capitolo 11: i circuiti elettrici 11.1 regime stazionario

CAPITOLO 11: I CIRCUITI ELETTRICI
11.1 REGIME STAZIONARIO
Nel precedente capitolo si sono discussi svariati concetti principalmente legati al mondo elettrico e
magnetico. In questo capitolo verranno affrontati alcuni aspetti pratici legati ai concetti teorici visti nel
precedente capitolo. In particolare verrà illustrato il concetto di circuito elettrico e verranno descritti i primi
fondamentali componenti di un circuito elettrico. Prima di fare ciò, dobbiamo definire cosa è un circuito
elettrico. Per circuito elettrico intendiamo una regione di spazio soggetta a fenomeni di natura
elettromagnetica. Per essere più precisi (ed anche più pratici) un circuito elettrico è l’interconnessione di
vari elementi elettrici collegati tra loro per formare un cammino chiuso in cui circola una determinata
corrente elettrica. Precedentemente si è già parlato delle cariche elettriche, e che in natura ne esistono di
due tipi: la carica positiva e la carica negativa. Abbiamo anche già visto che la carica elettrica si misura in
Coulomb (C), e che se le cariche elettriche sono ferme non si ha un passaggio di corrente mentre se una
carica elettrica si muove da un punto ad un altro si dice che vi è una corrente elettrica. Quindi la corrente
elettrica è un movimento di cariche elettriche. Abbiamo già visto anche che la corrente elettrica si misura in
Ampere (A), e che solitamente usiamo la lettera “I” per indicare l’intensità di corrente elettrica. Abbiamo
accennato al fatto che per poter muovere le cariche è necessaria una certa forza. Tale forza è la tensione. Si
presti molta attenzione che il termine forza in questo contesto è usato in modo improprio. Infatti la
tensione non è una forza. Pertanto ci sono almeno due grandezze di natura elettrica che descrivono un
circuito elettrico: la corrente e la tensione. Spesso con il termine segnale elettrico ci si riferisce proprio ad
una tensione oppure ad una corrente. A questo punto è bene precisare quanto segue: le grandezze
elettriche presenti in un circuito possono essere costanti oppure variabili nel tempo. In regime stazionario
tutte le grandezze elettriche presenti nel circuito sono grandezze stazionarie ossia grandezze continue nel
tempo. Per questo motivo tutte le grandezze elettriche (potenza elettrica, tensione elettrica, corrente
elettrica) sono indicate con la lettera maiuscola (P, V, I). Quindi:
ο‚·
ο‚·
ο‚·
I = intensità di corrente
V = tensione elettrica
P = potenza elettrica
Pertanto se il circuito opera in regime stazionario, queste grandezze sono costanti nel tempo. Graficamente
si ha una cosa di questo tipo:
I
10A
T
Figura 11.1
[Digitare il testo]
Pagina 176
Viceversa se le grandezze elettriche viste in precedenza variano nel tempo allora il circuito non opera in
regime stazionario. Siccome il regime stazionario è il regime di studio più semplice, iniziamo a trattare i
circuiti elettrici partendo proprio da questo regime e supponendo pertanto costanti nel tempo tutte le
grandezze elettriche. Iniziamo fin da subito con alcune semplici definizioni. Chiamiamo bipolo un elemento
a due poli (a due morsetti), come viene mostrato in figura:
+
-
Figura 11.2
Chiaramente se un morsetto è positivo, per forza di cose l’altro morsetto è negativo. Consideriamo il
seguente percorso chiuso:
Figura 11.3
Un percorso chiuso in un circuito viene chiamato maglia. Nell’esempio mostrato in figura 1.3 si ha una sola
maglia, mentre nel seguente circuito:
A
Maglia 1
Maglia 2
B
Figura 11.4
Si hanno ben tre maglie (la terza è la maglia esterna). I punti di intersezione A e B vengono chiamati
comunemente nodi. Pertanto in questo circuito ci sono ben due nodi. Torniamo ora all’analogia con il
mondo dell’idraulica per chiarire meglio i concetti che stanno per essere illustrati. Prendiamo in esame un
circuito idraulico (più avanti quando verranno trattati i circuiti idraulici verranno effettuate descrizioni più
accurate dei vari elementi che lo compongono. Per ora, supponiamo noto il concetto di circuito idraulico).
Se abbiamo a disposizione un tubo posto in orizzontale al cui interno vi è dell’acqua, essa rimane ferma a
meno che non viene spinta da un qualche componente. Tale componente prende il nome di pompa
idraulica. Anche nel mondo elettrico succede la medesima cosa. Per poter spingere le cariche elettriche
[Digitare il testo]
Pagina 177
presenti nel circuito e quindi per generare corrente elettrica, è necessaria una certa tensione (d.d.p) e
pertanto è necessario avere a disposizione un generatore di tensione. Il simbolo circuitale del generatore di
tensione è il seguente:
+
-
Figura 11.5
Solitamente la caduta di tensione ossia la differenza di potenziale tra il nodo positivo ed il nodo negativo
viene indicata tramite una freccia cha va dal polo negativo verso il polo positivo. Con questa codifica,
possiamo ridisegnare il precedente generatore di tensione nella seguente maniera:
+
-
Figura 11.6
Pertanto, possiamo grossolanamente suddividere i bipoli in:
1. Generatori
2. Utilizzatori
Nei generatori la corrente esce dal morsetto positivo. Sono bipoli attivi nel senso che generano o una
tensione o una corrente ed erogano una certa potenza. Gli utilizzatori invece assorbono potenza elettrica e
vengono attraversati da una corrente elettrica. Negli utilizzatori la corrente entra nel morsetto positivo ed
esce da quello negativo. Graficamente si ha:
generatore
-
+
V
Figura 11.7
[Digitare il testo]
Pagina 178
utilizzatore
-
+
V
Figura 11.8
Il circuito presente nella seguente figura ha un generatore e tre utilizzatori:
Figura 11.9
I teoremi fondamentali che stanno alla base della teoria dei circuiti elettrici in regime stazionario sono
pochi, semplici e fondamentali. In particolare verranno descritti i due teoremi di Kirchhoff. In particolare ci
sono due leggi di Kirchhoff:
1. La legge di Kirchhoff delle correnti
2. La legge di Kirchhoff delle tensioni
La prima legge enuncia che la somma di tutte le correnti entranti in un nodo è uguale alla somma delle
correnti uscenti dal nodo stesso. Pertanto, se per esempio il circuito contiene un nodo ‘A’ fatto in questo
modo:
𝐼1
𝐼2
𝐼3
Figura 11.10
[Digitare il testo]
Pagina 179
Allora possiamo scrivere:
𝐼3 + 𝐼2 = 𝐼1
In generale si ha:
∑𝑖 𝐼𝑖(π‘’π‘›π‘‘π‘Ÿπ‘Žπ‘›π‘‘π‘–)= ∑𝑖 𝐼𝑖 (𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑑𝑖)
(11.1)
La relazione (11.1) è la forma generale della legge di Kirchhoff delle correnti. Analogamente si ha per le
tensioni, ed in particolare la legge di Kirchhoff delle tensioni afferma che la somma algebrica di tutte le
tensioni presenti in una maglia vale zero. Per esempio:
𝑉1
𝑉2
𝑉3
Figura 11.11
Si ha:
𝑉1 + 𝑉2 + 𝑉3 = 0
Si noti però che la seconda caduta di tensione e la terza caduta di tensione sono di verso contrario rispetto
alla prima caduta di tensione. Infatti in questo circuito, il primo bipolo è un generatore mentre gli altri due
bipoli sono utilizzatori. Pertanto cambiano i segni della precedente espressione diventando:
𝑉1 − 𝑉2 − 𝑉3 = 0
In generale la legge di Kirchhoff delle tensioni si enuncia formalmente nel seguente modo:
∑𝐼 𝑉𝑖(π‘šπ‘Žπ‘”π‘™π‘–π‘Ž) = 0
(11.2)
I bipoli, come è già stato detto, possono essere dei generatori oppure dei utilizzatori. Tali bipoli però,
all’interno di un generico circuito possono essere collegati tra loro in svariati modi. Le due tipologie più
comuni di collegamento di due o più bipoli sono:
1. La connessione seriale.
2. La connessione parallelo.
La connessione seriale si ha quando i reofori (i terminali dei morsetti del bipolo) sono collegati nella
seguente maniera:
[Digitare il testo]
Pagina 180
Figura 11.12
Quindi nel collegamento in serie ogni reoforo è collegato ad un differente bipolo. In questo tipo di
collegamento, se si “rompe” il collegamento i bipoli rimangono isolati, ossia non circola più corrente. Si
noti che la corrente che circola lungo tutti i bipoli è la medesima. E’ possibile semplificare la precedente
configurazione semplicemente utilizzando un unico bipolo su cui però la caduta di tensione vale come la
somma di tutti le cadute di tensioni su ogni singolo bipolo. Pertanto:
V
Figura 11.13
𝑛
𝑉 = ∑ 𝑉𝑖
𝑖=1
Il collegamento in parallelo invece permette di evitare il problema dell’isolamento accennato in
precedenza, ossia se un ramo del circuito si apre non circola più la corrente, ma essa può circolare nel ramo
parallelo, come viene mostrato di seguito:
Figura 11.14
In questo caso su entrambi i rami si ha la stessa tensione, mentre a sommarsi in questo caso sono le
correnti. Pertanto:
∑𝑛𝑖=1 𝐼𝑖
Dove ‘n’ è il numero di ramificazioni (nell’esempio di figura (11.14) ci sono due rami).
