso terra di una duna di sabbia
eolica, estesa per circa 100 m., non ritenuta idonea
ad un’espansione abitativa 12. Tuttavia persistono
ancora dubbi sullo sviluppo del centro indigeno;
infatti non è stato ancora possibile chiarire se i
sovramenzionati “recinti” facessero parte di un’espansione dell’abitato sulla ridotta lingua di terre8 Lo strato antropico più antico (strato VIII) è stato suddiviso in
diversi livelli; a quelli più antichi, ritenuti pressoché sterili,
anche se Lamboglia vi osservava materiale di V-IV sec. a.C.
seguono i livelli C (350-300 a.C.), B (fine IV sec. a.C.) ed A (inizi
III sec. a.C.). La facies generale presenta ceramica a vernice
nera, anfore massaliote ed orientali, ceramica grezza locale e
ceramica dipinta (locale?) (cfr. PALLARES 1993, p.37). Il
soprastante strato VII con campana A e anfore venne datato al
III sec. a.C.; esso comprende i livelli C (290-260 a.C.), B (260230 a.C.), A (230-200 a.C.). La facies generale dello strato
sarebbe caratterizzata esclusivamente da ceramica a vernice
nera campana A, associata ad anfore greco-orientali, tardopuniche e greco-italiche, mentre sembrano scomparire le anfore massaliote. Accanto a ceramiche grezze locali sono presenti
ceramiche regionali e di importazione, anche verniciate; in particolare negli ultimi due livelli la ceramica a vernice nera campana A sarebbe sempre più abbondante, in associazione con
ceramica dipinta, comune grezza e fine, anfore greco-italiche
(PALLARES 1993, p.37).
9 MILANESE 1990, p.218. All’avanzato IV- inizi III sec. a.C.
potrebbe ancora ricondurre il fondo con piede ad anello di probabile coppa con bollo a rosetta interno, forse centrale, pubblicato in LAMBOGLIA 1956, fig. 7, n.2, qualora fosse possibile
confermare la sua pertinenza alla fabbrica dei “Petites Estampilles”.
10 Tra i 13 frr. di ceramica dai livelli preromani, pubblicata in
LAMBOGLIA 1956, figg.6-7, è stato identificato un orlo di
coppa-skyphos massaliota, datata tra 420 e 370 a.C., alla quale
potrebbe essere associato un fondo con palmette collegate con
archi di cerchio (cfr. LAMBOGLIA 1956, figg.6, n.2; 7,n.1; PY
1978, p.193 e nota 68 s.p.; per la forma in particolare LAMBOGLIA 1956, fig.2, n.22). Un orlo di coppa rientrante potrebbe
essere anch’esso una produzione attica o massaliota di IV sec.
a.C. (“bowl incurving rim”) (cfr. LAMBOGLIA 1956, figg.6, n.1).
11 Lo scavo del pulpitum del teatro romano mise in evidenza
direttamente sotto il livello di pavimentazione dell’edificio
imperiale livelli repubblicani. Un saggio in profondità nel settore orientale del balteus permise di appurare che i livelli di II
sec. a.C. insistono direttamente su una duna di sabbia eolica e
no pianeggiante tra la ripida pendice di Collasgarba e il mare, e se il nucleo più antico di esso debba
essere collocato sulle pendici o sulla sommità della
collina13.
Nel territorio si è incluso per l’immediata contiguità e le analogie geografiche il comprensorio di
Sanremo, anche se è possibile la pertinenza di quest’ultimo già al più importante nomen degli Ingauni; sono attestati alcuni insediamenti collinari,
ubicati in prossimità o direttamente sulla costa
(Monte Nero, Sapergo), che presentano una fase
insediativa databile preliminarmente al III-II sec.
a.C.14. (pianta a2-3)
Analoga datazione hanno alcuni abitati, concentrati nel territorio sanremese (Colle S.Lorenzo (pianta a4), Poggio Radino (pianta a5),
Croce di Padre Poggio (pianta a6), forse Pian
del Re (pianta a7)), definiti “romano-liguri”, mentre più sporadica sembra essere stata la frequentazione in grotta (Madonna dell’Arma)15.
Nell’entroterra due siti di altura, coevi ai precedenti, sono stati individuati a Monte Colma e a
Monte Mucchio delle Scaglie, ai quali devono essere aggiunte le tracce di frequentazione ad alta
quota sulla vetta di Monte Bignone.
non sembrano essere preceduti da livelli antropici preromani
(cfr. LAMBOGLIA 1957a, pp.86-87).
12 LAMBOGLIA 1959, p.241. A Sud della linea sovramenzionata sotto i livelli romani sono stati trovati pochi materiali isolati e sporadici, riferiti per lo più ad anfore del III sec. a.C., tra
le quali un esemplare di anfora greco-italica dallo strato VII
dello scavo del teatro (LAMBOGLIA 1959, fig.2, p.242). Altri
due esemplari simili provengono dagli scavi dell’area del Gas
(cfr. LAMBOGLIA 1950d, fig.42,1 dall’area del Cardine-zona
A; LAMBOGLIA 1955c, fig. p.251).
13 Recentemente PALLARES 1992, p.167 riguardo l’ubicazione
dell’insediamento ligure afferma che: “l’antica città indigena si
estendeva alla base della collina della Colla Sgarba e occupava
parte della fascia litoranea”.
14 La Cima Merello di Monte Nero a quota m.328 s.l.m. fu oggetto di recupero di materiale di superficie, comprendente ceramiche di età preromana e romana, frammenti metallici e una
moneta bronzea di età repubblicana. Furono individuate due
fasi: uno strato superficiale con materiale di età repubblicana,
databile al III-II sec. a.C., e uno strato preromano con materiale esclusivamente indigeno (LAMBOGLIA 1971b, pp. 76-77).
Più generiche sono le informazioni relative all’insediamento
presso Saperdo, dove furono individuate alcune murature, associate a ceramiche preromane e romane, genericamente riferite
ad età tardo-repubblicana (cfr. LAMBOGLIA 1971b, p. 77).
15 Sul colle San Lorenzo la località di Poggio Castellaro presenta tracce di un insediamento preromano (COGORNO,
ROBINSON 1981, pp.32-33). A Poggio Radino a quota m.410
s.l.m. vi sarebbero tracce di un “abitato fortificato romano-ligure”; nei dintorni sarebbe stata trovata anche ceramica romana
(COGORNO, ROBINSON 1981, p.32) Il sito di Croce di Padre
Poggio, ubicato a 573 m. s.l.m., è conosciuto anche col nome di
castellaro delle Rocche e presenta resti di mura di cinta megalitica; tra il materiale vi sono documentate anfore massaliote,
con datazione dal V-IV sec. a.C. In località Pian del Re nei pressi del tumulo, attribuibile probabilmente a fasi avanzate dell’età del Bronzo, è stata trovato un orlo di anfora tardo-repubblicana, di tipo greco-italico o Dressel 1A, quale possibile indizio di un insediamento dell’epoca della romanizzazione.
53
Luigi Gambaro
Pianta a)
ELENCO DEI SITI DELLA
TARDA ETÀ DEL FERRO
1 - Albium Intemelium; 2 - Monte Nero;
3 - Sapergo; 4 - Colle S.Lorenzo; 5 - Poggio Radino; 6 - Croce di Padre Poggio; 7 - Pian del Re; 8 - Monte
Colma; 9 - Monte Mucchio delle Scaglie; 10 - Monte Bignone;
11 - Albium Ingaunum; 12 - Monte Grange/ Monte delle Anime; 13 - Diano Marina; 14 - S. Bartolomeo; 15 - Rocca di Drego; 16 - Caprauna; 17 - Monte Follia;
18 - Savo; 19 - Bergeggi; 20 - Vado Ligure; 21 - Piana Crixia; 22 - Monte Beigua;
23 - Genua; 24 - Monte Carlo; 25 - San Cipriano; 26 - Campora; 27 - Monte Lecco (valico
della Bocchetta); 28 - Camogli; 29 - Uscio; 30 - Recco; 31 - Testana; 32 - Zoagli; 33 - Deiva Marina; 34 - Framura;
35 - Castelfermo e Cota; 36 - Pignone; 37 - Vezzola; 38 - Monte Dragnone; 39 - Pegazzano; 40 - Ameglia.
A Monte Colma, che si trova lungo la dorsale
che culmina col Monte Bignone a 649 m. s.l.m.,furono condotte due campagne di scavo16, che permisero
di identificare almeno tre edifici, facenti parte dell’insediamento. (pianta a8) Per due di essi è stata
proposta una datazione alla prima età imperiale; il
terzo sembra essere una capanna dell’età del Ferro,
datata al IV- III sec. a.C., in base all’associazione
con ceramica grezza d’impasto, anfore massaliote e
ceramica a vernice nera17.
Se le anfore massaliote e parte della ceramica
grezza permettono di confermare la datazione iniziale del sito18, una continuità insediativa almeno
fino all’epoca della romanizzazione è documentata
dalla ceramica a vernice nera, comprendente campana A, e dalle anfore greco-italiche tarde,
entrambe databili probabilmente nell’ambito della
prima metà del II sec. a.C.19.
L’abitato di Monte Mucchio delle Scaglie
presenta continuità insediativa dal III-II sec. a.C.
a tutta l’età romana, fino al IV sec. d.C.; è stata
scavata una costruzione a pianta rettangolare in
pietre a secco 20. Tra le ceramiche sono attestate
produzioni a vernice nera, definite di tradizione e
di imitazione campana, per le quali è proponibile
una datazione nel I sec. a.C., con continuità fino ad
età augustea per la seconda delle due produzioni21. (pianta a9)
A Monte Bignone furono scavati due edifici a
pianta quadrata, aventi 6 m. di lato, in muratura a
secco, conservati per quasi 3 m. di altezza, i quali
erano difesi da due aggeri curvilinei verso oriente22. (pianta a10) Già in occasione di recuperi di
superficie e nello scavo dei livelli più superficiali di
distruzione e di abbandono (strato I) furono trovate ceramiche romane ed indigene; anche nel sottostante strato II, collegato alla fase più recente di
abitazione, fu riscontrata l’associazione di ceramica indigena e ceramica di importazione tardorepubblicana (vernice nera, probabilmente cam-
16 RICCI 1962, pp.58-62; RICCI 1963, pp.95-99.
ra greco-italica tarda, aventi un rapporto tra altezza e spessore
dell’orlo rispettivamente di 1,10-1,12-1,24, che permette di
inquadrarle cronologicamente nella prima metà del II sec. a.C.
Le anfore sono presenti in grande quantità; infatti il materiale
raccolto intorno alla vetta consta quasi esclusivamente di
“frammenti molto fluitati di anfore e di vasi comuni” (RICCI
1962, p.61). Potrebbero riferirsi ad età più antica anche i frammenti di un’anfora recuperata in superficie presso l’area di
scavo, ritenuta di I sec. d.C., come pure i frammenti di “grandi
anfore”, provenienti dagli strati sconvolti superficiali del saggio principale (RICCI 1962, pp.61-62).
20 COGORNO, ROBINSON 1981, p.32.
21 Al Museo di Sanremo sono esposti 2 frammenti di ceramica
definita “imitazione campana”, caratterizzati da vernice di cattiva qualità e diluita e datati al II-I sec. a.C. Per altri 3 frammenti è proposta l’identificazione con ceramica di “tradizione
campana”, avente datazione compresa tra I sec. a.C. ed età
augustea.
22 LAMBOGLIA 1950c, p.82; LAMBOGLIA 1951, pp.70-71;
LAMBOGLIA 1952a, pp.61-62; LAMBOGLIA 1955b, pp.1-10.
17 RICCI 1963, pp.98-99. Le tracce della fase preromana furo-
no individuate anche nell’ambito del settore dell’edificio romano; infatti negli altri settori dell’edificio, prossimi al I, sotto il
livello di crollo delle murature la ceramica romana è solo sporadica e sembra almeno in parte infiltrata da strati superiori,
mentre prevale la ceramica grezza forse già preromana; compare inoltre un frammento di anfora massaliota nel settore IV.
18 Nel Museo civico di Sanremo sono esposte due anfore massaliote con orlo ad echino ed una coppa ad orlo rientrante a vernice nera, per le quali potrebbe essere confermata la datazione
proposta al IV sec. a.C.
19 Tra il materiale esposto al Museo di Sanremo due frammenti di vernice nera sembrano pertinenti alla campana A; in particolare un fondo con tondello sovradipinto potrebbe appartenere alla scodella Lamb. 31, diffusa per tutto il II sec. a.C. ed
oltre. Di incerta datazione ma forse riconducibile ad un orizzonte cronologico tardo è anche un frammento di ceramica a
vernice nera a pasta grigia con rare miche e vernice quasi completamente evanida. Sono inoltre esposti tre esemplari di anfo-
54
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
pana A, e anfore greco-italiche tarde) 23; in quelli
sottostanti comparivano invece solo ceramica indigena e anfore massaliote24. Complessivamente è
stata ipotizzata una continuità insediativa tra l’avanzato V e il II sec. a.C., probabilmente non oltre
la conquista romana25.
Poichè per alcuni di questi abitati sia costieri
che dell’entroterra risulta una frequentazione a
partire dal IV sec. a.C. o a volte da fine V sec. a.C.
(cfr. i casi di Monte Bignone, Monte Colma e dello
stesso Albium Intemelium, forse anche di Monte
Nero), sembra possibile evidenziare una relativa
continuità nelle forme abitative e nelle pratiche di
controllo e di sfruttamento del territorio almeno
fino alla prima metà del II sec. a.C.
2. Il territorio ingauno
L’occupazione della fascia costiera è attestata
almeno dal IV sec. a.C., come confermano i siti del
colle di S. Martino presso Albenga e del complesso
di Monte Grange/Monte delle Anime alla foce del
torrente Argentina, entrambi con continuità tra
III e II sec. a.C.
L’ubicazione dell’oppidum di Albium Ingau num, capoluogo dei Liguri Ingauni, non è sicura,
anche se è quasi certo che si trovasse in prossimità della costa (pianta a11); in particolare la
rada di Vadino, presso l’attuale foce del torrente
Centa, favorevole ad un utilizzo portuale già in
età preromana, suggerisce di ipotizzare che il centro indigeno si estendesse sulla vicina collina del
Monte (o di S. Martino), estrema propaggine del
monte Grosso, che delimita verso Sud la vasta
piana ingauna 2 6 . Tuttavia il riscontro offerto
dalle testimonianze archeologiche non è particolarmente significativo, limitandosi a sporadiche
ceramiche databili al IV-III sec. a.C., che attesta23 Il materiale esposto al Museo civico di Sanremo comprende
due frammenti di ceramica a vernice nera (forse campana A) e
uno di anfora probabilmente greco-italica tarda con attacco
d’ansa.
