Geometria Complessa con punte di caffè 9 dicembre 2011 1 1.1 Prolegomeni. Spazi lineari simplettici Nel seguito V è uno spazio vettoriale reale di dimensione finita. Una forma bilineare ω : V × V → R si dice alternante se ω(v, v) = 0 (equivalentemente se ω(v, w) = −ω(w, v) per ogni coppia di vettori v, w ∈ V ). Definizione 1.1 : Lo spazio V si dice simplettico se è dotato di una forma bilineare alternante che sia non degenere, ossia tale che in una base V = {v1 , . . . , vn } di V (e quindi in tutte) la matrice Ω = (ω(vi , vj )) è non degenere. Osservazione 1. La matrice Ω è antisimmetrica, ossia Ωt = −Ω. Osservazione 2. Se V è uno spazio vettoriale simplettico, la sua dimensione è pari: det Ω = det(Ωt ) = (−1)dim V det Ω (1) Dunque dato che det Ω 6= 0, 1 = (−1)dim V , e dim V = 2n. La classificazione per congruenza delle forme bilineari lascia come unico invariante la dimensione: sia ω : V × V → R alternante non degenere. Scelto un vettore v1 6= 0, esiste w1 tale che ω(v1 , w1 ) = c 6= 0, e senza perdita di generalità si può supporre ω(v1 , w1 ) = 0 1 1. Sia ora W2 = hv1 , w1 i. ω|W2 ha matrice −1 . Se dim V > 2 si procede trovando 0 in W1ω⊥ (ortogonale rispetto a ω) due vettori v , w tali che ω(v 2 2 , w2 ) = 1. Detto W4 = 2 hv1 , w1 , v2 , w2 i, g |W4 ha matrice 0 1 −1 0 0 1 −1 0 . Da qui si procede in questo modo fino ad esaurire la dimensione di V , che come già visto deve essere pari. Riordinando i vettori di base come {v1 , w1, . . . vk ,wk } si ottiene la forma canonica O Ik delle applicazioni alternanti, ovvero la matrice −I . Per brevità indicheremo a volte k O tale matrice con la lettera E, e la chiameremo unità simplettica. È corollario immediato di questa osservazione che una applicazione bilineare alternante non degenere ammette sempre un sottospazio isotropo di dimensione massima possibile (la metà della dimensione dello spazio). La base V = {v1 , w1 , . . . vk , wk } in cui Ω ha matrice canonica è detta base simplettica per ω. Esempio 1.1. (R2n , ω0 ), definita sulla base canonica {e1 , . . . , en , en+1 , . . . e2n } dalla O I matrice −I O . Esempio 1.2. La somma diretta V ⊕ V ∗ di V col suo duale, dotata della forma ω tale che ω(v, α), (w, β)) = β(v) − α(w) (si scriva la matrice nella base canonica di V ⊕ V ∗ fatta da e1 ⊕ 0, en ⊕ 0, 0 ⊕ e1 , . . . , 0 ⊕ en ) 1.2 Strutture lineari complesse. Il dato di una struttura lineare complessa ad uno spazio vettoriale V consiste nell’assegnazione di una J ∈ End(V ) ∼ = V ⊗ V ∗ = T11 (V ) tale che J ◦ J = J 2 = − idV . La coppia (V, ) si dice spazio vettoriale complesso. Osservazione 3. Assegnare una struttura lineare complessa su V equivale ad assegnare a V una struttura di C-spazio vettoriale. Infatti avendo J, l’azione di C su V si definisce come (z, v) 7→ <z · v + =z · J(v) (perché non (z, v) 7→ <z · v + =z · v?). D’altra parte avendo l’azione di C su V si definisce J : v 7→ i · v. Esempio 1.3. (R2n , J0 ) ammette la struttura complessa canonica J0 = OI −I O . Esempio 1.4. Se V ammette una struttura complessa J, anche il duale di V è uno spazio complesso con la struttura data dalla trasposta: J ∗ : α 7→ (v 7→ α(Jv)). Osservazione 4. Salta all’occhio che ci sono strette relazioni tra le strutture simplettica e complessa canoniche su R2n : in particolare conti immediati permettono di verificare che ω0 (v, Jv) > 0 se v 6= 0, e che J0 è un’isometria per ω0 (ossia ω0 (J0 v, J0 w) = ω0 (v, w)). Più precisamente l’applicazione bilineare GJ0 : (v, w) 7→ ω0 (v, Jw) è simmetrica e definita positiva, dunque un prodotto scalare per cui J0 è un’isometria. Definizione 1.2 : Sia (V, ω) uno spazio vettoriale simplettico con una struttura J di spazio complesso. Allora J si dice compatibile rispetto a ω se l’applicazione bilineare GJ : (u, v) 7→ ω(u, Jv) è un prodotto scalare. Proposizione 1.1 : Ogni spazio simplettico ammette una struttura complessa compatibile. Dimostrazione. Scegliamo una base simplettica V = {v1 , w1 , . . . vk , wk } per V e definiamo J su tale base come l’applicazione lineare di matrice E. Conti analoghi ai precedenti permettono di fare tutte le verifiche. Da ultimo ricordiamo che i morfismi tra spazi vettoriali simplettici sono fatti da quelle applicazioni lineari che “rispettano” le strutture simplettiche: un morfismo simplettico è una ϕ : (W, τ ) → (V, ω) tale che ϕ∗ ω = τ (ossia τ (w1 , w2 ) = ω(ϕw1 , ϕw2 )). Due spazi vettoriali isomorfi tali che tra loro esista un morfismo simplettico si dicono simplettomorfi. 1.3 Varietà simplettiche. Sia E un fibrato vettoriale liscio sopra una varietà M ; una struttura simplettica su E consiste nel dato di una famiglia {ωx }x∈E di strutture simplettiche sugli spazi vettoriali che fanno da fibra in E, i quali “variano continuamente al variare del parametro x”. A titolo di esempio, per struttura simplettica su M varietà liscia si intende una struttura simplettica V2 sul fibrato tangente T M nel senso precedente, che considerata come un elemento di (T M ) è chiusa (dω = 0, condizione analitica) e non degenere (det Ω 6= 0 in una e quindi in ogni base di Tp M , condizione algebrica). Esempio 1.5. (R2n , ω1 ), dove ω1 è la traduzione di ω0 in termini differenziali: nelle coordinate {x1 , . . . , xn , y1 , . . . , yn } è infatti definita da ω1 = X dxi ∧ dyi (2) Esempio 1.6. (Cn , ω2 ), dove nelle coordinate complesse {z1 , . . . , zn } ω2 è definita come ω2 = Xi dzk ∧ dz k . 2 (3) In effetti i due spazi sono simplettomorfi mediante l’identificazione canonica tra Cn e R2n , ψ : zk 7→ xk + iyk : si mostri che ψ ∗ ω2 = ω1 . Esempio 1.7. Consideriamo S2 ⊂ R3 . Definiamo ωp : (u, v) 7→ hp, u × vi. (∀u, v ∈ Tp S2 = hpi⊥ ) Tutte le proprietà sono facili da verificare. Per la non degenerazione, bisogna mostrare che dato u 6= 0 esiste v tale che ωp (u, v) 6= 0. Si scelga v = u × p e si ricordi che per tre vettori di R3 si ha a × (b × c) = (a · c)b − (a · b)c Esercizio. È possibile trovare una struttura simplettica su ogni superficie orientabile M di R3 , definita come luogo degli zeri di una f : R3 → R tale che df 6= 0 su M . (Sugg.: se M = S2 , tale f è (x, y, z) 7→ . . . e dfp = . . . ). Esempio 1.8. Sia M una liscia di dimensione n ≥ 1, π : T ∗ M → M il suo V1varietà ∗ fibrato cotangente, α ∈ (T M ) definita da p 7→ (dπp )∗ ξ per p = (x, ξ) ∈ T ∗ M ∗ ∗ ∗ ∗ ((dπp ) : Tx M → Tp (T M )). La 1-forma α è detta tautologica o di Liouville su T ∗ M . Il suo differenziale V2 1-forma ∗ esterno ω = −dα ∈ (T M ) è la forma simplettica canonica su T ∗ M . ∗ Un atlante di T M si ottiene da un atlante di M : ci sono le coordinate locali (T ∗ U, (x, ξ)) dove x = (x1 , . . . , xn ) e ξ = (ξ1 , . . . , ξn ). In tali coordinate X X α= ξi dxi , ω= dxi ∧ dξi (4) Esercizio. Sia f : M → N un diffeomorfismo di varietà. Mostrare che esso si rialza a un diffeomorfismo T ∗ M → T ∗ N che è un simplettomorfismo rispetto alle strutture standard ωM , ωN . 