[Digitare il testo]
Pagina 181
Con le due leggi di Kirchhoff e con l’introduzione del concetto di resistore è possibile effettuare già
un’analisi più o meno approfondita di alcuni semplici circuiti elettrici. Pertanto è necessario introdurre il
concetto di resistore. Il resistore è essenzialmente un bipolo passivo, ossia è un utilizzatore. Il simbolo
spesso utilizzato per rappresentare un resistore è il seguente:
Figura 11.15
Un resistore è caratterizzato da una grandezza elettrica che prende il nome di resistenza e che di solito si
indica con la lettera R. Un resistore ideale è un resistore lineare che obbedisce alla legge di Ohm la quale
lega la caduta di tensione sul resistore stesso alla resistenza ed alla corrente che lo attraversa. Tale legge
formalmente assume il seguente aspetto:
𝑉 = 𝑅𝐼
(11.3)
La curva rappresentativa di un resistore è la seguente:
V
R
I
Figura 11.16
Ovviamente è facile intuire il perché della retta. L’equazione di Ohm è in effetti una retta dove la resistenza
R indica la pendenza della retta stessa, ossia il suo coefficiente angolare. La resistenza si misura in ohm (𝛀).
I resistori vengono largamente impiegati in ambito industriale. La figura seguente mostra un esempio di
resistori:
[Digitare il testo]
Pagina 182
Figura 11.17
La struttura costruttiva di un resistore si basa essenzialmente su:
1. Supporto di sostegno
2. Elemento resistivo
3. Rivestimento protettivo
Nella figura (11.17) viene mostrato un resistore con elemento resistivo ad impasto. Ogni resistore ha una
serie di “fascette” colorate. Tali fascette indicano i valori della resistenza dei resistori in questione. La
seguente tabella mostra appunto i colori ed i relativi valori di resistenza (i valori sono espressi in OHM):
Figura 11.18: Valori delle resistenze
[Digitare il testo]
Pagina 183
Due o più resistori possono essere fondamentalmente collegati tra loro in serie oppure in parallelo.
Analizziamo il primo caso, ossia il collegamento in serie.
Figura 11.19
La figura mostra il caso di ‘n’ resistori in serie. I resistori sono tutti attraversati dalla stessa corrente
elettrica e la resistenza totale è data da:
𝑅𝑑 = 𝑅1 + 𝑅2 + β‹― + 𝑅𝑛 = ∑𝑛𝑖=1 𝑅𝑖
(11.4)
Mentre la corrente che attraversa i resistori è la stessa, la caduta di tensione totale è data da:
𝑉𝑑 = 𝑉1 + 𝑉2 + β‹― + 𝑉𝑛 = ∑𝑛𝑖=1 𝑉𝑖
(11.5)
Consideriamo a titolo di esempio la seguente configurazione circuitale detta anche partitore di tensione.
Un partitore di tensione è un circuito che essenzialmente ripartisce la tensione sui vari resistori.
I
V
Figura 11.20
Siccome le cadute di tensione sui vari resistori sono contrarie al verso della corrente in quanto i resistori
sono utilizzatori, si ha che l’equazione delle tensioni nell’unica maglia del circuito vale:
𝑉 = 𝑉1 + 𝑉2 + β‹― + 𝑉𝑛
Se per esempio desidero calcolare la caduta di tensione sul resistore 1 basta applicare la precedente
equazione insieme all’equazione di ohm vista in precedenza (11.3). Pertanto:
𝑉1 = 𝑅𝐼 = 𝑅1 𝐼 = 𝑅1
[Digitare il testo]
𝑉
𝑅𝑑
Pagina 184
Dove chiaramente 𝑅𝑑 è la resistenza totale (resistenza equivalente). Pertanto il precedente circuito può
essere semplificato nel seguente modo:
𝑅𝑑
V
Figura 11.21
Il duale del partitore di tensione è il partitore di corrente, che viene mostrato di seguito:
Figura 11.22
Come si può facilmente notare in questo caso i resistori sono in parallelo. Nella configurazione in parallelo,
la caduta di tensione è la medesima su tutti i resistori, mentre la corrente qui si ripartisce. Pertanto, se
abbiamo ‘n’ resistori in parallelo, allora per calcolare la resistenza equivalente basta procedere utilizzando
la seguente formula:
𝑅𝑑 =
1
(11.6)
1
1
1
+ +β‹―+𝑅
𝑅1 𝑅2
𝑛
Se abbiamo per esempio soltanto due resistori in parallelo e vogliamo calcolare la corrente I1 che circola
nel resistore 𝑅1 possiamo scrivere:
𝐼1 =
𝑅2
𝐼
𝑅1 + 𝑅2
Il circuito viene rappresentato graficamente nel seguente modo:
[Digitare il testo]
Pagina 185
Figura 11.23
Tutti i materiali manifestano, in misura maggiore oppure minore, la proprietà di opporsi al flusso di cariche
elettriche. Tale proprietà, nota come resistenza, è rappresentata dal simbolo R, come abbiamo già visto. La
resistenza di un materiale, avente una generica sezione uniforme A e lunghezza ‘l’ è data da:
l
Figura 11.24
𝑅=𝜌
𝑙
(11.7)
𝐴
Dove 𝜌 è la resistività del materiale e si misura in ohm-metri. Materiali conduttori come per esempio il
rame oppure l’alluminio hanno resistività basse, mentre i materiali isolanti come la carta e la porcellana
hanno resistività ovviamente più elevate. Quindi una classificazione del tipo di materiale può essere fatta
sulla base della resistività elettrica. Un’altra grandezza utile nell’analisi dei circuiti elettrici è la conduttanza
definita come:
𝐺=
1
𝑅
= 𝑅−1 =
𝑖
𝑣
(11.8)
La conduttanza si misura in Siemens (S) ed indica quanto bene un dato elemento conduce la corrente
elettrica. Pertanto si può anche scrivere:
𝑖 = 𝐺𝑣
Altre configurazioni notevoli sono quelle legate alla connessione tra due o più generatori di tensione in
serie oppure in parallelo, e la connessione tra due o più generatori di corrente in serie ed in parallelo.
Analizziamo prima il caso dei generatori di tensione. Se essi sono in parallelo come viene mostrato in
[Digitare il testo]
Pagina 186
figura, è sufficiente sostituire il tutto con un unico generatore di tensione che genera una tensione pari alla
somma di tutti i generatori di tensione sostituiti.
𝑉1
𝑉2
𝑉𝑛
Figura 11.25
Pertanto il circuito mostrato in figura 11.23 può essere tranquillamente semplificato nel seguente modo:
𝑉𝑑
Figura 11.26
Se invece ho ‘n’ generatori di tensione in parallelo, essi devono generare la stessa tensione in quanto i rami
in parallelo devono avere la stessa tensione. Analizziamo ora il caso dei generatori di corrente. Innanzitutto,
un generatore ideale di corrente è un generatore (elemento attivo) che mantiene costante l’intensità di
corrente ai suoi morsetti. Il simbolo circuitale del generatore di corrente è il seguente:
Figura 11.27
Se si hanno a disposizione ‘n’ generatori di corrente in serie essi devono erogare la medesima intensità di
corrente, mentre se sono in parallelo è sufficiente effettuare la somma sul nodo di giunzione di tutte le
correnti erogate. Pertanto il caso dei generatori di corrente è il duale del caso dei generatori di tensione.
Fino ad ora abbiamo parlato di generatori ideali di tensione, di corrente, resistori eccetera. In realtà tutti
questi elementi sono dei bipoli ossia degli elementi a due poli (un polo positivo ed un polo negativo). In
elettrotecnica/elettronica esistono anche altri elementi più complessi come per esempio i tripoli ossia
elementi a tre morsetti (un classico esempio è il transistor). Tutti i componenti introdotti fino ad ora sono
lineari in quanto la loro caratteristica ai morsetti è di tipo lineare ossia il grafico è rappresentato da una
retta. Con caratteristica ai morsetti generalmente si intende il legame che vi è tra la corrente che transita
lungo il componente e la caduta di tensione ai suoi capi. Come vedremo tra breve,se in un circuito elettrico
ci sono soltanto dispositivi lineari è possibile sfruttare il principio di sovrapposizione degli effetti. Vediamo
prima però qualche esempio.