24 LAMBOGLIA 1951, p.70 e fig. in alto p. 71.
25 LAMBOGLIA 1951, p.70; in base ad una prima ipotetica
datazione “fino al I secolo avanti Cristo”. LAMBOGLIA 1955b,
p.1 sostenne poi che l’abbandono avvenne “immediatamente
prima della conquista romana”. I termini cronologici rimangono indeterminati, poiché la ceramica non è mai stata pubblicata (cfr. anche COGORNO, ROBINSON 1981, p.33).
26 LAMBOGLIA 1976c, pp.160, 162; PALLARES 1992, p.174;
seppure la studiosa ritenga che non sia possibile precisare con
sicurezza l’ubicazione dell’Albium Ingaunum, tuttavia riconosce che “la zona del Monte possiede i requisiti necessari per
ospitare l’antico oppidum”; inoltre non esclude che l’ampia coltre alluvionale della piana possa celare “altre costruzioni preromane in riva al mare” (PALLARES 1992, p.176). Analoga
ipotesi prudente era già stata espressa in COSTA RESTAGNO
1985, pp.13, 53.
27 Nello scavo condotto presso l’Anfiteatro tra il 1973 e il 1975
lo strato a contatto con la roccia, nei punti dove non è intaccato
dalle fondazioni dell’edificio circense o da rimaneggiamenti
posteriori, contiene ceramiche preliminarmente datate al IVIII sec. a.C. (cfr. sullo scavo la breve notizia in LAMBOGLIA
no una generica frequentazione preromana dell’area poi occupata dall’Anfiteatro 27.
L’assoluta mancanza di resti monumentali, per
quanto giustificabile a causa dei notevoli sbancamenti e trasformazioni, provocate dalla successiva
attività edificatoria, sarebbe in contrasto con
quanto riferito dalle fonti, che descrivono l’oppi dum di Albium Ingaunum munito di una cinta
muraria, al momento della sua distruzione ad
opera di Emilio Paolo28.
Non si possono comunque escludere altre ipotesi circa la sua ubicazione, ad esempio sul sito poi
occupato dalla città romana, forse nella parte centrale dell’attuale centro storico, che risulta leggermente sopraelevata29, oppure in quella settentrionale, caratterizzata da alcune anomalie nella
pianta; da non scartare è anche la possibilità di
una sua posizione su una delle altre colline circostanti la piana30.
L’insediamento costiero di Monte Grange /
Monte delle Anime sorge su un rilievo poco
distante dalla costa tra Arma di Taggia e Riva
Ligure, al limite orientale dell’ampia foce del torrente Argentina (pianta a12); esso è databile probabilmente a partire dal V-IV sec. a.C., mentre
sulla retrostante cima di Monte delle Anime era
stata segnalata la presenza di ceramiche con datazione tra III e II sec. a.C.31.
Anche la piana di Diano e le alture circostanti
sembrano presentare favorevoli condizioni per uno
stanziamento, come confermerebbero le significative tracce archeologiche riferite ad epoca anteriore alla seconda età del Ferro32. (pianta a13) A S.
Bartolomeo (loc. Rovere) le strutture di età
romana furono precedute da una frequentazione
protostorica, indiziata da ceramica di grezza,
almeno in parte attribuibile all’età del Bronzo,
anfore massaliote e forse murature a secco con
1976c, p.162). L’unico riferimento a materiali anteriori all’anfiteatro è contenuto in LAMBOGLIA 1978b, p.92, dove si accenna a ceramica a vernice nera, ritenuta campana e datata al II e
I sec. a.C., che fu rinvenuta in certa quantità negli scavi 1934 e
1973, insieme ad anfore massaliote e a ceramica preromana;
sui ritrovamenti preromani cfr. anche PALLARES 1992, p.176.
28 Plut., Aem. Paul. 6,1.
29 Cfr. PALLARES 1992, pp.174, 179, che non esclude che sotto
gli strati romani della città non si possano in futuro trovare
“elementi precedenti alla romanizzazione”.
30 COSTA RESTAGNO 1985, p.13.
31 Nel corso degli anni ‘60 era stata segnalata la presenza di
ceramica grezza, vernice nera ed anfore greco-italiche (ritrovamento inedito segnalatomi dal dott. Ricci del Museo di Sanremo).
32 Strati di frequentazione antropica, contenenti ceramica e
metalli, sono stati individuati in particolare nel corso di uno
scavo condotto nel 1971, nell’area Fiat, a Nord della ferrovia
(LAMBOGLIA 1976a, p.167; SPADEA 1995, p.355), insieme ai
resti di una presunta tomba ad incinerazione con corredo
vascolare si riferiscono ad un sito costiero di una certa importanza, fiorente durante il Bronzo Recente e Finale (cfr. LAMBOGLIA 1971a, pp.72-73,76; figg.5-6; SPADEA 1995, p.356;
DEL LUCCHESE, MAGGI 1998, p.66).
Luigi Gambaro
andamento curvilineo, avente funzione di
terrazzi33. (pianta a14)
Tra i siti di alta quota dell’entroterra si segnalano quelli di Rocca di Drego, di Caprauna e di
Monte Follia sullo spartiacque tra la valle Argentina e quella del Prino.
L’insediamento di Rocca di Drego p r e s s o
Andegna (Molini di Triora), ubicato a m. 1080
s.l.m., fu oggetto di scavi, nel corso dei quali furono individuati livelli preromani, comprendenti
resti di focolare e murature, forse pertinenti ad
una cinta, associati a ceramica grezza ed anfore,
con probabile datazione fino al III-II sec. a.C. 34.
(pianta a15)
Una frequentazione in età preromana tra IV e
III sec. a.C. a Caprauna nell’area, dove fu rinvenuta una stipe votiva di prima età imperiale, a m.
900 s.l.m., è attestata sia dalla sporadica ceramica
a vernice nera e grezza, rinvenuta durante lo
scavo della stipe stessa, sia dall’esistenza di un
vicino toponimo “Castellaro”, a quota 1000 m 35.
(pianta a16)
Tra gli insediamenti della montagna imperiese
l’unico oggetto di recenti ricerche archeologiche è
quello di Monte Follia, lungo lo spartiacque tra la
valle del torrente Argentina e quella del torrente
Prino a m.1031 s.l.m. 36; ad una fase preromana,
inquadrabile nell’ambito del IV sec. a.C., sono
state riferite alcune strutture di terrazzamento e
uno scarico di ceramiche grezze37. (pianta a17)
Nel comprensorio del Finalese sono documentati sia alcuni siti pertinenti ad insediamenti d’altura sia diverse attestazioni di abitazione in grotta durante l’età del Ferro; purtroppo non è ancora
possibile nessuna precisazione cronologica di tali
insediamenti38.
3. Il territorio sabazio
I due centri costieri principali del territorio
sabazio sono l’oppidum di Savona e il castellaro di
Bergeggi a Sud di Vado Ligure.
L’esistenza di un insediamento preromano a
Savona è nota dalle fonti antiche, che accennano a
33 GANDOLFI 1990, p.123 pur con riserve sembra accettare l’i-
potesi della presenza di un abitato preromano; cfr. anche MASSABÒ, GANDOLFI 1994, pp.147, con un disegno di un puntale
di anfora massaliota.
34 LAMBOGLIA 1937a, pp.111-115; la fase preromana è di
incerta datazione, poichè il materiale è inedito.
35 LEALE ANFOSSI 1985, pp.89-91; si accenna al ritrovamento nei pressi dello scavo di ceramica campana a vernice nera e
nel livello a contatto della roccia di ceramica grezza con tipica
decorazione ad unghiate.
36 Si conosce l’esistenza di altri siti preromani, di incerta datazione, ubicati sul Monte Settefontane, non lontano dal Monte
Follia, sul Monte Acquarone in valle Impero e sul Castellaretto
di Capo Cervo (cfr. GANDOLFI, STABILE RE 1990, p.121).
37 GANDOLFI, STABILE RE 1990, pp.116-121.
38 Tra gli insediamenti d’altura si ricordano quelli in loc. Cinque Alberi, presso Loano, a Ferre presso Pietra Ligure, a Verez-
55
17 - Ubicazione dell’oppidum di Savo (area del Priamàr)
(VARALDO 1992, fig.5)
Savo oppidum alpinum presso il porto che accolse
le navi cartaginesi, reduci dalla razzia ai danni di
Genova nel 205 a.C.39. (pianta a18) Sembra certa
la sua ubicazione sulla collina del Priamàr, che si
articola in tre rilievi contigui, dei quali due sono
occupati attualmente dalla fortezza e uno dal colle
di S. Giorgio, oggi sbancato. Tali rilievi formavano
un promontorio che si elevava rispetto alla pianura acquitrinosa ad Ovest, spingendosi a picco sul
mare verso Sud ed Ovest, venendo così a delimitare una modesta insenatura particolarmente favorevole all’approdo40. (fig. 17) Mentre la più antica
frequentazione risale già a partire dal Bronzo
medio, lo sviluppo dell’insediamento nel corso
delle fasi iniziali della tarda età del Ferro, è indiziato unicamente dal rinvenimento all’interno del
Priamàr di consistenti quantitativi di ceramiche
con datazione tra V-IV e III sec. a.C.41.
Il castellaro di Bergeggi ubicato sul colle di
zi e a Rocca presso Calice Ligure. Vi sono anche diversi esempi
di frequentazione di caverne (Loc. Gore; Olivo, presso Toirano;
Arene Candide), mentre rinvenimenti sporadici non associati a
strutture sono stati segnalati a Ranzi, presso Loano, a Perti, a
Orera, Reseghe, S.Lorenzino, S.Bernardino e alle Manie.
39 Liv. XXVIII,46.
40 VARALDO 1992, pp.16-17.
41 Cfr. CICILIOT 1982, p.132; Priamàr 1996, pp.7, 30-32; fig.
31,2 sulla storia e sui reperti dell’età del Ferro, con prevalente
attestazione di ceramica grezza di produzione locale con scodelle ed olle, anche decorate ad incisioni e ad argilla pizzicata,
associate a ceramiche di importazione (piattelli Genucilia,
ceramica a vernice nera comprendente coppe della fabbrica dei
“Petites Estampilles”, anfore massaliote e greco-italiche, fibule
“Certosa” di tipo ticinese). Potrebbero riferirsi a resti delle
capanne dell’abitato protostorico parte delle numerose buche di
palo, documentate in particolare nella Loggia del Castello
Nuovo (Priamàr 1996, pp.18-19; fig. 90).
56
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
18 - Castellaro di Bergeggi: ubicazione del sito e anfore
di importazione tirrenica (III-I sec. a.C.) (DEL LUCCHESE et al. 1994, figg.1; 21)
19 - Castellaro di Bergeggi: planimetria generale (DEL
LUCCHESE et al. 1994, fig.2)
Sant’Elena a m. 347 s.l.m., a controllo della gola
omonima, dove confluivano sia la via Iulia Augusta
da Vado in direzione della Val Ponci, sia una viabilità minore di raccordo con i centri costieri di Bergeggi e Spotorno42, è stato recentemente oggetto di
scavi. (figg. 18-19; pianta a19) Si sono identificate
tre fasi insediative, caratterizzate da impianti di
muri a secco, buchi di palo e ciottolati d’uso. La
prima fase, databile probabilmente nell’ambito già
del V sec. a.C., fu seguita da un’abbandono e da una
seconda fase, attribuibile al IV-III sec. a.C.; di essa
ci interessa particolarmente la sottofase B II, in
quanto databile tra fine III e inizi II sec. a.C., epoca
dell’avvio della conquista romana. Una situazione
di pericolo sembra aver comportato la costruzione
già nel II sec. a.C. di un muro di cinta, avente uno
sviluppo lineare di 300 m., pari ad un’area difesa di
circa mezzo ettaro; esso segna l’inizio dell’ultima
fase insediativa, che probabilmente proseguì fino
agli inizi del I sec. a.C., quando il sito venne definitivamente abbandonato43.
È innegabile lo stretto collegamento tra questo
insediamento e la vicina rada naturale di Vado, il
cui utilizzo portuale risale sicuramente già ad età
protostorica, come è confermato dai livelli sottostanti alle fondazioni degli edifici romani del centro di Vada Sabatia, riferibili ad un sito costiero
del Bronzo Recente44. (pianta a20)
Nell’entroterra il sito di Piana Crixia, occupato dalla probabile mansio romana, presenta una
fase preromana di incerta datazione, che conferma
l’importanza della zona per i collegamenti tra
basso Piemonte e Liguria costiera45. (pianta a21)
La frequentazione della montagna appennini-
42 CICILIOT 1982, p.135; all’altura sede del castellaro è forse
mana (cfr. GROSSO 1955, p.273, nota 1; CICILIOT 1982,
p.132; SPADEA 1995, p.355). Indipendentemente dall’interpretazione stratigrafica tale ceramica, attribuita all’età del
Bronzo Recente e forse anche oltre, testimonia l’intenso utilizzo portuale dell’area, presentando somiglianze con casi coevi
documentati a Diano Marina e a Chiavari (cfr. DEL LUCCHESE, MAGGI 1998, p.116).
45 I livelli preromani (strato IV) sono caratterizzati dalla presenza di ceramica grezza non tornita, con decorazione incisa a
stecca, attribuita genericamente all’età del Ferro (cfr. OLIVIERI 1976, pp.131-133; OLIVIERI 1981, pp.199-201, fig.3, nn.25). La frequentazione più antica è stata attribuita ai Liguri
montani (cfr. MORRA 1997, p.37).
attribuito il toponimo castellarium, ricordato in documenti
medievali.
