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Pubblicato il 29 Aprile 2015
Accolto con successo l'allestimento monegasco della seconda opera di Shostakovich
Inquietante la Lady di Mcensk
servizio di Simone Tomei
MONTE-CARLO - Il penultimo titolo della Stagione monegasca 2014-2015 è caduto sulla scelta del
secondo melodramma del compositore russo Dmitri Shostakovich, Una Lady Macbeth del distretto
di Mcensk . L’opera prende le sue orme da una novella di Leskov e viene composta da Shostakovic
dal 1930 al 1932 per essere poi rappresentata a Leningrado (Pietroburgo), Teatro Malij, il 22 gennaio
1934 dove ebbe un tale successo che già nello stesso anno vi fu un secondo allestimento a Mosca
fino a oltrepassare i confini per essere rappresentata in mezza Europa e persino nelle Americhe. Il
racconto di Leskov narra la storia di una giovane moglie (Caterina) di un ricco mercante, che per
amore di un bel garzone, Sergej, seduttore di annoiate ed insoddisfatte padrone, uccide da sola e con
la complicità nel suo amante istigatore, in successione, suocero, marito e nipote. Scoperti non appena
hanno portato a compimento il loro terzo e più infame assassinio, l'infanticidio del malato Fedia, la cui unica colpa è quella di
essere il coerede di Caterina, sono incarcerati, condannati alla fustigazione ed ai lavori forzati. Durante il loro trasferimento in
Siberia, Sergej dona come pegno d'amore alla sua nuova fiamma, la giovane scaltra e perversa Sonetka, le calze di lana che
Caterina gli ha regalato in un impeto d'amore e di generosità; derisa, canzonata ed oltraggiata per la sua ingenuità dai due
amanti e dagli altri forzati (tranne che dalla bellissima e buonissima Fiona), alla prima occasione Caterina si getta nelle
acque ghiacciate del Volga, trascinando con sé la rivale, Sonetka.
Nella trasposizione del racconto di Leskov al libretto operistico, Shostakovich ed Alexander Preis, che con lui collaborò, si
attennero all'originaria successione delle vicende, con qualche significativa trasformazione. Innanzitutto venne tolto l'episodio
dell'infanticidio ed anche quello relativo alla nascita del figlio del peccato, affidato poi ad un'anziana sorella del suocero prima
di partire deportata per la Siberia. Abolizione certamente effettuata per rendere più stringente e meno dispersivo il nucleo
drammatico della vicenda.
Rispetto al racconto di Leskov, nel libretto di Shostakovich e Preis è evidente l'intenzione di attenuare la responsabilità della
protagonista e di trasformarla così in un'eroina tragica che è ad un tempo omicida per amore ed oppressa da un sistema:
due volte vittima, dunque, di una società repressiva, e della propria natura femminile vissuta con sincerità e con intensità
quasi animalesche.
Per conferire alla protagonista questo doppio status di eroina negativa e di vittima tragica ricorse all'espediente
drammaturgico di assegnarle una dimensione lirica sua propria che, dal lamento iniziale sulla propria vita matrimoniale
sterile, inutile e tediosa, fino alla contemplazione del gorgo fatale che la inghiottirà di lì a poco nel quadro finale, la isola dal
contesto degli eventi e la distingue dagli altri personaggi; la natura egoistica, l'opportunismo e la falsità di questi ultimi sono
invece posti in evidenza da intonazioni forzate, da sottolineature ironiche e scurrili, da marcette e galop con funzioni stranianti.
Quando Shostakovich definiva la sua seconda opera una "tragedia satirica" intendeva proprio riferirsi a questo continuo
smascheramento delle situazioni e dei personaggi, tragici in potenza, in quanto coinvolti in una storia tragica, ma in realtà
grotteschi poiché colti sul fatto, dell'esplicazione della loro vera natura, infame e mendevole.
Ma nel 1936 essa fu vietata in Unione Sovietica. In gennaio il teatro di Leningrado portò l'opera a Mosca; Stalin presenziò ad
una recita, ma abbandonò il teatro prima della fine dell'opera senza far sapere la sua opinione. Questo gesto, in uno Stato
totalitario come l'Unione Sovietica, fu interpretato come un giudizio negativo. Si scatenò una campagna di stampa, inaugurata
dall'articolo della famosa e famigerata "Pravda" del 28 gennaio 1936: "Caos anziché musica" ; l'opera scomparve subito dai
programmi della Russia sovietica e Shostakovich si vide costretto a fare una serie di modifiche.