[Digitare il testo]
Pagina 187
ESEMPIO: Supponiamo di avere a disposizione la seguente rete:
R1
R2
Figura 11.28
Sia Vg la tensione sul generatore ideale di tensione. Osserviamo che il resistore R3 ed R2 sono in parallelo e
quindi la caduta di tensione su di loro è la medesima. Pertanto:
𝑉𝑅3 = 𝑉𝑅2 → 𝑅2 𝐼2 = 𝑅3 𝐼3
Dalla legge di Kirchhoff sul nodo si ha:
𝐼1 = 𝐼2 + 𝐼3 → 𝐼1 =
𝑉𝑅3
𝑅3
+
𝑉𝑅2
𝑅2
Quindi alla fine si otterrà un partitore di tensione con due resistori in serie: il resistore R1 ed il resistore Rp
dato da:
𝑅𝑝 =
𝑅2 𝑅3
𝑅2 +𝑅3
Tensione e corrente quindi sono le due variabili fondamentali in un circuito elettrico, ma spesso non sono
sufficienti per molti problemi pratici. Capita spesso, nella vita quotidiana, di dover calcolare un’altra
grandezza elettrica importante: la potenza. La potenza elettrica si misura in Watt (W). E’ risaputo, dalla
definizione stessa di potenza che:
𝑃=
𝑑𝐿
𝑑𝑑
Siccome la tensione elettrica tra due punti si può anche definire come:
𝑣𝐴𝐡 =
𝑑𝐿
π‘‘π‘ž
(11.9)
Possiamo tranquillamente scrivere:
𝑃=
𝑑𝐿
𝑑𝑑
=
[Digitare il testo]
𝑑𝐿 π‘‘π‘ž
π‘‘π‘ž 𝑑𝑑
= 𝑣𝑖
(11.10)
Pagina 188
Pertanto la potenza elettrica è data dal prodotto della tensione elettrica per l’intensità di corrente. La
potenza elettrica è positiva se abbiamo a che fare con un generatore, altrimenti la potenza elettrica è
negativa. In altre parole, il generatore eroga potenza elettrica, mentre l’utilizzatore assorbe potenza
elettrica. Siccome il principio di conservazione dell’energia deve essere soddisfatto da tutti i circuiti
elettrici, si ha che la somma algebrica delle potenze di un circuito deve essere zero. Pertanto si scrive:
∑𝑃 = 0
L’energia assorbita oppure erogata da un elemento elettrico (generatore o utilizzatore che sia) è data da:
𝑑
𝑑
𝐸 = ∫0 𝑝𝑑𝑑 = ∫0 𝑣𝑖𝑑𝑑
(11.11)
Spesso le aziende che producono l’energia elettrica misurano la stessa in wattore (Wh). Quindi:
1π‘Šβ„Ž = 3600 𝐽
(11.12)
Avendo definito precedentemente la conduttanza e la resistenza possiamo riscrivere la potenza elettrica in
funzione di esse, come specificato di seguito:
𝑝 = 𝑣𝑖 = 𝑣𝐺𝑣 = 𝑣 2 𝐺 =
𝑝 = 𝑣𝑖 = 𝑅𝑖𝑖 = 𝑅𝑖 2 =
𝑖2
𝐺
𝑣2
𝑅
Una circuito elettrico viene detto lineare quando è composto da tutti componenti elettrici lineari
(generatori ideali di tensione, di corrente, resistori,..). Se, in un circuito elettrico, vi è almeno un
componente elettrico non lineare (come per esempio un diodo, un transistor,…), allora il circuito non è
lineare. Due casistiche estreme da prendere in considerazione quando si lavora con i circuiti elettrici sono:
1. Il circuito aperto
2. Il cortocircuito
Un circuito si dice aperto quando vi è un’interruzione nel circuito e quindi non vi è più passaggio di
corrente. Graficamente si ha una cosa del seguente tipo:
I=0
Figura 11.29
Esiste in commercio un componente elettrico in grado di interrompere il passaggio di corrente in un
circuito. Tale componente viene chiamato interruttore, ed un esempio di interruttore viene mostrato in
figura:
[Digitare il testo]
Pagina 189
Figura 11.30
Il cortocircuito invece si ha quando è presente una tensione nulla sulla linea (V=0). In questa condizione la
resistenza di linea è pressoché nulla e la corrente elettrica massima. Per effettuare un cortocircuito è
sufficiente annullare la d.d.p (differenza di potenziale) tra due conduttori. Spesso, per proteggere parti di
circuito da elevate correnti si utilizzano dei bipoli particolari chiamati fusibili. Un fusibile è un componente
elettronico composto da un sottile filo che rompendosi, quando vi passa una corrente superiore ad una
certa soglia, blocca il passaggio di corrente evitando così di arrecare danni al circuito a valle dello stesso.
I parametri fondamentali che caratterizzano un fusibile sono:
1.
2.
3.
4.
La corrente nominale, espressa in Ampere (A)
La tensione nominale, espressa in Volt (V)
La velocità di intervento
Il potere di apertura, espresso in Ampere (A).
La corrente nominale è quella corrente, oltre la quale, il fusibile si fonde. La tensione nominale invece è la
tensione che si presenta ai capi del fusibile in corrispondenza della corrente nominale. La velocità di
intervento viene usata per classificare i fusibili. I tipi di fusibili che si possono trovare in commercio sono:
1. Fusibili rapidi, ossia fusibili che intervengono immediatamente in caso di sovraccarico (simbolo F
sul corpo del fusibile)
2. Fusibili ritardati, ossia che intervengono con un leggero ritardo (simbolo T sul corpo del fusibile)
3. Fusibili super-rapidi, ossia fusibili ancora più veloci dei fusibili rapidi (simbolo FA)
4. Fusibili semirapidi, ossia fusibili con una velocità di intervento a metà strada tra i rapidi ed i
ritardati (simbolo M sul corpo del fusibile).
Il potere di apertura è la soglia di corrente oltrepassata la quale il fusibile può creare un arco elettrico e far
passare la corrente anche se il filo risulta spezzato. I fusibili che si possono trovare in commercio sono
fusibili a tubo, come quello mostrato in figura 11.29, oppure possono essere micro fusibili, ossia fusibili
[Digitare il testo]
Pagina 190
ritardati, e che vengono utilizzati in spazi ridotti. Nel campo automobilistico si usano spesso i fusibili a lama
utilizzati per grandi correnti. Ci sono particolari strumenti adatti a misurare tensioni e correnti di lavoro in
un circuito. La figura seguente mostra un classico strumento denominato tester il quale permette di
misurare grandezze elettriche quali la tensione e la resistenza. Per la misura della corrente ci si affida ad
uno strumento denominato pinza amperometrica.
Figura 11.31
Fino ad ora abbiamo trattato il regime continuo (regime stazionario). Nel prossimo paragrafo tratteremo il
regime non continuo chiamato anche regime alternato (sinusoidale).
11.2 REGIME SINUSOIDALE
Per poter definire il regime sinusoidale (alternato) è necessario definire cosa è una sinusoide. Una sinusoide
è una curva periodica che ha la forma del seno oppure del coseno. Sia y(t) una generica funzione del
tempo. Una funzione non costante nel tempo può essere sostanzialmente di due tipi:
1. Periodica
2. Non periodica (aperiodica).
Una generica funzione y(t) si dice periodica di periodo T quando soddisfa la seguente condizione:
𝑓(𝑑) = 𝑓(𝑑 + 𝑛𝑇),
∀𝑑 > 0 𝑒 ∀𝑛 ∈ 𝑁
Dove ‘N’ è l’insieme dei numeri naturali (si veda in merito l’appendice ()). In poche parole una funzione
periodica è una funzione che si ripete nella stessa maniera ogni intervallo di tempo T. T prende il nome di
periodo e si misura in secondi (s). Un esempio di funzione periodica (la funzione seno) è la seguente:
[Digitare il testo]
Pagina 191
Y(t)
t
Figura 11.32
Ora consideriamo una generica funzione periodica di periodo T. Definiamo il valore medio di tale funzione
come il seguente numero:
1
𝑑 +𝑇
𝑦̅ = ∫𝑑 0
𝑇
0
𝑦(𝑑)𝑑𝑑
(11.13)
Dove chiaramente 𝑑0 > 0. Quindi il valore medio è quel numero che moltiplicato per T mi fornisce l’area
della funzione nell’intervallo di tempo T. Si definisce grandezza alternata una grandezza il cui andamento è
tale che possiede valor medio nullo, ossia:
y(t)
A+=A-
A+
t
A-
Figura 11.33
Quindi una grandezza alternata ha andamento in cui l’area della porzione positiva della funzione è uguale
all’area della porzione negativa della stessa. E’ bene notare che, non necessariamente una funzione
periodica è anche alternata. Infatti, perché ciò accada è necessario che essa sia periodica con valor medio
nullo. Le funzioni sinusoidali sono funzioni alternate. In generale, una funzione alternata (sinusoidale) si
scrive nella seguente maniera:
𝑦(𝑑) = π‘Œπ‘š sin πœ”π‘‘
[Digitare il testo]
(11.14)
Pagina 192
Dove:
πœ” = π‘π‘’π‘™π‘ π‘Žπ‘§π‘–π‘œπ‘›π‘’
𝑓 = π‘“π‘Ÿπ‘’π‘žπ‘’π‘’π‘›π‘§π‘Ž
π‘Œπ‘š = π‘Žπ‘šπ‘π‘–π‘’π‘§π‘§π‘Ž π‘“π‘’π‘›π‘§π‘–π‘œπ‘›π‘’
Per chiarire meglio questi concetti appena accennati, prendiamo in considerazione una circonferenza
goniometrica ossia una circonferenza di raggio unitario (R=1).
A
Figura 11.34
Supponiamo che all’instante iniziale (t=0) occupiamo la posizione iniziale indicata con A (angolo di rotazione
nullo). Se iniziamo a spostarci lungo la traiettoria circolare con una velocità angolare pari a πœ”, l’angolo di
rotazione aumenta. Se tale moto lo proiettiamo su un sistema di assi cartesiani come mostrato di seguito:
y(t)
Ym
t
Figura 11.35
Notiamo subito che l’andamento è quello di una sinusoide. L’ampiezza della sinusoide è proprio la
lunghezza del raggio (R=1), ed infatti la funzione seno ha ampiezza compresa tra -1 e +1. πœ” è la velocità
angolare e maggiore è la velocità con cui il corpo ruota sulla circonferenza goniometrica e maggiore è la
[Digitare il testo]
Pagina 193
medesima velocità con cui lo stesso si muove sulla sinusoide. Quindi la velocità angolare e la pulsazione
sono la medesima cosa. La frequenza invece mi rappresenta il numero di giri compiuti dal corpo in un
secondo attorno alla circonferenza, ossia il numero di oscillazione in un secondo della funzione sinusoidale.
E’ importante quindi la seguente relazione:
1
2πœ‹
𝑇
πœ”
𝑓 = = 𝑇 −1 =
(11.14)
Fino ad ora abbiamo supposto di partire dall’angolo nullo, ossia abbiamo supposto di partire all’origine
dell’asse dei tempi. Supponiamo ora di voler partire da un angolo 𝛼 = 10°. Tale angolo di partenza si
chiama fase iniziale.
Y(t)
t
Figura 11.36
𝛼
Figura 11.37
Pertanto la funzione seno si riscriverà nel seguente modo:
𝑦(𝑑) = π‘Œπ‘š sin(πœ”π‘‘ + 𝛼)
Il fatto che y(t) si ripete ogni T secondi può essere verificato sostituendo t con t+T, come viene mostrato di
seguito:
[Digitare il testo]
Pagina 194
𝑦(𝑑 + 𝑇) = π‘Œπ‘š sin πœ”(𝑑 + 𝑇) = π‘Œπ‘š sin πœ” (𝑑 +
2πœ‹
) = π‘Œπ‘š sin(πœ”π‘‘ + 2πœ‹) = π‘Œπ‘š sin(πœ”π‘‘) = 𝑦(𝑑)
πœ”
Pertanto:
𝑦(𝑑) = 𝑦(𝑑 + 𝑇)
ESEMPIO: Supponiamo di avere a disposizione la seguente funzione sinusoidale:
𝑦(𝑑) = 12 cos(50𝑑 + 10)
Vogliamo trovare l’ampiezza, la fase iniziale, la frequenza, il periodo e la pulsazione. L’ampiezza è
banalmente 12. La pulsazione è 50 π‘Ÿπ‘Žπ‘‘⁄𝑠, la fase iniziale è 10 gradi. Il periodo è dato da:
𝑇=
2πœ‹
πœ”
=
2πœ‹
50
= 0,1257 𝑠𝑒𝑐.