43 Sullo scavo cfr. DEL LUCCHESE et al. 1994.
44 In occasione dello scavo di una domus di età romana fu osservato che le fondazioni del primo impianto edilizio, datato alla
fine del II sec. a.C., poggiavano su uno strato uniforme di terra,
mescolata a una grande quantità di ceramica frantumata e
pressata, in modo da formare un cocciopesto dallo spessore di
circa 15-20 cm.; esso fu interpretato come un’opera di drenaggio per bonificare l’area paludosa, al momento della costruzione dell’edificio, ottenuta utilizzando della terra mescolata a
ceramica, indizio di una frequentazione dell’area in età prero-
Luigi Gambaro
57
ca nel II sec. a.C. è confermata dalle tracce archeologiche presso il Monte Beigua ad oltre 1000 m.
di altezza46. (fig. 20; pianta a22)
4. Il territorio di Genua e dei Tigullii
I recenti scavi condotti sulla collina di Castello,
sede dell’oppidum preromano, hanno rivoluzionato le ipotesi storiche relative alla fase più antica
del centro ligure di Genua 47. (pianta a23)
Si tende oggi a distinguere l’esistenza di una
prima fase “protourbana”, relativa a un emporio
commerciale con una componente etnica etrusca,
affiancata da quella indigena celto-ligure48; la sua
datazione iniziale in base al riscontro offerto da
lacerti di paleosuolo e da alcune murature a secco,
quest’ultime di recente rinvenimento, è fissata
intorno alla fine del VI sec. a.C., sebbene le più
antiche tracce di frequentazione commerciale dell’area portuale siano ancora più antiche, con datazione a partire dal secondo quarto del VI sec. a.C.
Intorno alla metà del V sec. a.C. seguì una fase di
ristrutturazione dell’abitato, comprendente una
serie di edifici e di strutture difensive, che obliterò
in gran parte la fase precedente49.
Nel IV sec. a.C. sembra seguire una fase con
elementi culturali indigeni più marcati, pur permanendo la vocazione di apertura verso il mondo
mediterraneo e il carattere di importante centro
politico e commerciale, che si pone come tramite
tra il territorio etrusco e romano-laziale e la colo46 A circa 2 km. ad Est del Monte Beigua lungo le pendici dell’altura Costa Spinsu, a m. 1096 s.l.m., sono state trovate alcune decine di frammenti di anfore tardo-repubblicane dilavate
dalla sommità del rilievo, di produzione tirrenica, attribuite al
tipo Dressel 1A con datazione al II-I sec. a.C.; lungo le pendici
del monte è stata rinvenuta anche ceramica grezza inornata,
attribuita all’Età del Ferro (FRANCESETTI et al. 1984, pp. 5561, tav. I, fig. 4). Un analogo ritrovamento di anfore è stato
effettuato presso il passo del Faiallo (cfr. GIANNICHEDDA
1995b, p.46).
47 In generale sulla protostoria della città e sull’oppidum cfr.
MILANESE 1987; MELLI 1990e, pp.299-301; SPADEA 1995,
pp.356-357; il contributo di M. Milanese in Città ritrovata 1996,
pp.33-37; MELLI 1998c, pp.433-435.
48 Le attestazioni epigrafiche permettono di confermare la partecipazione alla fondazione dell’insediamento da parte di un
nucleo di etruschi e di liguri etruschizzati ed etruscofoni; tra
quest’ultimi è ascrivibile un Nemethie, datato alla prima metà
del V sec. a.C., che si affianca al Larth Muthiku menzionato nella
stele di Busca in prov. di Cuneo, di poco più antico e forse identificabile con un artigiano o un guerriero mercenario celto-ligure,
fortemente etruschizzato e divenuto cittadino di un centro dell’Etruria Settentrionale, forse Volterra; sulle testimonianze epigrafiche di fenomeni di integrazione tra Liguri ed Etruschi cfr.
COLONNA 1998, pp.261-262; MELLI 1998c, p.433.
49 Sulla nascita dell’emporio cfr. DE MARINIS 1988, pp.256257, che insiste sull’importanza dei rapporti commerciali tra
Etruschi e cultura di Golasecca come causa della nascita del centro; BRUNI 1993, p.71, che lo definisce “stanziamento etrusco”,
notando le forti somiglianze nella tipologia funeraria con l’area
pisana; MELLI 1994, p.735; DE MARINIS 1998, pp.64-65. Sulle
fasi di vita più antiche dell’oppidum cfr. le considerazioni di M.
Milanese in Città ritrovata 1996, pp.34-35, che definisce la città
etrusca “di fondazione, lingua, cultura e tecnologia”. Recenti
20 - Monte Beigua: anfore tardo-repubblicane (FRANCESETTI et al. 1984, tav. I)
nia focea di Marsiglia, con cui sono documentabili
contatti commerciali e forse anche diplomatici50.
I dati archeologici relativi al III sec. a.C. sono
piuttosto frammentari e lacunosi; infatti vi sono
indizi di una distruzione e abbandono di almeno
una parte dell’area sommitale dell’insediamento51, ai quali potrebbe corrispondere un’espansione dell’abitato preromano, in relazione ad un suo
sviluppo demografico, al di fuori della cima del
colle e delle sue immediate adiacenze, lungo le
pendici, in particolare in direzione della piana prospicente la rada portuale52.
scavi hanno permesso di mettere in luce nell’area di S.Maria in
Passione murature databili alla fine VI-inizi V sec. a.C. (comunicazione di P. Melli al Convegno per il ventennale della scomparsa di N. Lamboglia (Albenga 1998), di prossima pubblicazione).
50 DE MARINIS 1998, p.71. Sulla situazione dell’oppidum nel
IV sec. a.C. cfr. le considerazioni di M. Milanese in Città ritrovata 1996, pp.36-37. In particolare la monetazione cisalpina, rinvenuta a Genua e in un’area ad essa afferente politicamente ed economicamente e databile probabilmente già dal IV fino agli inizi
del I sec. a.C., ha indotto ad ipotizzare l’esistenza di un zecca a
Genua stessa, almeno per l’emissione di dramme, mentre per la
produzione di divisionali è genericamente condivisa una loro
coniazione ligure (BERTINO 1984a, p.94; PIANA AGOSTINETTI 1996b, pp.196-207; PIANA AGOSTINETTI 1996c, pp.229233; MELLI 1998c, p.435). Un obolo cisalpino di recente ritrovamento è pubblicato in Città ritrovata 1996, p.208.
51 Un grande scarico di rifiuti, che taglia asportandola la pavimentazione di un edificio preromano, è datato agli inizi del III
sec. a.C.; dopo di esso seguono tra II e I sec. a.C. vespai di spianamento, forse interpretabili come rozze pavimentazioni di aree
aperte (MILANESE 1987, pp.13-15;109). La parziale distruzione
dell’oppidum è datata già nella prima metà del III sec. a.C. in
concomitanza con il progressivo rarefarsi di sepolture nella vicina necropoli (cfr. MELLI 1998a, p.417; MELLI 1998c, p.435).
52 Lungo le pendici occidentali del colle e alla base di esso presso
la cosiddetta casa di Agrippa fu rinvenuto un livello di frequentazione (battuto di abitazione), datato al IV sec. a.C.; nelle immediate vicinanze dallo scavo della cripta della chiesa dei SS. Nazario e Celso un livello molto probabilmente in posto, forse associato a una muratura, si data a partire dal IV sec. a.C. I materiali
preromani, recuperati nello scavo di via S.Giorgio, sebbene residuali, potrebbero tuttavia riferirsi a livelli di spiaggia, collegati
all’area portuale (su tutti i contesti cfr. GRASSO 1993).
58
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
21 - Monte Lecco / passo della Bocchetta: anfore tardorepubblicane (FOSSATI, MANNONI 1975, figg.114; 117)
22 - Camogli / loc. Castellaro: ceramiche di importazione
(1-3: anfore tirreniche; 4: vernice nera) (Archeologia
Liguria 1984, fig.116)
Lungo le due vallate del Polcevera e del Bisagno
nell’immediato suburbio genovese sono stati individuati alcuni abitati minori53; tuttavia solamente di
alcuni di essi, localizzati in val Polcevera, importante asse naturale di percorrenza e di collegamento tra la costa e il Piemonte meridionale già in età
preromana si conoscono sufficienti elementi archeologici per ipotizzare una datazione meno generica54.
In particolare sono stati indagati gli insediamenti
di Monte Carlo, S. Cipriano e Campora.
Mentre l’abitato sommitale di Monte Carlo
(pianta a24) restituisce un esempio per il periodo
anteriore all’avvio della romanizzazione, rivelando interessanti collegamenti anche con altri siti
del Genovesato orientale55, la probabile fase iniziale dei due insediamenti di San Cipriano e di
Campora è da collocare tra il III e la prima metà
del II sec. a.C. con continuità abitativa nel corso
della romanizzazione56. (pianta a25-a26)
A qualche centinaio di metri a Nord del valico
della Bocchetta su un ripiano di mezza costa a
830 m. s.l.m. presso la direttrice viaria della Val
Lemme, durante lo scavo di una vetreria medievale furono rinvenuti al di sotto dei livelli medievali,
in relazione ad un suolo antropizzato alcuni frammenti di anfore greco-italiche tarde, indizio di una
probabile occupazione preromana dell’area nell’ambito della prima metà del II sec. a.C.57. (fig. 21;
pianta a27)
Sulla base dei dati topografici è stato quindi
ipotizzato un tipo di popolamento nella vallata,
che tra IV e III sec. a.C. avrebbe privilegiato le
alture, mentre nel III-II sec. a.C. prevarrebbero gli
abitati di mezzacosta58.
Una frequentazione coeva ai precedenti presentano gli unici due insediamenti del Genovesato
orientale, nei quali siano stati eseguiti scavi
archeologici, quelli di Uscio e di Camogli.
In località Castellaro di Camogli la fase finale
di occupazione del sito è stata attribuita al II-I sec.
53 In val Bisagno si segnalano i ritrovamenti di ceramica pro-
mente materiali ceramici in giacitura secondaria (ceramica
grezza, anfore tirreniche di tipo greco-italico tardo e Dressel
1A, ceramiche a vernice nera di produzione volterrana e in
campana A), datati al III-I sec. a.C. Sporadica ceramica di
prima età imperiale può indicare una occupazione senza soluzione di continuità del sito, come pure una rioccupazione (cfr.
D’AMBROSIO 1985a, pp.49-53 sullo scavo; fig. 16,nn.1,3-6
sulle anfore; fig. 16, nn.8-14,16-18 sulle ceramiche a vernice
nera). L’insediamento di Campora, che sorgeva su un ripiano di
mezza costa a 300 m. s.l.m., non è documentato attraverso uno
scavo ma grazie ad un recupero di materiali, comprendenti
ceramica grezza, anfore tirreniche e ceramica a vernice nera
(cfr. D’AMBROSIO 1985b, pp.70-72; fig. 16,nn.2-15-16).
57 Nella zona D - settore 2 lo scavo di una struttura circolare a
secco con pietre non lavorate, avente diametro ed altezza
approssimativa conservata pari a m. 1,90 m., ha permesso di
individuare sullo sterile uno strato (IV) con terra nera, compatta con carboni, caratterizzato dalla sola presenza di anfore tirreniche. Sullo scavo cfr. FOSSATI, MANNONI 1975, pp.120125. L’unico orlo pubblicato si riferisce ad un’anfora greco-italica tarda, non posteriore ai decenni centrali del II sec. a.C. (cfr.
FOSSATI, MANNONI 1975, fig. 114, p.137). A due chilometri a
Nord della vetreria in direzione di Voltaggio presso case Luxen
furono rinvenute altre anfore probabilmente della stessa forma
(cfr. FOSSATI, MANNONI 1975, p.156; fig. 117, p.137).
58 D’AMBROSIO 1985b, p.70; PASQUINUCCI 1992, p.529.
tostorica al Castelluzzo di Molassana, al Castellaro di Laccio e
a Traso presso Bargagli; solamente in quest’ultima località ci
sarebbe un’associazione di materiali anche di importazione,
che potrebbero consentire una datazione più puntuale del sito
ed ipotizzare una continuità tra età preromana ed età romana
(cfr. MANNONI 1972, pp.98-99; un elenco dei ritrovamenti del
Genovesato senza datazioni è fornito da GIANNICHEDDA
1995b, pp.41-42).
54 Oltre alle ricerche condotte dall’ISCUM e dalla Soprintendenza archeologica è necessario ricordare la ricerca topografica
che l’Università di Pisa ha iniziato nel 1987 in Val Polcevera
con l’intento di scrivere una storia di lungo periodo della Valle,
comprendente anche scavi in siti preromani e della romanizzazione (cfr. i risultati di queste ricerche in PASQUINUCCI 1992,
pp.526-532; PASQUINUCCI 1995b, pp.52-58).
55 Il sito ubicato a m. 551 s.l.m., presso l’abitato di Isoverde,
presenta una durata insediativa, desumibile sulla base dell’analisi dei materiali, tra la fine del V e il III sec. a.C.; gli unici
materiali di importazione sono costituiti da anfore puniche di
IV-III sec. a.C. e da una coeva fibula tipo Certosa (MELLI
1985a, pp.39-47).
56 Dell’abitato sommitale di S.Cipriano sul crinale del rilievo
Bric Castellà a 314 m. sl.m., a controllo dei torrenti Serra e
Riccò, non si conservano tracce di strutture abitative ma sola-
Luigi Gambaro
59
23 - Zoagli: anfora greco-italica (Fotografia personale)
a.C.59 (fig. 22; pianta a28), mentre l’abitato presso
Uscio presenta una fase di frequentazione compresa tra il III e gli inizi del I sec. a.C.60. (pianta a29)
Più genericamente riferibili al III-II sec. a.C.
ma indizio di un popolamento piuttosto fitto sono
gli altri ritrovamenti intorno al promontorio di
Portofino e nel Golfo del Tigullio (Recco, Avegno,
Zoagli, Bracco)61. (fig. 23; pianta a30-a31-a32)
5. Riviera di Levante e Lunigiana
Si è deciso di presentare insieme i dati archeologici riferiti alla Liguria Orientale costiera e alla
59 È stata identificata una occupazione per gran parte della
seconda età del Ferro (strati II e III), caratterizzata da murature
a secco, comprendenti anche una cinta difensiva; in base ai materiali è possibile distinguere chiaramente due sottofasi, una riferibile al V-IV sec. a.C., un’altra databile al II sec. a.C. con associazione di vernice nera ed anfore Dressel 1A ad impasto fortemente augitico. Di un certo interesse è il ritrovamento di un
“obolo” cisalpino (MILANESE 1984, pp.87-91; MELLI 1990d,
p.292; BERTINO 1984a, p.94; PIANA AGOSTINETTI 1996c,
p.229). Una recente revisione dello scavo attribuisce tuttavia
gran parte dei resti murari alla importante fase insediativa dell’età del Bronzo Tardo e Finale, che precede quella dell’età del
Ferro (DEL LUCCHESE, MAGGI 1998, pp.124-125).
60 Sulla sommità del Monte Borgo (m.721 s.l.m.) all’insediamento dell’età del Rame/ Bronzo antico (3500-1800 a.C.) e a
quello del Bronzo Finale seguì una fase abitativa di fine V-IV
sec. a.C., conclusasi con un incendio e il crollo dell’edificio; è
documentata anche una modesta frequentazione tra III e I sec.
a.C., databile in base alla vernice nera (produzioni nord-etrusche e campana A) e ad anfore greco-italiche tarde (cfr. MELLI
1983, pp.84-85; MELLI 1985b, pp.205-212; MELLI, STARNINI
1990, pp.261-290).
