LIMINA Direttori Adriano B Università degli Studi di Macerata Carla F Alma mater studiorum — Università di Bologna Eugenio R Università di Pisa Francesco R Università degli Studi di Napoli “Federico II” Comitato scientifico Giovanni M Università degli Studi di Napoli “Federico II” Alberto S Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro Massimo L T Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro Paolo S Università degli Studi di Teramo Giorgio T Università degli Studi di Macerata Franco B Università di Pisa Tommaso G Università di Pisa Francesco R Università degli Studi di Napoli “Federico II” Enrico F Università degli Studi di Napoli “Federico II” LIMINA Limina è il plurale di limen che nella lingua latina significa architrave, soglia, casa, entrata, ma anche confine, frontiera, fino a inizio o compimento. Secondo questi significati, Limina vorrebbe essere una piccola collana di progetti e ricerche il cui contenuto è espresso dal termine latino. Così potranno esserci planimetrie di quello che, scientificamente, è l’ambito di una disciplina, progetti che si pongono sulla soglia, o che vogliono essere un inizio, ma anche ricerche capaci di indicare l’architrave di una disciplina, ovvero, al contrario, le sue frontiere, così come anche il punto di compimento. È in questo senso una collana che intende segnare dei limiti e mantenersi sul limite. Limiti delle singole discipline, limite sul quale le discipline si intersecano con altre, varcando il loro proprio limen. La casa ospitante, il limen della collana, è la filosofia del diritto in tutti i suoi ambiti di ricerca, dalla teoria generale alla bioetica, dalla teoresi all’informatica. I progetti e le ricerche ospitati nella collana sono tutti quelli che la filosofia del diritto è in grado di impostare esplorando i campi che il sociale storico ed istituzionale ad essa impone attraverso le proprie trasformazioni. Sono anche i progetti e le ricerche che con la filosofia del diritto condividono i punti cardine, i limiti, le frontiere, gli inizi e i compimenti, a qualunque disciplina questi progetti e queste ricerche appartengano. Conoscere ed esplorare il proprio limen, la propria casa, senza tuttavia aver timore di varcarne la soglia, portando la propria disciplina al limite e, se necessario, oltrepassandolo: questa è l’identità che la collana assume dandosi Limina come nome. La collana nasce su iniziativa di alcuni Dottorati di ricerca. Ne costituiscono le fondamenta i curricula riconducibili alle discipline filosofico giuridiche attivi nelle Scuole di dottorato dell’università di Bologna, di Macerata, di Pisa e di Napoli. Nata da Dottorati di ricerca, di questi conserva anche in parte la struttura. I progetti e le ricerche pubblicati hanno prevalentemente la forma di lezioni o di materiale utile alla didattica. Del Dottorato mantiene inoltre l’aspetto di promozione della ricerca scientifica. La Collana ha, non da ultimo, tra i suoi obbiettivi quello di permettere a giovani studiosi di pubblicare le loro ricerche anche quando queste sono agli inizi, o in fase preparatoria, seppure progettuale o schematica. Nella collana “Limina” sono pubblicate opere sottoposte a valutazione con il sistema del « doppio cieco » (« double blind peer review process ») nel rispetto dell’anonimato sia dell’autore, sia dei due revisori che sono stati scelti dal Comitato scientifico della collana. I revisori sono professori di provata esperienza scientifica italiani o straniere o ricercatori di istituti di ricerca notoriamente affidabili. Ciascun revisore formulerà una delle seguenti valutazioni: a) pubblicabile senza modifiche; b) pubblicabile previo apporto di modifiche; c) da rivedere in maniera sostanziale; d) da rigettare; tenendo conto della: a) rilevanza scientifica nel panorama nazionale e internazionale; b) attenzione adeguata alla dottrina e all’apparato critico; c) adeguato aggiornamento normativo e giurisprudenziale; d) rigore metodologico; e) proprietà di linguaggio e fluidità del testo; f ) uniformità dei criteri redazionali. Nel caso di giudizio discordante fra i due revisori, la decisione finale sarà assunta dal direttore, salvo casi particolari in cui il direttore