la struttura dell`economia italiana

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LA STRUTTURA DELL’ECONOMIA
ITALIANA:
IL LATO DELLA DOMANDA
PRODUTTIVITA’ : IL LEGAME DOMANDA E OFFERTA
• La produttività è rilevante anche dal lato della
domanda:
a) bassa crescita della produttività incide sulla
competitività e sui redditi e di conseguenza sui
consumi delle famiglie, sugli investimenti e sulle
esportazioni.
b) Allo stesso tempo la dinamica di queste variabili dal
lato della domanda, e in particolare degli
investimenti, incidono sull’andamento dell’offerta
c) Per cui la dinamica temporale degli investimenti degli
ultimi venti anni, ha condizionato il processo di
accumulazione e il progresso tecnologico.
La legge di Kaldor-Verdroon
•
•
•
•
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•
•
Nella letteratura economica, numerosi studi hanno tentato di individuare le
determinanti di lungo periodo del saggio di crescita della produttività del lavoro
per l’economia italiana che possono essere riassunti in due filoni:
I) Fattori di offerta: capitale umano, capitale sociale, costo del lavoro, R&S,
infrastrutture, criminalità, investimenti (Centorrino e Ofria, 2008; Destefanis e
Sena, 2009; Travaglini, 2012).
Il secondo, rifacendosi alla legge di Verdoorn (1949), sostiene, invece, che esiste
una relazione stabile di lungo periodo tra i tassi di crescita della produttività del
lavoro e quelli della produzione.
Le cause di questa legge, secondo Kaldor (1966), sono da cercare:
1) nell’irrilevanza delle “dotazioni” iniziali nel processo di crescita;
2) nella presenza di economie statiche e dinamiche e di processi di learning by
doing;
3) nell’importanza del processo di specializzazione e di interazione tra imprese;
4) nell’endogenità del progresso tecnico, incorporato nel capitale; argomento
questo, successivamente a Kaldor, ripreso dai cosiddetti teorici della “crescita
endogena”.
• Per il primo filone, dunque, la crisi della crescita della
produttività degli anni Novanta deve essere spiegata
come conseguenza della scarsità di capitale umano,
presenza di distorsioni nel mercato dei beni e servizi,
eccessivo costo del lavoro, carenza di investimenti.
• Per il secondo, essa è principalmente conseguenza
della crisi del saggio di crescita della domanda,
dovuta in primis alla contrazione: 1) del saggio di
crescita delle esportazioni italiane, anche in seguito alla
loro ridotta competitività di prezzo; 2) della spesa
pubblica e dei consumi privati, in seguito ai ben noti
vincoli posti dai parametri di Maastricht e dal Patto di
stabilità e sviluppo (Piacentini e Prezioso, 2007).
Produttività media del lavoro
• La produttività media del lavoro è rilevante
nell’analisi perché da essa dipende il famoso
“costo del lavoro”.
• Costo del lavoro per unità di prodotto” (CLUP,
in inglese ULC: Unit Labour Cost).
• Rapporto fra i redditi unitari da lavoro
dipendente (il costo del lavoro per addetto) e
la produttività media (il prodotto per addetto):
• Se la produttività aumenta, il CLUP a parità di altre
condizioni (cioè se il reddito medio da lavoro
dipendente rimane fisso) diminuisce: lo stesso costo
del lavoro per addetto si ripartisce su un numero più
ampio di prodotti. Nelle condizioni di mercato
oligopolistico (pochi produttori) oggi prevalenti, il
prezzo del prodotto viene determinato come margine
sui costi medi variabili (principio del costo pieno).
Quindi, in linea di principio, quando la produttività
aumenta e il CLUP diminuisce diminuiscono anche i
prezzi (alla produzione): l’impresa diventa più
competitiva.
Produttività media del lavoro:
la dinamica
•
•
•
•
•
Quello che conta in effetti è la dinamica della produttività.