Nel 1963 l'opera fu ripresa con il titolo Katerina Lzmajlova. Qui i conflitti erano mitigati, e tutto si risolveva nella
rappresentazione d'una donna degna di pietà tiranneggiata da una società maschilista. Soltanto nel 1979, quattro anni dopo
la morte di Shostakovich, Mstislav Rostropovic riuscì a mettere in scena la partitura della versione originaria. Una premessa
doverosa, per inquadrare un’opera poco conosciuta, ma che contiene al suo interno un fascino particolare.
Fascino particolare che nella Salle Garnier di Monte-Carlo ci ha accolto, proprio con questa versione originale dell’opera
magistralmente messa in scena dal regista Marcelo Lombardero, Con molta semplicità, ma al contempo, grande incisività,
è riuscito a cogliere tutti gli aspetti tragico satirici cui si riferiva il compositore, conferendo un significato molto profondo a tutti i
nove quadri che compongono questo mastodontico lavoro. Scene quasi ovunque pregnanti di violenza; una violenza talvolta
fisica, talvolta moral-psicologica, con messinscena direi molto realistica, ma mai troppo esasperata o inasprita da scelte non
consone; le scenografie, coadiuvate da video, curate da Diego Siliano, sono riuscite ad amalgamarsi benissimo con le
intenzioni registiche: una scritta in cirillico che domina il proscenio prima dell’apertura delle scene indicante un macello
(скотобойня) accoglie il pubblico in sala; questa è l’unica “libertà interpretativa” rispetto al contenuto del libretto e del
racconto di Leskov in quanto l’ambientazione avviene in casa Ismalilov, titolari di un mattatoio, elemento che non compare
nell’originale: ma è forse questa idea che ci permette ancora di più di entrare nella “crudezza-crudeltà-spietatezza” che il
regista ci vuol trasmettere; passiamo da una prima scena con violenza moral-psicologia, ad una più cruda e carnale nella
seconda, con la scena famosa dello stupro della cuoca - e qui in veste di macellaia - Aksinia, proprio all’interno del mattatoio
con i protagonisti vestiti da macellai con stivali di gomma bianchi che evidenziano sui loro grembiuli macchie di sangue che
conferiscono alla scena ancora più il senso della truculenza e della violenza; si passa poi per i due omicidi, una scena di
matrimonio e un momento più quieto nel commissariato di polizia, dove anche qui non manca l’aspetto della violenza
psicologica, fino al finale statico e al contempo truce e tragico della deportazione anche grazie ad un’atmosfera molto
attinente alla situazione, creata ad hoc dal direttore delle luci José Luis Fiorruccio; il trio regista-scenografo-luci assieme alla
costumista Luciana Gutman sono riusciti a confezionare a livello visivo e scenico un capolavoro di teatro con dei ricordi e dei
rimandi ad un’idea quasi cinematografica che hanno portato gli astanti con suspence sino all’epilogo conferendo, soprattutto
nella immobilità del finale, un forte pathos che conduce all’apice della tragicità in un’atmosfera davvero inquietante, ma al
contempo molto avvincente riuscendo a mantenere alto nello spettatore un senso di tensione.
Sul fronte musicale ci siamo trovati davanti ad un cast di prim’ordine. La protagonista del titolo interpretata dal soprano
Nicola Beller Carbone ha dato vita ad una Caterina Lvovna Ismailova dapprima remissiva e condannata alla noia, per ad
arrivare ad interpretare una donna di grande determinazione e scaltrezza, fino ad immolarsi in difesa del suo amore
nell’omicidio suicidio finale.
Da un punto di vista scenico siamo rimasti affascinati dalla padronanza del ruolo e vocalmente non è stata da meno, anzi ha
dato prova di una vocalità che sempre si è adattata alle situazioni, coniugando un’emissione morbida, ad una più aspra e
violenta, dimostrando di possedere una gamma di suono sicura e penetrante, sia nel registro grave che in quello acuto con
una notevole capacità di potenza e di tenuta, in un ruolo che non risparmia sicuramente le corde vocali.