medesimo provvederà a nominare un terzo revisore a cui rimettere la valutazione dell’elaborato. Le schede di valutazione verranno conservate, in doppia copia, nell’archivio del direttore e dell’editore. Il termine per la valutazione non deve superare i venti giorni, decorsi i quali il direttore della collana, in assenza di osservazioni negative, ritiene approvata la proposta. Sono escluse dalla valutazione gli atti di convegno, le opere dei membri del comitato e le opere collettive di provenienza accademica. Il direttore, su sua responsabilità, può decidere di non assoggettare a revisione scritti pubblicati su invito o comunque di autori di particolare prestigio. Giorgio Torresetti La frattura e il crollo Quale diritto dopo il Totalitarismo? Copyright © MMXIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre Indice Abbreviazioni Premessa Capitolo I Fare la storia Capitolo II Il passato che non passa Capitolo III I nuovi orizzonti del dominio Capitolo IV Potere, potenza e violenza: quali differenze? Capitolo V Il potere tra violenza e diritto Capitolo VI Ascesa e declino della triade Capitolo VII La funzione politica e giuridica dell’al di là Capitolo VIII Amor Dei e amor mundi Capitolo IX Un nuovo inizio per lo Stato Indice Capitolo X Oltre il potere dei tecnici Capitolo XI Riprendere a pensare Abbreviazioni∗ AA Essays in Understanding –, New York , trad. it. in due volumi di P. C, a cura S. F, Archivio Arendt, . –, Milano AA Essays in Understanding –, New York , trad. it. in due volumi di P. C, a cura S. F, Archivio Arendt, . –, Milano EX What is Existenz Philosophy?, «Partisan Review», XVIII/, , pp. –; trad. it. Che cos’è la filosofia dell’esistenza?, in AA, pp. – CP Understanding and Politics (The Difficulties in Understanding), in «Partisan Review», XX, n. , , rist. in Essays in Understanding: –. Uncollected and Unpublished Works by Hannah Arendt, trad. it. Comprensione e politica (Le difficoltà del comprendere), in Archivio Arendt . –, cit., pp. – OT The Origins of Totalitarianism, New York , trad. it. Le origini del Totalitarismo, Milano VA [numero paragrafo] The Human Condition, Chicago , trad. it. Vita activa. La condizione umana, Milano PF Between Past and Future: Six Exercises in Political Thought, New York , trad. it. Tra passato e futuro, Milano SR On Revolution, New York , trad. it. Sulla rivoluzione, Milano SV On Violence, New York , , trad. it. Sulla violenza, Parma VM The Life of the Mind, New York , trad. it. La vita della mente, Bologna FM Some Questions of Moral Philosophy, New York , trad. it. Alcune questioni di filosofia morale, Torino ∗ Legenda delle abbreviazioni utilizzate per le opere maggiormente citate di H A: titolo abbreviato dell’opera, pagina, solo nel caso di Vita activa, preceduta dal paragrafo Premessa Il presente volume muove dalla valutazione di Hannah Arendt sul Totalitarismo: questo evento, a suo avviso, conclude una fase della storia dell’Occidente; di conseguenza, le nostre usuali e consolidate categorie giuridiche e morali mostrano una radicale inadeguatezza. Ne segue uno spaesamento che ha coinvolto anche le norme da noi adoperate per comprendere in generale gli eventi, quali che siano. Dopo il Totalitarismo, non è più possibile orientarsi nel presente potendo contare su criteri, concetti, categorie, misure ritenute certe, in quanto provenienti dalla tradizione. Il Totalitarismo ha travolto, secondo la Arendt, l’impianto che lungamente ha dominato l’Occidente in ogni sua sfera, piano e dimensione. Partendo da qui, assumo e propongo le conclusioni della Arendt come capaci di definire un’effettiva ricerca e con esse mi confronto sul piano delle istituzioni e del diritto. Se le sue conclusioni definiscono un effettivo campo di ricerca, ritengo legittimo tradurre lo spaesamento nella domanda: quale diritto dopo il Totalitarismo? Che cosa, cioè, della struttura tradizionale del giuridico dimostra che ha bisogno di un’originaria rifondazione? Propongo dunque l’inizio di una ricerca, della quale, attraverso Hannah Arendt, segno i confini. L’oggetto è dettato dalle condizioni di possibilità del giuridico in una realtà storica profondamente segnata dal Totalitarismo e dagli