Il problema non è tanto se la produttività è “alta” o “bassa”, quanto se aumenta o
diminuisce, esattamente per lo stesso motivo per il quale, quando ragioniamo in
termini di prezzi, il problema non è se il paese X ha prezzi bassi o alti, ma se essi
calano o crescono rispetto ai prezzi del paese Y.
Ora, normalmente ci aspettiamo che la produttività media di un paese aumenti, e
questo per diversi motivi.
Il primo è il progresso tecnico: gli stessi occupati con macchine migliori producono
di più.
Il secondo è il capitale umano: gli stessi occupati con le stesse macchine
producono di più quando diventano più esperti o se hanno ricevuto un’istruzione
migliore.
Il terzo è il cambiamento strutturale. Supponiamo che nell’anno t vada in
pensione un agricoltore e venga assunto un informatico: gli occupati sono gli
stessi, ma il valore aggiunto è aumentato (un software costa più di una patata),
quindi la produttività del paese è aumentata.
• Quello che conta, in un indice, è la dinamica, non
il valore.
• Quello che interessa, è come si è sviluppata la
produttività nel tempo.
Quello che la figura ci dice è che la produttività
tedesca è raddoppiata (da 100 a 200) in 23 anni
(dal 1970 al 1993), quella italiana in poco di più
(dal 1970 al 1997), dopo di che quella tedesca ha
continuato a crescere, e quella italiana si è
sostanzialmente appiattita.
La produttività non è esogena
La produttività non è esogena
• Si percepisce, credo, che entrambe le serie
tendono a decrescere nel tempo: per la
produttività lo abbiamo già visto, la sua crescita si
arresta più o meno dal 1996, e da allora in effetti
il suo tasso di crescita (spezzata blu in Fig. 4)
oscilla attorno allo zero (asse orizzontale). Le due
serie in effetti decrescono insieme: la loro
correlazione, è positiva e significativa:
• sia la crescita della produttività che quella delle
esportazioni col tempo diminuiscono.
Come interpretare tale correlazione?
• 1) E’ la diminuzione della produttività che determina
(causa) una diminuzione delle esportazioni:
Siamo diventati meno produttivi, quindi il nostro CLUP è
cresciuto, quindi i nostri prezzi sono aumentati, quindi
siamo diventati meno competitivi, quindi le esportazioni
sono diminuite?
• Un economista direbbe che la causazione è
unidirezionale: dalla produttività alle esportazioni.
• La sua logica: una logica neoclassica: dato che per
esportare prima devi produrre, è chiaro che più
produci più esporti.
non sempre quello che viene prima causa quello
che viene dopo. Tuttavia è abbastanza difficile
che quello che viene dopo abbia causato quello
che viene prima.
Questo principio è stato messo in pratica da un
premio Nobel recentemente scomparso,Clive
Granger, per elaborare un test di non causalità.
La produttività non è esogena
• 2) L’esperienza mostra che la domanda può
effettivamente porre un vincolo alla crescita
economica e la storia economica fornisce decine
di conferme: le grandi potenze economiche nella
fase del proprio decollo hanno regolarmente
praticato politiche mercantilistiche, fondate
sull’essere liberiste a casa altrui e protezioniste a
casa propria, semplicemente perché per
promuovere la crescita del proprio prodotto e
quindi della propria produttività era
indispensabile dotarsi di mercati di sbocco di
taglia adeguata.
La produttività non è esogena
• Questa intuizione è formalizzata nel modello kaldoriano di
crescita, che ha due componenti essenziali:
• la prima è la cosiddetta “legge di Thirlwall”, che stabilisce
che la crescita di un’economia è direttamente
proporzionale a quella delle sue esportazioni (da Anthony
Thirlwall, 1979, “The balance of payments constraint as an
explanation of international growth rate
differences”, Banca Nazionale del Lavoro Quarterly Review).
• La seconda è la “legge di Verdoorn”, che stabilisce che la
crescita della produttività è proporzionale alla crescita
dell’economia (da Petrus Verdoorn, 1949, “Fattori che
regolano lo sviluppo della produttività del
lavoro”, L’Industria, n. 1).