1.3.1 Teorema di Darboux e Ostruzioni alla Simpletticità. Le varietà simplettiche sono “tutte” essenzialmente simili: il teorema di Darboux afferma che se (M, ω) è simplettica, per ogni p ∈ U ⊆PM esiste una carta ϕ di M centrata in p il cui dominio è contenuto in U e tale che ω = dxi ∧ dξ i nelle coordinate locali indotte da ϕ su Tp∗ M . In altre parole due varietà simplettiche (M, ωM ), (N, ωN ) sono localmente simplettomorfe se e solo se hanno la stessa dimensione. Il problema globale è difficile e in generale insoluto, tranne che in dimensione 2 e per M orientabile, dove Moser ha dimostrato ∼ che (M, R ωM ) =R (N, ωN ) compatte sono simplettomorfe se e solo se sono diffeomorfe e M ωM = N ωN (=“volume totale” delle due varietà compatte: ancora Moser ha mostrato che questo è l’unico invariante simplettico di varietà compatte). Vi sono varietà lisce che non ammettono strutture simplettiche (non esiste un analogo simplettico del teorema di Whitney per varietà riemanniane). Se per assurdo su S4 esi2 stesse una 2-forma ω chiusa e non degenere, allora essa sarebbe esatta (HdR (S4 ) = (0)), dunque ω = dϑ per qualche ϑ ∈ Ω1 (S4 ), e Ω = ω ∧ ω, forma volume su S4 , sarebbe anch’essa esatta (d(ω ∧ ϑ) = ω ∧ ω). Per il teorema di Stokes allora si avrebbe Z Z Z 4 vol(S ) = Ω= d(ω ∧ ϑ) = ω∧ϑ=0 (∂S4 = ∅) S4 S4 ∂S4 il che è visibilmente assurdo. Esercizio. Mostrare che su S2k non esiste una struttura simplettica, per ogni k ≥ 2. Le varietà che ammettono una struttura simplettica sono state, finora, tutte orientabili. Questo non è un caso: Teorema 1.1 : Una varietà simplettica (M, ω) è orientabile. Dimostrazione. Ricordiamo che M n è orientabile se e solo se esiste una n-forma mai nulla su M , e che se M è simplettica n = 2k. Il ruolo di n-forma mai nulla è ora ricoperto proprio da ω k , dato che è sufficiente valutare su una base di Darboux il prodotto ω ∧ · · · ∧ ω. 1.4 Varietà Complesse. Questa sottosezione contiene il risultato chiave della geometria complessa elementare: il concetto di struttura complessa su uno spazio vettoriale complesso, si generalizza a quello di struttura quasi complessa su una varietà liscia. Dotare una varietà di una struttura quasi complessa però non equivale a darle una struttura complessa in senso analitico, ossia dotarla di un atlante olomorfo e vederla localmente diffeomorfa a Cn con dei cambi di coordinate biolomorfi. In estrema sintesi, una varietà complessa ammette sempre una struttura quasi complessa canonica, ma esistono varietà quasi complesse che non sono varietà lisce su C. Per fissare tale asimmetria Newlander e Nirenberg hanno dato un criterio per verificare se una struttura quasi complessa su M è la struttura quasi complessa canonica indotta da una struttura di varietà complessa. Definizione 1.3 : Una varietà complessa di dimensione n è uno spazio topologico di Hausdorff e 2-numerabile (quindi paracompatto) dotato di un atlante olomorfo, ossia di un ricoprimento aperto (Ui ) tale che ad ogni Ui sia associata una funzione continua ϕi : Ui → Cn che è un omeomorfismo sull’immagine, ed è tale che per ogni i, j coppia di indici tali che Ui ∩ Uj 6= ∅ la mappa ϕi ◦ ϕ−1 j sia un (bi)olomorfismo. Osservazione 5. Una varietà liscia complessa M di dimensione n ha una struttura di varietà reale liscia di dimensione 2n: infatti se (Ui , ϕi ) è un atlante olomorfo per M , allora (Ui , <ϕi , im ϕi ) è un atlante reale per M detto atlante reale associato all’atlante complesso (Ui ). Condizione necessaria a che una varietà sia complessa è che sia una varietà reale di dimensione pari, e che sia orientabile (chiaramente questo non è sufficiente). Proposizione 1.2 : Sia M una varietà complessa. Allora M è orientabile. Dimostrazione. Ricordiamo che una orientazione su una varietà liscia si definisce come la scelta di un’orientamento nell’insieme degli jacobiani dei cambi di carta: una varietà è orientabile se ogni jacobiano di cambio di carta ha determinante ovunque positivo od ovunque negativo. Allora, prendiamo due carte locali ϕ con coordinate zi e ψ con coordinate wi , e siano (xi , yi ), (ui , vi ) le rispettive coordinate reali negli atlanti reali associati. Usando un po’ di algebra lineare e ricordando che valgono le condizioni di Cauchy-Riemann sulle derivate parziali delle x, y, u, v si ha det ∂(u, v) ∂(x, y) = det = det = det ∂ui ∂xj ∂vi ∂xj ∂ui ∂yj = det ∂vi ∂yj ∂ui ∂xj ∂vi ∂xj j ∂u −i ∂x i j ∂ui ∂xj +i ∂xi ∂v ∂v +i ∂xi − ∂xi ∂v j 0 ∂v − ∂xi j ∂ui ∂xj j ∂ui ∂xj (I − iII) ∂v − ∂xi ∂ui ∂xj ∂ui ∂xj ∂vi ∂xj j ∂v −i ∂xi j (II + iI) ∂u ∂vi 2 i = +i >0 ∂vj ∂xj Esempio 1.9 (Sfera di Riemann). Sulla sfera unitaria S2 = {(x, y, z) ∈ R3 | x2 + y 2 + z 2 = 1} c’è una struttura complessa data dalla proiezione stereografica dai due poli, che dà ad S2 un atlante complesso. S2 eredita infatti da R3 la topologia di sottospazio, che è di Hausdorff e detti N = (0, 0, 1) e S = (0, 0, −1), gli insiemi UN = S2 \ N e US = S2 \ S sono aperti in S2 , e sono un suo ricoprimento. Definiamo x + iy 1−z x − iy ϕS : US → C : (x, y, z) 7→ 1+z ϕN : UN → C : (x, y, z) 7→ scritte nelle coordinate reali associate al piano complesso: la prima mappa è la proiezione stereografica dal Polo Nord della sfera, la seconda è invece il coniugato della proiezioni stereografica dal Polo Sud. Non ci fosse stata questa coniugazione, la mappa di transizione sarebbe stata antiolomorfa. Lemma 1.1 [Sfera di Riemann]: ϕN , ϕS sono omeomorfismi di UN , US in C. ϕN , ϕS sono carte compatibili. ((UN , C, ϕN ), (US , C, ϕS )) è un atlante di S2 , che con tale struttura si chiama sfera di Riemann. Dimostrazione. Iniettività e suriettività si mostrano a mano con poca fatica, oppure ragionando geometricamente sul numero di intersezioni di una retta con una quadrica (un punto di intersezione è fissato a N o S, l’altro —per forza distinto se il punto sta nel piano z = 0 identificato con C— esiste ed è unico). 2 <z, =z, (|z|2 − 1)/2 , |z| + 1 2 <z, −=z, (−|z|2 + 1)/2 . ϕ−1 N (z) = |z| + 1 ϕ−1 N (z) = Ora, UN ∩ US = S2 \ {N, S} e ϕN (UN ∩ US ) = ϕS (UN ∩ US ) = C× : l’applicazione × ϕS ◦ ϕ−1 → C× è continua (composizione di continue) e invertibile (l’inversa è N : C −1 ϕN ◦ ϕN , che coincide con ϕS ◦ ϕ−1 N ) e dunque un omeomorfismo. Si ha ϕS ◦ ϕ−1 N : z 7→ =z z 1 <z −i 2 = = |z|2 |z| zz z (5) dunque la funzione di transizione tra le carte coincide con l’inversione rispetto al circolo unitario, una volta identificato R2 ∼ = {x3 = 0} ∼ = C con (x, y) 7→ (x, y, 0) 7→ x + iy, dal piano complesso bucato in sè. Tale applicazione è invertibile (anzi, involutoria) e olomorfa (composizione di olomorfe) in tutto il dominio, privo di singolarità (in z = 0 avrebbe un polo di ordine 1). Definizione 1.4 [Superficie di Riemann]: Una superficie di Riemann è una varietà complessa M di dimensione complessa 1. Se M è in più compatta, si dice superficie di Riemann compatta. Esempio 1.10. S2 , {(UN , C, ϕN ), (US , C, ϕS )} è una superficie di Riemann compatta. Si osservi anche che tale superficie risulta dall’unione disgiunta (C× q C× )/{z = 1/z} di due copie del piano complesso bucato, incollate modulo la relazione che identifica punti immagine dell’inversione z 7→ z1 . Esempio 1.11 (Spazi Proiettivi Complessi). Definiamo su Cn+1 la relazione x ∼ y ⇐⇒ x = λy per qualche λ ∈ C× (6) Il quoziente per questa relazione si dice spazio proiettivo complesso di dimensione n, e coincide con l’insieme delle rette per l’origine di Cn+1 . Il rappresentante di (x0 , . . . , xn ) ∈ Cn+1 si indica con [x0 : · · · : xn ] ∈ Pn (C). Esiste allora una ovvia proiezione sul quoziente π : (x0 , . . . , xn ) 7→ [x1 : · · · : xn ]. Lo spazio P1 (C) si chiama retta proiettiva complessa. Mostriamo che P1 (C) è una superficie di Riemann compatta. Definiamo U10 = P1 (C) \ {[0 : 1]}, ϕ1 : U10 → C : [x0 : x1 ] 7→ x1 /x0 U20 = P1 (C) \ {[1 : 0]}, ϕ2 : U20 → C : [x0 : x1 ] 7→ x0 /x1 Chiaramente U10 ∪ U20 = P1 (C) e ϕ1 , ϕ2 sono biiezioni ben definite (= indipendenti dai rappresentanti). Trasportiamo la topologia di C su U10 , U20 : U ⊆ Ui0 è aperto ⇐⇒ ϕ1 (U ) ⊆ C è aperto. (7) le due topologie così determinate coincidono in U10 ∩ U20 , dato che (ϕ2 ◦ ϕ−1 1 )(ϕ1 (V )) = ϕ2 (V ) ⇒ ϕ1 (V ) aperto ⇒ ϕ2 (V ) aperto (8) (ϕ1 ◦ ϕ−1 2 )(ϕ2 (V )) = ϕ1 (V ) ⇒ ϕ2 (V ) aperto ⇒ ϕ1 (V ) aperto (9) −1 × in virtù del fatto che le composizioni ϕ2 ◦ ϕ−1 1 e ϕ1 ◦ ϕ2 sono due biolomorfismi di C in sè, coincidenti e uno l’inverso dell’altro. Proposizione 1.3 : Dotata della topologia conseguente dalla definizione in 7, la retta proiettiva complessa è uno spazio di Hausdorff compatto. Dimostrazione. Supponiamo dapprima che se p1 6= p2 , nessuno dei due stia in U10 ∩ U20 : allora per iniettività ϕ1 (p1 ) 6= ϕ1 (p2 ), e queste immagini hanno due intorni disgiunti V1 , V2 in C: se definiamo Wi = ϕ1−1 (Vi ), Wi è un intorno di pi che non contiene l’altro punto. Supponiamo ora {p1 , p2 } = {[0 : 1], [1 : 0]}, e poniamo per esempio p1 = [0 : 1] e p2 = [1 : 0]. Allora p2 ∈ U10 con ϕ1 (p2 ) = 0, e p1 ∈ U20 con ϕ2 (p1 ) = 0. Definiamo Wi = {q ∈ Ui0 | |ϕi (q)| < 1}: Wi è un aperto (controimmagine del disco unitario D(0, 1[ mediante ϕi ) contenente p2 per i = 1 e p1 per i = 2. W1 ∩ W2 = ∅: se p ∈ W1 , / W2 . |ϕ2 (p)| = ϕ11(p)| > 1 e allora p ∈ Se infine indichiamo con D(0, 1[ = D(0, 1] il disco unitario chiuso in C, si nota che −1 P1 (C) = ϕ−1 1 (D(0, 1]) ∪ ϕ2 (D(0, 1]) (10) Infatti se P = [x0 : x1 ] ci sono tre casi possibili: se |x0 | < |x1 | allora P ∈ ϕ−1 2 (D(0, 1]). Se invece |x1 | < |x0 |, allora P ∈ ϕ−1 (D(0, 1]), e se infine |x | = |x |, P = [1 : 1] 0 1 1 che sta in entrambi gli insiemi. Dunque P1 (C) risulta da un’unione finita di immagini di compatti mediante omeomorfismi (che sono funzioni proprie con le loro inverse). Accettiamo il fatto che P1 (C) è uno spazio topologico a base numerabile, e otteniamo b compatcome P1 (C) diventa una superficie di Riemann compatta identificabile con C, tificazione di Alexandrov della retta complessa (con un punto). Detto in altre parole: b che diventa un ϕ1 : U10 → C si estende ad una biiezione di insiemi ϕ f1 : P1 (C) → C b omeomorfismo una volta data a C = C ∪ {∞} la topologia di Alexandrov. Il primo esempio si può generalizzare in modo insperato, arrivando ad asserire che ogni superficie orientabile S ammette una struttura complessa che la rende una superficie di Riemann. La costruzione fa ricorso a quelle che sono dette coordinate isoterme su S,e procede come segue. Strutture Complesse su Superfici. Vogliamo dimostrare il Teorema 1.2 : Su ogni superficie riemanniana orientabile (S, g) esiste una struttura di superficie di Riemann. Definiamo perciò l’operatore di Laplace–Beltrami sulla superficie (S, g) come l’analogo del laplaciano che già si conosce dalla teoria degli operatori differenziali vettoriali: lì ∆f = div grad f , e qui, se f è una funzione differenziabile in un intorno di p ∈ S, 2 p 1 X ∂ ij ∂f ∆f = p |g|g , ∂xj |g| i,j=1 ∂xi (11) dove |g| = | det g|, e g ij è la componente ij della matrice inversa di g. La condizione di armonicità per f è allora 2 2 ∂ X 1j ∂f ∂ X 2j ∂f + =0 (12) g g ∆f = 0 = ∂x1 j=1 ∂xj ∂x2 j=1 ∂xj Se poniamo 2 p X ∂f ω1 = − |g| g 2j ∂xj j=1 ω2 = p |g| 2 X g 1j j=1 ∂f ∂xj (13) ∂ω1 1 la condizione (12) diventa ∂ω ∂x1 − ∂x2 = 0, che si traduce nella chiusura della forma differenziale Ω = ω1 dx1 + ω2 dx2 . Supponiamo ora di avere una soluzione all’equazione ∆f = 0 in un intorno convesso U di p ∈ S, tale che dfp 6= 0. Poiché U è convesso e Ω è ivi chiusa, è anche esatta, ossia esiste una h tale che Ω = dh su U . Se in esplicitiamo ∂f ∂f ∂x1 , ∂x2 2 p X ∂f ∂h g 2j = − |g| ∂x1 ∂x j j=1 (14) 2 p X ∂h ∂f = |g| g 1j ∂x2 ∂x j j=1 (15) troviamo p ∂f 22 ∂h 12 ∂h = |g| g +g ∂x1 ∂x2 ∂x1 p ∂f 21 ∂h 11 ∂h = − |g| g +g ∂x2 ∂x2 ∂x1 (16) (17) Ora, dalle (14,15) otteniamo 2 p X ∂f ∂f ∂f ∂h ∂f ∂h g ij − = |g| ∂x1 ∂x2 ∂x2 ∂x1 ∂xi ∂xj i,j=1 (18) P2 ∂f ∂f Notiamo che i,j=1 g ij ∂x è il prodotto scalare indotto da g sul duale del piano i ∂xj tangente a S. Pertanto l’equazione precedente diventa p ∂f ∂h ∂f ∂h − = |g| hdf | df i . ∂x1 ∂x2 ∂x2 ∂x1 (19) Allo stesso modo da (16,17) si trovano le p ∂f ∂h ∂f ∂h − = |g| hdh | dhi ∂x1 ∂x2 ∂x2 ∂x1 p ∂h ∂h ∂h ∂h 0= − = |g| hdf | dhi ∂x2 ∂x1 ∂x1 ∂x2 Quindi su U si hanno le identità hdh | dhi = hdf | df i e hdf | dhi = 0. Poiché dfp 6= 0 possiamo assumere (a meno di restringere U ) che df sia diverso da zero su U . Pertanto hdf | df i = hdh | dhi > 0, Poniamo ( hdf | dhi = 0 y1 = f (x1 , x2 ) y2 = h(x1 , x2 ) (20) ; (21) le (y1 , y2 ) definiscono coordinate locali su U , e si dicono coordinate isoterme (il nome è dovuto al fatto che tali coordinate sono funzioni armoniche, ossia tali che ∆u = 0, e sono dunque -almeno localmente- soluzioni stazionarie dell’equazione del calore; ogni insieme di livello di tali u è detto un’isoterma del sistema). Infatti si ha ! ! ∂y1 ∂y1 ∂f ∂f p ∂x1 ∂x2 ∂x ∂x 1 2 = |g| hdf | df i > 0 (22) det ∂y2 ∂y2 = det ∂h ∂h ∂x1 ∂x1 ∂x2 ∂x2 Come si esprime la metrica g in queste coordinate? Non è difficile trovare che si ha gy11 = hdf | df i = gy22 , gy12 = gy21 = 0 (23) e ricordando che g ij è la componente ij della matrice inversa di g, otteniamo che su U g −1 ha un’espressione del tipo λ(y)I, ove λ(y) = hdf | df i , che è compatibile con il cambio 0 0 0 di coordinate: se in U ci sono coordinate (y1 , y2 ) si ha 0 0 λ (y ) 0 g = = 0 λ0 (y 0 ) 0 ∂y10 ∂y1 ∂y20 ∂y1 ∂y10 ∂y2 ∂y20 ∂y2 !t λ(y) 0 0 λ(y) ∂y10 ∂y1 ∂y20 ∂y1 ∂y10 ∂y2 ∂y20 ∂y2 ! = J t gJ (24) se J = Jac τ , con τ mappa di transizione tra due carte nell’intersezione dei dominî. Esplicitando le relazioni nascoste nel prodotto di matrici lì sopra si ottiene " 2 0 2 # ∂y10 ∂y2 + λ(y) = λ0 (y 0 ) ∂y1 ∂y1 " 2 0 2 # ∂y2 ∂y10 + λ(y) = λ0 (y 0 ) ∂y2 ∂y2 ∂y10 ∂y10 ∂y 0 ∂y 0 + 2 2 =0 ∂y1 ∂y2 ∂y1 ∂y2 (25) ossia in ogni punto di U deve valere una (e una sola) tra le relazioni seguenti ( ∂y0 ( ∂y0 ∂y20 ∂y20 1 1 ∂y1 = ∂y2 ∂y1 = − ∂y2 ∂y10 ∂y2 ∂y 0 = − ∂y12 ∂y10 ∂y2 = ∂y20 ∂y1 (26) che sono equivalenti alle relazioni di (anti)olomorfia per τ . Da ultimo, si usa un argomento di connessione per mostrare che in U solo una delle precedenti relazioni può sussistere. In conclusione si ha il Teorema 1.3 : Ogni punto di una superficie (S, g) ha un intorno in cui esistono coordinate isoterme. Il legame tra due sistemi di coordinate isoterme su uno stesso intorno è espresso da una funzione olomorfa o antiolomorfa. 1.5 Varietà quasi complesse e Integrabilità. La nozione di varietà quasi complessa è la generalizzazione non lineare della nozione di spazio vettoriale complesso. Definizione 1.5 : Sia M una varietà liscia. Il dato di una struttura quasi complessa ad M consiste nell’assegnazione di una J ∈ End(T M ) = T11 (M ) tale che J ◦ J = J 2 = − idT M . La coppia (M, J) si dice varietà quasi complessa. In altre parole una struttura quasi complessa su M consiste di una sezione J del fibrato T11 M , tale che (Tp M, Jp ) sia uno spazio vettoriale complesso per ogni p ∈ M . Se (U, x = (x1 , . . . , xn )) è una carta locale di M , in U si può scrivere J come X ∂ J= Jik dxi ⊗ (27) ∂xk P ove Jik ∈ C ∞ (U ) e si ha s Jis Jsk = δik . Condizioni necessarie a ché una varietà sia quasi complessa è che abbia dimensione pari e sia orientabile. Queste condizioni non sono sufficienti, come dimostrato da Ehresmann e Hopf per S4 . Il fatto che dim M sia pari segue direttamente dal fatto che dim M = dimR Tp M , e dal fatto che Tp M ha dimensione pari essendo uno spazio vettoriale complesso. Per l’orientabilità, mostriamo che il determinante di un cambio di carta