eventi, drammatici e incomprensibili al senso comune, che ne hanno accompagnato il sorgere e l’affermarsi nel XX secolo. Il metodo della ricerca è orientato ad un’ampia comparazione delle tesi interpretative con i testi della Arendt, da cui provengono la documentazione e le argomentazioni principali per la comprensione di questa mia indagine, delle sue premesse, del suo sviluppo. Capitolo I Fare la storia I fatti legati al Totalitarismo rappresentano per la Arendt un evento di carattere epocale, che ha determinato una frattura profonda e radicale nella storia dell’Occidente, tanto da produrre un vero e proprio crollo dei valori morali che ne avevano costituito la base di sviluppo per oltre duemila anni . La storia per la Arendt non è il frutto di forze anonime o di idee generali ed astratte, ma di fatti ed eventi sui generis, la cui origine si trova in azioni e relazioni umane, con cui l’uomo interrompe il corso ordinario delle cose introducendo qualcosa di nuovo e di straordinario nella realtà ciclica, ripetitiva e prevedibile della natura cosmica o dei progetti umani . . “Il Totalitarismo (in quanto fatto determinato che, per esser privo di precedenti, non può essere interpretato mediante categorie usuali della filosofia politica, i cui “delitti” non possono esser giudicati secondo l’etica tradizionale o puniti all’interno della struttura giuridica della nostra civiltà) ha infranto la continuità della storia dell’Occidente. La frattura della nostra tradizione è oggi un fatto compiuto, che non nasce per scelta deliberata di qualcuno né può esser cancellato da un ripensamento”, PF, . Sul tema cfr. S. F (a cura di), La filosofia di fronte all’estremo. Totalitarismo e riflessione filosofica, Torino ; Idem, Il Totalitarismo, Roma–Bari ; E. T, Il Totalitarismo, Milano ; F. F, F.R. R L (a cura di), Hannah Arendt. Filosofia e Totalitarismo, Genova ; P. B, Hannah Arendt, Totalitarism, and the social sciences, Stanford ; A. H, (a cura di): Hannah Arendt. Totalitarisme et banalité du mal, Paris . Sul pensiero della Arendt, cfr. T. S, L’autonomia del politico. Introduzione al pensiero di Hannah Arendt, Teramo ; Id., Virtualità e realtà delle istituzioni. Ermeneutica, diritto e politica in Hannah Arendt, Giappichelli ; S. B, The Reluctant Modernism of Hannah Arendt, Lanham . S. F, Hannah Arendt tra filosofia e politica, Milano ; H. M, Hannah Arendt’s Political Humanism, Frankfurt a. M. ; P. H, M. Z, C. B, A. Y (a cura di), Action and appearance: ethics and the politics of writing in Hannah Arendt, New York ; W. H, B. H, S. R, Arendt–Handbuch. Leben–Werk–Wirkung, Stuttgart ; M. G, C. McC (a cura di), Hannah Arendt and the law, Oxoford . . “La storia è costituita da eventi e non da forze o da idee dal corso prevedibile”, VA , . “È nella natura del cominciamento che qualcosa di nuovo possa iniziare senza che possiamo prevederlo in base ad accadimenti precedenti”, VA , . “Non si tratta La frattura e il crollo Non solo le forze cosmiche o naturali non sono in grado di generare storia, ma questa non è neppure un prodotto dell’uomo, nel senso di un risultato del suo fare o fabbricare. Un prodotto è la fase finale di un processo che inizia con una certa idea, si sviluppa con un progetto, continua con l’organizzare e realizzare l’attività produttiva e si conclude con il prodotto stesso, che è il risultato finale previsto fin dall’inizio di questo processo. Un tavolo o una casa devono uscire dalle mani di un falegname o di un muratore così come sono stati progettati, salvo imprevisti. Non accade così per la storia; questa nasce da vere e proprie interruzioni della ripetitività tipica dei processi naturali o di quelli produttivi; le azioni e il loro intrecciarsi in relazioni sono all’origine di queste interruzioni che introducono in questi processi, sempre identici, continui elementi di novità, con i quali ha inizio qualcosa che non ha antecedenti . soltanto di un’incapacità particolare di prevedere tutte le conseguenze logiche di un atto particolare — nel qual caso un calcolatore sarebbe capace di prevedere il futuro; la difficoltà deriva direttamente dalla storia che, come risultato dell’azione, inizia e procede non appena sia passato il fugace