La causazione circolare
• Queste due leggi interagiscono in un meccanismo di
causazione circolare e cumulativa di questo tipo:
• se un paese riesce (ad esempio adottando un tasso di
cambio sostenibile) a promuovere le proprie
esportazioni, il suo prodotto cresce, il che determina
un incremento della produttività, il che determina
una riduzione del CLUP, il che determina un aumento
della competitività, il che determina un ulteriore
aumento delle esportazioni, e si ricomincia
• (il modello è esposto in dettaglio da Anthony Thirlwall,
2002, The Nature of Economic Growth, Cheltenham:
Edward Elgar).
Il vincolo della domanda
• Insomma: il presupposto del “decollo” di un sistema
economico è che si riesca ad allentare il vincolo della
domanda.
• Politiche di “vincolo esterno” basate su un cambio
sopravvalutato ovviamente vanno nella direzione
opposta, e del resto l’imposizione (o la “calda
raccomandazione”) di adottare un cambio sopravvalutato
alle economie “periferiche” è sempre il primo
imprescindibile passo della strategia di conquista messa in
pratica dalle potenze mercantiliste(come ampiamente
descritto da Roberto Frenkel e Martin Rapetti, 2009, “A
developing country view of the current global
crisis”, Cambridge Journal of Economics).
Il PIL
• Il PIL ci offre diverse informazioni sulla
struttura economica di un paese a secondo del
metodo di calcolo che utilizziamo per stimarlo.
LA MISURAZIONE DEL PIL
IL METODO DELLA SPESA AGGREGATA
• PIL = Spesa aggregata = Consumo +
Investimenti + Spesa pubblica + Esportazioni
nette
Tavola 1. Conto economico delle risorse e degli impieghi - Valori a prezzi correnti (Milioni di euro)
AGGREGATI
Consumi finali delle famiglie (C)
Consumi collettivi (G)
Consumi totali (C+G)
2006 %
2007 %
2008 %
2009 %
2010 %
875.757 59 905.115 58 925.991 59 911.097 60 934.293 60
303.881 20 309.253 20 321.422 20 331.215 22 334.080 21
1.179.638 79 1.214.368 78 1.247.413 79 1.242.313 81 1.268.373 82
Investimenti fissi lordi (I)
325.565 22
343.720 22
340.837 22 292.543 19 317.368 20
Esportazioni di beni e servizi (X)
412.377 28
448.408 29
448.227 28 360.881 24 414.794 27
Importazioni di beni e servizi (Q)
424.548 28
452.297 29
461.333 29 368.946 24 444.507 29
Esportazioni nette (NX)
-12.172 -1
Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato
Fonte: Elaborazioni su dati Istat
-3.889
0
-13.106 -1
-8.066 -1 -29.713 -2
1.493.031 100 1.554.199 100 1.575.144 100 1.526.790 100 1.556.029 100
Il conto economico delle risorse e degli impieghi
• Y+Q=C+I+G+X
• Il conto economico delle risorse e degli
impieghi fornisce un quadro sintetico delle
fonti (risorse) e delle utilizzazioni (impieghi)
dei beni all’interno di un paese in un dato
periodo di tempo.
• La disponibilità dei beni può essere acquisita
da un paese mediante la produzione interna
(Y) o le importazioni (Q).
Conto economico delle risorse e degli impieghi 2010
RISORSE
IMPIEGHI
PIL (Y)
1.556.029 Consumi finali delle famiglie (C)
IMPORTAZIONI (Q) 444.507 Consumi collet ivi (G)
Investimenti fissi lordi (I)
Esportazioni di beni e servizi (X)
TOTALE
2.000.536
934.293
334.080
317.368
414.794
2.000.535
• Il conto economico delle risorse e degli
impieghi indica anche se un paese in un dato
anno ha prodotto più di quanto ha assorbito
all’interno e quindi ha accumulato un credito
nei confronti del resto del mondo.