è positivo. Scegliamo di Tp M la 2n-upla (x1 , . . . , x2n ) = (x1 , . . . , xn , Jx1 , . . . , Jxn ), ∂ come base ∂ e sia ∂x , . . . , un’altra base di Tp M equiorientata con la prima (perché si può ∂x2n 1 trovare?). Quello fatto da basi del primo tipo è un atlante orientato, dato che se ne pren0 0 0 0 diamo due, (x1P , . . . , xn , Jx1 , . . . , Jxn ) e (xP 1 , . . . , xn , Jx1 , . . . , Jxn ) di Tp M , possiamo 0 0 scrivere xi = k αik xk , e dunque Jxi = k αik Jxk , e il determinante del cambio di carta è α11 ... α1n .. . . .. !2 0 α11 ... α1n . . αn1 .... αnn . . . det >0 (28) .. . . .. α11 ... α1n = det .. . . .. αn1 ... αnn 0 . . . αn1 ... αnn Allora se p ∈ U ∩ U 0 , dato che il cambiodi coordinate tra x ex0 è positivamente orientato, ∂ ∂ ∂ ∂ , . . . , e , . . . , . tale è anche il cambio di coordinate tra ∂x 0 0 ∂x2n ∂x ∂x 1 1 2n 1.5.1 Il teorema di Newlander e Nirenberg. Ogni varietà complessa ammette una struttura di varietà quasi complessa. Il viceversa, in generale, è impedito da alcune ostruzioni: la nozione di integrabilità di una struttura quasi complessa dà un criterio in questo senso. Proposizione 1.4 : Sia M una varietà complessa. Allora su M c’è una struttura quasi complessa canonica (=indipendente da altre scelte che quella di un atlante complesso). Dimostrazione. Scegliamo una carta locale (U, z = (z1 , . . . , zn )) centrata in p ∈ M . La carta reale associata è (U, (x1 , . . . , xn ), (y1 , . . . , yn )), dove xk = <zk , yk = =zk . Per ogni q ∈ U poniamo ∂ ∂ ∂ ∂ Jq (29) Jq = =− ∂xi q ∂yi q ∂yi q ∂xi q Mostriamo ora che questa è una buona definizione, ossia non dipende dalle carte scelte. Siano (U, z = x + iy) e (V, w = u + iv) due carte complesse in p ∈ M ; le formule per il cambio di coordinate (che fanno scrivere xk = xk (u, = uvv) e yk = yk (u, = uvv)) porgono ( P ∂uj ∂ ∂vj ∂ ∂ j ∂xk ∂uj + ∂xk ∂vj ∂xk = (30) P ∂uj ∂ ∂vj ∂ ∂ j ∂yk ∂uj + ∂yk ∂vj ∂yk = ∂u ∂v ∂u ∂v Valgono però le relazioni di Cauchy-Riemann: ∂xkj = ∂ykj e ∂ykj = − ∂xkj . Allora se J e J 0 sono le strutture quasi complesse costruite come sopra nei due riferimenti, si ha X ∂uj ∂ ∂vj ∂ 0 0 ∂ =J + J ∂xk ∂xk ∂uj ∂xk ∂vj X ∂vj ∂ ∂uj ∂ = + ∂yk ∂uj ∂yk ∂uj ∂ ∂ =J . = ∂yk ∂xk In modo analogo J 0 ∂y∂k = J ∂y∂k in tutto U ∩ V . Osservazione 6. In effetti si può argomentare qualcosa di più raffinato: Su un intorno Ui di un atlante olomorfo (Ui , ϕi ) definiamo Ji = ϕ−1 i∗ ◦ Jc ◦ ϕi∗ , dove Jc è la struttura lineare complessa standard di Cn ; ora, fij = ϕi ◦ ϕ−1 è olomorfa (ossia il suo pullj back commuta con Jc ) e il prefascio dei tensori di tipo (1, 1) è anche un fascio, cosa che permette di definire una sezione globale incollando quelle locali. Sia (M, J) una varietà quasi complessa di dimensione 2n. Supponiamo che nell’intorno coordinato U ⊆ M lo spazio delle 1-forme complesse abbia per base {ϑk , ϑk }, per k = 1, . . . , n e ogni ϑk è una forma complessa di tipo (1, 0) tale che ϑ1 , . . . , ϑn siano indipendenti. Allora volendo scrivere dϑk in coordinate si ha dϑk = X 1X k 1X k aj` ϑj ∧ ϑ` + bkj` ϑj ∧ ϑ` + cj` ϑj ∧ ϑ` 2 2 j,` j,` j,` (31) dove akj` , bkj` , ckj` sono funzioni lisce a valori complessi, antisimmetriche negli indici in basso. Definizione 1.6 : Nelle notazioni precedenti, J si dice integrabile se, per ogni U ⊆ M , vale la condizione dϑk ≡ 0 (mod ϑj ) (∀j, k) ovvero se ckj` = 0 per ogni k, `, j. Il tal caso, (M, J) si dice varietà quasi complessa integrabile. Esercizio. Si dimostri che la definizione è ben posta: se {λk , λk } è un’altra base di 1forme alle stesse condizioni della definizione, definite su U ∩ P V 6= ∅, allora λk = P 1 k j µjk ϑj per delle µjk : det(µjk ) 6= 0. Scrivendo dλk = 2 j,` ãj` λj ∧ λ` + . . . k k k e sostituendo, si hanno delle relazioni sui coefficienti ãj` , b̃j` , c̃j` che. . . Il teorema seguente, dovuto per la quasi totalità a Newlander e Nirenberg, dà un criterio affinché una struttura quasi complessa sia integrabile, permettendo di caratterizzare come integrabili tutte e sole quelle strutture quasi complesse che sono indotte da una struttura complessa du M . Per la precisione, a Newlander e Nirenberg si deve la dimostrazione che 1 ⇐⇒ 2. Definizione 1.7 [Tensore di Nijenhuis]: Sia (M, J) una varietà quasi complessa. Definiamo il tensore di Nijenhuis come il tensore di tipo (2, 0) dato da νM (u, v) = [Ju, Jv] − J[u, Jv] − J[Ju, v] − [u, v]. (32) Teorema 1.4 [NN]: Sia (M, J) una varietà quasi complessa. Le seguenti condizioni sono equivalenti. • J è integrabile; • νM = 0; • M ha una struttura di varietà complessa e la struttura quasi complessa canonica da essa indotta coincide con J. 2 2.1 Teoria di Dolbeault. Fibrati tangente e cotangente complessificati. Sia (M, J) una varietà quasi complessa. Il fibrato tangente complessificato a M , denotato T M ⊗ C o T C M , è quello che ha per fibre i complessificati delle fibre di T M , di modo che (T M ⊗ C)p = Tp M ⊗ C. Le relazioni che legano uno spazio vettoriale V reale al suo complessificato V ⊗R C = V C si trasportano immutate alle fibre di T C M . In particolare è utile ricordare che dimR Tp M = 2n = dimC T C M , e che ogni vettore in V C si scrive in un solo modo come v1 ⊗ 1 + v2 ⊗ i (si indica questo fatto scrivendo che V C ∼ = V ⊕ iV ). La struttura complessa J viene estesa a T M ⊗ C in modo ovvio (in effetti, per funtorialità della corrispondenza V ⊗ V C ): Jp (v ⊗ α) = J(v) ⊗ α (∀v ∈ Tp M, α ∈ C) Nel seguito, essendo chiaro dal contesto se ci riferiamo a J o alla sua complessificazione, continueremo a indicare entrambi con lo stesso simbolo. Proposizione 2.1 : J ha due autovalori complessi distinti, ±i. Dimostrazione. Supponiamo che Jv = λv. Allora −v = λJv = λ2 v, ossia (1 + λ2 )v = 0, che implica λ = ±i. Chiamiamo Tp,1|0 l’autospazio di i, e Tp,0|1 l’autospazio di −i in Tp M ; i ` primi si dicono vettori`tangenti olomorfi, e i secondi antiolomorfi. Indichiamo con T1|0 = p∈M Tp,1|0 , T0|1 = p∈M Tp,0|1 rispettivamente gli spazi totali dei fibrati olomorfo e antiolomorfo ad M . Proposizione 2.2 : T1|0 = v ⊗ 1 − Jv ⊗ i | v ∈ T M T0|1 = v ⊗ 1 + Jv ⊗ i | v ∈ T M Dimostrazione. È evidente che valgono le inclusioni ⊇. Per l’inclusione opposta, basta trattare il caso di T1|0 perché l’altro è formalmente analogo: se ogni vettore nel complessificato T C M si scrive come v1 ⊗ 1 + v2 ⊗ i, e se w ∈ T1|0 , allora Jw = iw. Dunque J(v1 ⊗ 1 + v2 ⊗ i) = i(v1 ⊗ 1 + v2 ⊗ i) Jv⊗ 1 + Jv2 ⊗ i = −v2 ⊗ 1 + v1 ⊗ i Col che, v2 = −Jv1 , e w = v1 ⊗ 1 − Jv1 ⊗ i. Definiamo allora π1|0 : T M v π0|1 : T M v / T1|0 / 1 (v ⊗ 1 − Jv ⊗ i), 2 / T0|1 / 1 (v ⊗ 1 + Jv ⊗ i). 2 Tali mappe sono, per quanto mostrato, isomorfismi di fibrati reali. Con un conto diretto si mostra la Proposizione 2.3 : ( π1|0 ◦ J = i · π1|0 π0|1 ◦ J = −i · π0|1 (33) Corollario. T1|0 ∼ = T0|1 ∼ = T M , e anche T M ∼ = T1|0 ∼ = T0|1 (la barra indica il fibrato coniugato). Commettendo l’abuso di notazione di indicare ancora con π0|1 , π1|0 le rispettive mappe complessificate, definiamo la mappa / T1|0 ⊕ T0|1 (π0|1 , π1|0 ) : T C M v (34) / (π C (v), π C (v)) 0|1 1|0 la quale è un isomorfismo. Esercizio. Ripetere tutto quanto fatto finora sul fibrato cotangente:, ossia trovare un isomorfismo (π 1|0 , π 0|1 ) : T ∗ M ⊗R C → T 1|0 ⊕ T 0|1 (35) dove T 1|0 = {η ∈ T ∗ M ⊗R C | η(J(v)) = i · η(v)} e T 0|1 = {η ∈ T ∗ M ⊗R C | η(J(v)) = −i · η(v)}. 