momento dell’atto (. . . ), il suo pieno significato può apparire solo quando si conclude. Contrariamente alla fabbricazione, dove la luce con cui valutare un prodotto finito è fornita dall’immagine o dal modello percepito in anticipo dall’artefice, la luce che illumina i processi dell’azione, e perciò tutti i processi storici, appare solo alla fine, e spesso quando i protagonisti sono morti”, VA , . “Questa imprevedibilità dell’esito è strettamente connessa col carattere di rivelazione dell’azione e del discorso, in cui ci si svela senza mai conoscersi, o essere in grado di calcolare in anticipo chi si rivela”, VA , . Sul piano antropologico, tra le fonti della Arendt cfr. A. G, Der Mensch. Seine Natur und seine Stelleung in der Welt, Berlin , trad. it. L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Milano ; sul piano filosofico, cfr. K. J, Vom Ursprung und Ziel der Geschichte, Zurigo ; trad. it. Origine e senso della storia, Milano ; sul piano storiografico, cfr. F. M, Vom Geschichtliche Sinn und vom Sinn der Geschichte, Stuttgart , trad. it. Senso storico e significato della storia, Napoli . . “La fabbricazione si distingue dall’azione per avere un principio determinato e una fine prevedibile: termina al completamento del prodotto finito, il quale, oltre a sopravvivere al processo di fabbricazione, da quel momento ha una specie di “vita” propria. Al contrario, come i greci avevano scoperto per primi, l’azione è in sé e per sé totalmente labile: non lascia mai un prodotto finito (. . . ). Ciò significa soltanto che l’uomo non è mai un homo faber in modo esclusivo: anche l’artefice resta pur sempre un essere che agisce, un essere che dovunque vada, qualunque cosa faccia dà l’avvio a un processo”, PF, –. “Questo è l’essere mortale: muoversi in linea retta in un universo dove tutto ciò che si muove segue semmai un moto ciclico. Allorché, nel perseguire i loro fini, dissodano la terra inattiva costringono il libero vento nelle loro vele, fendono le onde eternamente susseguentisi, gli uomini tagliano la strada a un movimento privo di scopo e racchiuso in se stesso (. . . ). Questi casi, atti o eventi singoli interrompono il moto circolare della vita quotidiana nello . Fare la storia La storia è composta da fatti, da eventi che non derivano né da idee generali e astratte, né da un’essenza o da una natura comune a tutti gli uomini; i fatti creano storia perché sono il frutto di qualcosa di unico collegato all’individualità del soggetto, ossia all’azione che ha la sua origine in un significato . Questo termine non indica un’essenza, un’idea o un concetto, che hanno sempre un carattere generale ed astratto; un significato appare solo quando una persona, attraverso le parole e le azioni, decide chi vuole essere , mostra agli altri non che cosa è, in cui può assomigliare a tanti altri, ma l’unicità del suo essere stesso senso in cui il bios rettilineo spezza il moto circolare della vita biologica. La materia della storia è in queste interruzioni, in queste fratture: lo straordinario”, PF, –. . “La comprensione (. . . ) rappresenta il modo specificamente umano di rimanere vivi, in quanto ogni individuo ha bisogno di riconciliarsi con un mondo in cui è arrivato, con la nascita, come straniero e in cui, in virtù della sua irriducibile unicità, rimarrà sempre come uno straniero. La comprensione inizia con la nascita e si conclude con la morte (. . . ). L’esito della comprensione è il significato, che noi generiamo nel processo stesso della vita nella misura in cui cerchiamo di riconciliarci con ciò che facciamo o subiamo”, CP, –. . “La distinzione tra una storia reale e una storia inventata è precisamente che la seconda è “costruita”, mentre la prima non lo è affatto. La storia reale in cui siamo impegati lungo tutto il corso della nostra vita non ha alcun visibile o invisibile artefice perché non è fatta. Il solo “qualcuno” che rivela è il suo eroe, e questo è il solo mezzo con cui la manifestazione originariamente intangibile di un “chi” distinto nell’unicità può diventare tangibile ex post facto attraverso l’azione e il discorso. Possiamo sapere chi qualcuno è o fu solo conoscendo la storia di cui egli stesso è l’eroe — la sua biografia, in altre parole; qualsiasi altra cosa sappiamo di lui, compresa l’opera che può avere prodotto o lasciato, ci dice solo che cosa egli è o fu”, VA , . “Per quanto l’identità dell’individuo che parla ed agisce non possa essere scambiata per un’altra, essa mantiene una sorta di curiosa intangibilità che elude tutti gli sforzi di offrirne un’espressione verbale non equivoca. Nel momento in cui vogliamo dire chi uno sia, il nostro vocabolario ci svia facendoci dire che cosa è; ci troviamo impigliati in una descrizione delle qualità che egli condivide necessariamente con i suoi simili, cominciamo a descrivere un tipo o un “carattere” nel vecchio senso della parola, con il risultato che la sua specifica unicità ci sfugge”, VA , . “Agendo e parlando gli uomini mostrano chi sono, rivelano attivamente l’unicità della loro identità personale, e fanno così la loro apparizione nel mondo umano, mentre le loro identità fisiche appaiono senza alcuna attività da parte loro nella forma unica del corpo e nel suono della voce. Questo rivelarsi del “chi” qualcuno è, in contrasto con il “che cosa” — le sue qualità e capacità, i suoi talenti, i suoi difetti, che può esporre o tenere nascosti — è implicito in qualunque cosa egli dica e faccia. Si può nascondere “chi si è” solo nel completo silenzio e nella perfetta passività, ma la rivelazione dell’identità quasi mai è realizzata da un proposito intenzionale, come se si possedesse questo “chi” e si potesse disporre allo stesso modo in cui si possiedono le sue qualità e si può disporne. Al contrario è più che probabile che il “chi”, che appare in modo così chiaro e inconfondibile agli occhi degli altri, rimanga nascosto alla persona stessa, come il daimon della religione greca che accompagna ogni uomo per tutta la vita, sempre presente dietro le sue spalle e quindi solo visibile a quelli con cui egli ha dei rapporti”, VA , –. La frattura e il crollo nel mondo, qual è il senso individuale che egli vuole dare alla sua esistenza . Questa differenza tra idea e significato viene alla luce nella distinzione che la Arendt pone tra i diversi tipi di attività umane: l’agire, il lavorare e l’operare. Il primo rivela chi è un soggetto, il suo carattere morale, e le parole ne sono la prima forma espressiva ; le altre due ci mostrano invece che cosa è una persona, ossia cosa sa fare, il falegname, il muratore, l’elettricista e così via. Con il lavoro applichiamo la nostra energia fisica e intellettuale allo svolgimento di attività che servono a procurarci i beni di consumo che sono necessari per vivere . . “Non c’è dubbio che ogni uomo, in virtù della propria nascita, costituisce un nuovo inizio, e il suo potere di cominciamento può ben corrispondere a questo dato di fatto della condizione umana. Non per nulla, nel solco di tali riflessioni agostiniane, la volontà è stata talora considerata, e non solo da Agostino, come l’attualizzazione del principium individuationis”, VM, . . “Agire, nel senso più generale, significa prendere un’iniziativa iniziare (come indica la parola greca archein, “incominciare”, “condurre”, e anche “governare”) mettere in movimento qualcosa (che è il significato originale del latino agere). Poiché sono initium, nuovi venuti e iniziatori grazie alla nascita, gli uomini prendono iniziativa sono pronti all’azione. [Initium] ergo ut esset, creatus est homo, ante quem nullus fuit (“perché ci fosse un inizio fu creato l’uomo, prima del quale non esisteva nessuno”) dice Agostino nella sua filosofia politica. Questo inizio non è come l’inizio del mondo, non è l’inizio di qualcosa ma di qualcuno, che è a sua volta un iniziatore. Con la creazione dell’uomo, il principio del cominciamento entrò nel mondo stesso, e questo, naturalmente, è solo un altro modo di dire che il principio della libertà fu creato quando fu creato l’uomo, ma non prima”, VA , –. “L’alterità nella sua forma più astratta è reperibile solo nella pura moltiplicazione degli oggetti inorganici, mentre ogni vita organica mostra già variazioni e distinzioni, anche fra gli esemplari della stessa specie. Ma solo l’uomo può esprimere questa distinzione ed esprimere se stesso, e solo lui può comunicare se stesso