61 A Recco sono stati individuati due siti (Collina dei Capuccini e
piazzale Olimpia) con materiali definiti preromani (ceramiche
grezze, vernice nera, anfore Dressel 1), che potrebbero tuttavia
rappresentare un indizio di continuità dell’insediamento nel
corso dell’età tardo-repubblicana (cfr. MELLI 1990d, p.292).
Presso la chiesa di Testana di Avegno e sulle pendici del monte
S.Pietro sono state recuperate ceramiche grezze ed anfore tirreniche (cfr. MELLI 1990d, p.293). Sul massiccio del Bracco (fraz.
Pietre Nere) è documentata una frequentazione di altura attribuita alla seconda età del Ferro (cfr. MELLI 1990d, p.294).
Ubicato su un crinale presso la costa, l’insediamento presso Zoagli ha restituito materiale riferibile ad una frequentazione, data-
Versilia (dal Golfo del Tigullio fino al fiume Frigido, compreso il bacino del Magra), poichè l’intero
territorio spezzino, lunigianese e massese presenta una certa omogeneità culturale durante la
tarda età del Ferro62; grazie all’attività di ricerca
archeologica e topografica, svolta da varie istituzioni (Soprintendenza archeologica, Musei e gruppi territoriali, Università), sono considerevolmente aumentate in questi ultimi anni le informazioni
su quest’area63.
Mentre non vi sono elementi cronologici sicuri
per il supposto abitato presso Deiva Marina 64
(pianta a33), maggiori elementi documentano l’ebile al VI-IV sec. a.C.; tuttavia alcune anfore di tipo greco-italico
tardo permettono di collocare una continuità abitativa o rioccupazione del sito tra III e II sec. a.C.; un’anfora di tale forma è
esposta nell’Antiquarium di Cicagna in val Fontanabuona (cfr.
da ultimo MELLI 1990d, pp.292-293). I toponimi “Castellaro”
sono piuttosto numerosi in val Fontanabuona (Pian Cerese, Craviasco presso Lumarzo; Roccatagliata presso Neirone; Gattorna
presso Moconesi; Uscio; S.Colombano Certenoli); anche a Sestri
Levante esiste il toponimo castellaro.
62 Insiste sulla omogeneità dell’area MASSARI 1981, p.83.
Anche Ambrosi riconosce il carattere unitario dell’area, includendo nella sua trattazione l’intero bacino idrografico del Magra,
lo Spezzino e la zona di Massa e Carrara (AMBROSI 1981).
63 La mostra sull’età del Ferro in Lunigiana del 1975 (Lunigiana
1978) e il convegno sull’età del Ferro nella Liguria di Levante
(MELLI 1983) hanno segnato un momento di rinnovato interesse sull’età preromana, che si è tradotto tra la fine degli anni ‘70 e
gli inizi degli anni ‘80 in una serie di lavori che in vario modo
hanno proposto delle prime sintesi, che interessano anche il complesso momento dell’avvio della romanizzazione (MAGGIANI
1979, pp.73-101; AMBROSI 1981, pp.96-125; MASSARI 1981,
pp.83-112; MAGGIANI 1984, pp. 333-353). Sull’attività di ricerca archeologica, svolta dall’Istituto di Storia della cultura materiale nell’alta val di Vara (Zignago, Vezzola e Monte Dragnone) e
in Lunigiana (valle Aulella e nel comune di Filattiera) vedi oltre.
64 Sul Monte Castelletto, a quota 348 m. s.l.m. sono stati individuati resti di cinta muraria di pianta trapezoidale, ritenuta preromana; il dato va accolto con prudenza, poichè risulta ad essi
associata una torre di avvistamento medievale. Gli scarsi resti di
ceramica sembrano tutti pertinenti a rozza terracotta d’impasto
della tarda età del Ferro, mentre sono assenti le anfore o la ceramica riconosciuta come romana. La sporadicità dei resti potrebbe essere determinato dal carattere eminentemente strategico e
quindi militare riconosciuto al sito (CIMASCHI 1951a, p.16).
60
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
24 - Castelfermo: anfore greco-italiche (ISETTI 1960, fig.7)
sistenza di un insediamento protostorico presso
F r a m u r a, in cui fu eseguito uno scavo che ha
restituto materiali, dai quali si evince una probabile datazione alla tarda età del Ferro fino all’epoca della Romanizzazione (IV-II sec. a.C.)65. (pianta
a34)
Di altri due insediamenti fortificati (Castelfer65 Su Monte Castellare (m. 214 s.l.m.) presso la loc. Vigo nel
comune di Framura l’esistenza di un insediamento dell’età del
Ferro è testimoniata da raccolte di superficie e da un successivo scavo, grazie ai quali sono state recuperati numerosi frammenti di ceramica grezza e di anfore (cfr. BERNABÒ BREA
1942, pp.41-42; CIMASCHI 1950, pp.39-40; CIMASCHI 1951b,
pp.33-34).
66 L’altura di Castelfermo (m. 791 s.l.m.) fu occupata da un abitato avente un’estensione presunta di ca. 3600 mq. I materiali
ceramici, rinvenuti durante gli scavi eseguiti nel 1959-1960,
sono probabilmente da identificarsi, sulla base delle descrizioni, con ceramica a vernice nera campana A e con anfore grecoitaliche recenti, associate ad olle e testelli di ceramica grezza.
Numerose scorie di fusione di ferro, rinvenute nella zona I,
sono di dubbia attribuzione cronologica, mentre ad una frequentazione nell’età del Rame e nell’età del Bronzo sono riferibili rispettivamente resti di industria litica e alcuni frammenti
ceramici. A poche centinaia di metri a Cota è stata rinvenuta
abbondante industria litica, riferibile ad un sito all’aperto frequentato durante il Neolitico e l’età del Rame. Una moneta in
bronzo illeggibile è stata identificata con un asse onciale romano, genericamente databile dopo il 217 a.C. (su Castelfermo cfr.
ISETTI 1960, pp.87-114, in particolare pp.88-100; fig. 7, p.95,
che ipotizza una datazione delle ceramiche alla fine del III sec.
a.C.; MASSARI 1981, nota 5, p.107; MELLI 1990d, pp.293-294,
con datazione al V- IV sec. a.C. Sui rinvenimenti di Cota cfr.
ISETTI 1960, pp.100-114, figg. 19-20; MASSARI 1981, p.107,
nota 6. Sui ritrovamenti preistorici in entrambi i siti cfr. DEL
LUCCHESE, MAGGI 1998, pp.149-150).
67 L’area, ubicata a m. 332 s.l.m., è stata interessata da scavi in
momenti diversi; nel 1940 furono rinvenute ceramiche grezze,
attribuite genericamente alla tarda età del Bronzo e all’età del
Ferro, insieme ad un asse sestantale ridotto (229-175 a.C.) (cfr.
BERNABÒ BREA 1941, pp.32-38). Nel 1956 furono recuperati
in livelli sconvolti superficiali, antistanti un anfratto, pochi
frammenti di ceramica a vernice nera, definita “etrusco-campana”, e di anfore (cfr. BELLANI 1957, pp.151-162, in partico-
mo e Pignone) si conoscono elementi topografici e
cronologici grazie agli scavi, che li hanno interessati. L’abitato di Castelfermo, collegato a quello
vicino di Cota, sorge su un’area sommitale, circondata da una cinta muraria, all’interno della quale
furono rinvenute ceramiche locali e di importazione (vernice nera, anfore, un bracciale frammentario in vetro blu di produzione celtica), che permettono di datare al III-II sec. a.C. il periodo più tardo
di frequentazione66. (fig. 24; pianta a35)
Sul monte Castellaro presso Pignone l’indagine condotta a più riprese, in particolare presso
alcuni anfratti sommitali, ha permesso di ipotizzare un uso abitativo (e forse cultuale) dell’area, che
comprende anche una fase della tarda età del
Ferro, databile sulla base dell’associazione dei
reperti di importazione (ceramica a vernice nera,
anfore e monete) probabilmente fino all’avanzato
II sec. a.C.67. (pianta a36)
A Vezzola nell’alta valle del Vara la fase della
tarda età del Ferro, datata alla prima metà del II
sec. a.C., è documentata da tracce di una capanna
con buchi di palo, tracce di focolare e ceramiche
(anfore greco-italiche di tipo recente, abbondante
ceramica grezza e rara vernice nera)68. (pianta a37)
Sulla cima del monte Dragnone sono stati
effettuati recuperi di reperti, databili al IV sec.
a.C.69. (pianta a38)
lare pp.153,156; MASSARI 1981, nota 5, p.107). Le stesse classi ceramiche furono recuperate in occasione di un terzo scavo
nel 1972, durante il quale fu scavata una “fossa”, lunga m. 9 e
larga m. 1,5, delimitata da muretti a secco e con fondo rivestito
da una rozza pavimentazione (MARINI 1976, p.87). In tale
occasione fu anche recuperato un “obolo” cisalpino, simile all’esemplare di Camogli (BERTINO 1976a, p.88; PIANA AGOSTINETTI 1996b, p.202; PIANA AGOSTINETTI 1996c, p. 234).
Una selezione delle ceramiche ed altri manufatti metallici rinvenuti, esposti al Museo di La Spezia, conferma l’esistenza di
una prima frequentazione durante l’età del Bronzo Recente e
Finale (cfr. DEL LUCCHESE, MAGGI 1998, pp.167-169). Le
ceramiche a vernice nera della tarda età del Ferro sono pertinenti a kylikes con anse ad orecchia non ripiegate con datazione non posteriore ai primi decenni del II sec. a.C., coeve ad olle
con orlo estroflesso e decorazione a dente di lupo, ciotole-coperchio e testelli di ceramica grezza (cfr. MAGGIANI 1979, p.91,
nota 55).
6 8 Il castellaro sorge nella valle del torrente Casseruola,
affluente di sinistra del fiume Vara, su un monte scosceso, di
forma tondeggiante, a poca distanza dal corso d’acqua e dominato da entrambi i versanti della valle. Una prima frequentazione abitativa risale all’età del Bronzo finale. In Val di Vara
sono conosciuti due toponimi “castellaro” presso le località di
Veppo e Serò (cfr. sullo scavo FERRANDO CABONA et al.
1978, pp.70-75; MILANESE 1985, pp.182-183, 188-189; DEL
LUCCHESE. MAGGI 1998, pp.156-157). Nel comune di
Zignago (loc. Novà-Via larga) è stato recentemente indagato
un abitato con tracce di frequentazione nell’età del Bronzo
Recente (XIII-XI sec. a.C.) e successivamente in età tardorepubblicana (I sec. a.C.?) (DEL LUCCHESE, MAGGI 1998,
p.153).
69 La cima interessata dai ritrovamenti si trova a 1010 m.
s.l.m.; l’associazione dei reperti ha indotto ad ipotizzare, seppure con prudenza, la pertinenza degli stessi ad una probabile
stipe votiva (MILANESE, GIARDI 1986, pp.71-78).
61
Luigi Gambaro
Presso la città di La Spezia a Pegazzano la
presenza di un insediamento indigeno è indiziata
dal rinvenimento di una tomba a cassetta con
panoplia, databile al IV-III sec. a.C., e da ceramiche, comprendenti anfore, forse anche di tipo
greco-italico tardo o Dressel 1, che suggeriscono
una continuità insediativa probabilmente fino al
II sec. a.C.70. (pianta a39)
In territorio lunigianese l’abitato di P i e v e
S . L o r e n z o presenta una fase di tarda età del
Ferro, documentata da anfore greco-italiche, ceramica a vernice nera, ollette in ceramica grezza,
anche vacuolare, e ceramica dipinta a fasce, in
base alle quali è stata ipotizzata una datazione al
III sec. a.C. con probabile continuità fino agli inizi
del II sec. a.C.71. (pianta b1)
Più sporadiche e di datazione non puntuale,
anche se probabilmente protratta fino agli inizi della
romanizzazione, sono le tracce di insediamenti ubicati nell’alta Lunigiana presso il Santuario della
Madonna del Soccorso (Minucciano)72 (pianta b2),
in località Castelvecchio73 (pianta b3) e sul Monte
Castello nel comune di Filattiera74.(pianta b4)
La documentazione relativa a necropoli e tombe
isolate della medesima area, riferibili all’avanzata
età del Ferro, è ugualmente vaga e frammentaria75;
per i nuclei principali di Genicciola (pianta b5),
Ameglia (pianta a40) e Levigliani presso Stazzema in alta Versilia (pianta b6) è ipotizzabile una
qualche continuità anche nel corso del III sec.
a.C.76, mentre per altre tombe isolate (Ponzolo di
Aulla (pianta b7), Minazzana (pianta b8)e Resceto (pianta b9) è stata proposta una datazione tra
avanzato III e inizi del II sec. a.C.77. (fig. 25)
70 L’insediamento sorgeva su un modesto rilievo nell’immediato
to alla scoperta di alcuni frustuli di ceramica a vernice nera
campana A, cfr. Filattiera 1998, p.10.
75 Lunigiana 1978; MAGGIANI 1979; MASSARI 1981; MAGGIANI 1984.
76 Una continuità d’uso della necropoli di Genicciola anche
nella seconda metà del III sec. a.C. sembra confermata da alcuni corredi tombali con vernice nera e ceramica dipinta (cfr.
MAGGIANI 1979, p.76; nota 46, p.90). Ad Ameglia l’importante necropoli, il cui nucleo più antico, quello di Cafaggio, presenta un primo utilizzo circoscritto nell’ultimo venticinquennio del
IV sec. a.C., ha restituito indizi sia a Cafaggio che in altri nuclei
minori di una qualche continuità d’uso anche nel corso del secolo successivo; in particolare sono note sepolture che utilizzano
come contenitore del corredo invece della tradizionale cassetta
litica un’anfora (massaliota o greco-italica), tagliata e capovolta, appoggiata ad una lastra litica. Alcune di queste tombe
sembrano databili alla prima metà del III sec. a.C. Nel fondo
Paci una tomba presenta come corredo un probabile deìnos
dipinto, con datazione alla seconda metà del III sec. a.C. (cfr.
DURANTE 1985; MAGGIANI 1979, nota 6, pp.78-79). Le
tombe a cassetta dell’importante necropoli di Levigliani, pertinente ad un avamposto ligure ad Est del Magra, si datano nell’ambito della seconda metà del III sec. a.C. (Etruscorum 1990,
pp.289-295; Pietrasanta 1995, pp.107-118).