• Nel 2010:
• PIL<C+I+G
• L’ITALIA HA ACCUMULATO DEBITO NEI
CONFRONTI DEL RESTO DEL MONDO
Le componenti della spesa aggregata in % del
Pil) anno 2010
60% 60%
60%
50% 50%
50%
40% 40%
40%
30%
30%
30%
20%
20%
20%10%
10%
10% 0%
0%
0%
IL CONSUMO DELLE FAMIGLIE
• I dati della tabella 1 mostrano che la prima
componente del PIL in tutti gli anni considerati è
il consumo delle famiglie. La propensione media
al consumo (C/PIL) è costante nei diversi anni e si
aggira intorno al 60%.
• Un dato più significativo, per quanto riguarda la
propensione al consumo delle famiglie è fornito
dal rapporto tra il consumo e il reddito
disponibile lordo delle famiglie, in quanto il Pil è
riferito all’intera economia.
CONSUMI DELLE FAMIGLIE
• Il consumo delle famiglie (934.293) è la parte
preponderante degli impieghi.
• La figura 1 illustra l’andamento del consumo
privato pro capite in parità di potere d’acquisto.
Una misura alternativa del tenore di vita dal 1960
al 2012 nei principali paesi europei, mettendolo a
confronto con quello degli Stati Uniti.
• L’Italia riduce la distanza relativa in termini di
consumo pro capite rispetto all’economia
statunitense fino alla metà degli anni Ottanta
(dal 51% al 71%).
CONSUMI PRO-CAPITE
ITALIA
75,78796
70,78796
65,78796
60,78796
55,78796
50,78796
1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012
• Ma negli ultimi due decenni la distanza tra i
consumi pro capite è tornata ai livelli che
aveva agli inizi degli anni Settanta (circa il 57%
del consumo pro capite).
• La propensione media al consumo C/Y di Pil
rimane costante intorno al 60% negli ultimi
quarant’anni.
• Ma Qual è stato l’andamento dei consumi
rispetto al reddito disponibile?
Reddito disponibile
• Ricordiamo:
• Rd= somma dei redditi da lavoro dipendente e
indipendente, dei redditi da proprietà (al lordo
degli ammortamenti), delle prestazioni sociali e
del saldo dei trasferimenti, al netto delle imposte
su reddito e patrimonio e dei contributi sociali.
• Nel 2007
• PIL = 1.554 miliardi di euro
• Rd = 1.295 miliardi di euro
• Rd= 84% del Pil
Il reddito disponibile delle famiglie nel periodo 1992-2011
(Rapporto annuale Istat 2012-pag. 140)
• Negli ultimi due decenni la spesa per consumi
delle famiglie è cresciuta a ritmi più sostenuti
del loro reddito disponibile, determinando
una progressiva riduzione della capacità di
risparmio.
Tavola 2.25 Potere d'acquisto, carico fiscale, propensione al risparmio
e al consumo delle famiglie
consumatrici - Anni 1992-2011 (variazioni e valori percentuali)
• Nel corso degli anni Novanta la propensione al
risparmio delle famiglie è calata di circa 11
punti percentuali, passando dal 22,2 per cento
del 1992 all’11,3 del 2009.
• Si può comunque distinguere un primo periodo (1992-1996) in cui il
reddito e i consumi delle famiglie hanno presentato dinamiche
simili, mantenendo relativamente stabile la propensione al
risparmio intorno al valore medio del 21 per cento.
• Nella seconda metà degli anni Novanta, invece, la crescita dei
consumi delle famiglie è stata molto più marcata di quella del
reddito: negli anni 1997-2000 ha registrato un aumento medio del
5,3 per cento, il reddito disponibile del 2,5 per cento.
• Ciò ha prodotto una drastica riduzione della propensione al
risparmio delle famiglie che in quel periodo si è attestata su un
valore medio del 14 per cento.
Formazione, distribuzione e impieghi del reddito disponibile delle
famiglie consumatrici - Anni 1992-2011 (variazioni
percentuali)
I dati per la nostra economia sollevano due
questioni tra loro interconnesse.
