Il contesto storico della tragedia (a cura di Ludovica Canu, Lorenzo Marilotti e Alessandro Meloni, cl. 2° D) La data del 534 a.C. in cui Tespi avrebbe messo in scena ad Atene la prima tragedia, è evidentemente una convenzione. L’invenzione della tragedia infatti, si ha per la prima volta quando un uomo esce dalla sua identità anagrafica e riveste quella di un personaggio del passato storico o mitico che sia. [cfr. Dario del Corno, La letteratura greca 2, 2.1] Dunque la tragedia come fenomeno culturale si situa a partire dalla seconda metà del VI sec, a.C. Quali sono i presupposti storico-politici che contribuiscono a determinare la nascita di questo genere letterario? Dal punto di vista politico Atene alla fine del VII sec. a.C. era una delle più arretrate e meno importanti poleis greche, nonostante il territorio controllato fosse molto vasto. La città era governata dall’Areopago, espressione di una ristrettissima aristocrazia, che conservava le tradizioni degli antenati ed era il custode dell’antica “sapienza”. La svolta si ebbe negli ultimi anni del VII sec. a.C. quando i contatti commerciali con l’isola di Egina modificarono il tessuto sociale ateniese. Fu introdotta la moneta: un bene che può essere tesaurizzato. Dracma Ateniese Le persone che investivano nel commercio (soprattutto aristocratici) potevano accumularne grandi quantità e ottenere un forte potere sociale. I nobili dunque divennero grandi proprietari terrieri a discapito della fascia dei piccoli proprietari e dei contadini i quali non potendo pagare i debiti spesso venivano ridotti in schiavitù. L’impoverimento di questi causò delle lotte sociali che vennero placate con la concessione dei pieni poteri a Solone nel 594 a.C. che limitò il potere dei grandi proprietari e dello Areopago e divise la società in classi sociali in base ai possedimenti terrieri. Secondo Aristotele lo sgravio dei debiti (Seisàchtheia) deciso dalla riforma soloniana aveva favorito anche alcuni imprenditori ricchi che avevano contratto dei debiti in seguito all’acquisto di terreni [cfr. Costituzione degli Ateniesi 6,2]. Busto di Solone All’inizio del VI secolo Atene era ancora ostacolata dall’egemonia delle grandi città che sorgevano intorno a lei. Per sfuggire alla pressione di queste trovò nell’Eubea un fidato sbocco commerciale grazie al quale sviluppò una piccola imprenditoria. Nonostante la riforma di Solone avesse appianato i contrasti sociali, essa non teneva conto del nuovo ceto e dunque si ricreò un clima di forte tensione tra i sostenitori della riforma soloniana e chi richiedeva un cambiamento (paràlii e diacri). Per risolvere questa situazione fu chiamato nel 546 a.C. come arbitro Pisistrato il quale, possedendo una notevole fetta delle miniere argentifere greche e appoggiato dalla classe dei piccoli proprietari, ebbe un facile consenso sulla popolazione dell’Attica. Egli riuscì a trasformare i suoi privati mercenari in guardie del corpo con una deliberazione dell’Ecclesìa e con questi occupò l’Acropoli [cfr. Cost. At. 14, 1]. Grazie alle sue notevoli possibilità economiche mantenne un forte potere anche nelle occasioni in cui fu esiliato. L’età di Pisistrato pose le basi allo sviluppo del secolo successivo di Atene. Egli infatti condusse una politica coloniale e commerciale: appoggiando le colonie ateniesi in Tracia (da lui create), ostacolò lo sviluppo economico e militare di Mègara. Inoltre era presente ormai un forte contatto con l’Impero persiano attraverso le colonie ioniche. Contemporaneamente l’economia schiavistica si stava affermando in Grecia. Questa causò un cambiamento radicale nel modo di pensare greco, modificando i tradizionali assetti sociali: la mentalità aristocratica, infatti, che trovava ragione nel mito, fu sostituita dalla mentalità delle nuove classi proprietarie che promuoveva valori di carattere tecnico-utilitaristico. Le tensioni sociali, nate da questo cambiamento, causarono incertezza di tipo morale e dunque vi fu la necessità da parte degli uomini di trovare delle risposte sulla loro condizione. A manifestazione di questo, si riscontra la nascita della tragedia. Le tragedie infatti essendo manifestazioni pubbliche e politiche avevano funzione pedagogica sul popolo, e, trovando le proprie fondamenta nella cultura tradizionale aristocratica e oracolare riproponevano quei valori, dandone però una lettura nuova, che potesse trovare risposte agli interrogativi nuovi. [cfr Bontempelli/Bruni, Il senso della Storia Antica, Tesi 6,6; Tesi 7,5-8-9; Tesi 8, 2-5] Grecia e Persia VI sec a.C. È importante ricordare che questo è il periodo in cui l’uomo si trova di fronte alla folgorante rivelazione della dimensione tragica,connaturata con la sua esistenza carica di conflitti, allorché intuisce il contrasto insanabile alla base della vita. Questo conflitto trova nell’azione il proprio naturale veicolo di espressione. L’azione a sua volta, nasce dalla volontà che sperimenta il male di vivere nel conflitto con il destino. La tragedia nasce infatti dalla scoperta dell’uomo di poter vivere un’altra realtà e che in questa potesse manifestare la terribile verità che gli è stata rivelata: la vita umana come inespiabile dolore. [cfr. Dario del Corno, La letteratura greca 2,2.1] . “Immortali” Persiani Un apporto fondamentale all’idea del tragico nel mondo greco fu dato dalle Guerre Persiane: un conflitto etnico-culturale prima ancora che militare. I Greci infatti ritenendosi liberi, si contrapponevano all’ Impero Persiano che invece consideravano un insieme disordinato di popoli servi del Gran Re. La paura dell’ineluttabile occupazione persiana dunque suscitò nei Greci la coscienza di un possibile rovesciamento della loro situazione. Nelle tragedie infatti è fondamentale il rapporto tra l’ineluttabilità del destino e la responsabilità dell’uomo; in esso si manifesta l’esito di uno scontro storico che l’epoca di Eschilo vive in tutta la sua drammaticità. Si affermava inoltre la fiducia razionalistica nella capacità umana di dominare gli eventi a cui le vittorie sui Persiani offrivano alimento. [cfr. Dario del Corno,La letteratura greca 2, 2.5.6]