La frequenza è l’inverso del periodo e pertanto vale:
1
𝑓 = = 7,958 𝐻𝑧
𝑇
Si osservi che l’unità di misura della pulsazione è ovviamente il rad/s.
Data una grandezza alternata definiamo valore efficace il seguente numero:
1
𝑑 +𝑇
𝑦𝑒𝑓𝑓 = √ ∫𝑑 0
𝑇
0
𝑦 2 (𝑑)𝑑𝑑
(11.15)
Spesso il valore efficace si indica con RMS (Root Mean Square) e dipende dalle caratteristiche della
grandezza alternata. L’importanza di questo numero è legata al fatto che gli strumenti di misura utilizzati in
elettronica misurano il valore efficace di una grandezza elettrica. Si definisce fattore di forma il rapporto tra
il valore efficace ed il valor medio in un semiperiodo con riferimento alla semionda positiva:
𝐾𝑓 =
π‘Œπ‘’π‘“π‘“
π‘Œπ‘š
(11.16)
Per tutte le grandezze alternate sinusoidali il fattore di forma vale 1,11. Nel regime sinusoidale tutte le
grandezze elettriche sono delle sinusoidi, e pertanto la potenza elettrica, la tensione elettrica, la corrente
elettrica sono delle sinusoidi. Quindi tali grandezze si possono scrivere nella seguente forma:
𝑣(𝑑) = 𝑉 sin πœ”π‘‘
𝑖(𝑑) = 𝐼 sin πœ”π‘‘
𝑝(𝑑) = 𝑃 sin πœ”π‘‘
Il vettore che si muove lungo la circonferenza goniometrica prende il nome di fasore ed è il vettore che
genera la sinusoide. In regime sinusoidale tutte le grandezze elettriche sono rappresentate da fasori. Per
poter comprende i fasori è necessario comprende i numeri complessi e pertanto è consigliabile leggere la
relativa appendice.
[Digitare il testo]
Pagina 195
Uno dei primi componenti elettrici che andiamo ad analizzare nel regime sinusoidale è il condensatore. Il
condensatore è un componente passivo utilizzare in elettronica per immagazzinare energia elettrica. Il
simbolo circuitale del condensatore è il seguente:
ic
C
Vc
Figura 11.38
Un condensatore è caratterizzato da una capacità che solitamente si indica con la lettera C e la cui unità di
misura è il Farad (F). I condensatori impiegati in elettronica hanno capacità i cui valori stanno tra i
microfarad ed i picofarad. Il comportamento elettrico ai morsetti di un condensatore è descritto
formalmente dalla seguente semplice equazione differenziale:
𝑖𝑐 = 𝐢
𝑑𝑉𝑐
(11.17)
𝑑𝑑
Si noti che il condensatore è un utilizzatore. Dall’equazione 11.17 si evince facilmente che in regime
stazionario non vi è alcuna differenza di tensione (la derivata della tensione è nulla) e pertanto la corrente è
nulla. In poche parole, in regime stazionario il condensatore si comporta come un circuito aperto. Se
volgiamo esplicitare la tensione in funzione della corrente si ha:
1
𝑑1
𝑉𝑐 = ∫0 𝑖𝑐 𝑑𝑑
𝐢
(11.18)
Anche per i condensatori valgono le stesse considerazioni svolte per i resistori. In particolare, anche due o
più condensatori si possono trovare in serie oppure in parallelo. In particolare se si hanno due o più
condensatori in serie, la capacità totale è data da:
C1
C2 ………….
Cn
Figura 11.39
1
1
⁄𝐢1 + ⁄𝐢2 +β‹―.+1⁄𝐢𝑛
πΆπ‘’π‘ž = 1
(11.19)
L’energia immagazzinata da un condensatore è:
1
𝐸 = 𝐢𝑉 2
(11.20)
2
Infatti supponiamo di voler aumentare la carica immagazzinata in un condensatore. Il lavoro necessario per
fare ciò è dato da:
𝑑
∫0 𝑑𝐿 = 𝑉𝑑𝑄 − 𝑄
[Digitare il testo]
𝑑
1 𝑄2
1
𝑑𝑄⁄
2
𝑑𝑑 → ∫0 𝑑𝐿 = 2 𝐢 = 2 𝐢𝑉
Pagina 196
Dualmente, se si hanno ‘n’ condensatori in parallelo, la capacità equivalente vale:
πΆπ‘’π‘ž = 𝐢1 + 𝐢2 … + 𝐢𝑛
(11.21)
E’ stato detto che il condensatore a la funzione di immagazzinare energia elettrica. La quantità di energia
che si accumula in un condensatore dipende dalla sua capacità e dalla tensione di lavoro. Se indichiamo con
Q la quantità di carica, con C la capacità del condensatore, e con V la tensione di lavoro si ha:
𝑄 = 𝐢×𝑉
(11.22)
Fisicamente un condensatore è costituito da due superfici metalliche dette armature separate da un
materiale isolante che prende il nome di dielettrico. Tale dielettrico può anche essere l’aria. Ad ogni modo,
quanto più estese sono le superfici tanto maggiore è la capacità del condensatore. Analogamente, la
capacità è maggiore quanto più le due superfici sono vicine. Infatti, vale la seguente relazione di fondo:
𝐴
𝑄 = πœ€0 (𝑉2 − 𝑉1 )
(11.23)
𝑑
Dove A è l’area delle armatura, d è la distanza tra le stesse. Tale relazione si ricava facilmente ricordandosi
che il campo elettrico può essere espresso come:
𝑑 βˆ™ 𝐸 = (𝑉2 − 𝑉1 )
Inoltre, la densità superficiale di carica è data da:
𝑄
𝜎 = ⁄𝐴
Mentre la relazione tra la densità superficiale di carica ed il campo elettrico è data da:
𝐸 = 𝜎⁄πœ€0
Pertanto, si ottiene:
Q=𝜎𝐴 = πΈπœ€π‘œ 𝐴 =
(𝑉2 − 𝑉1 )⁄
𝑑 πœ€0 𝐴
Siccome:
𝑄 =πΆβˆ™π‘‰ →𝐢 =
𝑄
𝑉
→ 𝐢 = πœ€0 𝐴⁄𝑑
(11.24)
La capacità di un condensatore dipende poi anche dall’isolante che si trova tra le due armature. Il valore più
basso si ha quando c’è solo aria (πœ€π‘Ÿ = 1). In base alla costante dielettrica relativa del materiale la capacità
del condensatore aumenta o meno. I condensatori possono essere di vario tipo, in funzione del materiale
dielettrico utilizzato. In particolare possiamo avere condensatori detti elettrolitici che sono polarizzati
(ossia hanno un polo positivo ed uno negativo e quindi non possono essere invertiti). Questi sono i più
comuni. La seguente figura mostra un esempio di condensatore elettrolitico:
[Digitare il testo]
Pagina 197
Figura 11.40
Il valore della capacità e della tensione di lavoro sono in genere stampati sull’involucro.
Di seguito viene mostrato un esempio di circuito con dei condensatori:
Figura 11.41
[Digitare il testo]
Pagina 198
ESEMPIO:
Figura 11.42
Un altro elemento molto usato in elettronica è l’induttore. L’induttore ha il seguente simbolo
circuitale:
Figura 11.43
L’equazione caratteristica dell’induttore è la seguente:
𝑉𝐿 = 𝐿
𝑑𝑖𝐿
(11.25)
𝑑𝑑
L è la grandezza elettrica che rappresenta l’induttore: l’induttanza L’unità di misura
dell’induttanza è l’Henry. In regime stazionario un induttore si comporta come un cortocircuito.
Esplicitando la corrente che attraversa l’induttore (è un utilizzatore) si ha:
1
𝑑1
𝑖𝐿 = ∫0 𝑉𝐿 𝑑𝑑
𝐿
L’energia immagazzinata da un induttore è:
1
𝐸𝐿 = 𝐿𝐼 2
(11.26)
2
Infatti:
𝑃=
𝑑𝐿
𝑑𝑑
𝑑1
𝑑1
→ 𝑃𝑑𝑑 = 𝑑𝐿 → ∫π‘‘π‘œ 𝑃𝑑𝑑 = ∫ 𝑑𝐿 → 𝐿 = ∫𝑑0 𝑣𝑖𝑑𝑑
Pertanto:
[Digitare il testo]
Pagina 199
𝑑1
𝑑1
𝑑𝑖
𝑑𝑖
1
𝑉 = 𝐿 → ∫ 𝐿 𝑖𝑑𝑑 = ∫ 𝐿𝑖𝑑𝑖 = 𝐿𝑖 2
𝑑𝑑
𝑑𝑑
2
𝑑0
𝑑0
Anche gli induttori possono essere cablati in due modi. In particolare due o più induttori in serie hanno
un’induttanza equivalente data da:
πΏπ‘’π‘ž = 𝐿1 + 𝐿2 + β‹― + 𝐿𝑛
(11.27)
Viceversa due o più induttori in parallelo hanno la seguente induttanza equivalente:
1
⁄𝐿1+1⁄𝐿2+β‹―+1⁄𝐿𝑛
πΏπ‘’π‘ž = 1
(11.28)
Pertanto, l’induttore è un utilizzatore caratterizzato dall’induttanza L. Tale induttanza si misura in Henry
(H). Gli induttori impiegati in elettronica hanno induttanze cha vanno da milli Henry (mH) ai micro Henry.