77 La tomba di Ponzolo presso Aulla presenta come corredo una
kylix di tipo Morel 82 con anse non ripiegate e ceramica dipinta a decorazione geometrica (MAGGIANI 1979, pp.74-79,90,
nota 46). Per la tomba di Minazzana ipotesi sulla datazione tra
l’avanzato III e gli inizi del II sec. a.C. sono desunte dalla ceramica di importazione (MAGGIANI 1979, p.90, nota 46; Pietrasanta 1995, pp.118-122). A Resceto presso Massa nell’alta valle
del Frigido una sepoltura in anfora greco-italica, con ceramica
a vernice nera, una fibula e un pendaglio in ambra potrebbe
essere datata tra fine III e primi decenni del II sec. a.C. (cfr.
MAGGIANI 1979, p.99, nota 92, che sembra propendere per
una datazione posteriore al 180 a.C.; cfr. anche ARMANINI
1994, p.47).
78 La stretta collaborazione tra volontariato locale e Soprintendenza archeologica ha portato alla localizzazione e all’indagine
archeologica di alcuni insediamenti liguri (cfr. MAGGIANI
1979; MAGGIANI 1984). I risultati delle ricerche più recenti
sono stati presentati in una mostra tenutasi a Castelnuovo
Garfagnana (cfr. CIAMPOLTRINI 1996 con bibliografia precedente). Per l’alta Versilia un importante aggiornamento dei
problemi topografici ed archeologici connessi al popolamento
ligure è fornito dalla guida del Museo Archeologico Versiliese di
Pietrasanta (cfr. Pietrasanta 1995).
suburbio occidentale della città, che porta il significativo toponimo
di “castellaro”; la tomba, posta su un piccolo pianoro subsommitale, è stata fortuitamente rinvenuta intatta (FROVA 1968, pp.289301; DYSON 1985, p.93). Le altre ceramiche, raccolte fluitate
lungo i fianchi del pendio, fortemente eroso, comprendono ceramica di importazione, tra cui anforacei (MANNONI 1968, p.302, che
definisce un orlo di anfora “ad arpione”; cfr. anche MASSARI 1981,
p.107, nota 5, che ipotizza si tratti di anfore greco-italiche o Dressel 1). Nella bassa valle del Magra, a Trebbiano presso Arcola, è
stato individuato un abitato ligure, databile preliminarmente
sulla base delle ceramiche recuperate in superficie alla tarda età
del ferro con continuità (o ripresa) sino ad età imperiale (cfr. TORRACCA 1998, pp.64-72; tavv.I-III sui reperti)
71 L’abitato, scoperto nel 1962 in località Renzano, oltre ad una
importante fase databile alla tarda età del Bronzo, individuata
durante lo scavo nel 1968, presenta una fase di tarda età del
Ferro, in particolare distinta dopo uno scavo del 1976. Già in
seguito ai primi scavi fu riconosciuta una modesta percentuale
di ceramica di importazione, tra cui vernice nera (3 frr. definiti
pre-campani) (AMBROSI, MARTINI 1965, p.12 e fig. 6) e altri
frr. di parete di campana A (MARTINI 1966, p.14). Era stata
identificata anche della ceramica comune di importazione da
area tirrenica (gruppo mineralogico V’: MANNONI 1966,
pp.19-21). Sullo scavo del 1976 prima breve notizia in MAGGIANI 1979, nota 84, p.98; MAGGIANI 1984, p.346, nota 81.
Cfr. anche AMBROSI 1981, pp.116-118; GIANNICHEDDA
1995a, pp.38-40, che accenna anche a “ceramiche figuline di
tipo ligure” e ad anfore di origine laziale, che sembrano segnare il limite cronologico più basso di occupazione dell’area.
72 Non lontano dal santuario della Madonna del Soccorso, presso il crinale, è attestata una frequentazione della tarda età del
Ferro, forse con continuità anche in età romana, contrassegnata
da ceramica grezza vacuolare, ceramica figulina e vernice nera.
Il materiale non sembra in giacitura primaria ma fluitato dalla
sommità del rilievo (cfr. AMBROSI, MANNONI 1972, pp.250,
254, fig. 6: strati III e II). Sono esposti al Museo di La Spezia 3 frr.
di vernice nera, ceramica grezza e figulina, un braccialetto bronzeo, una fusaiola in terracotta; sulla possibilità che si tratti di
resti di un insediamento esprime dubbi MASSARI 1981, p.107,
nota 6; cfr. anche AMBROSI 1981, p.141.
73 Sulla cima della collina vi sono indizi di una fase della tarda
età del Ferro, documentata da pochi frammenti di ceramica grezza e di vernice nera (cfr. par. 4.4.6). Probabilmente allo stesso
insediamento sono riferibili le due tombe a cassetta litica trovate nel 1921 (cfr. MASSARI 1981, p.102; Filattiera 1998, p.10).
74 Sui recenti scavi sulla sommità del monte, che hanno porta-
6. Garfagnana e alta Versilia
(fig. 26)
Di notevole importanza è stato in questi ultimi anni lo sviluppo delle ricerche sulla protostoria di questo territorio 78; il popolamento nel corso
62
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
25 - Insediamenti e tombe liguri nella bassa Lunigiana,
Garfagnana, alta Versilia e Lucchesia (III- inizi II sec.
a.C.) (MAGGIANI 1979, fig.11)
26 - Insediamenti e tombe liguri nell’alta valle del Serchio (III-II sec. a.C.) (CIAMPOLTRINI 1996, fig.1)
del III sec. a.C. è documentato dall’importante
insediamento sul Monte Pisone (S. Romano
Garfagnana) (pianta b10) e da quello poco più
tardo del Colle delle Carbonaie (Castiglione
Garfagnana) (pianta b11) 79. Nel primo abitato,
datato tra fine IV e primi decenni del III sec. a.C.,
le abitazioni, disposte su ripiani artificiali, ottenuti con muri di contenimento verso valle, erano
costituite da alzati completamente lignei 80; non
dissimile era l’impianto del secondo centro, attribuito ai decenni centrali del III sec. a.C. o poco
o l t r e81 .
79 Completano il quadro insediativo gli abitati della Capriola e
di Colognola con materiali cronologicamente vicini a quelli di
Monte Pisone e la tomba di Filicaia (cfr. CIAMPOLTRINI 1996,
pp. 51-53).
80 Sulla vetta del Castellaraccio furono condotti due saggi di
scavo sul versante settentrionale (aree B e C), rispettivamente
a quota 855 e 865 m. s.l.m., che portarono alla luce due nuclei
abitativi, disposti su alcuni terrazzi artificiali, ottenuti sbancando la roccia a monte ed erigendo dei muri di contenimento a
valle con blocchi di pietra direttamente appoggiati alla roccia di
base. Con una serie di riporti sterili, costituiti da terra e scaglie
di pietra, aventi funzione di livellamento ed eventualmente
anche di drenaggio, si era pareggiato il suolo per accogliere gli
edifici, dei quali restano solamente alcune buche di palo e focolari (cfr. sugli scavi CIAMPOLTRINI 1996, pp.40-45). Tra i
reperti risulta attestata ceramica a vernice nera (coppe
dell’“Atelier des Petites estampilles”, kylikes di produzione volterrana tipo Morel 82 ad anse non ripiegate e coppe a labbro
scanalato, skyphoi sovradipinti), ceramica figulina dipinta
anche a bande (coppe, olle ed oinochoai), ceramica grezza, in
parte vacuolare (olle, pocula, dolia, ciotole-coperchio), fibule ed
altri ornamenti personali (CIAMPOLTRINI 1996, pp.45-50;
figg. 14-18).
81 Sulla sommità di un pianoro posto a m. 640 s.l.m. furono
individuati nel corso di uno scavo almeno tre terrazzamenti,
delimitati da muri a secco di considerevoli dimensioni, che
modellavano il fianco orientale del ripiano; una di queste murature dallo spessore di oltre un metro sbarrava l’accesso dal
basso. La realizzazione di questi terrazzi era completata per
mezzo di gettate di scaglie di pietra e soprastanti livellamenti
di terra e pietrisco, su cui si impostava il piano d’uso degli
ambienti abitativi; essi erano costituiti da muri perpendicolari,
addossati a quelli di terrazzo, che individuavano una serie di
ambienti e avevano la funzione di zoccolo di appoggio per l’elevato in legno; ad essi erano connessi alcuni focolari (cfr. sullo
scavo CIAMPOLTRINI 1996, pp.54-58). In base ad alcuni
materiali, in particolare ceramica a vernice nera ed anfore,
sembra possibile ipotizzare una datazione finale di occupazione
del sito nell’avanzato III sec. a.C. o anche oltre (cfr. sui reperti
CIAMPOLTRINI 1996, pp.58-59, fig. 28). Coeva e pertinente
all’abitato è la necropoli di Villacollemandina in loc. Pian di
Paolo, ubicata su un modesto pianoro sul fianco meridionale
del rilievo e composta da almeno 9 tombe a cassetta.
82 Sulle indagini archeologiche e sulla tipologia dei reperti
(ceramica a vernice nera, ceramica figulina dipinta ed acroma,
ceramica grezza, anfore greco-italiche tarde) cfr. CIAMPOLTRINI 1996, pp.60-61; figg. 20, 4-10; 33,1-4.
Passando al momento cruciale dello scontro tra
i Liguri Apuani e Roma tra la fine del III e gli inizi
del II sec. a.C. vanno ricordati gli abitati della
Capriola di Camporgiano , ubicato in una
importante posizione strategica 82 (pianta b12), di
63
Luigi Gambaro
Monte Vigne 83 (pianta b13) e del Colle della
Fame84 (pianta b14), che sono stati interessati
anche da interventi di scavo. (fig. 27)
Indicazioni cronologiche meno puntuali, ma
pur sempre riferibili latamente allo stesso periodo,
si hanno per una serie di abitati o episodi di frequentazione ad alta quota (Monte Tontorone,
Monte Altissimo (pianta b15), Monte Piglionico (pianta b16), Monte Lieto (pianta b17),
Monte Gabberi (pianta b18) , Monte Piglione
(pianta b19), Foce di Gello (pianta b20), Valdicastello (pianta b21)85 e più sporadicamente in
grotta (Tana Grande della Pania di Corfino)86.
Numerose sono anche le tracce di sepolture isolate o di piccoli nuclei necropolari, tra i quali si
83 Nel sito, ubicato nel comune di S.Romano Garfagnana, furono
effettuati recuperi di superficie e un sondaggio di scavo, che
restituirono molta ceramica con datazione tra III e inizi del II
sec. a.C. (ceramica a vernice nera, anfore greco-italiche, contenenti grano (?), e ceramica di uso comune, sia grezza che depurata) (cfr. MAGGIANI 1979, p.98, nota 84; MAGGIANI 1984, nota
81 che ricorda tra la vernice nera una kylix volterrana di tipo
Morel 82; CIAMPOLTRINI 1996, p.62).
84 Il sito ubicato a quota 582 m.s.l.m. tra Castelnuovo Garfagnana e Gallicano riveste un’importanza strategica per il controllo
del passaggio di Monte Perpoli. Sul versante Ovest del colle furono individuati i resti di un abitato, tra cui un focolare associato a
grande quantità di carboni, ceramiche d’uso comune e anfore
greco-italiche tarde. Nelle vicinanze durante i lavori per un
metanodotto fu individuato un pozzetto colmato di circa 30 anfore greco-italiche tarde, forse spezzate intenzionalmente (per
finalità rituale?), che confermano una datazione dell’insediamento tra la fine III e gli inizi del II sec. a.C. (cfr. Apuane 1976,
pp.23-29; 33-35; CIAMPOLTRINI 1996, pp.62-63, fig. 33, 5-11).
85 Sul Monte Tontorone (Vagli di Sotto) a quota 1000 m. s.l.m. è
segnalato il ritrovamento di pochi frammenti di anfora, datati
alla fine III-inizi II sec. a.C. (NOTINI 1985, p.4).
In loc. la Polla alle falde del Monte Altissimo sono state trovate
in prevalenza anfore greco-italiche (tipi Will d-e) e ceramica ligure, associate a fuseruole, ad una punta di giavellotto in ferro e ad
un asse unciale in bronzo (cfr. LERA 1970, p.97; Apuane 1976,
p.36, nota 2; MAGGIANI 1979, p.100; Pietrasanta 1995, pp.9192; figg.46-56,1-2). Nel corso di tre recuperi, effettuati su un
ripiano nei pressi del monte Piglionico a quota 1200 m., furono
individuate alcune decine di frammenti di anfore, comprendenti
almeno due orli, associate a un probabile focolare (Apuane 1976,
pp.21-23; 33).
L’insediamento sommitale di Monte Lieto presso Stazzema
sorge ad una altitudine di 1016 m. s.l.m. con un’estensione presunta sulla base della dispersione di materiale archeologico in
superficie di circa 10.000 mq. Ad una prima occupazione datata
all’età del Bronzo finale seguì una rioccupazione nella tarda età
del Ferro, comprendente ceramica comune grezza e depurata
(ciotole, piatti-coperchi, coperchi, vasetti miniaturistici), ceramica a vernice nera (kylikes, patere, boccalini), lucerne a vernice
nera (tipo Ricci B), anfore greco-italiche (tipo Will e), databili tra
III e II sec a.C. (cfr. ANTONUCCI 1970, pp.95-99; Apuane 1976,
p.36; MENCACCI, ZECCHINI 1976, pp.151-152; Pietrasanta
1995, pp.92-96; figg.47-56). MAGGIANI 1984, p.346, nota 81
riporta la notizia di monete senza fornire indicazioni circa la loro
identificazione.
L’insediamento presso la sommità del monte Gabberi, tra quote
1050 e 1100 m.s.l.m., fu interessato da uno scavo, che restituì
una notevole quantità di ceramica in prevalenza grezza; meno
consistente la percentuale di vernice nera e di anfore greco-italiche (cfr. ANTONUCCI 1972, pp.27-28; a proposito delle anfore si
citano “ fondi conici di anfore grossolane e parti di orli “; breve
ricordano quelli di Villa Collemandina, Filicaia, S.
Romano, Val di Vaiana, Castelvecchio, Barga,
Montefegatesi e Tereglio, con datazione nel corso
del III ed inizio del II sec. a.C.87.