2.2 (l, m)-forme differenziali. Sia (M, J) una varietà quasi complessa. Definiamo per ogni k ∈ N lo spazio Ωk (M, C) Vk C ∗ delle k-forme differenziali complesse, sezioni del fibrato (T M ). Si osservi che, grazie alla proprietà esponenziale dell’algebra esterna, Vk Vk 1|0 (T C M ∗ ) = (T (M ) ⊕ T 0|1 (M )) = L Vl Vm 0|1 L Vl,m = l+m=k (T 1|0 (M )) ⊗ (T (M )) =: l+m=k (M ). (36) ove si è definito Vl,m (M ) = V1,0 Vl (T 1|0 ) ⊗ Vm (T 0|1 ). Si noti in particolare che V0,1 (M ) = T 1|0 (M ), (M ) = T 0|1 (M ). (37) Passando ai rispettivi fibrati possiamo definire Fibrato Sezione π k-forme complesse Vk MC − →M forme complesse V• M C −→ M (l, m)-forme complesse Vl,m π0 π 00 (M ) −−→ M Vk Ωk (M ) = Γ( M C , π) Ω• (M ) = Γ( Ωl,m (M ) = Γ( V• M C , π0 ) Vl,m (M ), π 00 ) Si ha dunque Ωk (M ) = M Ωl,m (M ), (38) l+m=k L e Ω• (M ) = k≥0 Ωk (M ). Se ora su M c’è una struttura quasi complessa integrabile, ovvero una struttura complessa che è compatibile con J, allora una forma α ∈ Ωk (M ) si scrive nei due modi X α= πl,m (α) l+m=k α= X αIJ dzI ∧ dz J |I|+|J|=k |I|=l,|J|=m dove πl,m : Ω• (M ) → Ωl,m (M ), dzi sono coordinate locali in un opportuno dominio U di carta complessa e αIJ ∈ C ∞ (U, C). Esercizio. La definizione non dipende dalle coordinate: se V, wk ) è un’altra carta complessa tale che U ∩ V 6= ∅, si ha zk = zk (w1 , . . . , wn ) e dunque dzk = . . . , dz k = ... 2.3 Operatori ∂ e ∂. Sia (M, J) una varietà quasi complessa. Si rammenti la definizione di derivazione esterna sull’algebra delle forme differenziali come l’unica antiderivazione d : Ω(M, R) → Ω(M, R) di grado +1 tale che d ◦ d = 0 e che d|C ∞ (U ) = d|Ω0 (U ) coincida con l’usuale differenziale di funzioni lisce. Esso si estende per C-linearità, in modo unico, ad un operatore dC : Ω• (M ) → Ω• (M ), con le stesse proprietà, che da ora in poi chiameremo di nuovo d. Proposizione 2.4 : d Ωl,m (M ) ⊆ Ωl+2,m−1 (M ) ⊕ Ωl,m+1 (M ) ⊕ Ωl+1,m (M ) ⊕ Ωl−1,m+2 (M ). (39) Dimostrazione. Doppia induzione sulla coppia (l, m). Da tale risultato, e rammentando che per ogni i, j = 1, . . . , n possiamo definire la proiezione πi,j : Ω• (M ) → Ωi,j (M ), si hanno le definizioni Σ := πp+2,q−1 ◦ d ∂ := πp+1,q ◦ d ∂ := πp,q+1 ◦ d Σ := πp−1,q+2 ◦ d La quantità Σ + Σ costituisce una ostruzione all’integrabilità della struttura quasi complessa di M . Difatti è facile dimostrare che il teorema di Newlander-Nirenberg precedentemente enunciato può essere esteso al seguente Teorema 2.1 [NN forte]: Sia (M, J) una varietà quasi complessa. Sia ν il tensore di Nujenhis di M . La seguenti condizioni sono equivalenti: • M è una varietà complessa e J è la struttura quasi complessa canonica ad essa associata; • J è integrabile; • ν ≡ 0; • d = ∂ + ∂; • ∂ ◦ ∂ = 0; • ∂ ◦ ∂ = 0. (Si tralascino le implicazioni 3 ⇒ 1, 2 ⇒ 1, che costituiscono il nucleo del teorema di Newlander e Nirenberg). 2.3.1 Funzioni J-omolorfe e antiolomorfe. Consideriamo f ∈ C ∞ (M ). Come già detto la derivata esterna di f , che qui coincide con l’usuale differenziale, si estende per C-linearità alle funzioni lisce f : M → C come dC f = d<f + id=f . Definizione 2.1 : Una funzione f ∈ C ∞ (M, C) si dice J-olomorfa (risp., J-antiolomorfa) in p ∈ M se dfp è C-lineare (risp., C-antilineare), ossia se dfp ◦ J = i · dfp (risp., se dfp ◦ J = −i · dfp ). Esercizio. Si mostri che f è J-olomorfa ⇐⇒ dfp ∈ T 1|0 (M ) ⇐⇒ πp0|1 dfp = 0; f è J-antiolomorfa ⇐⇒ dfp ∈ T 0|1 (M ) ⇐⇒ πp1|0 dfp = 0. Si noti che (per motivi di dimensione) d|C ∞ (M,C) = ∂ + ∂. Allora f è olomorfa se e solo se ∂f = 0 e antiolomorfa se e solo se ∂f = 0. Cosa accade, di preciso, per forme differenziali di grado maggiore? 2.3.2 Coomologia di Dolbeault. Supponiamo che d = ∂ + ∂. Allora per ogni β ∈ Ωl,m (M ) si ha dβ = ∂β + ∂β 2 0 = d2 β = ∂ 2 β + (∂∂ + ∂∂)β + ∂ β. 2 La seconda di queste relazioni implica che ∂ = ∂ 2 = ∂∂ + ∂∂ = 0. Dal momento che 2 per il Teorema di Newlander-Nirenberg forte d = ∂ + ∂ ⇐⇒ ∂ 2 = ∂ = 0, questo si traduce nella relazione non triviale ∂∂ + ∂∂ = 0, che implica che la successione (Ωl,m ) è un bicomplesso di cocatene i cui differenziali verticale e orizzontale sono, rispettivamente, proprio ∂ e ∂. In altre parole la sequenza ∂ ∂ ∂ 0 → Ωl,0 (M ) − → Ωl,1 − → Ωl,2 − → ··· (40) è per ogni l ≥ 0 un complesso di cocatene i cui gruppi di coomologia sono l,m (M ) := HDb Z∂l,m (M ) B∂l,m (M ) = ker ∂|Ωl,m im ∂|Ωl−1,m (41) (forme chiuse modulo esatte). Analoghe definizioni ovviamente si possono dare per quanto riguarda ∂, ottenendo i l,m gruppi di ∂-coomologia di Dolbeault di M , denotati con HDb (M ). Infine si definiscono i numeri di ∂, ∂-Hodge di M come l,m h∂,l,m (M ) = dimR HDb (M ), ∂ Ω0,0 (M ) ∂ / Ω0,1 (M ) l,m h∂,l,m = dimR HDb (M ). ∂ ∂ 1,0 Ω (M ) ∂ ∂ / Ω0,2 (M ) ∂ (42) / ··· (43) ∂ / Ω1,1 (M ) ∂ / ··· ∂ Ω2,0 (M ) ∂ / ··· Il seguente risultato è l’analogo in coomologia di Dolbeault del Lemma di Poincarè: Teorema 2.2 [Lemma di Dolbeault-Poincarè per ∂]: Sia M una varietà complessa, e α ∈ Ωl,m (M ) una forma ∂-chiusa. Allora α è localmente ∂-esatta, ossia per ogni ∈ M l,m (U ) = (0). esiste un intorno U ⊆ M tale che HDb 2.3.3 (l, m)-forme su una Varietà Complessa. Prima di introdurre le varietà è opportuno interessarsi a come appare la deL di Kähler, l,m composizione Ωk (M ) = Ω (M ) una volta scelto un atlante complesso per l+m=k M. Scelta una (zk )), la cui carta ), (yk )), è ben noto talecarta (U, reale associata è (U, (xk ∂ ∂ ∂ ∂ C che Tp M = ∂xj , ∂yj : j = 1, . . . , n , e che dunque Tp M = ∂xj , ∂yj : j = 1, . . . , n . p p p R p Ricordando però la decomposizione di Tp M ⊗ C nei due autofibrati fatti dagli autospazi di J, si ha anche TpC M = T1|0 (M ) ⊕ T0|1 (M ) = 1 ∂ ∂ ∂ 1 ∂ ⊕ . (44) = −i +i 2 ∂xj p ∂yj p C 2 ∂xj p ∂yj p C Definendo ∂ 1 ∂ ∂ := −i ∂zj 2 ∂xj ∂yj ∂ 1 ∂ ∂ := +i ∂z j 2 ∂xj ∂yj si ha dunque che T0|1 = h ∂z∂ j : j = 1, . . . , ni e T1|0 = h ∂z∂ j : j = 1, . . . , ni. (45) C Esercizio. Ottenere simili rappresentazioni per T 1|0 (M ) e T 0|1 (M ). In un intorno coordinato è dunque evidente che (con un po’ di fatica) una k-forma β ∈ Ωk (M ) si può scrivere come X X β= bIJ · dzI ∧ dz J , (bIJ ∈ C ∞ (U, C)) l+m=k |I|=l,|J|=m e che quindi dβ si scrive X X dβ = dbIJ ∧ dzI ∧ dz J l+m=k |I|=l,|J|=m = X X ∂bIJ + ∂bIJ ∧ dzI ∧ dz J (d|C ∞ (M,C) = ∂ + ∂) l+m=k |I|=l,|J|=m = X P P |I|=l,|J|=m ∂bIJ ∧ dzI ∧ dz J + |I|=l,|J|=m ∂bIJ ∧ dzI ∧ dz J | {z } | {z } l+m=k Ωl+1,m (M ) Ωl,m+1 (M ) = ∂β + ∂β. 3 Varietà di Kähler. Esistono varie definizioni di varietà di Kähler, che si appellano alla loro struttura ricca sotto il punto di vista algebrico e geometrico; usiamo qui la più semplice in rapporto alle definizioni già date nel corso della nota. Definizione 3.1 : Una varietà di Kähler è una varietà simplettica (M, ω) equipaggiata con una struttura quasi complessa ω-compatibile e integrabile. In tali condizioni la forma ω è chiamata forma di Kähler di M . Dalla definizione segue immediatamente che se (M, ω) è di Kähler, allora M ammette una struttura di varietà complessa, e d = ∂ + ∂ nelle notazioni ormai consolidate. In delle coordinate complesse (U, (zk )) allora si può scrivere ogni (l, m)-forma β come X bIJ ∧ dzI ∧ dz J . (46) |I|=l,|J|=m D’altra parte è anche evidente che se (M, ω) è Kähler, ω è una forma simplettica (con tutto ciò che segue, geometricamente e algebricamente). Una forma di Kähler è una 2-forma ω, compatibile con le strutture complessa e quasi complessa di J, chiusa, reale e non degenere: in che modo queste proprietà si adeguano alla decomposizione di Ω• (M ) che abbiamo studiato prima? • Innanzitutto, Ω2 (M, C) = Ω2,0 (M ) ⊕ Ω1,1 (M ) ⊕ Ω0,2 (M ); dunque in una carta complessa (U, (zk )) si ha X X X ω= ajk dzj ∧ dzk + bjk dzj ∧ dz k + cjk dz j ∧ z k (47) per certe ajk , bjk , cjk ∈ C ∞ (U, C). • In secondo luogo, J è un simplettomorfismo rispetto a ω; questo vuol dire che J ∗ ω = ω, ossia (dato che le forme dzj sono olomorfe e le dz k antiolomorfe) J ∗ dzj = idzj e J ∗ dz k = −idz k . Allora J ∗ ω = i2 X ajk dzj ∧ dzk + i(−1) X bjk dzj ∧ dz k + (−i)2 X cjk dz j ∧ z k , (48) e J ∗ ω = ω ⇐⇒ ajk = 0 = cjk , ossia se e solo se ω ∈ Ω1,1 (M ). Ponendo bjk = 2i hjk si può scrivere ω= n i X hjk dzj ∧ dz k . 