Quando un conduttore, una spira, un solenoide, oppure un circuito elettrico è percorso da corrente si crea
un flusso magnetico ad esso concatenato. Nel caso in cui varia la corrente nel circuito, varia anche il flusso,
e pertanto si ha per la legge di faraday:
𝑓. 𝑒. π‘š. π‘–π‘›π‘‘π‘œπ‘‘π‘‘π‘Ž = −
𝑑Φ
(11.29)
𝑑𝑑
Il circuito stesso è sede di una forza elettromotrice indotta che crea una corrente indotta. Il flusso
concatenato è proporzionale alla corrente che lo ha generato. Tale costante di proporzionalità è proprio
l’induttanza L:
Φ𝑐 = 𝐿𝑖
(11.30)
Pertanto:
𝑓. 𝑒. π‘š. π‘–π‘›π‘‘π‘œπ‘‘π‘‘π‘Ž = −𝐿
𝑑𝑖
(11.31)
𝑑𝑑
Il fenomeno appena descritto prende il nome di fenomeno dell’autoinduzione ed interviene per ostacolare
le variazioni di corrente. Pertanto l’induttanza descrive l’inerzia del circuito. Ecco quindi che l’induttore
viene utilizzato la dove non si vogliono sbalzi di corrente improvvisi. La corrente che attraversa un induttore
non può variare istantaneamente. Siccome:
Φ𝑐 = 𝐿𝑖 → 𝐿 =
Φ𝑐 𝑁Φ𝑐 𝑁𝐡𝑆
=
=
𝑖
𝑖
𝑖
Infatti:
Φ𝑐 = 𝐡𝑆 → 𝐿 =
𝑁 𝑁𝑖
𝑆
πœ‡ 𝑆 = πœ‡π‘ 2
𝑖 𝑖
𝑖
Dove S è l’area della sezione trasversale del solenoide. Vediamo subito qualche semplice esempio.
[Digitare il testo]
Pagina 200
ESEMPIO:
Figura 11.44
Vediamo ora di analizzare i bipoli presentati (resistore, condensatore, induttore) nel regime sinusoidale
utilizzando i fasori. Come si è già detto un fasore è sostanzialmente un vettore che genera su piano
cartesiano una sinusoide. Quindi tutte le grandezze elettriche (tensione, corrente, potenza,…) possono
essere rappresentate da fasori. Nel regime sinusoidale, per poter risolvere qualsiasi tipo di circuito è
sufficiente considerare il vettore associato alla sinusoide e svolgere i calcoli con il metodo simbolico, ossia
siccome tutte le grandezze sono vettori, si calcola per ogni vettore la sua intensità e la sua fase. Detto ciò,
definiamo cosa è l’impedenza nel mondo del regime sinusoidale. L’impedenza è il rapporto tra la tensione
ai capi di un bipolo e la corrente che lo attraversa. In poche parole l’impedenza svolge un ruolo analogo
della resistenza nel regime stazionario. Vediamo di capire meglio questo fatto. Innanzitutto siccome
corrente e tensione sono dei vettore per forza di cose anche l’impedenza lo è. Pertanto:
βƒ—βƒ—
𝑍⃗ = 𝑉⁄
𝐼⃗
(11.32)
Siccome l’impedenza è un vettore ne deriva che anch’essa è caratterizzata da un modulo (Z) e da un fase
(πœ‘π‘§ ). Lo sfasamento tra la tensione e la corrente è proprio la fase dell’impedenza. Graficamente si ha:
Imm
𝐼⃗
πœ‘π‘§
βƒ—βƒ—
𝑉
Re
Figura 11.45
Il piano appena illustrato prende il nome di piano complesso (con il relativo asse reale (asse x) ed asse
immaginario (asse y)). Analizziamo ora il singolo caso della resistenza. Scriviamo:
𝑖𝑅 = πΌπ‘Ÿ sin(πœ”π‘‘)
𝑣𝑅 = 𝑉𝑅 sin(πœ”π‘‘)
Ne consegue che:
𝑅=
𝑣𝑅
𝑖𝑅
=
[Digitare il testo]
𝑉𝑅 sin(πœ”π‘‘)
πΌπ‘Ÿ sin(πœ”π‘‘)
Pagina 201
La corrente risulta una sinusoide con valore massimo pari a:
𝐼𝑅 =
𝑉𝑅⁄
𝑅
R è un semplice scalare e pertanto non avviene nessun tipo di sfasamento tra la tensione e la corrente. Per
questo motivo si dice che corrente e tensione risultano in fase (𝝋𝑹 =0). Graficamente si ha:
Figura 11.46
Facciamo ora un’analisi del tutto simile per il condensatore. Scriviamo quindi:
𝑣𝑐 = 𝑉𝑐 sin(πœ”π‘‘)
𝑖𝑐 = 𝐢
𝑑𝑣𝑐⁄
𝑑𝑑
Ne segue che:
πœ‹
𝑖𝑐 = πœ”πΆπ‘£π‘ sin(πœ”π‘‘ + )
2
(11.33)
In poche parole, la corrente è una sinusoide che risulta sfasata di πœ‹⁄2 rispetto alla tensione. In particolare il
valore di picco di tale sinusoide è.
𝐼𝐢 = πœ”π‘π‘‰πΆ
(11.34)
E pertanto si riscrive il tutto nel seguente modo:
πœ‹
𝑖𝑐 = 𝐼𝑐 sin(πœ”π‘‘ + )
2
Pertanto la corrente è in anticipo di 90° rispetto alla tensione. Graficamente si ha:
[Digitare il testo]
Pagina 202
Figura 11.47
E’ possibile utilizzare la notazione vettoriale ed esprimere lo sfasamento con l’operatore ‘j’, ottenendo così:
𝐼𝑐 = π‘—πœ”πΆπ‘‰π‘
(11.35)
Applicando al condensatore la classica definizione dell’impedenza si ottiene:
βƒ—βƒ—
𝑗
𝑉
𝑍⃗ = 𝑐⁄ = 1⁄π‘—πœ”πΆ = − ⁄πœ”πΆ
𝐼⃗𝑐
(11.36)
L’impedenza è un numero immaginario ed il modulo di tale impedenza (1⁄πœ”πΆ) viene chiamato reattanza
capacitiva. Tale grandezza si misura in ohm e rappresenta l’equivalente ohmico del condensatore.
𝑋𝑐 = 1⁄πœ”πΆ
(11.37)
𝑉𝑐 = 𝑋𝑐 𝐼𝑐
(11.38)
Quindi:
Ricordandosi che:
πœ” = 2πœ‹π‘“ → 𝑋𝑐 = 1⁄2πœ‹π‘“πΆ
Pertanto si osserva con estrema facilità che a frequenza nulla la reattanza capacitiva risulta essere infinita,
e quindi il condensatore si comporta come un circuito aperto. Diversamente, per la frequenza tendente
all’infinito la reattanza capacitiva risulta essere nulla e pertanto il condensatore si comporta come un corto
circuito.
Infine analizziamo l’induttore nel mondo dei fasori. L’equazione dell’induttore è:
𝑉𝐿 = 𝐿
πœ‹
𝑑𝑖𝐿⁄
𝑑𝑑 = πœ”πΏπΌπΏ cos(πœ”π‘‘) = πœ”πΏπΌπΏ sin(πœ”π‘‘ + 2 )
Ponendo:
πœ‹
𝑣𝐿 = 𝑉𝐿 sin(πœ”π‘‘ + )
2
Dove chiaramente:
𝑉𝐿 = πœ”πΏπΌπΏ
[Digitare il testo]
(11.39)
Pagina 203
In questo contesto la tensione risulta sfasata di 90° rispetto alla corrente. Qui è la tensione ad essere in
anticipo rispetto alla corrente. Passando alla notazione vettoriale si ha:
⃗⃗𝐿 = π‘—πœ”πΏπΌβƒ—πΏ
𝑉
E quindi:
βƒ—βƒ—
𝑉
𝑍⃗𝐿 = 𝐿⁄ = π‘—πœ”πΏ
𝐼⃗𝐿
L’impedenza di un induttore è un numero immaginario. Questo comporta che la fase dell’impedenza vale
+90°. Si definisce reattanza induttiva la seguente espressione:
𝑋𝑐 = πœ”πΏ
(11.40)
Anche la reattanza induttiva si misura in Ohm. Esprimiamo la reattanza induttiva in funzione della
frequenza di funzionamento, otteniamo:
πœ” = 2πœ‹π‘“ → 𝑋𝐿 = 2πœ‹π‘“πΏ
Quindi, se la frequenza è nulla, la reattanza induttiva è nulla e pertanto in regime stazionario l’induttore si
comporta come un cortocircuito. Diversamente, se la frequenza tende all’infinito, la reattanza induttiva
tende anch’essa all’infinito e pertanto l’induttore si comporta come un circuito aperto.
Figura 11.48
Giunti a questo punto è bene ricordare quanto segue: dato che l’impedenza è un vettore, se si desidera
calcolare modulo e fase di tale vettore è necessario seguire i seguenti passi:
MODULO: 𝑍 = √π‘…π‘’π‘Žπ‘™π‘’ 2 + π‘–π‘šπ‘šπ‘Žπ‘”π‘–π‘›π‘Žπ‘Ÿπ‘–π‘Ž2
FASE:
πœ‘π‘§ = π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘”(
πΌπ‘šπ‘šπ‘Žπ‘”π‘–π‘›π‘Žπ‘Ÿπ‘–π‘Ž⁄
π‘…π‘’π‘Žπ‘™π‘’)
In merito si veda la relativa appendice sui numeri complessi e sui vettori in tale ambito. Vale la pena
accennare anche ad altre grandezze che derivano dall’impedenza e dalle varie reattanze. In particolare, si
definisce ammettenza la seguente relazione:
[Digitare il testo]
Pagina 204
βƒ—βƒ— = 1⁄
π‘Œ
𝑍⃗
(11.41)
L’ammettenza è l’inverso dell’impedenza. Definiamo suscettanza capacitiva ed induttiva le seguenti
grandezze:
𝐡𝑐 = 1⁄𝑋
(11.42)
𝐡𝐿 = 1⁄𝑋
(11.43)
𝑐
𝐿
Vediamo qualche esempio.