e non solamente qualcosa — sete o fame, affetto ostilità o timore. Nell’uomo, l’alterità, che egli condivide con tutte le altre cose e la distinzione, che condivide con gli esseri viventi, diventano unicità, e la pluralità umana è la paradossale pluralità di esseri unici”, VA , –. . “L’attività lavorativa corrisponde allo sviluppo biologico del corpo umano, il cui accrescimento spontaneo, metabolismo e decadimento finale sono legati alle necessità prodotte e alimentate nel processo vitale dalla stessa attività lavorativa. La condizione umana di quest’ultima è la vita stessa”, VA , . Tra le fonti sul tema, cfr. Chr. N Die moderne Arbeit, soziologisch und theologisch betrachtet, Dortmund ; O. L, Lehrbuch der Arbeitswissenschaft, Jena ; W. C, Making Work Human, Yellow Springs . Degno di nota è il giudizio che la Arendt formula nei confronti di Simon W: “Non è forse esagerato dire che La condition ouvrière (; trad. it. La condizione operaia, Milano ) di Simone Weil, è il solo libro, nella vasta letteratura sulla questione del lavoro, che tratti il suo oggetto senza pregiudizi e sentimentalismi. Simone Weil sceglie come motto per il suo diario, a cui affida giornalmente le sue esperienze di fabbrica, il verso di Omero: poll’ alkadzomenē, kraterē d’epikeiset anagkē [“molto è contro la tua volontà, perché la necessità è . Fare la storia Con un’opera miriamo invece a produrre qualcosa di artificiale, uno strumento, un attrezzo, una macchina, una costruzione, tutte cose che hanno lo scopo di migliorare, di rendere più agevole la condizione umana sulla terra; per fare un’opera è necessario avere a disposizione un’idea ed un progetto, che troveranno poi realizzazione nel prodotto finale . Entrambi, lavoro ed opera, si rivolgono alla materia e si concludono con la produzione di cose destinate ad essere consumate oppure utilizzate; non così le azioni, che si rivolgono ad altri esseri umani e che si concludono solo con delle relazioni, in cui i soggetti si rivelano gli uni agli altri non per che cosa sono, ma per chi sono, da cui nascono le storie di ciascuno, il cui intreccio genera la storia nel suo insieme . In questa prospettiva, si comprende meglio come e perché il signifimolto più potente di te”] e conclude che la speranza di una liberazione dal lavoro e dalla necessità è il solo elemento utopistico nel marxismo, ed è al tempo stesso il motore di ogni movimento del lavoro ispirato al marxismo. Esso è appunto quell’ “oppio del popolo” che Marx riteneva essere la religione”, VA , nota , . Sul tema cfr. E. R, Dalla critica del socialismo reale alla critica del marxismo, Milano . . “L’operare è l’attività che corrisponde alla dimensione non–naturale dell’esistenza umana, che non è assorbita nel ciclo vitale sempre ricorrente della specie e che, se si dissolve, non è compensata da esso. Il frutto dell’operare è un mondo “artificiale” di cose, nettamente distinto dall’ambiente naturale. Entro questo mondo è compresa ogni vita individuale, mentre il significato stesso dell’operare sta nel superare e trascendere tali limiti. La condizione umana dell’operare è l’essere — nel — mondo”, VA , . Sul tema, tra le fonti della Arendt, cfr. E. L, Histoire des classes ouvrières et de l’industrie en France avant , Paris; A. T, Homo faber, Roma ; E. D, Histoire du travail en France, Paris ; trad. it. Storia del movimento operaio, Firenze ; G. F, Problèmes humains du machinisme industriel, Paris , trad. it. I problemi umani del macchinismo industriale, Torino ; idem, Où va le travail humain?, Paris , trad. it. Dove va il lavoro umano?, Milano . . “L’azione, la sola attività che metta in rapporto diretto gli uomini senza la mediazione di cose materiali, corrisponde alla condizione umana della pluralità, al fatto che gli uomini, e non l’Uomo, vivono sulla terra e abitano il mondo”, VA , . “La sfera degli affari umani, strettamente parlando, consiste, nell’intreccio delle relazioni umane che esiste ovunque gli uomini vivono insieme (. . . ). Insieme promuovono un nuovo processo che alla fine emerge come irripetibile storia di vita del nuovo venuto, che a sua volta influenzerà in modo unico le storie di vita di tutti gli altri con cui verrà in contatto. È