7. La montagna lucchese
88
Una conferma della presenza di siti ad alta
quota a controllo delle vie di crinale e di valico
proviene dall’area appenninica a nord della piana
lucchese e nella Valdinievole; tra gli abitati d’altura si ricorda quello di Pietra Pertusa sull’altopiano delle Pizzorne, che presenta una datazione
nel corso del III sec. a.C. 89 (pianta b22), mentre
più sporadica sembra essere la coeva frequentacitazione in MENCACCI, ZECCHINI 1976, p.185; MAGGIANI
1984, nota 81; Pietrasanta 1995, p.97; figg.56-57,61). Alla quota
di m. 1233 s.l.m. alle estremità della cresta del monte Piglione fu
rilevata una concentrazione di diversi frammenti di anfore
greco-italiche, associate a ceramica ligure (cfr. Apuane 1976,
pp.19-21; 30-32; Pietrasanta 1995, p.100; figg.26;57). Presso la
vetta del monte Cuculiera (m. 950 s.l.m.) fu individuato un insediamento d’altura, con ceramica grezza, in parte riferibile ad una
precedente frequentazione dell’età del Bronzo, ceramica figulina
tornita, tra cui olpi monoansate e pentole biansate con orlo a tesa
orizzontale, ceramica a pareti sottili, vernice nera e anfore grecoitaliche recenti, delle quali una con bollo N. ALFI alla base delle
anse (MAGGIANI 1984, nota 81). Sembra probabile una datazione nell’ambito del II sec. a.C. e forse anche oltre (MENCACCI
1973, pp.116-119; MENCACCI, ZECCHINI 1976, pp.154-158;
MAGGIANI 1979, p.100, nota 94; Apuane 1976, pp.35-36). L’insediamento d’altura di Valdicastello, già occupato durante l’età
del Bronzo finale, presenta una seconda fase abitativa nella
tarda età del Ferro (III-II sec.a.C.), contrassegnata da molta
ceramica grezza anche vacuolata (olle ad orlo estroflesso, ciotole
e tazze con piede ad anello e ornate a tacche), associata a ceramica a vernice nera (kylikes e coppe) e ad anfore greco-italiche, in
particolare quest’ultime riferibili al tardo III-prima metà del II
sec. a.C. (ANTONUCCI 1970, pp.96-97; foto p.97; MAGGIANI
1984, p.346, nota 81; Apuane 1976, p.36, nota 2; Pietrasanta
1995, pp.100-103; figg.48-50-57-59-62-63).
86 Il ritrovamento di ceramica ligure e di anfore greco-italiche
sembra confermare una frequentazione tra III e inizi del II sec.
a.C. (CIAMPOLTRINI 1996, p.65).
87 Elementi utili per la datazione sono costituiti dalla ceramica
a decorazione geometrica dipinta, capillarmente attestata tra
medio III e inizi II sec. a.C. (cfr. MAGGIANI 1979, pp. 74 ss.).
Tra la ceramica a vernice nera prevale la kylix Morel 82 ad anse
non ripiegate di produzione volterrana, mentre assai più sporadica è la ceramica campana A (cfr. MAGGIANI 1979, pp. 9092; CIAMPOLTRINI 1996, pp.66-67 con riferimento a vecchi
ritrovamenti).
88 Le ricerche condotte nel corso degli anni ‘80 da associazioni del
volontariato archeologico, dalla Soprintendenza archeologica e
da musei locali, come quelli di Pescia e Larciano, hanno permesso la raccolta di molti dati sul popolamento in area montana e
collinare durante la tarda età del Ferro (cfr. la sintesi di CIAMPOLTRINI 1995a).
89 Nella zona di Pietra Pertusa su tre colli vicini grazie ad alcune
raccolte di superficie vennero rinvenute numerose anfore grecoitaliche, associate a ceramica a vernice nera di prevalente produzione laziale e campana e a ceramica figulina (sui ritrovamenti
cfr. LERA 1971, pp.108-112; MAGGIANI 1979, pp.97-98, in particolare nota 84, p.97; CIAMPOLTRINI 1995a, p.110; fig. 3,1-7).
Sulla cronologia del contesto, riferito ai decenni centrali del III
sec. a.C. fino al 230-220 a.C., cfr. CIAMPOLTRINI 1995a, p.112).
64
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
8. Il “confine” meridionale (Versilia e
piana lucchese)
È necessario accennare alla situazione nel
corso del III sec. a.C. degli insediamenti lungo la
fascia costiera versiliese e nella piana lucchese, i
quali pur presentando fin da età arcaica caratteri
etruschi, risultano aperti a contatti e scambi commerciali col vicino mondo ligure; essi sono investiti direttamente dalla crisi determinata nel corso
del III sec. a.C. dalla discesa ligure verso la Lunigiana, la valle del Serchio e la Versilia92.
Sul versante tirrenico sono stati indagati l’abitato di Bora dei Frati (pianta b24), l’emporio di
S. Rocchino sul lago di Massaciuccoli (pianta
b25) e il sito sul Castellaccio di Massarosa
(pianta b26), dove il popolamento sembra protrarsi fino al volgere del III sec. a.C. 93.
Sul margine orientale della bassa piana dell’Auser/Serchio si ricorda l’abitato con vocazione
emporica di Ponte Gini di Orentano, che fiorì
nei decenni centrali del III sec. a.C. e che fu
abbandonato verso il 230 a.C. forse a causa di
un’incursione ligure94 (pianta b27); di datazione
anteriore risulta il sito di Romito di Pozzuolo a
Sud-Ovest di Lucca, con una fase di rioccupazione
tra il 300 e il 270 a.C. circa95. (pianta b28)
27 - Ceramiche dagli insediamenti indigeni di Capriola
di Camporgiano (1-4) e del Colle della fame (5-11)
(CIAMPOLTRINI 1996, fig.33)
9. Considerazioni sul popolamento indige
no fino alle guerre romano-liguri
zione presso la vetta del Monte Memoriante90.
(pianta b23)
Non sono numerosi i nuclei di necropoli, ubicati nella zona montuosa e collinare, con sicurezza
attribuibili prima del II sec. a.C., come la tomba di
Pian del Santo presso Montecatini, assegnata ai
decenni centrali del III sec. a.C.91.
Pur con differenziazioni subregionali non sembrano esserci significative cesure nelle forme del
popolamento nel territorio ligure costiero tra V e III
sec. a.C. La documentazione archeologica permette
di datare già nel corso del V-inizi del IV sec. a.C. la
nascita di un sistema di abitati, collegati tra loro
gerarchicamente, tra i quali tendono a differenziarsi alcuni oppida costieri maggiori, più ricettivi di
90 Da raccolte di superficie condotte non lontano dalla vetta del
monte, a quota m. 800, provengono alcuni frammenti di anfore
e vernice nera, tra cui un orlo di anfora greco-italica di fine IIIinizi II sec. a.C., conservati al Museo di Pescia e tuttora inediti;
potrebbero identificarsi con i materiali recuperati nel vicino
riparo delle Capre, datato nel corso del III sec. a.C., dove risultano tuttavia attestate quasi esclusivamente ceramiche grezze
e rara ceramica figulina (CIAMPOLTRINI 1995a, pp.106-108;
fig. 3, 8-9).
91 Nella tomba di Caroggio e a Monte a Colle sono attestati vasi
a sopradipintura geometrica; nella prima anche vernice nera
campana A (MAGGIANI 1979, p.91). Sulla datazione della
tomba di Pian del Santo cfr. CIAMPOLTRINI 1995a, p.106; fig.
2.
92 Le ricerche archeologiche in questi ultimi anni hanno permesso di accertare che l’intero territorio compreso tra Magra e
Arno era sotto controllo etrusco, in particolare di Pisa, tra età
arcaica e la prima età ellenistica (cfr. BONAMICI 1994, p.528).
93 Lo scavo di Bora dei Frati ha messo in luce potenti muri di
terrazzamento e fondazioni di capanne con zoccolo in pietra ed
alzato a graticcio intonacato su struttura lignea, per le quali è
proposta una datazione tra l’avanzato IV e la seconda metà del
III sec. a.C. Puntuali elementi di datazione sono desunti dalla
ceramica di importazione, costituita da produzioni a vernice
nera etrusco-laziale e nord-etrusca e da anfore greco-italiche,
sia di produzione campano-laziale che di imitazione locale, tra
le quali sono comprese varianti tipologicamente tarde, di avanzato III sec. a.C. od oltre (Etruscorum 1990, pp.187-260, figg.
110,113-114, 125). La rioccupazione del sito di S.Rocchino in
età ellenistica tra la fine del IV e l’avanzato III sec. a.C. è documentata da ceramiche a vernice nera e da anfore greco-italiche,
associate a sporadico materiale ligure a testimonianza di contatti commerciali (cfr. Etruscorum 1990, pp.175-178; fig. 99).
Pur con le riserve dovute alle caratteristiche del ritrovamento
e alla frammentarietà del materiale è ipotizzata in base ai
reperti più tardi una datazione del Castellaccio di Massarosa
fino all’avanzato III sec. a.C. o anche oltre (Etruscorum 1990,
pp.182-186, fig. 100).
94 CIAMPOLTRINI, PIERI 1997, p.39; CIAMPOLTRINI 1998,
pp.189 ss.: fase III di Ponte Gini.
95 Sembra prevalente una corrente commerciale formata da
produzioni etrusco-meridionali e romane, accompagnate in
forma minoritaria da prodotti nord-etruschi e massalioti (cfr.
Etruscorum 1990, pp.271-286; figg. 143-144,146).
-
Luigi Gambaro
65
Pianta b)
influssi e contatti sia nei
ELENCO DEI SITI DELLA TARDA ETÀ DEL FERRO (La pianta comconfronti dell’esperienza
prende il territorio delle provincie di Massa Carrara, Lucca e Pistoia).
emporica etrusca nell’alto
1-Pieve S.Lorenzo; 2-Minucciano; 3-Castelvecchio; 4-Monte
Tirreno, incentrata fin dalla
Castello; 5-Genicciola; 6-Levigliani; 7-Ponzolo; 8-Minazfine del VI sec. a.C. sul capozana; 9-Resceto; 10-Monte Pisone; 11-Colle delle
saldo di Genua e e su pochi
Carbonaie; 12-Capriola di Camporgiaaltri punti costieri, sia nei
no; 13-Monte Vigne; 14-Colle della
confronti dell’area culturale
Fame; 15-Monte Altissimo;
golasecchiana96.
La Liguria costiera non
sembra coinvolta almeno
direttamente in quei fenomeni di crisi e di profonde trasformazioni, segnate tra la
16-Monte Piglionico;
seconda metà del V e gli inizi
17-Monte Lieto; 18 - Monte
del IV sec. a.C. dalla serie di
Gabberi; 19- onte Piglione; 20eventi connessi all’invasione
Foce di Gello; 21-Valdicastello;
gallica, che ebbe importanti
22-Pietra Pertusa; 23-Monte
effetti sul popolamento liguMemoriante; 24-Bora dei Frati;
re del Piemonte meridionale,
25-S.Rocchino; 26-Castellaccio di
e dalle trasformazioni del
Massarosa; 27-Ponte Gini di Orencommercio marittimo etrutano; 28-Romito di Pozzuolo.
sco in direzione del Mediterraneo occidentale97.
Nella tarda età del Ferro si osserva in particolamancanza di scavi estensivi, che permettano di
re nella Liguria di Levante un fenomeno di rioccuavere una visione d’insieme di ciascuno di questi
pazioni di siti d’altura sia costieri che dell’entroterinsediamenti, sfuggono ancora eventuali elementi
ra, già abitati nel corso dell’età del Bronzo, in partiricorrenti e qualificatori100. Ad esempio la posiziocolare Tarda e Finale, anche se diversi indizi perne “forte” di molti insediamenti, sulla sommità di
mettono di ipotizzare pure fenomeni di continuità
alture sembra indiziare un loro carattere “militainsediativa rispetto alla prima età del Ferro98.
re”, mirato al soddisfacimento di esigenze difensiNella Liguria orientale il confine col territorio
ve; ciò è confermato dalla presenza di cinte muraetrusco, consolidatosi dalla fine del VI sec. a.C. sul
rie e fortificazioni, non sempre documentabili
fiume Magra, e presidiato dall’importante centro
archeologicamente, sia per il loro carattere precacostiero di Ameglia, venne superato a causa della
rio, come nel caso di valli, fossati o palizzate
pressione celtica e di un aumento demografico a
lignee, in particolare in siti di occupazione occasiofavore di una progressiva occupazione ligure delnale, sia per l’opera di notevole erosione, a cui sono
l’alta Versilia e delle aree montuose interne delin genere sottoposti i fianchi delle aree sommitali
l’alta valle del Serchio fino alla montagna pistoieappenniniche, sia per il sovrapporsi a volte in età
se già alla fine del IV sec. a.C. con un notevole svimedievale di successive fasi abitative, che comporluppo nel corso del III sec. a.C.99.
tarono l’erezione di nuove strutture difensive101 .
Tra i numerosi problemi relativi al popolamenMentre non è sicura, anche se probabile, la loro
to indigeno, ancor oggi irrisolti, uno dei principali
identificazione con i castella delle fonti, ancora
riguarda la precisa definizione dei diversi insediaproblematico è il loro rapporto, eventualmente
menti, in relazione alla tipologia nota dalle fonti
gerarchico, con l’altro tipo di insediamento ricorantiche, che distingue vici, castella ed oppida. In
dato dalle fonti, i v i c i; quest’ultimi potrebbero
96 Cfr. sul popolamento nella Liguria costiera in età preromana
SPADEA 1995, pp.355-358; DE MARINIS 1998, p.59; SPADEA
1998, pp.79-81 con bibliografia; GAMBARI, VENTURINO
GAMBARI 1988, p.136. Per COLONNA 1998, p.265 anche l’op pidum di Savo potrebbe aver ospitato elementi etruschi. Forti
influssi culturali esercitati dalla cultura di Golasecca sul Piemonte meridionale e sulla Liguria costiera in particolare nel V
sec. a.C. sono ipotizzati da GAMBARI 1998b, pp.127, 134-135.
97 Assai più avanzata, anche grazie ad una maggiore conoscenza di siti e reperti, è la ricostruzione del popolamento della
Liguria interna; oltre alla prima sintesi di GAMBARI, VENTURINO GAMBARI 1988 vedi ora GAMBARI 1998a, pp.97104; GAMBARI 1998b, pp.141-145.
98 Ancora recentemente A. Maggiani ha ribadito la sostanziale continuità etnica tra il popolamento dell’età del Bronzo recente/finale e
l’età del Ferro (GERVASINI, MAGGIANI 1998, p.51).
