14 gennaio

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Divisione e partecipazione dei comunisti: un’articolata ricostruzione del Supremo Collegio
L’autonomia contrattuale riconosciuta dall’ordinamento ai singoli consente di procedere in via
negoziale, in alternativa alla via giudiziale, alla regolazione dei rapporti della comunione tra i coeredi,
ivi compreso lo scioglimento della comunione limitatamente ad uno solo dei coeredi; sicché se le
parti ritengono di regolare contrattualmente lo scioglimento della comunione nei confronti di uno solo
dei coeredi, non è necessario che al contratto partecipino tutti i coeredi, dal momento che ciò che è
necessario ove si proceda in via giudiziale, non lo è laddove le parti procedano in via negoziale.
Il commento
La sentenza in commento non è - come spesso accade di fronte ad intricate vicende successorie chiarissima in tutti i suoi passaggi; da un lato sembra affermare la validità di una divisione ereditaria
soggettivamente parziale pur laddove alla stessa non partecipino tutti i condividenti, dall’altro dalla
descrizione della vicenda fattuale sembra emergere una fattispecie diversa. Sembrerebbe, cioè,
che, sorta la comunione ereditaria e liquidato un coerede, quest’ultimo non abbia preso parte al
negozio con cui è stata stralciata la posizione di altro coerede ancora. Ora se così davvero sono
andate le cose - ma ripetesi la sentenza non è un modello di chiarezza in tal senso - non si
comprende come possa dubitarsi della scrittura privata da cui è sorta la causa. Il coerede stralciato
è fuoriuscito dalla comunione ereditaria che è divenuta una comunione oggettivamente e
soggettivamente parziale; va da sé che al successivo negozio divisorio devono partecipare solo
coloro che possono ancora fregiarsi del titolo di comunisti. Ma non finiscono qui le contraddizioni
della pronuncia; da un lato essa sembra ammettere una divisione vincolante senza la partecipazione
di un comunista, poi richiama sentenze, additandole come emblematiche in tal senso, in cui la
divisione era stata posta in essere senza la partecipazione dell’usufruttuario (ossia di un soggetto
che non poteva considerarsi coerede ed al quale la volontà di dividere doveva essere comunicata
ai sensi dell’articolo 1113 c.c., a pena di inopponibilità non certo di validità del contratto), nonché
sentenze che si soffermavano su negozi con cui alcuni soltanto dei comunisti non procedevano a
dividere, bensì a fissare le modalità della futura divisione.
L’affermazione più significativa è a mio avviso la seguente: “E trattandosi di contratto plurilaterale
non era necessaria la sottoscrizione di tutti i coeredi, giacché lo scopo comune perseguito dai
sottoscrittori era lo scioglimento della comunione solo rispetto ad uno dei coeredi, mantenendo la
comunione in vita rispetto agli eredi rimanenti”. In altri termini per la Suprema Corte si può far uscire
dalla comunione un comunista anche senza il consenso di tutti; essendo la finalità del contratto di
divisione lo scioglimento della comunione, la causa del contratto di scambio è realizzata pur senza
il coinvolgimento di tutti. Detta affermazione di principio non pare condivisibile nella misura in cui
sembra sancirsi che per i non partecipanti è indifferente la modalità con cui un comunista esce dalla
situazione di contitolarità; la partecipazione dei contitolari è, invece, essenziale nei casi in cui il
patrimonio comune abbia composizione mista (tanto pare potersi desumere anche dalla previsione
dell’articolo 729 c.c.). Laddove sia composto da beni fungibili (es. denaro), la partecipazione di tutti
potrebbe effettivamente comportare un inutile rallentamento nel perseguimento della causa
contrattuale, sì che potrebbe giustificarsi il pronunciato in esame.
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