ESEMPIO1: vogliamo calcolare la fase totale del seguente circuito:
Figura 11.49
[Digitare il testo]
Pagina 205
ESEMPIO 2:
Figura 11.50
[Digitare il testo]
Pagina 206
ESEMPIO 3:
Figura 11.51
Quest’ultimo esempio è molto istruttivo. Innanzitutto, un circuito in cui compare un resistore un
condensatore ed un induttore viene chiamato circuito RLC. La seconda cosa da notare riguarda la
simbologia presente nel circuito. In particolare il generatore di tensione in regime sinusoidale (detto anche
volgarmente regime alternato) ha il seguente simbolo:
Figura 11.52
Abbiamo visto, analizzando l’ultimo esempio, che esiste un preciso valore di pulsazione in cui le reattanze
capacitiva ed induttiva si annullano ed il circuito diventa puramente resistivo. Tale pulsazione prende il
nome di pulsazione di risonanza ed ha il seguente valore:
πœ”0 = 1⁄
√𝐿𝐢
(11.44)
Dovremmo chiarire meglio quest’ultimo concetto, ma per poterlo illustrare sarà necessario introdurre un
nuovo concetto molto potente. Il concetto di sistema filtrante come vedremo nel paragrafo 11.3.
[Digitare il testo]
Pagina 207
Concludiamo invece questo paragrafo sul regime sinusoidale analizzando come varia la potenza elettrica.
Abbiamo visto che, in regime stazionario, la potenza elettrica è data dal prodotto della tensione elettrica
per la corrente elettrica. Quindi:
𝑃 = 𝑉𝐼
Abbiamo visto che la potenza si misura in Watt (W). Consideriamo ora un generico bipolo avente una
⃗⃗𝑔 ed è attraversato da una corrente 𝐼⃗𝑔 . Scriviamo:
caduta di tensione 𝑉
⃗⃗𝑔 𝐼⃗𝑔 = 𝑉𝑔 sin(πœ”π‘‘) 𝐼𝑧 sin(πœ”π‘‘ + πœ‘)
𝑃𝑔 = 𝑉
11.3 I SISTEMI FILTRANTI E LA RISONANZA
Consideriamo un generico circuito elettrico a cui viene applicato un segnale elettrico di ingresso e che a sua
volta produce come output un generico segnale di uscita.
CIRCUITO ELETTRICO
SEGNALE INPUT
SEGNALE OUTPUT
Figura 11.53
Si ricorda che un segnale elettrico può essere una tensione elettrica oppure una corrente elettrica. Esiste
un particolare legame tra il segnale di uscita ed il segnale di ingresso. Tale legame viene definito
formalmente da una particolare funzione detta funzione di trasferimento. Quindi:
π‘“π‘’π‘›π‘§π‘–π‘œπ‘›π‘’ 𝑑𝑖 π‘‘π‘Ÿπ‘Žπ‘ π‘“π‘’π‘Ÿπ‘–π‘šπ‘’π‘›π‘‘π‘œ (𝑓. 𝑑. 𝑑) =
π‘ π‘’π‘”π‘›π‘Žπ‘™π‘’ 𝑑𝑖 π‘’π‘ π‘π‘–π‘‘π‘Ž
π‘ π‘’π‘”π‘›π‘Žπ‘™π‘’ 𝑑𝑖 π‘–π‘›π‘”π‘Ÿπ‘’π‘ π‘ π‘œ
(11.45)
Ora facciamo alcune considerazioni. Può accadere che il segnale di ingresso e quello di uscita siano dello
stesso tipo, per esempio siano entrambi delle correnti oppure delle tensioni. In questo caso la funzione di
trasferimento è essenzialmente una grandezza adimensionale che prende il nome di guadagno. In questo
caso particolare, se le grandezze sono delle tensioni si parlerà di guadagno di tensione (𝑨𝒗), mentre se i
segnali sono delle correnti si parlerà di guadagno di corrente (π‘¨π’Š). Pertanto:
𝐴𝑣 =
π‘‰π‘œπ‘’π‘‘π‘π‘’π‘‘
⁄𝑉
𝑖𝑛𝑝𝑒𝑑
𝐴𝑖 =
πΌπ‘œπ‘’π‘‘π‘π‘’π‘‘
⁄𝐼
𝑖𝑛𝑝𝑒𝑑
La situazione si complica quando il segnale di ingresso e di uscita sono differenti, per esempio l’uscita è una
tensione mentre l’ingresso è una corrente. In questo caso dobbiamo analizzare 2 casistiche:
[Digitare il testo]
Pagina 208
1. Il segnale di ingresso è una tensione ed il segnale di uscita è una corrente:
CIRCUITO
𝑣𝑖
π‘–π‘œ
Figura 11.54
In questo caso abbiamo:
𝑖
𝑓. 𝑑. 𝑑 = 0⁄𝑣𝑖 = 𝒕𝒓𝒂𝒏𝒔𝒄𝒐𝒏𝒅𝒖𝒕𝒂𝒏𝒛𝒂
2. Il segnale di ingresso è una corrente ed il segnale di uscita è una tensione:
CIRCUITO
𝑖𝑖
π‘£π‘œ
Figura 11.55
In questo caso abbiamo:
𝑓. 𝑑. 𝑑 =
π‘£π‘œ
⁄𝑖 = π’•π’“π’‚π’π’”π’Šπ’Žπ’‘π’†π’…π’†π’π’›π’‚
𝑖
Visto che i segnali di ingresso e di uscita sono entrambi segnali sinusoidali e quindi rappresentabili tramite
numeri complessi, allora anche il loro rapporto è rappresentabile mediante numeri complessi. Pertanto, lo
studio del legame tra ingresso ed uscita viene svolto analizzando modulo e fase della funzione di
trasferimento. In particolare, analizzando il modulo della funzione di trasferimento si analizza l’andamento
del rapporto tra il segnale di uscita ed il segnale di ingresso, mentre analizzando la fase si analizza lo
sfasamento tra il segnale di uscita ed il segnale di ingresso. Un’analisi più dettagliata sui numeri complessi e
sulla funzione di trasferimento viene reinviata ad apposita appendice ().
Detto ciò, analizziamo il concetto di filtro. Concettualmente un filtro è un dispositivo atto a bloccare
qualcosa ed a lasciare passare altro. In elettronica/elettrotecnica un filtro è un circuito che permette di
filtrare i segnali con determinate frequenze e quindi fa comparire in uscita segnali con particolari frequenze
e di attenuare/annullare tutte le altre. Ci sono svariati tipi di filtri. Grossolanamente possiamo suddividere i
filtri in:
1. Filtri passa-basso. Sono circuiti che fanno passare soltanto segnali con basse frequenze. Il circuito
elettrico del filtro passa-basso è il seguente:
[Digitare il testo]
Pagina 209
Si può facilmente notare che il circuito sopra ha la struttura di un partitore di tensione. Pertanto
possiamo scrivere:
βƒ—βƒ—π‘œ = 𝑉
⃗⃗𝑐
𝑉
Siccome:
βƒ—βƒ—
βƒ—βƒ—
βƒ—βƒ—π‘œ = 𝑋𝑐 𝐼⃗𝑐 = (−𝑗𝑋𝑐 ) 𝑉𝑖⁄
𝑉
𝑅 − 𝑗𝑋
𝑐
Pertanto il guadagno in tensione è:
βƒ—βƒ—
−𝑗𝑋𝑐
𝑉
𝐴⃗𝑣 = π‘œ⁄ =
⁄𝑅 − 𝑗𝑋
⃗𝑉⃗𝑖
𝑐
Come si può notare la funzione di trasferimento è una grandezza adimensionale che si esprime
tramite un numero complesso. Quindi esplicitiamo modulo e fase di tale numero complesso:
1
𝑋
𝐴𝑣 = 𝑐⁄ 2
= πœ”πΆ⁄
√𝑅 + 𝑋𝑐2
√𝑅 2 + (
1
2πœ‹π‘“πΆ
)2
Per quanto riguarda la fase si ha:
πœ‘ = −π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘” (𝑅⁄𝑋 ) = −π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘”(πœ”π‘…πΆ) = −π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘”(2πœ‹π‘“π‘…πΆ)
𝑐
2. Filtri passa-alto, i quali sono circuiti che fanno passare segnali ad alta frequenza. Il circuito che
rappresenta un filtro di questo tipo viene mostrato in figura:
Figura 11.56
[Digitare il testo]
Pagina 210
Si può facilmente notare che la tensione di uscita è uguale alla caduta di tensione presente ai capi
della resistenza. Pertanto si può scrivere:
βƒ—βƒ—
βƒ—βƒ—π‘œ = (𝑉𝑖⁄
𝑉
𝑅 − 𝑗𝑋 ) 𝑅
𝐢
Pertanto la funzione di trasferimento di tale filtro è la seguente:
βƒ—βƒ—
𝑉
𝐴⃗𝑉 = π‘œ⁄ = 𝑅⁄𝑅 − 𝑗𝑋
⃗⃗𝑖
𝐢
𝑉
Esplicitando modulo e fase si ottiene:
𝐴𝑣 = 𝑅⁄ 2
=𝑅
√𝑅 + 𝑋𝑐2
⁄√𝑅 2 + ( 1 )2
2πœ‹π‘“πΆ
Per quanto riguarda la fase si ha:
𝑋
πœ‘ = 0° − π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘” ( 𝑐⁄𝑅 ) = π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘”(1/πœ”π‘…πΆ) = π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘”(1/2πœ‹π‘“π‘…πΆ)
Giunti a questo punto è necessario definire il concetto di frequenza critica. Con frequenza critica si intende
quel particolare valore della frequenza per cui si ha un passaggio dei segnali in uscita senza nessuna
attenuazione. In poche parole, la frequenza critica è il limite per cui in uscita viene mostrato un segnale non
attenuato avente una certa frequenza. Si guardi in merito la seguente figura:
Figura 11.57
La precedente figura mostra la risposta in frequenza di un filtro passa basso. In poche parole, la frequenza
critica 𝑓𝑐 è il limite superiore dell’intervallo delle frequenze che compaiono in uscita al filtro senza