a causa di questo intreccio di relazioni umane (. . . ) che essa “produce” storie, con o senza intenzione, con la stessa naturalezza con cui la fabbricazione produce cose tangibili (. . . ). In altre parole, le storie, i risultati dell’azione e del discorso, rivelano un agente che non ne è però l’autore, e che non le ha prodotte. Qualcuno le ha cominciate e ne è il soggetto, nel duplice senso della parola, e cioè di attore e di chi ha subito le vicende, ma nessuno ne è autore”, VA (L’intreccio delle relazioni umane e la narrazione), . La frattura e il crollo cato sia per la Arendt molto più che una semplice idea; infatti, esso non è qualcosa di meramente pensato, un semplice oggetto astratto del pensiero, innato o prodotto che sia, ma è piuttosto la risposta che ogni uomo elabora al fatto della propria nascita, del suo essere venuto nel mondo come uno straniero nei confronti degli altri uomini, un nuovo venuto che sente il bisogno di superare tale condizione d’estraneità, cercando di trovare un suo posto nel fluire incessante delle apparenze, mostrando qual è il suo volto, non semplicemente che cosa vuole fare, ma chi vuole essere, ossia come vuole porsi in relazione con gli altri . Con l’azione possiamo rifare anche la natura, con la conseguenza, però, che l’imprevedibilità tipica delle azioni non rimane più confinata al mondo storico, ma entra a far parte anche di quello naturale . La realtà nel suo insieme si presenta a noi come un flusso continuo di fatti, che si connota con una molteplicità di elementi, tra cui alcuni appaiono in modo prevalente e costante: la nascita e la morte, la vita, il mondo, gli altri uomini, la terra e il cosmo . Da questi elementi scaturiscono delle condizioni che, pur potendo mutare nel tempo, pongono l’essere umano in una situazione di dipendenza, senza però arrivare a determinarlo in senso assoluto; per questo non si può parlare a proposito dell’uomo di una natura in senso oggettivo, come se egli . “Questo apparire, in quanto è distinto dalla mera esistenza corporea, si fonda sull’iniziativa, un’iniziativa da cui nessun essere umano può astenersi senza perdere la sua umanità. Gli uomini possono benissimo vivere senza lavorare, possono costringere gli altri a lavorare per sé, e possono benissimo decidere di fruire e godere semplicemente del mondo delle cose senza aggiungere da parte loro un solo oggetto d’uso; la vita di uno sfruttatore o di uno schiavista e la vita di un parassita possono essere inique, ma essi sono certamente esseri umani. Ma una vita senza discorso e azione (. . . ) è letteralmente morta per il mondo; ha cessato di essere una vita umana perché non è più vissuta fra gli uomini”, VA , . . “Oggi sappiamo che, pur essendo incapaci di “fare” la natura nel senso di “crearla”, siamo perfettamente in grado di mettere in funzione nuovi processi naturali: e dunque, in un certo senso, “facciamo la natura” nella misura in cui “facciamo la storia”. È vero che abbiamo raggiunto questo stadio con le scoperte della fisica nucleare, per le quali le forze della natura vengono, per così dire, scatenate, e si verificano processi naturali che non sarebbero mai esistiti senza il diretto intervento dell’uomo”, PF, . . “La condizione umana è più ampia delle condizioni nelle quali l’uomo ha cominciato a vivere. Gli uomini sono esseri condizionati perché ogni cosa con cui vengono in contatto diventa immediatamente una condizione della loro esistenza”, VA , . “D’altra parte, le condizioni dell’esistenza umana — vita, natalità e mortalità, mondanità, pluralità e terra — non potranno mai spiegare che cosa noi siamo o rispondere alla domanda “chi siamo noi?” per la semplice ragione che non ci condizionano in maniera assoluta”, VA , . . Fare la storia possedesse un’essenza universale e astratta che rimane sempre uguale a se stessa, come qualunque altra cosa o gli altri esseri viventi . Le condizioni principali in cui l’uomo si trova ad esistere, sono pertanto le seguenti: l’essere in vita, con la sua dipendenza dalla nascita e dalla morte e con la sua connessione di bisogni, lavoro, consumo; l’essere nel mondo, popolato da cose artificiali fatte dall’uomo in vista dell’utile, per migliorare