Il basso Alexei Tikhomirov, (Boris Timofeievitch Ismailov) nel ruolo del suocero di Caterina si è dimostrato all’altezza della
situazione in una parte piuttosto impervia dove al pari della protagonista, si vede impegnato tutto il primo atto e buona parte
del secondo, sino al suo assassinio con un piatto di funghi avvelenati; si è imposto scenicamente e vocalmente dando prova
di grande professionismo e di una sicura padronanza del ruolo: una voce da basso direi quasi profondo che nel suo
intervento alla fine del secondo quadro del primo atto, ha messo in evidenza con una formidabile tenuta,un magnifico colore
unito ad una sicura potenza sull’ultima nota grave cantata (……aspetta e vedrai come tornerà tuo marito gli dirò tutto ). Anche
nel secondo atto ha dimostrato una bellissima gamma di suoni anche nel registro più acuto dove il suo intervento (Ah, cosa
vuoi dire esser vecchi! Non mi riesce di dormire……..) passa dalla malinconia alla passione sfrenata per la nuora e con tale
mutamento emozionale, porta dietro una vocalità diversa che ha messo in risalto tutta la sua gamma di suono.
Alla voce tenorile di Micha Didyk, è stato affidato il ruolo di Sergej ; non è mancato né il physique du rôle per interpretare la
parte del focoso amante, né una bellissima emissione pulita, morbida e con notevole squillo nel registro acuto e tenuta in
quello più grave, per affrontare l’impegno vocale. Molto piacevole anche L’udovìt Ludha, (alias Zinovi Borissovitch Ismailov ,
marito di Caterina), che ha cantato con uno squillo da brillante tenore molto agile e fresco sin dalle prime note che gli ha
dedicato il compositore. Meritano, per impegno e bravura, comunque una menzione tutti gli altri componenti il cast: la mezzos oprano Carole Wilson (Aksinia) che ha dimostrato una bravura di palcoscenico molto marcata nella violenta scena dello
stupro, il tenore Aleksandr Kravets (il servo ubriaco), il basso Nikita Storojev (impiegato del mulino e ispettore della Polizia),
il basso Grigori Soloviov (un servitore, un sergente, un poliziotto), il tenore Vadim Zapletchny (il garzone e maestro di
scuola), il basso Iouri Kissine (il portiere e una sentinella), il basso Alexander Teliga (il Pope e un vecchio forzato), il mezzo
soprano Maïram Sokolova (Sonetka, ossia una forzata), i tenori Vincenzo di Nocera, Pasquale Ferraro, Thierry Di Meo (i tre
capisquadra ed anche membri del coro) ed Annouchka Pejovic (una deportata anch’essa membro del coro).
Il coro diretto dal Maestro Stefano Visconti ha assolto ai difficili interventi con un ottimo grado di preparazione sia vocale che
scenico conferendo quel tocco di incisività necessario per sottolineare alcuni momenti importanti tra cui possiamo ricordare
sicuramente la scena del coro maschile dello stupro del primo atto per poi passare al lirismo finale della deportazione dove
sulle ultime parole dell’opera ……..Eh, voi, steppe sconfinate/Giorni e notti senza fine/I nostri pensieri sono tristi/E i
gendarmi senza cuore!/Ah... ci conduce all’epilogo con una bellissimo effetto di suono che scompare dietro le quinte.
Un plauso e un encomio alla bacchetta di Jacques Lacombe che ha mirabilmente dimostrato tutte le sfaccettature dell’opera
senza mai diventare assordante o inopportuno. Nei fortissimi che richiede l’autore è stato determinato e assecondante con
le esigenze vocali del palcoscenico riuscendo a far emergere le particolarità dei personaggi principali cui Shostakovich ha
dedicato uno strumento diverso: a Zinovi è associato il flauto contralto, a Boris il controfagotto, a Sergej il violoncello, a
Katerina oboe e clarinetto; inoltre l’orchestrazione di Shostakovich è quasi “onomatopeica” dove l’intervento degli strumenti
diventa talvolta una metafora di movimenti corporei: zoppicamenti, sdrucciolii, violenze, glissandi, smorfie e talvolta falsetti.
Presente in sala anche il figlio del compositore che si è complimentato con il cast; ed alla fine un pubblico applaudente, e,
come ha notato qualche astante, quasi intimorito e stupito da quell'alea di inquietudine che la visione dello spettacolo ha
lasciato nello spettatore.
Crediti fotografici: A. Hanel per il Teatro dell'Opera di Monte-Carlo
Nella miniatura in alto: il regista Marcelo Lombardero
Nella sequenza al centro: il soprano Nicola Beller Carbone; il basso Alexei Tikhomirov; due scene del IV atto
In basso: scena della deportazione
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