attenuazione. Per frequenze superiori a quella critica inizia la fase di attenuazione dei segnali in uscita. La
risposta in frequenza altro non è che uno strumento che ci permette di verificare l’andamento del modulo
e della fase facendo variare la frequenza da 0 a +∞. Siccome in corrispondenza della frequenza critica si ha:
𝐴𝑣 = 1⁄
√2
[Digitare il testo]
Pagina 211
Si ha:
𝐴𝑣 = 1⁄
= 1⁄ → 1 = (2πœ‹π‘“π‘ 𝑅𝐢)2 → 𝑓𝑐 = √1⁄(2πœ‹π‘…πΆ)2
√2
√1 + (2πœ‹π‘“π‘ 𝑅𝐢)2
Pertanto:
𝑓𝑐 = 1⁄2πœ‹π‘…πΆ
(11.47)
Si noti immediatamente che:
ο‚·
ο‚·
ο‚·
𝑓 = 0 → 𝐴𝑣 = 1 𝑒 πœ‘ = 0
𝑓 = 𝑓𝑐 → 𝐴𝑣 = 1⁄
𝑒 πœ‘ = −45°
√2
𝑓 → ∞ → 𝐴𝑣 𝑑𝑒𝑛𝑑𝑒 π‘Ž 0 𝑒 πœ‘ = −90°
Essendo la fase negativa, il segnale di uscita è sempre in ritardo rispetto al segnale di ingresso. Si definisce
banda passante (BW) la seguente espressione:
π΅π‘Š = 𝑓𝑐 − 0
(11.48)
La banda passante è quindi l’intervallo delle frequenze in cui il segnale di ingresso non subisce alcuna
attenuazione. Per quanto riguarda il filtro passa alto si svolgono le medesima considerazioni. In particolare,
la seguente figura mostra l’andamento del modulo in funzione della variazione della frequenza:
Figura 11.58
Formalmente si ha:
𝐴𝑣 = 𝑅⁄ 2
=1
√𝑅 + 𝑋𝑐2
⁄√1 + (
1
)
2πœ‹π‘“π‘ 𝑅𝐢
1
= 1⁄ → 1 = (
)2
2
2πœ‹π‘“
𝑅𝐢
√
𝑐
2
Quindi:
[Digitare il testo]
Pagina 212
𝑓𝑐 = 1⁄2πœ‹π‘…πΆ
Si noti che, al variare della frequenza si ha:
ο‚·
ο‚·
ο‚·
𝑓 = 0 → 𝐴𝑣 = 0 𝑒 πœ‘ = +90°
𝑓 = 𝑓𝑐 → 𝐴𝑣 = 1⁄
→ πœ‘ = +45°
√2
𝑓 𝑑𝑒𝑛𝑑𝑒 π‘Ž + ∞ → 𝐴𝑣 𝑑𝑒𝑛𝑑𝑒 π‘Ž 1 𝑒 πœ‘ 𝑑𝑒𝑛𝑑𝑒 π‘Ž 0°
In questo contesto l’uscita è in anticipo rispetto all’ingresso in quanto la fase è positiva. Precedentemente
si sono visti due tipi di filtro: il filtro passa alto ed il filtro passa basso. In realtà esiste un terzo tipo di filtro
chiamato filtro passa-banda che verrà descritto ora. Consideriamo un generico bipolo attraversato da una
determinata corrente e che possiede una determinata tensione ai suoi capi. Supponiamo che corrente e
tensione siano in fase. Cosa vuol dire che tensione e corrente sono in fase? Semplicemente, vuol dire che
lo sfasamento tra queste due grandezze elettriche è nullo. Consideriamo una generica impedenza. Se
corrente e tensione sono in fase tale impedenza, come già visto è puramente resistiva. Analizziamo allora
un tipico circuito RLC come quello mostrato in figura:
Figura 11.59
Calcoliamoci l’impedenza equivalente. Dato che il resistore, l’induttore ed il condensatore sono in serie si
ha:
π‘π‘’π‘ž = 𝑅 + 𝑗(𝑋𝐿 − 𝑋𝑐 )
Calcoliamoci modulo e fase di questo numero complesso:
ο‚·
Modulo: π‘π‘’π‘ž = √𝑅 2 + (𝑋𝐿 − 𝑋𝑐 )2 = √
[Digitare il testo]
Pagina 213
ο‚·
𝑋 − 𝑋𝐢⁄
1
1
Fase: πœ‘π‘  = π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘” ( 𝐿
𝑅 ) = π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘‘π‘”((2πœ‹π‘“πΏ − ⁄2πœ‹π‘“πΆ ) ⁄𝑅 )
In poche parole, il circuito è in risonanza quando la tensione e la corrente sono in fase e pertento: πœ‘π‘  = 0.
Tale condizione si ha quando la reattanza induttiva e la reattanza capacitiva sono uguali, ossia quando:
2πœ‹π‘“πΏ = 1⁄2πœ‹π‘“πΆ
Tale condizione si verifica per un particolare valore della frequenza detto frequenza di risonanza che si
indica per comodità con π‘“π‘Ÿ . Quindi si ha:
π‘“π‘Ÿ = 1⁄
2πœ‹√𝐿𝐢
(11.49)
Quindi quando la frequenza del segnale generato dal generatore è pari alla frequenza di risonanza, allora il
circuito raggiunge la sua minima impedenza e quindi il circuito nel suo complesso diventa puramente
resistivo ed equivalente alla resistenza R. Spesso risulta utile utilizzare un particolare coefficiente
denominato coefficiente di risonanza e solitamente indicato con il carattere Q per descrivere il
comportamento di un circuito in risonanza. Per definizione tale coefficiente è il rapporto tra l’energia
immagazzinata e l’energia dispersa dal circuito in condizioni di risonanza. Quindi:
𝑄=
π‘’π‘›π‘’π‘Ÿπ‘”π‘–π‘Ž π‘–π‘šπ‘šπ‘Žπ‘”π‘”π‘Žπ‘§π‘§π‘–π‘›π‘Žπ‘‘π‘Ž
π‘’π‘›π‘’π‘Ÿπ‘”π‘–π‘Ž π‘‘π‘–π‘ π‘ π‘–π‘π‘Žπ‘‘π‘Ž
=
π‘π‘œπ‘‘π‘’π‘›π‘§π‘Ž π‘Ÿπ‘’π‘Žπ‘‘π‘‘π‘–π‘£π‘Ž
π‘π‘œπ‘‘π‘’π‘›π‘§π‘Ž π‘Žπ‘‘π‘‘π‘–π‘£π‘Ž
Altro possibile significato del coefficiente di risonanza è quello legato al coefficiente di sovratensione in un
circuito in risonanza. Quindi:
𝑄=
π‘‘π‘’π‘›π‘ π‘–π‘œπ‘›π‘’ 𝑠𝑒𝑔𝑙𝑖 π‘’π‘™π‘’π‘šπ‘’π‘›π‘‘π‘– π‘Ÿπ‘’π‘Žπ‘‘π‘‘π‘–π‘£π‘–
π‘‘π‘’π‘›π‘ π‘–π‘œπ‘›π‘’ 𝑠𝑒𝑔𝑙𝑖 π‘’π‘™π‘’π‘šπ‘’π‘›π‘‘π‘– π‘π‘Žπ‘ π‘ π‘–π‘£π‘–
11.4 APPLICAZIONI DI ELETTROTECNICA
Nei paragrafi precedenti si è parlato di teoria legata al mondo dell’elettrotecnica. In questo paragrafo
vediamo di discutere di alcune applicazioni pratiche legate al mondo dell’elettrotecnica. Iniziamo con la
definizione di azionamento elettrico. Un azionamento elettrico sostanzialmente è un insieme di apparati
che, interagendo tra loro, forniscono una determinata potenza meccanica caratterizzata da una coppia ed
una velocità pilotabili mediante segnali elettrici (correnti e tensioni). Quindi un azionamento elettrico
permette la conversione dell’energia elettrica in energia meccanica. I campi di applicazione degli
azionamenti elettrici sono tra i più disparati. Per esempio, si pensi alle gru, ai nastri trasportatori, eccetera.
La struttura generica di un azionamento elettrico è la seguente:
[Digitare il testo]
Pagina 214
Figura 11.60
L’unità di controllo permette di controllare l’attuatore tramite i comandi che giungono dalla porta comandi.
La porta comandi costituisce l’interfaccia tra la supervisione del processo (operatore) e l’azionamento
stesso. La porta elettrica è quella porta che permette di ricevere l’energia elettrica dall’esterno e fornirla al
convertitore di potenza il quale la rende utilizzabile per l’attuatore finale (il motore elettrico). Pertanto il
convertitore di potenza è spesso un trasformatore che alza o abbassa la tensione in funzione delle
caratteristiche del motore stesso. La porta meccanica infine è quella porta che mette in comunicazione
l’attuatore con il carico su cui si vuole agire. Ovviamente tutti i componenti devono essere correttamente
dimensionati in funzione delle esigenze del carico. Pertanto è necessario conoscere:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
POTENZA MECCANICA (W) richiesta.
VELOCITA’ ANGOLARE (rad/s) di funzionamento.
CARATTERISTICA MECCANICA (N/m) ossia il legame tra coppia e velocità angolare.
CICLO DI CARICO
PRESTAZIONI STATICHE (precisione, errori statici,…)
PRESTAZIONI DINAMICHE (velocità di risposta,…)
Ad ogni modo iniziamo a discutere di elettrotecnica dal punto di vista “pratico” descrivendo il concetto di
macchina elettrica. Una macchina elettrica fondamentalmente è un qualunque apparato, funzionante sulle
basi dell’elettromagnetismo, che permette di convertire energia meccanica in energia elettrica. In poche
parole effettua l’operazione opposto dell’azionamento elettrico. Invece chiamiamo motore quella
macchina in grado di trasformare energia elettrica in energia meccanica. Le macchine elettriche possono
essere grossolanamente suddivise in:
1. Macchine statiche
2. Macchine rotanti
Le macchine statiche (prive cioè di parti in movimento) permettono di alterare il valore della tensione o
della corrente in ingresso senza modificarne la potenza. Un esempio di macchina statica è il trasformatore.