2 (49) j,k=1 • La chiusura di ω si traduce nella condizione 0 = dω = ∂ω + ∂ω ⇒ ω è ∂, ∂-chiusa. (50) 1,1 Perciò ω definisce una classe di coomologia di Dolbeault [ω] ∈ HDb (M ). • Il fatto che ω è reale si traduce in una condizione sugli hjk : ω=− iX iX 1X hjk · dz j ∧ dzk = hjk · dzk ∧ dz j = hkj dzj ∧ dz k (51) 2 2 2 dunque hjk = hkj , ossia la matrice (hjk ) è hermitiana. • Si verifichi come esercizio che la non-degenerazione implica che la forma volume canonica di M ω n = ω ∧ · · · ∧ ω si scrive come in n! det(hjk ) · dz1 ∧ dz 1 ∧ · · · ∧ dzn ∧ dz n 2n (52) e dunque ω è non degenere se e solo se det(hjk (p)) 6= 0 per ogni p ∈ M . Dalla compatibilità tra le strutture si ricava infine che per ogni vettore non nullo ω(v, Jv) > 0, quindi det(hjk ) > 0, facendo di ogni hjk (p)) una metrica hermitiana definita positiva. 3.1 Potenziali Kähleriani. Quella che segue è una “ricetta” per ottenere forme di Kähler su varietà. Se da una parte date una varietà complessa M e una opportuna funzione si può costruire su M una forma di Kähler, dall’altra una forma di Kähler si può, almeno localmente, ricavare a partire da una funzione. Tale funzione si dice potenziale kähleriano. Scopo di questa sezione è rendere più precise tali affermazioni. Definizione 3.2 : Sia M una varietà complessa. Una funzione % ∈ C ∞ (M, R) si dice strettamente plurisubarmonica se in ogni carta complessa (U, (zk )) di M la matrice ∂2% ∂zj ∂z k jk è definita positiva per ogni p ∈ U . Proposizione 3.1 : Sia M una varietà complessa e % ∈ C ∞ (M, R) strettamente plurisubarmonica. Allora i ω% = ∂∂% (53) 2 è una forma di Kähler. Dimostrazione. Bisogna anzitutto verificare che ω% è chiusa. Perciò si osservi semplicemente che 1 2 ∂ ∂% = 0 2 i i ∂ω% = ∂∂∂% = − ∂∂% = 0 2 2 ∂ω% = e dunque dω = (∂ + ∂)ω = 0. In secondo luogo i i ω = − ∂∂% = ∂∂% = ω, 2 2 (54) e dunque ω è reale. Infine, dato che ω ∈ Ω1,1 (M ), J ∗ ω = ω, e si verifica la compatibilità. Resta da verificare la positiva definitezza di hjk nella scrittura 49 per ω. Perciò si osservi che se f ∈ C ∞ (U, C), ∂f = X ∂F dzj , ∂zj ∂f = X ∂f dz j ∂z j (55) e dunque ( hjk ) i i X ∂ ∂% i X ∂2% ω = ∂∂% = dzj ∧ dz k = dzj ∧ dz k . 2 2 ∂zj ∂z k 2 ∂zj ∂z k (56) A questo punto l’ipotesi di stretta plurisubarmonicità di % permette di concludere che det(hjk ) > 0. Un parziale inverso della precedente costruzione è il seguente Teorema 3.1 : Sia ω una (1, 1)-forma chiusa e a valori reali sulla varietà complessa M , e sia p ∈ M . Allora esistono un intorno U ⊆ M di p e una funzione %ω ∈ C ∞ (U, R) tali che, su U , i ω = ∂∂%ω . (57) 2 La funzione %ω è detta potenziale di Kähler di ω. Ciò dice che, almeno localmente, ogni forma di Kähler si scrive |omega = i∂∂% per qualche potenziale di Kähler %. Esempio 3.1. Consideriamo M = Cn ∼ = R2n con le coordinate complesse canoniche. Il potenziale di Kähler globale della forma simplettica standard ω0 è dato da X X % : (z1 , . . . , zn ) = |zj |2 = zj z j (58) 2 % Infatti è semplice verificare che ∂z∂j ∂z è la matrice identica, e dunque % è strettamente k plurisubarmonica. La forma di Kähler corrispondente a % è esattamente ω= iX i ∂∂ω = dzk ∧ dz k . 2 2 (59) Osservazione 7. Quanto finora osservato consente di formulare una definizione alternativa di varietà di Kähler: si tratta di una varietà complessa M cui sia data una famiglia di aperti che la ricoprono e una famiglia di funzioni lisce reali (Uk , %k ) tali che per ogni coppia di indici r, s si abbia ∂∂%r |Urs = ∂∂%s |Urs ogni volta che Ur ∩ Us 6= ∅. Esercizio. Si deduca da ciò che una sottovarietà complessa di una varietà Kähleriana è ancora Kähleriana (Sugg.: se % ∈ C ∞ (M ) è una funzione strettamente plurisubarmonica, allora lo è anche ι∗ % per ι : N ,→ M ). Esempio 3.2. Esiste un’altra forma di Kähler su Cn ottenibile da un potenziale globale, diversa da quella canonica: consideriamo la funzione %(z) = log(|z|2 + 1) su Cn : si verifica che δjk ∂2% z j zk + 2 =− (60) 2 2 ∂zj ∂z k (|z| + 1) |z| + 1 e che quindi % è strettamente plurisubarmonica (si usino considerazioni di simmetria legate ht al fatto che U (n) agisce transitivamente su Cn \ {0} ∼ = S2n−1 , e che quindi è sufficiente verificare che hjk è definita positiva in una sola direzione). Tale forma di Kähler si dice forma di Fubini-Study. La forma di Kähler di Fubini-Study è, per n = 1 ωFS = i dz ∧ dz ∂∂% = 2 2 (|z|2 + 1) (61) Una facile generalizzazione si ha per il generico Cn , usando anche la formula precedentemente trovata per gli hjk . A Complementi. A.1 Generalità sui fibrati. A.2 Definizioni e prime Proprietà. Nel seguito B è uno spazio topologico, detto spazio di base. Definizione A.1 [Fibrato Vettoriale]: Un fibrato vettoriale reale ξ su B consiste nei dati seguenti: • Uno spazio topologico E detto spazio totale; • Una mappa continua e suriettiva π : E → B detta proiezione; • Una struttura di R-spazio vettoriale su ciascuna delle fibre π ← ({b}) = Fb . Tali dati devono soddisfare la seguente condizione di trivializzazione locale: Per ogni b ∈ B esistono un intorno U ⊆ B e un omeomorfismo hb : U × Fb ∼ = π ← (U ) (62) tali che il diagramma sotto sia commutativo. π ← (U ) / U × Fb h π % U (63) proj1 U ed Fb hanno la topologia di sottospazio e U × Fb la prodotto. Grazie ad h resta definito un isomorfismo tra Rκ (ove κ = dimR Fb ) e Fb stesso mediante la corrispondenza x 7→ h(b, x). Una coppia (h, U ) come sopra è detta sistema di coordinate locali, o trivializzazione locale per il fibrato ξ. Se si può scegliere U = E, il fibrato ξ è detto triviale su B. Lo spazio vettoriale Fb è detto fibra di ξ sopra E. Se c’è pericolo di confusione si denota Fb (ξ). Per l’ipotesi di suriettività fatta, Fb 6= ∅ per ogni b ∈ B. La dimensione di Fb (che supponiamo ora e sempre finita) è una funzione continua B → N (con la topologia discreta sul secondo), che deve perciò essere localmente costante. A.2.1 Alcuni Esempi. Esempio A.1 (Fibrato Banale). Il fibrato banale B con spazio totale E = B × Rn ha la mappa di proiezione π : E → B : (b, x) 7→ b Osservazione 8. Un fibrato è triviale se e solo se è isomorfo a B . Esempio A.2 (Fibrato Tangente). Il fibrato tangente τM ad una varietà liscia M di dimensione n è un fibrato liscio (con un argomento classico si riesce a dotare T M di una struttura di varietà liscia). ` Lo spazio totale è la varietà T M = p∈M Tp M , ovvero fatta dalle coppie (p, v), dove p ∈ M e v ∈ Tp M è un vettore tangente a M in p. La proiezione è definita da (p, v) 7→ p, di modo che π ← (p) = Tp M , ed in effetti ` T M = p∈M Tp M . La condizione di trivialità locale è semplice da verificare: in ` p∈U Tp M x U h / U × Rn (64) proj la mappa h è definita come (p, v) 7→ (p, ψ(v)), dove ψ ∈ GL(Rn ) è un qualsiasi isomorfismo lineare che identifica Tp M ed Rn (per esempio, scelte delle coordinate x1 , . . . xn date da una carta di M attorno a p, e vedendo Tp M come spazio di derivazioni, ψ manda ∂ ∂xi in