e rendere più agevole la sua condizione di vita; l’essere con gli altri, che la Arendt definisce la pluralità, in cui si sviluppano le azioni e le relazioni, che possono essere di tipo privato, se legate alla dimensione vitale e lavorativa, di tipo sociale, se legate a quella creativa di opere, oppure di tipo politico, se si tratta di relazioni dirette tra gli uomini, non mediate da cose materiali . Ogni tipo di relazione pone in gioco il significato che l’uomo dà a se stesso; ma mentre in quelle di tipo privato il significato è mediato dal lavoro e dal consumo, in quelle sociali dalla produzione di cose e dal loro utilizzo, solo nella vita politica esso si rivela in modo diretto, dando inizio alla sfera pubblica, che prende forma attraverso la definizione e la costruzione di spazi, attività e istituzioni destinati ad ospitare esclusivamente la relazione tra gli uomini . Mentre nei . “Il problema della natura umana (. . . ) pare insolubile sia nel suo senso psicologico individuale sia nel suo senso filosofico generale. È molto improbabile che, come possiamo conoscere, determinare e definire l’essenza naturale di tutte le cose che ci circondano, di tutto ciò che non siamo, possiamo mai essere in grado di fare lo stesso per noi: sarebbe come scavalcare la nostra ombra” VA , –. . “La pluralità umana, condizione fondamentale sia del discorso sia dell’azione, ha il duplice carattere dell’eguaglianza e della distinzione. Se gli uomini non fossero uguali, non potrebbero né comprendersi tra loro, né comprendere i propri predecessori, né fare progetti per il futuro e prevedere le necessità dei loro successori. Se gli uomini non fossero diversi, e ogni essere umano distinto da un altro che è, fu o mai sarà, non avrebbero bisogno né del discorso né dell’azione per comprendersi a vicenda. Sarebbero soltanto sufficienti segni e suoni per comunicare desideri e necessità immediati e identici”, VA , . . “Anche se tutti gli aspetti della nostra esistenza sono in qualche modo connessi alla politica, questa pluralità è specificamente la condizione — non solo la conditio sine qua non, ma la conditio per quam — di ogni vita politica. Così il linguaggio dei romani, forse il popolo più dedito all’attività politica che sia mai apparso, impiegava le parole “vivere” ed “essere tra gli uomini” (inter homines esse), e rispettivamente “morire” e “cessare di essere tra gli uomini” (inter homines esse desinere) come sinonimi (. . . ). Tutte e tre le attività e le loro corrispondenti condizioni sono intimamente connesse con le condizioni più generali dell’esistenza umana: nascita e morte, natalità e mortalità (. . . ). Tuttavia delle tre attività, è l’azione che è più in stretto rapporto con la condizione umana della natalità; il cominciamento inerente alla nascita può farsi conoscere nel mondo solo perché il nuovo La frattura e il crollo primi due casi questa relazione è mediata da cose, beni di consumo o beni strumentali, solo nella politica, grazie al diritto che ne delimita spazi, regole e confini, essa diviene diretta e immediata; prende forma così e si anima la scena di un mondo comune, in cui ciascuno diviene qualcuno per gli altri; ha inizio la sua storia, il cui intersecarsi con quella degli altri genera la storia di tutti . venuto possiede la capacità di dar luogo a qualcosa di nuovo, cioè di agire. Alla luce di questo concetto di iniziativa un elemento di azione, e perciò di natalità, è intrinseco in tutte le attività umane”, VA , –. . “La storia come categoria dell’esistenza umana è naturalmente più antica della scrittura, più antica di Erodoto, e perfino di Omero. In termini di poesia e non di storia, ha inizio piuttosto quando, alla corte del re dei Feaci, Ulisse ascolta la storia delle sue gesta e sofferenze, la storia della sua stessa vita, divenutagli in quel momento estranea, “oggetto” visibile e audibile per tutti. Quello che era stata pura evenienza diventava “storia” (. . . ). Il motivo più profondamente umano della storia e della poesia si rivela qui con purezza ineguagliabile: poiché ascoltatore, attore e paziente sono la stessa persona”, PF, –. Cfr. M. P, Herodot, der erste Geschichtsschreiber des Abendlandes, Leipzig–Berlin .