La prima è quali fattori spieghino l’aumento dei
consumi pur in presenza di un reddito
stazionario negli anni Novanta.
La seconda è se la mancata crescita della spesa
delle famiglie negli ultimi anni sia da ritenersi
un episodio temporaneo o sia invece
l’anticipazione di un rallentamento strutturale
della domanda, conseguenza di una
trascurabile crescita economica, con cui
confrontarsi negli anni futuri.
• Bisogna rilevare che tale situazione non è
dovuta tanto ad una crescita sostenuta dei
consumi, quanto piuttosto ad una crescita
alquanto modesta del reddito.
• Tutto ciò si è riflesso in una diminuzione del
risparmio e della propensione media al
risparmio come possiamo notare dalla figura
sotto.
Figura 2.28 Propensione al risparmio, tasso di crescita del reddito disponibile e della
spesa per consumi finali delle famiglie
consumatrici - Anni 1992-2011 (variazioni e valori percentuali)
• Come possiamo leggere nel Rapporto Istat
(2011), la risposta delle famiglie italiane, volta
a mantenere il livello dei consumi, è stata una
progressiva erosione del tasso di risparmio,
sceso per la prima volta al di sotto di tutte le
altre grandi economie dell’Uem (Figura 1.13)
LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE
• Come è stato finanziato l’eccesso di consumo rispetto
al reddito disponibile?
• La ricchezza delle famiglie ha subito un’impennata a
partire dalla metà degli anni novanta in seguito alla
bolla speculativa verificatasi sui mercati azionari e
l’aumento di valori dei beni immobiliari.
• Il Consumo dipende anche dalla ricchezza, ma in
misura poco rilevante rispetto al reddito.
• Nei prossimi anni (2011 in poi), se il reddito disponibile
non tornerà a crescere a ritmi sostenuti assisteremo a
un appiattimento se non ad una diminuzione dei
consumi.
Consumi:2011-2013
(cosa è accaduto?)
• Una contrazione dei consumi superiore a quella del reddito
disponibile delle famiglie non si era registrata nemmeno in
occasione di recessioni particolarmente pronunciate, come
quelle dei primi anni novanta e del 2008-09.
• Nel periodo compreso tra il terzo trimestre del 2011 e il
terzo del 2013, il calo medio del reddito disponibile,
valutato in ragione d’anno, è stato pari al 2,7 per cento; la
diminuzione dei consumi è risultata del 3,2.
• Nelle due recessioni precedenti il tenore di vita delle
famiglie era stato invece parzialmente salvaguardato grazie
a una compressione del saggio di risparmio; la riduzione
media dei consumi era stata rispettivamente del 2,1 e dello
0,9 per cento, la flessione del reddito disponibile pari al 2,7
e al 2,0 per cento.
• Sulla base dei dati dell’indagine dei consumi svolta
dall’Istat, tra il 2008 e il 2012 le famiglie italiane hanno
operato una ricomposizione nei propri acquisti,
riducendo soprattutto quelli considerati comprimibili
(vestiario e calzature, mobili, elettrodomestici e beni e
servizi per la manutenzione della casa, trasporti).
• Ne è disceso un ridimensionamento dell’incidenza di
queste voci sul totale della spesa, che si è
accompagnato a un aumento di quella in affitti e servizi
per la casa; la quota dei consumi alimentari è invece
rimasta pressoché invariata
• Nel periodo compreso tra il terzo trimestre del 2011 e
il terzo del 2013, il calo medio del reddito disponibile,
valutato in ragione d’anno, è stato pari al 2,7 per cento;
la diminuzione dei consumi è risultata del 3,2.
• Nelle due recessioni precedenti il tenore di vita delle
famiglie era stato invece parzialmente salvaguardato
grazie a una compressione del saggio di risparmio; la
riduzione media dei consumi era stata rispettivamente
del 2,1 e dello 0,9 per cento, la flessione del reddito
disponibile pari al 2,7 e al 2,0 per cento.