ei -base canonica-). Osservazione 9. In modo analogo ` si definisce il`fibrato cotangente ad M , con spazio totale fatto dall’unione disgiunta p∈M Tp∗ M = p∈M (Tp M )∗ Esempio A.3 (Fibrato Normale). Se M è una varietà liscia di dimensione n, immersa in RN per qualche ` N > n, lo spazio totale del fibrato normale si ottiene dall’unione disgiunta N M = p∈M (Tp M )⊥ (l’ortogonale è quello indotto dall’usuale prodotto scalare di RN ). La proiezione è π : N M → M : (p, α) 7→ p, in modo che π ← (p) = (Tp M )⊥ . A.3 Funzioni di Transizione. Sia ξ un fibrato su B di proiezione π : E → B. Gli aperti banalizzanti formano un ricoprimento di B, che indichiamo con {Ui }. In corrispondenza di due trivializzazioni locali hi : π ← (Ui ) ∼ = Ui × Rn e hj : π ← (Uj ) ∼ = Uj × Rn , si ottiene, per restrizione all’intersezione Uij := Ui ∩ Uj , un isomorfismo hij , definito da n hi ◦ h−1 j : Uij × R (x, v) / Uij × Rn (65) / (x, gij (x)v), dove gij : Uij → GLn (R) è una mappa continua (o liscia se B è una varietà). Le funzioni gij sono dette funzioni di transizione per E. Esse soddisfano le identità (dette condizioni di cociclo) gij (x)gji (x) = idUij ×Rn per ogni x ∈ Uij gik (x) = gij (x)gjk (x) per ogni x ∈ Uijk = Ui ∩ Uj ∩ Uk Dimostrazione. Entrambe le identità sono conseguenza del fatto che gij è l’unica mappa −1 tale che hij = idUij ×gij . La prima segue dal fatto che hij ◦ hji = hi ◦ h−1 = j ◦ hj ◦ hi idUij ×Rn , dunque gij (x)gji (x)v = v per ogni v ∈ Rn , che implica quanto affermato. −1 −1 La seconda segue dal fatto che idUik ×gik = hik = hi ◦ h−1 k = hi ◦ hj ◦ hj ◦ hk = (idUij ×gij ) ◦ (idUjk ×gjk ) = idUik ×(gij ◦ gjk ), per ogni x ∈ Uijk , e per l’unicità di cui sopra si conclude. Le funzioni di transizione di un fibrato lo caratterizzano univocamente, nel senso che se viene dato un ricoprimento aperto dello spazio di base, U = {Ui }i∈I ed una famiglia di mappe continue gij : Uij → GLn (R) che soddisfano le condizioni di cociclo, esiste un unico fibrato vettoriale di dimensione n che ammette le gij come funzioni di transizione. Esso è costruito prendendo per spazio totale E l’unione disgiunta a Ui × Rn (66) i∈I quozientata per la relazione di equivalenza generata dall’identificazione (x, v) ∼ (y, v 0 ) se e solo se x = y e v 0 = gij (x)v. Se su E c’è la topologia quoziente, π : E → B è una mappa continua e suriettiva. Le trivializzazioni locali hi : π ← (Ui ) ∼ = Ui × Rn sono definite da h−1 i (x, v) = [(x, v)] (la classe nel quoziente). Questo ultimo risultato mostra che un fibrato si può caratterizzare, equivalentemente, mediante una famiglia di trivializzazioni locali o mediante le sue funzioni di transizione. Osservazione 10. Se stiamo considerando fibrati lisci, la struttura di varietà su E è indotta proprio dalle trivializzazioni hi ; bisogna verificare che le strutture di varietà ottenute a partire da Ui × Rn e Uj × Rn coincidono su Uij . Allo stesso modo su π ← ({b}) viene indotta una struttura di spazio vettoriale a partire da quella, ovvia, di Rn . Ancora, questa struttura non dipende da i ∈ I. A.4 Operazioni sui Fibrati. Si può affermare, in linea generale, che le costruzioni universali tra spazi vettoriali ne inducono di analoghe tra fibrati che hanno quegli spazi vettoriali per fibre. Quelli che seguono sono degli esempi di quanto appena detto. A.4.1 Somma di Whitney. Dati due fibrati ξ1 , ξ2 di proiezioni π1 : E1 → B, π2 : E2 → B, la somma di Whitney di ξ1 e ξ2 è il fibrato ξ1 ⊕ξ2 che ha per fibra ` sopra b la somma diretta delle fibre Fb (ξ1 )⊕Fb (ξ2 ), e spazio totale l’unione disgiunta b∈B Fb (ξ1 ) ⊕ Fb (ξ2 ) di tutte queste fibre, con l’ovvia proiezione definita da π⊕ (b, v + w) = b. A partire da trivializzazioni locali hi : π1← (Ui ) ∼ = Ui × Rn ← ∼ Ui × Rm ki : π (Ui ) = 2 su uno stesso aperto Ui otteniamo biiezioni σ ← (Ui ) ∼ = Ui × (Rn ⊕ Rm ); le funzioni di transizione di questo fibrato sono le mappe Uij x / GL(Rn ⊕ Rm ) 1 / gij (x) 2 0 0 (67) gij (x) 1 2 gij e gij essendo le funzioni di transizione di ξ1 e ξ2 rispettivamente. Equivalentemente, definiamo la mappa diagonale relativa allo spazio di base d: B b / B×B / (b, b) (68) e il fibrato ξ1 ⊕ ξ2 = d∗ (ξ1 × ξ2 ); ogni fibra Fb (ξ1 ⊕ ξ2 ) è canonicamente isomorfa alla somma diretta Fb (ξ1 ) ⊕ Fb (ξ2 ), in quanto spazio vettoriale isomorfo a Fb (ξ1 ) × Fb (ξ2 ). A.4.2 Duale, Tensore, Potenza Esterna e Simmetrica. Dovrebbe apparire chiaro a questo punto che la regola operativa da seguire è che operazioni sugli spazi vettoriali ne inducono, di analoghe, tra i fibrati vettoriali che hanno quegli spazi per fibre; il modo più comodo di definire tali fibrati è attraverso le funzioni di transizione, dato che esse sono determinate, in ultima analisi, da mappe lineari U → GL(F (ξ)) (si pensi per esempio ad una varietà liscia M , le mappe di transizione del suo fibrato tangente -su una sua trivializzazione locale- sono delle gij (x) ∈ GL(Tx M )); in questo senso possiamo definire • Il fibrato duale di un fibrato ξ : E → B, denotato ξ ∗ : E ∗ → B e definito dalle transizioni † −t gij (x) = gij (x) ∈ GL(Rn ) (69) (identificato a GL (Rn )∗ grazie all’isomorfismo canonico); • Il fibrato prodotto tensoriale di E → B ← E 0 (rispettivamente di dimensione n ed m), denotato ξ ⊗ ξ 0 : E ⊗ E 0 → B e definito dalle transizioni 0 (x) ∈ GL(Rn ⊗ Rm ) ∼ kij = gij (x) ⊗ gij = GL(Rnm ); (70) Vk Vk • Il fibrato potenza esterna di ξ : E B, denotato ξ: E → B, e quelJ→ J lo potenza simmetrica, denotato ξ: E → B, definiti rispettivamente dalle transizioni J J wij (x) = gij (x) ∈ GL( Rn ) Vk Vk zij (x) = (gij )(x) ∈ GL( Rn ). Vn Se ξ : E → B è un fibrato di dimensione n, ξ è sempre un fibrato in rette, chiamato fibrato determinante di ξ, ed è definito dalle transizioni kij (x) = det gij (x); si indica con det ξ. Esercizio. Si dimostri che valgono i seguenti isomorfismi, per tre fibrati ξ, η, ϑ. (ξ ⊕ η) ⊕ ϑ ∼ = ξ ⊕ (η ⊕ ϑ) ∼ (ξ ⊗ η) ⊗ ϑ = ξ ⊗ (η ⊗ ϑ) ∼ ξ∗ ⊕ η∗ (ξ ⊕ η)∗ = Vk ∗ ∼ V k ∗ ξ = ξ ξ⊕η ∼ =η⊕ξ ∼ ξ⊗η =η⊗ξ (ξ ⊗ η)∗ ∼ = ξ∗ ⊗ η∗ Vn−k ∼ Vk ξ= ξ Se ξ e ξ 0 sono due fibrati vettoriali su una stessa base B, si è già detto che un omomorfismo di fibrati è determinato da una mappa continua f tra gli spazi totali che si restringe ad una mappa lineare sulle fibre. Se (U, h), (U 0 , h0 ) sono due trivializzazioni locali, la mappa fe ottenuta dalla commutatività di U × Rn / U 0 × Rm π ← (U ) (π 0 )← (U 0 ) (71) si dice espressione locale di f nelle trivializzazioni scelte. Essa è della forma (x, v) 7→ (x, G(x)v), ove G : U → homR (Rn , Rm ) è una mappa sufficientemente regolare (nella topologia ovvia di homR (Rn , Rm )). r Un Vesempio J educativo: Ts (M ). La sezione A.4.2 non ha raccontato la storia per intero, e ξ, ξ sono esempi di una costruzione più generale. Ripercorriamo rapidamente la costruzione (universale) che ad uno spazio vettoriale V di dimensione finita associa l’algebra tensoriale (controvariante) su V : essa consiste della somma diretta M T∗ (V ) = V ⊗n (72) n≥0 V ⊗n indicando lo spazio V ⊗ · · · ⊗ V fatto n volte. T∗ (V ) gode della proprietà di rialzare ogni applicazione lineare ϕ : V → A, ove A è una k-algebra, ad una applicazione T∗ (f ) di k-algebre; se una base di V è data da e1 , . . . ed , una base di V ⊗n è fatta dai dn simboli formali e⊗I = ei1 ⊗ · · · ⊗ ein , dove 1 ≤ i1 , . . . , in ≤ d. L Una analoga costruzione dà l’algebra tensoriale controvariante su V , T ∗ (V ) = n≥0 (V ∗ )⊗n : l’algebra tensoriale totale si ottiene, generalizzando un altro