APG23 – La Chiesa forma il credente(nn 36-37-38-39-40)
Leggendo lo strumento di lavoro ed ascoltando alcuni degli interventi proposti nella prima serata,
ci siamo sentiti provocati a portare la nostra riflessione soprattutto in merito al ruolo della famiglia
all’interno della comunità cristiana, sia in termini di bisogni, ma anche (ed oserei dire soprattutto) in
termini di risorsa.
Se è vero che i movimenti e le aggregazioni laicali devono diventare dono per tutta la comunità
ecclesiale, con la specificità del loro carisma, è ancora più vero che ciò che tutti accomuna è
l’appartenenza ad una famiglia: naturale, d’origine, nata dall’unione sponsale, frutto di una scelta
di vita.
La famiglia è dunque la dimensione che più ci può aiutare a realizzare quella comunione che è
stata presentata nella prima parte dello S. di L.
Don Tonino Bello, (In principio, la Trinità, tratto da: "La famiglia come laboratorio di pace", Prato 10
settembre 1988), parlando di comunione, fa riferimento al mistero della Trinità dicendo che:
“Quella trinitaria(…) non è solo una dottrina da contemplare, ma un'etica da vivere.
(…) una fonte normativa cui attingere per le nostre scelte quotidiane.
Gesù, pertanto, ci ha rivelato questo segreto di casa sua non certo per accontentare le nostre
curiosità intellettuali, quanto per coinvolgerci nella stessa logica di comunione che lega le tre
persone divine.
Nel cielo tre persone uguali e distinte vivono così profondamente la comunione, che formano un
solo Dio.
Sulla terra più persone, uguali per dignità e distinte per estrazione, sono chiamate a vivere così
intensamente la solidarietà, da formare un solo uomo, l'uomo nuovo: Cristo Gesù.
Sicché l'essenza della nostra vita etica consiste nel tradurre con gesti feriali la contemplazione
festiva del mistero trinitario, scoprendo in tutti gli essere umani la dignità della persona,
riconoscendo la loro fondamentale uguaglianza, rispettando i tratti caratteristici della loro
distinzione.”
Più precisamente egli descrive la Trinità come una “convivialità delle differenze” nella quale le tre
persone divine “mettono tutto in comunione sul tavolo della stessa divinità” ma ognuna
mantenendo il proprio particolare identikit dato dall’essere Padre, dall’essere Figlio e dall’essere
Spirito Santo.
Così ci piace pensare la nostra comunità cristiana una “convivialità di differenze”: vale a dire uno
spazio vitale dove le famiglie possano incontrarsi, pregare, formarsi, ma anche confrontarsi,
sostenersi, progettarsi e, perché no, vivere insieme il tempo libero.
“Una convivialità di differenze” in cui l’esperienza di alcuni diventa dono per tutti, ma anche in
cui la fatica e la fragilità di altri diventa per tutti un’occasione “per amare di più” e per pensare e
vivere percorsi di crescita, di accompagnamento e di accoglienza che come famiglie possiamo
realizzare.
Forse sarebbe d’incentivo a tutto ciò, se la famiglia, e non i singoli, fosse considerata soggetto
attivo della vita ecclesiale, ma forse sarebbe ancora più profetico se le famiglie della stessa
parrocchia scegliessero di cominciare a condividere, con piccoli passi, ciò che quotidianamente
sono chiamate a sperimentare: la vita.