Una ricomposizione dei consumi
• Anche le abitudini di spesa sono cambiate. In base ai
dati dell’Indagine intermedia sulle famiglie italiane
condotta dalla Banca d’Italia nel 2013, negli ultimi tre
anni è aumentata la frequenza di acquisto
• di beni alimentari presso i discount;
• il ricorso ai canali distributivi tradizionali per la spesa di
abbigliamento e calzature si è progressivamente
ridotto.
• Circa un quarto delle famiglie, e in particolare quelle
con persona di riferimento in età compresa tra i 45 e i
64 anni, ha dichiarato di aver acquistato beni
alimentari di qualità inferiore rispetto al passato.
GLI INVESTIMENTI FISSI
La spesa per investimenti rappresenta il mezzo
attraverso cui un paese conserva e accresce il
suo potenziale produttivo.
Essi sono anche un importante fonte di
domanda di produzione.
Come possiamo notare dalla tabella delle risorse
e degli impieghi essi mediamente
corrispondono al 20% del Pil nei vari anni.
• L’accumulazione di capitale riveste un ruolo
particolarmente importante per il rilancio
della domanda interna, in particolare in
periodi, quale quello attuale, caratterizzati da
limitate prospettive di crescita del reddito
disponibile e dei consumi.
Investimenti e clima di fiducia
• Nell’attuale crisi, l’elevato livello d’incertezza e le condizioni di scarsa
liquidità abbiano amplificato la caduta della spesa per investimenti, con
un impatto differenziato rispetto alle singole componenti dei beni capitali.
• La dinamica degli investimenti del settore privato mostra una reattività
ciclica molto elevata (Figura 1.15).
• Nel 2009, a fronte di una caduta eccezionalmente ampia del Pil (5,5 per
cento) gli investimenti del settore privato - macchine e attrezzature,
fabbricati non residenziali e tecnologie dell’informazione e comunicazione
(Ict) - hanno subito una contrazione assai più marcata (pari al 15,8 per
cento); nell’anno successivo, il modesto recupero del prodotto si è
tradotto in una ripresa più accentuata dell’accumulazione.
• Nella fase recessiva del biennio 2012-2013, con cali del Pil
rispettivamente del 2,4 e dell’1,9 per cento, la contrazione degli
investimenti è stata di nuovo molto marcata (rispettivamente -8,7 per
cento e -3,3 per cento).
L’investimento influenza lo stock di capitale dell’economia in ogni
anno
t
ed
è
contabilmente
pari
a:
• Da notare è che in media il 75% degli investimenti
complessivi (o lordi) sono ammortamenti, mentre
il restante rappresenta il nuovo investimento
netto, che costituisce un incremento del capitale
e di conseguenza della capacità produttiva
dell’economia.
• La maggior parte della spesa per investimenti
serve quindi per impedire allo stock di capitale di
diminuire.
• La variazione nel tempo dell’investimento è un
segnale di crescente o decrescente fiducia
delle imprese sul futuro dell’economia.
• Il rapporto capitale-lavoro ed il progresso
tecnologico sono strettamente connessi alla
dinamica dell’investimento.
• Gli investimenti rappresentano un quinto del Pil però
VARIABILE CRUCIALE PER L’ATTIVITA’ ECONOMICA
1)
Dal lato dell’offerta: veicolo cruciale attraverso cui le innovazioni
tecnologiche vengono trasferite al processo produttivo influenzando la
produttività del lavoro.
2) Dal lato della domanda: un loro aumento genera un processo
moltiplicativo della domanda e del reddito.
3) Sono la parte più volatile della domanda aggregata, come possiamo
notare dalla figura sotto nel confronto con i consumi delle famiglie.
Dalla figura possiamo notare che consumi e investimenti variano nella stessa
direzione (entrambi dipendono dal reddito) ma gli investimenti oscillano
molto più del consumo.