99 Sui Liguri in Versilia cfr. Etruscorum 1990, in Garfagnana
cfr. CIAMPOLTRINI 1996, in Valdinievole cfr. CIAMPOLTRINI 1995a; CIAMPOLTRINI, PIERI 1997. Sullo sviluppo dell’insediamento ligure in Versilia, Garfagnana e Lucchesia nel
III sec. a.C. cfr. anche CIAMPOLTRINI 1998, pp.187-189.
100 Sulle problematiche connesse alla dinamica dell’insediamento ligure durante la seconda età del Ferro con particolare
riferimento al Genovesato cfr. GIANNICHEDDA 1995b,
pp.41-43.
101 La presenza di opere difensive è documentata archeologicamente nei siti di Monte Bignone, Monte Colma, Castellaro delle
Rocche, Bergeggi nel Ponente, mentre nel Levante si annoverano i casi di Camogli e Castelfermo. In altre aree, come la
Lunigiana, la mancanza di opere difensive è rilevata in
AMBROSI 1981, p.118; GIANNICHEDDA 1995a, p.41.
66
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
identificarsi, almeno in alcuni comprensori tribali,
con abitati sparsi di fondovalle o a mezza costa, in
prossimità dei castella sommitali, a quote medie e
basse, atti a consentire un utilizzo continuativo; la
loro elusività alla ricerca archeologica si potrebbe
spiegare sia per le loro dimensioni in genere ridotte, sia per il recente sviluppo edilizio dei fondovalle e delle aree collinari, che potrebbe averne fatto
sparire gran parte delle tracce102 .
Un altro problema è costituito da insediamenti di
altura, cioè ad alta quota, che secondo un’ipotesi tradizionale avrebbero avuto un particolare sviluppo
durante la fase delle guerre romano-liguri, non riflettendo quindi il popolamento preromano ma modificazioni dello stesso indotte dallo stato di insicurezza e
di pericolo contingenti, in seguito ai quali si sarebbero avuti episodi di “emigrazione” di nuclei di indigeni
verso aree, considerate più sicure e meglio difendibili, dove furono costruiti nuovi abitati “protetti”103.
Partendo però da un’analisi dei dati archeologici,
restituiti da questi insediamenti ad alte quote, è possibile osservare che essi presentano spesso tracce di
frequentazione più antica, riconducibile già al IV-III
sec. a.C., a volte con abbandoni definitivi nella seconda metà del III sec. a.C.104. Sembrerebbe quindi ipotizzabile una loro funzione tradizionale di luoghi di
occupazione stagionale, in relazione a pratiche di
alpeggio e di transumanza, che non dovettero comportare tipologie abitative diverse da quelle documentate negli abitati a quote inferiori. La presenza di particolari manufatti permette di ricostruire l’esistenza
di pratiche economiche domestiche, quali la tessitura
e la macinatura, che implicavano l’esistenza di interi
nuclei famigliari al seguito degli armenti. Si potrebbe
ipotizzare un pendolarismo ciclico di almeno parte
della popolazione, un vero e proprio seminomadismo,
tra abitati nei fondovalle e sulle pendici appenniniche, occupati in inverno, e abitati ad alte quote per le
pratiche economiche concentrate nel periodo primaverile ed estivo105. Questo tipo di sfruttamento delle
alte quote appenniniche non esclude tuttavia la possibilità che almeno parte di questi siti abbiano assunto
anche una funzione di luoghi di rifugio e di arroccamento in determinati momenti di crisi, in genere tuttavia di breve durata. In particolare nel settore
appenninico orientale poteva rientrare in una tattica
difensiva abituale il trasferimento degli abitanti dal
comprensorio circostante verso questi siti di alta
quota, allorquando venivano pianificati attacchi ai
centri costieri e planiziali etruschi-romanizzati, in
previsione di probabili ritorsioni romane. La varietà e
l’abbondanza di materiali rinvenuti in questi siti
potrebbe essere dovuta, oltre che a un temporaneo
aumento della popolazione con relativo vettovagliamento in momenti di pericolo bellico, anche a pratiche
di accumulo e di stoccaggio permanente di derrate alimentari, in anfore e grandi contenitori, da consumare
in momenti di necessità o carestia106.
Bisogna inoltre ricordare la possibilità che
alcuni siti sommitali abbiano avuto funzioni anche
di luogo di culto107.
Estensibile anche ad altre aree montane della
Liguria orientale è l’ipotesi ricostruttiva del popolamento protostorico della Garfagnana, in base
alla quale sembra configurarsi un’organizzazione
sociale molto primitiva dell’intero comprensorio,
rappresentata da insediamenti quasi per nulla
gerarchizzati, di piccole e piccolissime dimensioni.
Il popolamento risulta concentrato in una fascia
altimetrica compresa tra 500 e 900 m. tramite villaggi, definiti castella, non costituiti però da agglomerati chiusi e continui, delimitati da una cinta
muraria, ma da nuclei insediativi tra loro distanziati; ognuno di essi, costituito verosimilmente da
un singolo “clan” famigliare, si dispone su un fianco di un rilievo con accettabili condizioni di difesa
naturali, eventalmente integrate con opere artificiali a controllo di passaggi o di singoli punti maggiormente esposti. In genere nelle immediate vicinanze a quote più basse si estendeva la necropoli.
102 Cfr. GIANNICHEDDA 1995b, p.43, che ritiene poco numerosi e piccoli i siti protostorici di mezza costa e di fondovalle.
103 A proposito del castellaro di Vezzola in val di Vara la fase
ligure, datata alla prima metà del II sec. a.C., è stata attribuita
alla “insicurezza nell’utilizzo dei territori costieri e pianeggianti
e quindi più esposti”, che avrebbe spinto le popolazioni indigene
sotto la pressione militare romana a trasferirsi in località interne più impervie e sicure (MILANESE 1985, p.189). Anche le
tracce archeologiche presso il Monte Beigua portano lo stesso
studioso ad affermare che “gli attestati riusi in epoca romano
tardo-repubblicana di castellari liguri prospettano tangibilmente quella situazione di insicurezza e di pericolo per le genti liguri
che trova chiaro riscontro nelle fonti storiografiche latine”
(FRANCESETTI et al. 1984, p.58).
104 Sincronismo sottolineato per Liguria orientale, Lunigiana,
Garfagnana e alta collina piacentina-parmigiana in CIAMPOLTRINI 1996, p.51.
105 MELLI 1983, p.83.
territorio si rifugia in caso di necessità, dove si mettono al sicuro il bestiame e gli approvvigionamenti essenziali in tempo di
guerra, dove eventualmente si custodiscono i prigionieri e le
prede”.
107 È stata ipotizzata da tempo l’attribuzione a santuari liguri di
altura dei reperti rinvenuti sul Monte Alfeo e sul Monte Sagro. Sul
culto delle vette in Lunigiana con particolare riferimento al termine ligure “penna” col significato di pietra o monte, da cui è derivato il nome del dio (A)penninus cfr. AMBROSI 1994, pp.32-36. Solo
nel caso del castellaro di Pignone è stata ipotizzata una destinazione sacrale per una “fossa” peraltro di incerta interpretazione,
dove compare insieme a numerose ceramiche anche una moneta
cisalpina (cfr. PIANA AGOSTINETTI 1996b, p.202; PIANA AGOSTINETTI 1996c, p.234; PIANA AGOSTINETTI 1996a, p.190).
Non sembrano invece sussistere indizi sufficienti per attribuire ad
una stipe votiva i materiali rinvenuti sulla cima del monte Dragnone (tale ipotesi è invece prospettata seppur con prudenza in
MILANESE, GIARDI 1986, p.77 e ripresa da DURANTE 1998a,
p.83, che lo definisce probabile luogo di culto). Anche per il sito di
Minucciano, dove un’occupazione forse cultuale dell’età del Bronzo potrebbe essere indiziata dal rinvenimento di statue-stele, non
è accertabile una analoga funzione durante l’età del Ferro, epoca
alla quale sono peraltro riferibili tracce di frequentazione.
106 Etruscorum 1990, p.178. Assai pertinente è la definizione di
questi insediamenti, formulata da SERENI 1955, p.381, come
luoghi “di rifugio in caso di pericolo”, “dove ci si raduna per la
difesa o per le imprese di guerra, dove la popolazione di un dato
Luigi Gambaro
3.4. IL QUADRO ECONOMICO
Fonti storiche ed archeologiche sulle prin
cipali forme economiche
-
1. L’allevamento del bestiame
Una discarica di rifiuti, associata ad un edificio
dell’oppidum preromano di Genua, con datazione
al IV sec. a.C., ha restituito un’ingente quantità di
ossa animali, lo studio delle quali ha confermato la
prevalenza numerica dei capro-ovini, seguiti nell’ordine dai suini e dai bovini, quest’ultimi macellati quasi sempre adulti108.
2. La caccia e la pesca
In relazione alla fase di IV sec. a.C. individuata
nell’area dell’oppidum preromano di Genua non
mancano seppure in modeste percentuali resti di
pesci e molluschi marini a conferma dell’importanza della pesca nell’alimentazione109.
3. Lo sfruttamento dell’ambiente forestale
Per esigenze determinate dalla tecnica edilizia e
lungo la costa dalle costruzioni navali doveva essere notevole il fabbisogno di legname; utili informazioni per ricostruire l’ambiente vegetazionale e per
determinare quali essenze fossero maggiormente
utilizzate derivano dall’analisi dei carboni, rinvenuti in recenti scavi di insediamenti preromani. I
resti antracologici provenienti dal castellaro di Bergeggi hanno permesso di ipotizzare nel VI-V sec.
a.C. la presenza di una vegetazione originaria a
querceto, probabilmente già comprendente aree a
macchia mediterranea, che andò progressivamente
aumentando a scapito della quercia, utilizzata come
materiale edilizio e quindi oggetto di disboscamento. Carboni di pruno e ghiande probabilmente sono
indizio di attività di raccolta di frutti selvatici ad
uso alimentare umano o animale110.
Negli scavi nell’oppidum di Genua sono attestati in particolare carboni di pino e di quercia,
interpretati come indizio di scambi commerciali
tra i Genuates e le limitrofe popolazioni dell’entroterra appenninico111. Nel Castellaro di Uscio è confermato l’impiego del Carpino nero, quale principale legno da costruzione per i travi della capanna
dell’età del Ferro112.
108 MILANESE 1987, pp.343-347.
109 MILANESE 1987, pp.343-347.
110 DEL LUCCHESE et al. 1992, p.102.
111 Nella fase 3 sono attestati carboni di olmo e di quercia; nella
fase 4 carboni di pino e di quercia; nella fase 5 carboni di olmo
e di pioppo (MILANESE 1987, p.385).
112 Uscio 1990, p.198. I carboni di Carpino costituiscono il 60%
dei carboni attestati nell’orizzonte 2 dell’Età del Ferro.
113 MILANESE 1985, p.188.
114 CASTELLETTI 1986, pp.41-44.
115 Sebbene la genericità della menzione non permetta una
sicura determinazione geografica di tali Liguri Montani, forse
67
Tra i carboni relativi alla fase dell’età del Ferro
del castellaro di Vezzola prevalgono quelli riferibili alla quercia e all’olmo; come materiale da costruzione dovette essere impiegato anche il leccio,
mentre più sporadiche e dubbie sono le attestazioni di carpino, nocciolo, ontano e betulla113.
Da uno strato datato al III-II sec. a.C. del sito di
Minucciano in Lunigiana provengono una decina
di carboni riferibili tutti ad un unico pezzo di quercia; è stato ricostruito per il periodo protostorico
relativamente ad un’altitudine di mezza costa un
ambiente con querceti misti, forse con la presenza
anche di faggio114 .
4. L’agricoltura
La fonte storica, che cita l’agricoltura praticata
dai Liguri, è rappresentata essenzialmente da
Livio; in un caso viene ricordato un episodio del
181 a.C., quando Emilio Paolo, giunto al confine
del territorio ingauno, accolse una richiesta di tregua dei Liguri, impegnandosi a non invadere i loro
culta loca (Liv. XL 19,6-8). Nel 180 a.C. in seguito
ad azioni militari congiunte di entrambi i consoli
contro i Liguri Apuani e Friniati, il console A.
Postumio riuscì a debellare i Liguri Montani, dopo
aver bruciato il frumento dei loro campi (frumenta
deusta) (Liv. XL 41, 5=FLLA 389)115.
a) Le forme delle coltivazioni
La tecnica del debbio, inteso come “abbruciamento del bosco e del sottobosco, della vegetazione
arbustiva e della cotica erbosa, ai fini della riduzione a coltura o della fertilizzazione di un dato
appezzamento”, è di antica tradizione sicuramente
preromana, anche se in determinate aree geografiche e culturali come la Liguria dovette rappresentare anche dopo la romanizzazione la più praticata
modalità di sfruttamento agricolo116.
Si ritiene che la parola, che compare in latino
nella forma debelos e debelis, quale nome comune
di alcuni fundi della Tabula Alimetaria di Veleia,
sia attribuibile ad un sostrato linguistico prelatino, paleoligure, dubitativamente ancora prearioeuropeo o forse già arioeuropeizzato117.
Il sistema agronomico a debbio si distingue nel
debbio su foresta e nel debbio su prato, a secondo
che il suolo da liberare sia ricoperto da un mantelda identificarsi con popolazioni che occupavano l’entroterra
della riviera di Ponente (LAMBOGLIA 1933a, pp.29-30), tuttavia è interessante il riferimento alla cerealicoltura praticata
nell’interno, che dovette rivestire un ruolo importante nell’economia indigena, tanto che l’incursione dei Romani provocò l’immediata resa dei Liguri.
116 La definizione del debbio è tratta da SERENI 1981, pp.3-4.
117 PETRACCO SICARDI 1958-59, p.74 pur riconoscendo l’origine ligure del toponimo, gli attribuisce un’etimologia indoeuropea, avente il significato di “processo di fertilizzazione che
avviene bruciando l’erba o le stoppie”. Cfr. anche SERENI
1981, pp.31-32, che non esclude invece che risalga ad ambiente
linguistico ancora prearioeuropeo.
68
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
lo vegetale spontaneo arboreo e/o arbustivo oppure
erbaceo. La scelta dei terreni da liberare con l’impiego del fuoco, che tra l’altro contribuisce anche a
fertilizzarli con le ceneri prodotte dalla combustione, si concentra dapprima lungo le pendici piuttosto brulle, sassose ed assolate, dove la pratica del
disboscamento è resa più facile e veloce118. Si crea
quindi un’irregolare scacchiera di appezzamenti
che progressivamente si allargano a danno della
selva, i quali prima della semina possono essere
dissodati sia mediante una superficiale lavorazione a mano (debbio a zappa), sia con una rudimentale aratura (debbio aratorio).