po’, dalla somma diretta degli n spazi Tm (V ) = V ⊗m ⊗ (V ∗ )⊗n : T (V ) = M V ⊗m ⊗ (V ∗ )⊗n . (73) m,n≥0 n (V ). Esercizio. Trovare una base per Tm Ci occupiamo ora dello studio di fibrati tensoriali (di grado (r, s)) ottenuti da un fibrato dato; richiamiamo prima qualche risultato che discende dalla funtorialità della assegnazione V T∗ (V ), T ∗ (V ). Definizione A.2 : Supponiamo che f : E → E 0 sia un omomorfismo di fibrati su B, e che fe: U × Fb (ξ) → U 0 × Fb (ξ 0 ) sia la sua rappresentazione locale. Supponiamo che f |{x}×Fx =: fx sia un isomorfismo tra le fibre, per ogni x ∈ U , e denotiamo con f0 la restrizione di f alla zero-sezione del fibrato ξ. Definiamo una applicazione U × Tsr (Fb (ξ)) → U 0 × Tsr (Fb (ξ 0 )) come (x, t) 7−→ f0 (x), Tsr (fu ).t (74) Tale mappa, da indicarsi semplicemente Tsr (f ), si incolla ad una mappa tra opportuni spazi totali su B, in modo da divenire un omomorfismo di fibrati. Scopo del resto di questa sezione è definire tali spazi totali. Proposizione A.1 : Se fe: U × Fb (ξ) → U 0 × Fb (ξ 0 ) è la rappresentazione locale di un omomorfismo di fibrati f : ξ → ξ 0 , tale che (nelle notazioni sopra esposte) fu è un isomorfismo lineare, allora Tsr (f ) : U × Tsr (Fb (ξ)) → U 0 × Tsr (Fb (ξ 0 )) è un isomorfismo per ogni x ∈ U . Dimostrazione. È una verifica diretta che diventa un esercizio. Si tratta di stabilire che Tsr (fu ) = (Tsr (f ))u è una mappa sufficientemente regolare: questo segue essenzialmente da come è costruita Tsr (fu ) a partire da fu . Per mostrare che Tsr (f ) preserva le fibre, si può mostrare che il diagramma U × Tsr (Fb (ξ)) Tsr (f ) (75) π0 π U / U 0 × Tsr (Fb (ξ 0 )) f0 / U0 è commutativo. Definizione A.3 [Fibrato tensoriale di ξ]: Sia π : E → B la proiezione di un fibrato ξ. Denotiamo come al solito Fb (ξ) = π ← (b) per ogni b ∈ B. Definiamo a Tsr (E) := Tsr (Fb (ξ)) (76) b∈B r e → B : (e, b) 7→ b nel modo ` ovvio,rper ogni e ∈ T0 s (F0b (ξ)). Allo stesso mor do, se A ⊆ B, definiamo Ts (E)|A := b∈A Ts (Fb (ξ)). Se π : E → B è la proiezione di un altro fibrato ξ 0 , ed f : E → E 0 è un omomorfismo di fibrati che è isomorfismo sulle fibre (ossia f b = f |Fb (ξ) è un isomorfismo), definitamo Tsr (f ) : Tsr (E) → Tsr (E 0 ) con la posizione Tsr (f )|Tsr (Fb (ξ)) = Tsr (f b ). πsr : Tsr (E) Se {Ui } è un ricoprimento di aperti trivializzanti di B, allora {π ← (Ui )} è un ricoprimento dello spazio totale, e ciascun π ← (Ui )} è omeomorfo mediante le trivializzazioni locali a Ui × F (la fibra senza pedice è la generica fibra sopra b ∈ B). Da ciò segue che {(πsr )← (Ui )}ricopre lo spazio totale di Tsr (ξ) e che restano indotte (il consiglio per esplicitarle è di cercare le funzioni di transizione) delle trivializzazioni locali hi : (πsr )← (Ui ) ∼ = Ui × Tsr (F (ξ)). Queste coordinate locali sono chiamate coordinate “naturali” su Tsr (ξ). Se lo spazio totale di ξ era una varietà, si dimostri che lo è anche lo spazio totale di Tsr (ξ), e che le coordinate naturali sono un atlante per questa struttura di varietà. In effetti tutto questo si può specializzare (e acquista senso nel momento in cui questo viene fatto) al caso in cui ξ = τM è il fibrato tangente a una varietà liscia. Definizione A.4 : Sia M una varietà liscia e τM il suo fibrato tangente. Il fibrato dei tensori di tipo (s, r) su M è definito da Tsr (M ) = Tsr (τM ). Il fibrato tangente τM si identifica con T01 (M ), e il cotangente a T10 (M ) (oltre che al ∗ ). fibrato duale τM Campi di Tensori. Si ricordi che una sezione di un fibrato vettoriale ξ è una mappa s : U → E sufficientemente regolare definita su U ⊆ B, che manda ogni b ∈ U in un vettore v ∈ Fb (ξ) nella fibra sopra b, e che è una sezione della proiezione di ξ. Le sezioni di ξ sono raccolte nell’insieme Γ(U, ξ). L’assegnazione U 7→ Γ(U, ξ) è un fascio di R-moduli. Si noti che un campo vettoriale su U ⊆ M , nelle notazioni appena introdotte, è un elemento di Γ(U, τM ) = Γ(U, T01 (M )) e una forma differenziale è un elemento di Γ(U, τ ∗ (M )) = Γ(U, T10 (M )). Questo fatto ne nasconde uno estremamente più generale. Definizione A.5 : Un campo di tensori di tipo (s, r) su una varietà liscia M è una sezione liscia del fibrato Tsr (M ). Denotiamo con Trs (M ) l’insieme Γ(U, Tsr (M )), riferendosi ad esso come dotato implicitamente della struttura di spazio vettoriale reale. Pressoché tutte le definizioni si possono dare senza troppo sforzo. Se f ∈ C ∞ (M ), t ∈ Trs (M ), definiamo f · t : M → Tsr (M ) : p 7→ f (p)t(p) (questo rende Trs (M ) un C ∞ -modulo). Se X1 , . . . , Xs sono campi vettoriali su M , α1 , . . . αr sono forme differenziali, e t0 ∈ r0 Ts0 (M ), definiamo t(α, X) : M p /R / t(p)(α(p), X(p)) t ⊗ t0 : M p / T s+s00 (M ) r+r / t(p) ⊗ t0 (p). Vale ovviamente un risultato che riguarda la Rappresentazione in Coordinate di un Campo Tensoriale. Se ϕ : U → R è una carta ∂ è una base dello spazio tangente visto come spazio di locale di M , T ϕ−1 (ei ) = ∂x i ∂ derivazioni; la base duale sullo spazio cotangente è fatta da dxi : dxi ( ∂x ) = δij . j L’espressione in coordinate locali di un campo tensoriale t di tipo (s, r) su M è allora data da ∂ ∂ r T |U = tij11,...,i ⊗ · · · ⊗ js ⊗ dxi1 ⊗ · · · ⊗ dxir (77) ,...,js j 1 ∂x ∂x ∂ ∂ r ∞ i1 ir dove tij11,...,i ,...,js = t dx , . . . , dx , ∂xj1 , . . . , ∂xjs ∈ C (M ). A.5 Teorema di Newlander-Nirenberg. Scopo di questa sezione è mostrare che se M ha una struttura di varietà quasi complessa compatibile con una struttura complessa, allora il tensore ν di Nijenhuis è nullo. Ricordiamo a tale scopo che una base dello ∂spazio tangente a M in p ∈ M , visto come ∂ dove (x1 , . . . , xN ) sono coordinate spazio di derivazioni, è data da ∂x , . . . , ∂x 1 p N p locali nell’intorno di p. Ricordiamo altresì che la dimensione di M deve essere pari, e quindi possiamo N = 2n, e che la strutturaquasi complessa J è definita sulla base scrivere ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ eJ come J = ∂xk p ∂xk p ∂xn+k p ∂xn+k p = − ∂xk p per ogni k = 1, . . . , n. P P ∂ ∂ Infine, il commutatore di due campi vettoriali X = Xi ∂x , Y = Yj ∂x è i j definito come il campo vettoriale N N X X ∂Y ∂X i i ∂ Xj − Yj (78) [X, Y ] = ∂x ∂x ∂xi j j i=1 j=1 L’ultima osservazione da fare è che è sufficiente verificare la relazione sui campi vettoriali ∂ (con X funzione liscia), grazie alla linearità del commutatore. Siano allora del tipo X ∂x i ∂ ∂ X = X ∂xi , Y = Y ∂x due campi vettoriali, e supponendo i, j ∈ {1, . . . , n} calcoliamo j ∂Y ∂ ∂X ∂ −Y ; ∂xn+i ∂xn+j ∂xn+j ∂xn+i ∂X ∂ ∂Y ∂ J [JX, Y ] = Y +X ∂xj ∂xi ∂xn+i ∂xn+j ∂Y ∂ ∂X ∂ J [X, JY ] = −X −Y ∂xi ∂xj ∂xn+j ∂xn+i ∂Y ∂ ∂X ∂ [X, Y ] = X −Y ∂xi ∂xj ∂xj ∂xi [JX, JY ] = X Ora basta sommare gli ultimi tre termini per constatare che [JX, JY ] = J[X, JY ] + J[JX, Y ] + [X, Y ]. Un procedimento analogo permette di dimostrare la tesi nei casi restanti (per esempio quando i ∈ {1, . . . , n} e j ∈ {n + 1, . . . , 2n}). Riferimenti bibliografici [An1] D. Angella, Varietà simplettiche speciali e loro coomologia, tesi. [ACS] Ana Cannas da Silva, Lectures on Symplectic Geometry, Lecture Notes in Mathematics 1764, Springer-Verlag, 2008. [Bot] F. Bottacin, Fibrati Vettoriali sulle Curve http://www.math.unipd.it/~bottacin/books/fibrati.pdf [MiS] John W. Milnor, James D. Stasheff, Characteristic Classes, Annals of Mathematics Studies 76, Princeton University Press (1974). [Ste] Norman Steenrod, The Topology of Fibre Bundles, Princeton University Press (1951).