25
20
15
10
5
0
-5
-10
-15
Investimenti
Consumi
• La giustificazione più semplice a tale
osservazione empirica è che gli investimenti
sono legati alle aspettative sulle vendite
future.
• Se le imprese si aspettano che l’aumento delle
vendite non è temporaneo possono decidere
di investire più di quanto siano aumentate le
vendite e il contrario.
L’intensità di capitale
(K/L)
• La dotazione di capitale per lavoratore è alla
base della produttività del lavoro, in quanto:
• anche se approssimativamente, essa è una
misura del grado di sviluppo del processo
produttivo.
• L’ipotesi che si fa è che quanto maggiore è la
dotazione di capitale per lavoratore tanto più
avanzato è il processo produttivo e quindi
tanto più produttivo è il lavoro.
• In Italia dalla metà degli anni novanta si è
assistito ad una crescita dell’occupazione
(riforme del mercato del lavoro).
• In termini del rapporto capitale/lavoro il
denominatore è cresciuto molto di più del
numeratore, e ciò grazie all’effetto congiunto
delle riforme del mercato del lavoro e dello
sviluppo di attività a maggior intensità
lavorativa
• Negli anni ottanta e fino alla metà degli anni
novanta in Italia il tasso di disoccupazione è stato
abbastanza elevato e la crescita dell’occupazione
è stata quasi nulla intorno alla 0,1%
• mentre gli investimenti netti sono cresciuti ad
una media annua del 2,6%.
• Il risultato è stato una crescita media annua, nel
quindicennio considerato, del rapporto
capitale/lavoro del 2,5% circa (=2,6-0,1).
• Nel periodo successivo fino al 2007, non
considerando quindi gli ultimi anni aggravati
dall’eccezionale crisi economica, l’occupazione è
cresciuta dello 0,8%.
• Per mantenere, almeno stabile la crescita del
rapporto, gli investimenti avrebbero dovuto
crescere ad un tasso del 3,3% (2,5%+0,8%).
• Cosa è in effetti avvenuto ce lo mostra la figura
sotto riportata. Il tasso di crescita degli
investimenti è stato in media del 1,6%.
La dinamica del capitale netto: tassi di variazione annui
capitale netto
4
3,5
3
2,5
2
capitale netto
1,5
1
0,5
0
• Gli investimenti nascondono al proprio
interno andamenti contrastanti:
a) Investimenti delle imprese esportatrici
(incentivate a investire ma come sappiamo
costituiscono la minoranza del sistema
produttivo)
b) Investimenti delle imprese che producono
solo per il mercato interno (non incentivate a
investire – consumi interni in rallentamento)
POSSIBILI MOTIVAZIONI
• 1) stagnazione della domanda interna e in particolare nella diminuzione
dei consumi e quindi delle vendite, dovuti a loro volta alla diminuzione del
reddito.
• 2) Maggiore flessibilità dell’impiego di lavoro introdotta in Italia con le
riforme del mercato del lavoro degli anni novanta attraverso i contratti a
tempo determinato e le altra forme di lavoro atipico. La più elevata
flessibilità di utilizzo del lavoro, soprattutto di quello meno qualificato, ne
ha ridotto il costo favorendo così una crescita occupazionale senza
precedenti che ha prima interrotto e poi invertito la tendenza alla crescita
del tasso di disoccupazione. Ma, in assenza di altri interventi come ad
esempio lo stimolo ad una maggiore concorrenza sul mercato dei beni, ha
mutato anche in profondità le caratteristiche dei processi produttivi.
• Analizzando i dati nazionali maggiormente
disaggregati, si osserva che in Italia la crescita
dell’impiego di lavoro ha toccato soprattutto
settori ad alta intensità di lavoro e a
produttività modesta e stagnante:
considerando l’intero periodo 2001-2010
(comprensivo, quindi, della recente crisi), i
primi tre settori sono quelli dei servizi alle
imprese, del lavoro domestico e delle
costruzioni.
• GLI SCAMBI CON L’ESTERO
GLI SCAMBI CON L’ESTERO
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