Esauritasi velocemente la fertilità del terreno,
anche a causa del forte dilavamento provocato dal
disboscamento, l’appezzamento a debbio dopo pochi
anni deve essere abbandonato alla vegetazione spontanea, con la conseguente rigenerazione della macchia, qualora non subentri invece per una serie di fattori ambientali e storici una nuova formazione vegetale degradata, come la steppa (o prateria) mediterranea; solo dopo alcuni anni si può eventualmente
ripetere nello stesso terreno la pratica del debbio119.
Passando a considerare le fonti archeologiche,
esse si riferiscono essenzialmente a semi carbonizzati, che testimoniano la pratica della cerealicoltura, e a manufatti litici, adibiti a pratiche di macinatura dei cereali. Indizi di tal genere provengono
dal castellaro di Bergeggi (frumento, orzo, leguminose coltivate e selvatiche), dove sono stati ritrovati anche macinelli e probabili macine120. Anche
al Castellaro di Uscio sono documentati cereali
(frumento tenero ed orzo) e legumi (fava), come
pure macine121. Attività di molitura sono attestate
anche in insediamenti della tarda età del Ferro in
Garfagnana e in alta Versilia122.
b) La viticoltura
Mentre è accertata da prove dirette ed indirette
118 SERENI 1955, pp.194-195.
119 SERENI 1955, pp.535-538; SERENI 1972, p.142, nota 1;
SERENI 1981, pp.45-47.
120 Cfr. DEL LUCCHESE et al. 1992, pp.102, 104-108; sono
documentati 14 esemplari di macinello in prevalenza di arenaria e 7 esemplari di macina.
121 Uscio 1990, pp.202-205. Le macine sono in ignimbrite,
minerale importato dalle Alpi Marittime.
122 Si tratta dell’insediamento di Monte Pisone, dove sono stati
recuperati macinelli in arenaria ed eccezionalmente in pietra
vulcanica (CIAMPOLTRINI 1996, p.50; fig. 18, 17-22) e di quello del Colle delle Carbonaie, che ha restituito alcuni macinelli
(cfr. CIAMPOLTRINI 1996, fig. 28, 18). Anche dagli insediamenti indigeni di Monte Lieto, Monte Gabberi e Valdicastello
in alta Versilia provengono frammenti di macine in conglomerato quarzoso, panchina ed arenaria (Pietrasanta 1995,
pp.95,97,103; fig. 60-61-62).
123 Sull’origine della viticoltura nell’Italia nord-occidentale,
con particolare riferimento al Piemonte, cfr. la sintesi di GAMBARI 1994, pp.31-37 in particolare sulla Liguria. Anche se è
possibile che i Liguri praticassero già precocemente una modesta viticoltura con l’impiego di vitigni selvativi, tuttavia sembrano per ora mancare riscontri archeologici, ad eccezione del
l’esistenza di una produzione vinicola in area golasecchiana dall’età arcaica grazie al fondamentale
influsso culturale dell’Etruria padana, l’introduzione
della coltivazione della vite nel Piemonte meridionale e verosimilmente sulla costa ligure non sembra
essere anteriore alla seconda età del Ferro123; accanto a possibili prestiti culturali e tecnici etruschi, in
particolare in quelle zone a diretto contatto commerciale con le loro “enclaves” emporiche nell’alto Tirreno, si ritiene che lo sviluppo dell’attività vitivinicola
sia dovuto all’influenza esercitata da Marsiglia, grazie alla quale si sarebbe diffusa un tipo di coltivazione a ceppo basso e con sostegno morto, tradizionalmente attribuito ad ambito culturale greco124.
L’importanza che il consumo del vino andò ad
assumere presso i Liguri nel corso della tarda età
del Ferro è confermata sia dalle fonti letterarie,
come nel passo di Livio, che ricorda come i Liguri
Ingauni poco prima della battaglia decisiva contro
l’esercito di Emilio Paolo nel 181 a.C.125, non presero le armi nisi exsatiati cibo vinoque, sia dalle
fonti archeologiche, che attestano la capillare diffusione delle anfore vinarie italiche negli insediamenti liguri tra III e II sec. a.C.
Pur in assenza di conferme archeologiche l’esistenza di una viticoltura indigena è ipotizzabile
sulla base di un altro passo liviano, quando nel 180
a.C. A. Postumio debellò i Liguri Montani, devastando in modo sistematico il loro territorio e
facendo tagliare i loro vigneti126.
5. L’artigianato
La pratica della filatura in ambito domestico,
strettamente legata all’allevamento di ovini, è ben
documentata da numerose fuseruole, in genere
biconoche e tronconiche, e da pesi da telaio; ritrovamenti in tal senso sono stati effettuati in siti
indigeni della Liguria di Ponente, della Garfagnana e dell’alta Versilia127.
dato isolato di Tortona, dove semi di vite coltivata sono stati
rinvenuti in contesto di V sec. a.C.
124 GAMBARI 1994, pp.31-32. L’ampia diffusione sulla costa
ligure di anfore vinarie etrusche tra V e IV sec. a.C. attesta
l’importanza del commercio e del consumo di vino da parte
delle popolazioni indigene.
125 Liv. XL 28, 1 =FLLA 380.
126 Liv. XL 41, 5 =FLLA 389.
127 Nel castellaro di Bergeggi sono state rinvenute numerose
fusaiole fittili (DEL LUCCHESE et al. 1994, fig.23). Anche nel
complesso del Priamàr a Savona sono state rinvenute fusaiole
e pesi da telaio fittili di epoca preromana (cfr. Priamàr 1996,
p.30; fig.31,2). Sui ritrovamenti di Monte Pisone e di Colle delle
Carbonaie in Garfagnana cfr. CIAMPOLTRINI 1996, p.49;
fig.18,1-3; fig. 28, 13-17. Nell’insediamento di Monte Lieto sono
state rinvenute fuseruole bitroncoconiche e pesi da telaio tronco-piramidali (Pietrasanta 1995, p.95; figg. 54-55). Si ritiene
opportuno citare il ritrovamento di semi carbonizzati di lino
nell’abitato di Bora dei Frati, anche se si tratta di un insediamento etrusco, poichè essendo quella del lino una coltura finalizzata alla tessitura, potrebbe essere stato recepita tramite
scambi anche dalle vicine popolazioni liguri (Etruscorum 1990,
pp.259-260).
Luigi Gambaro
È attribuito a specialisti di origine etrusca la
pratica della metallurgia,in particolare della lavorazione del ferro, documentata a Genua tra V e IV
sec. a.C. sia sotto forma di materia prima (blocchi
di ematite dell’Elba), sia come scorie riferibili alla
lavorazione, che doveva avvenire in forni, ubicati
anche nell’area sommitale dell’oppidum128; dalla
stessa area provengono inoltre tracce di fusione di
minerali di piombo, che potrebbero rappresentare
la prova archeologica dell’estrazione dell’argento,
destinato alla coniazione129 .
6. Il commercio
L’avanzamento degli studi sul commercio
etrusco arcaico nel Tirreno permette di avanzare
nuove ipotesi sulle forme e i modi, con cui anche la
costa ligure fu almeno parzialmente interessata
da questo fenomeno. I ritrovamenti nel Golfo di
La Spezia e presso la foce del Magra, che si
aggiungono alle numerose testimonianze della
Versilia e in forma più discontinua a quelle del
Golfo del Tigullio (necropoli di Chiavari) e di
Genova, ripropongono il problema di un avvio di
tale fenomeno già nel VII sec. a.C. con sviluppo
nella tarda età arcaica e nel V sec. a.C., culminato
con la nascita dell’emporio genovese, avente
anche funzioni di irradiamento commerciale e culturale verso il Ponente ligure e almeno parzialmente verso il Basso Piemonte 130.
Passando alla tarda età del Ferro si può affermare che un asse privilegiato tra il mondo tirrenico centro-italico e la costa ligure si mantiene inal128 Cfr. il contributo di M.Milanese in Città ritrovata 1996,
pp.35-37; MELLI 1998c, p.433 che collega strettamente all’influenza etrusca l’introduzione della lavorazione dei metalli.
129 MILANESE 1987, pp.308-309; MILANESE 1993, p.305;
PIANA AGOSTINETTI 1996b, pp.206-207. Non è possibile
escludere la possibilità che la materia prima per l’estrazione
dell’argento, oltre che di importazione, derivasse da un’attività
estrattiva in ambito regionale, resa almeno teoricamente possibile dall’esistenza di mineralizzazioni piombo-argentifere in
diverse parti della Liguria (cfr. sul problema DEL SOLDATO
1996).
130 In generale cfr. SPADEA 1995, pp.356-358; SPADEA 1998,
pp.79-81; DE MARINIS 1998, p.63. G. Colonna comprende tra
i motivi che avrebbero spinto gli Etruschi verso le terre liguri la
ricerca di risorse minerarie e di schiavi, nonchè la possibilità di
arruolamento di mercenari (COLONNA 1998, p.265). Sulle
numerose testimonianze di insediamenti etruschi in Versilia
cfr. Etruscorum 1990. Sui dati della Liguria orientale costiera
cfr. DURANTE 1998a, pp.82-83 con bibliografia. Di eccezionale interesse è il ritrovamento a Lerici di una stele raffigurante
un guerriero ligure con datazione tra tardo VII ed inizi VI sec.
a.C., che presenta peculiari elementi tipologici e iconografici,
indizi di un influsso da parte della scultura funeraria dell’Etruria settentrionale; essa rappresenta un’ulteriore riprova,
insieme alle altre statue-steli lunigianesi dell’età del Ferro, di
un processo di acculturazione in senso etrusco, che caratterizza
la Liguria orientale in età arcaica (cfr. GERVASINI, MAGGIANI 1998, pp.28-61, in particolare pp.38-50). Su Genova cfr. il
contributo di M. Milanese in Città ritrovata 1996, pp.35-36;
MELLI 1998c, pp.433-434.
131 È stato ipotizzato che almeno parte dei monili d’argento cir-
69
terato tra IV e III sec. a.C., come risulta confermato archeologicamente dalla capillare diffusione
negli abitati indigeni di ceramiche da mensa, contenitori da trasporto e in misura minore di metallo pregiato 131. Nel corso del IV sec. a.C. la progressiva crisi delle città etrusche meridionali è
compensata dallo sviluppo di contatti commerciali tra area ligure e altri centri produttivi sia dell’Etruria settentrionale (Volterra e Pisa) che dell’area laziale-campana (Atelier des Petites
Estampilles)132.
Non bisogna tuttavia trascurare l’esistenza di
altre direttrici commerciali originantisi sia dall’ambiente focese-massaliota, come risulta documentato
tra IV e III sec. a.C. dalla capillare diffusione di anfore e ceramiche fini, che da quello celtico, dal quale
giunsero significativi apporti per quanto riguarda
l’armamento e l’ornamento personale133.
La richiesta di almeno parte di questi manufatti dipendeva dalla progressiva introduzione di
nuove usanze, derivate dall’influsso greco ed etrusco, come il banchetto, incentrato sul consumo del
vino, considerato presso diverse società indigene
protostoriche un bene di prestigio e di scambio,
riservato alle élites134.
Tali oggetti giungevano, oltre che come bottino, derivato da razzie e incursioni dei Liguri contro i centri romani ed etruschi della pianura
padana e dell’Etruria settentrionale e dalla pratica della pirateria, anche grazie a scambi comm e r c i a l i135 , che prevedevano come controparte
indigena la fornitura di materie prime, particocolanti in area ligure possa derivare dalla fusione di monete d’origine romana od etrusca (cfr. il caso dell’armilla in argento della
tomba femminile di Pian del Santo, databile ai decenni centrali
del III sec. a.C.). Su tale ipotesi cfr. CIAMPOLTRINI 1995a,
p.112. Una conferma del lungo permanere di contatti tra Liguri
ed Etruschi potrebbe essere data anche da un importante documento epigrafico, un graffito vascolare dalla necropoli di Ameglia, su cui è riportato in lingua etrusca un antroponimo ligure
(Enilastus) (cfr. GAMBARI, COLONNA 1988, p.154).
132 In generale sul commercio nella Liguria costiera tra IV e III
sec. a.C. cfr. SPADEA 1998, pp.79-81. Su Genova cfr. le considerazioni di DE MARINIS 1998, p.66 e MELLI 1998c, pp.434435. La diffusione di analoghe merci anche nel Piemonte meridionale è sicuramente legata all’esistenza di vie commerciali di
attraversamento appenninico, come l’asse Polcevera-Scrivia
(cfr. la sintesi sulla Liguria interna in GAMBARI, VENTURINO GAMBARI 1988, pp.137-138).
133 Sulle anfore massaliote l’unico tentativo di sintesi regionale è quello tentato da MILANESE 1990. Sulle panoplie celtiche
in area ligure, a testimonianza di probabili infiltrazioni anche
di gruppi celtici, cfr. le armi della necropoli di Ameglia
(DURANTE 1998a, pp.82-83 con bibliografia precedente).
134 Il ruolo del vino nella Liguria protostorica potrebbe avvicinarsi a quanto è riconosciuto per la società gallica della Narbonese (cfr. TCHERNIA 1987, pp.330-331; LAUBENHEIMER
1990, pp.71-75).
135 I Liguri erano definiti oltre che duri et agrestes anche men daces (mentitori); quest'ultimo epiteto in genere veniva attribuito dai Romani a popolazioni che praticavano attività di mercatura marittima e la pirateria (cfr. GIARDINA 1994, pp.45-46).
70
LA LIGURIA COSTIERA TRA III E I SECOLO a.C.
larmente lana e legname, richieste per esigenze
belliche da Roma e dai centri etruschi alleati,
come Pisa, durante la prima guerra punica136 .
Un’ultima considerazione deve essere fatta
sul fenomeno del mercenariato ligure, ampia-
mente attestato dalle fonti, che dovette avere
importanti implicazioni anche di carattere economico, fungendo da veicolo di trasmissione, oltre
che di idee, anche di manufatti, come merci,
monete, armi.
136 CIAMPOLTRINI 1996, p.60; CIAMPOLTRINI 1995a, pp.
111-112; CIAMPOLTRINI, PIERI 1997, pp. 42-44. Come moneta di scambio da parte indigena per procurarsi il vino e le merci
italiche è possibile che venissero utilizzati anche schiavi, come
è documentato presso le popolazioni celtiche transalpine (cfr.
Diod. V,26,3 che accenna alla consuetudine di barattare uno
schiavo in cambio di un’anfora).
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