La seguente figura mostra un tipo di trasformatore:
[Digitare il testo]
Pagina 215
Figura 11.61
Un trasformatore ha, come funzione principale, quella di alzare o abbassare la tensione presente al suo
ingresso. Il simbolo elettrico del trasformatore è il seguente:
N1
V1
N2
V2
Figura 11.62
Si indica con V1 la tensione di ingresso e V2 la tensione di uscita. Con N1 si indica il numero di spire
sull’avvolgimento primario, mentre con N2 il numero di spire sull’avvolgimento secondario.
La tensione di uscita è data dalla relazione seguente:
𝑉2 =
𝑁2
⁄𝑁 𝑉1
1
[Digitare il testo]
(11.50)
Pagina 216
In sostanza, un generatore di tensione genera per l’appunto una tensione in ingresso e permette alla
corrente di fluire all’interno del conduttore. Un filo conduttore che viene percorso da una corrente
elettrica genera un campo magnetico e pertanto il nucleo che si trova all’interno della bobina si magnetizza.
Il campo magnetico generato è proporzionale non solo alla tensione di ingresso applicata ma anche al
numero di spire. Sul circuito secondario si genera un tensione data dalla relazione 11.50.
Pertanto:
ο‚·
ο‚·
Se il numero di spire sul secondario è minore del numero di spire sul primario, la tensione di uscita
è più bassa della tensione di ingresso.
Se il numero di spire sul secondario è maggiore del numero di spire sul circuito primario, allora la
tensione di uscita risulta più alta della tensione di ingresso.
Le macchine rotanti invece sono di tre tipi:
1. Macchine di tipo sincrono che operano in regime sinusoidale (alternato) ed operano con velocità di
rotazione costanti.
2. Macchine di tipo asincrono che operano anch’esse in regime sinusoidale ma la loro velocità di
rotazione dipende dal campo magnetico interno alla macchina stessa. Tale velocità varia con il
carico.
3. Macchine di tipo a corrente continua, le quali operano in regime stazionario.
Altri componenti molto usati in ambito industriale sono i convertitori i quali permettono di modificare la
frequenza delle varie grandezze alternate oppure semplicemente trasformano le grandezze alternate in
grandezze continue (operazione di raddrizzamento), gli invertitori i quali permettono di trasformare
grandezze continue in grandezze alternate, ed altre macchine che vedremo man mano. Ogni macchina
elettrica è caratterizzata da un rendimento. Tale rendimento è fortemente influenzato dalle inevitabili
perdite che la macchina stessa ha. Le perdite possono essere:
1. di natura meccanica, come per esempio perdite legate all’attrito delle parti in rotazione
2. di natura elettrica, come per esempio perdite negli avvolgimenti elettrici.
Come appena accennato ogni macchina (che sia elettrica, meccanica, pneumatica,…) è caratterizzata da un
rendimento. Consideriamo una generica macchina che riceve, per poter funzionare, di una potenza in
ingresso che indichiamo per comodità con 𝑃𝑖𝑛 e restituisce una potenza in uscita che indichiamo, sempre
per comodità, con π‘ƒπ‘œπ‘’π‘‘ . A questo punto, definiamo rendimento il rapporto tra la potenza in uscita e la
potenza in ingresso. In poche parole, il rendimento mi descrive quanta energia di ingresso sfrutto
effettivamente. Un esempio chiarificatore è il seguente: ogni mattina, quando ci svegliamo, ci sentiamo
carichi ed effettivamente siamo carichi di energia. Durante la giornata, per via dello studio oppure del
lavoro, perdiamo inevitabilmente parte di questa carica. A fine giornata ci sentiamo scarichi. Ebbene,
abbiamo utilizzato tale energia per produrre. A fine giornata se abbiamo speso 100 di energia per produrre
80 in proporzione abbiamo avuto un rendimento dell’80%. Formalmente il rendimento è:
πœ‚=
π‘ƒπ‘œπ‘’π‘‘
⁄𝑃
𝑖𝑛
[Digitare il testo]
(11.50)
Pagina 217
La differenza tra la potenza in uscita e la potenza in ingresso mi rappresenta la potenza assorbita dalla
macchina per il proprio funzionamento.
π‘ƒπ‘Žπ‘ π‘  = 𝑃𝑖𝑛 − π‘ƒπ‘œπ‘’π‘‘
(11.51)
Solitamente il rendimento si esprime in percentuale. Si noti chiaramente che in formato puramente
numerico il rendimento è tale che:
0≤πœ‚≤1
Se la macchina avesse un rendimento pari a 1 (100%) vorrebbe dire che la macchina spenderebbe tutta la
potenza fornita in ingresso per l’uscita e pertanto non ci sarebbero perdite. Una macchina di questo tipo
viene detta macchina ideale in quanto una tal macchina non esiste. Ogni macchina ha delle perdite
sebbene piccole. Vediamo ora di analizzare un po’ nel dettaglio i tipi di perdite partendo dalle perdite di
natura elettrica. Consideriamo un generico circuito percorso dalla corrente elettrica. Un conduttore
percorso da una corrente elettrica dissipa calore per effetto Joule. Tale dispersione prende il nome di
dispersione (perdita) nel rame. Gli avvolgimenti di una determinata macchina elettrica, sono conduttori
tipicamente di rame e quindi sono sede di dispersione di rame. Tali perdite sono rappresentabili dalla legge:
𝑃𝑐𝑒 = 𝑅𝐼 2
Il simbolo del rame è Cu (Cuprum). Per calcolare il corretto valore della resistenza R è necessario prendere
in considerazione sia il numero di avvolgimento del circuito induttore sia il numero di avvolgimenti del
circuito indotto. Il circuito induttore ha lo scopo di creare il campo magnetico mediante la circolazione di
corrente. Per questo motivo viene anche chiamato circuito di eccitamento. Il circuito indotto raccoglie
invece le variazioni del campo magnetico diventando così sede di correnti indotte. Un altro tipo di perdita
è quella legata al ferro. Un materiale ferromagnetico, immerso in un campo magnetico, si riscalda e questo
innalzamento della temperatura è dovuto a:
ο‚·
ο‚·
Perdite per correnti parassite
Perdite per isteresi.
A questo punto analizziamo la macchina elettrica più semplice: il motore a corrente continua.
La seguente figura mostra un semplice motore in corrente continua collegato con delle ruote dentate che
svolgono il ruolo di sistema di trasmissione del moto.
[Digitare il testo]
Pagina 218
Figura 11.63
Un motore C.C (Corrente Continua) o (D.C=Direct Current in inglese) è un motore che trova applicazione
sia per piccoli carichi sia per grandi carichi. Per esempio si utilizzano i motore in corrente continua sia nel
mondo del modellismo, della robotica ma anche nei sistemi di trazione ferroviari. Attualmente i motori
elettrici in corrente continua variano la loro potenza da pochi W (10W) fino a 10MW. Sono motori semplici
da realizzare ed offrono una elevata coppia in fase di avviamento.
In breve, un motore a corrente continua è composto da una parte fissa detta STATORE ed una parte mobile
detta ROTORE. Nello statore sono alloggiati i magneti per la generazione del campo magnetico, mentre nel
rotore ci sono le spire di fil conduttore. Un motore a corrente continua è alimentato con tensione o
corrente costante. Ci sono due tipi di motori a corrente continua:
ο‚·
ο‚·
Motore a magneti permanenti
Motore alimentato
Nel primo caso viene generato un campo magnetico non modificabile in quanto ci sono due magneti a
generarlo. Nel secondo caso invece il campo magnetico è variabile variando la tensione ai capi del circuito
statorico.
La seguente figura mostra la struttura di base di un motore:
[Digitare il testo]
Pagina 219
Figura 11.64
Il principio di funzionamento si basa sulla legge di Lorentz la quale afferma che un filo conduttore percorso
da corrente elettrica e immerso in un campo magnetico è soggetto ad una forza detta appunto forza di
Lorentz che qui di seguito viene riproposta:
βƒ—βƒ—
𝐹⃗ = π‘žπ‘£βƒ—×𝐡
Tale forza sussiste se chiaramente sono ortogonali i versi dei vettori della corrente e del campo magnetico.
Questa forza permette la rotazione del rotore attorno all’asse di rotazione del motore stesso.
Figura 11.65
[Digitare il testo]
Pagina 220
spazzola
F
F
collettore
-
+
Figura 11.66
La figura mette bene in evidenza il fatto che le spazzole sono collegate rispettivamente al morsetto
negativo e positivo del generatore di tensione. Il rotore viene quindi alimentato tramite le spazzole. Nella
figura sopra viene mostrato un motore in corrente continua con 2 poli. Nei motori in corrente continua il
numero di poli è legato alla potenza della macchina e generalmente 2-4 poli sono per potenze medie
(1KW a 10KW). Si usano 6 poli per potenze che superano 1MW.
L’obiettivo del sistema spazzole-collettore è quello di evitare che, durante la rotazione, il campo magnetico
del rotore e dello statore non risultino mai perfettamente allineati. Quindi il sistema spazzole-collettore
permette di commutare l’alimentazione elettrica negli avvolgimenti del rotore.
Un altro esempio di motore in corrente continua è il motore stepper (passo-passo). Esso è un motore
relativamente semplice ed economico utilizzato spesso nell’ambito della robotica. La seguente figura
mostra un esempio di motore passo-passo:
Figura 11.67
[Digitare il testo]
Pagina 221
Sono motori robusti sia dal punto di vista meccanico sia dal punto di vista elettrico, ed è relativamente
semplice far compiere piccole rotazioni angolari al motore e bloccarlo in posizioni desiderate. Inoltre
possiedono un momento di inerzia piuttosto basso.
Spesso si utilizzano dei riduttori meccanici (organi facenti parte della parte di trasmissione del moto) per
fare in modo che la velocità di rotazione dell’albero motore venga ridotta. Questo viene fatto per evitare il
danneggiamento del carico.
Un altro tipo di motore a corrente continua è il motore brushless, molto simile al motore stepper. E’ un
tipo di motore
[Digitare il testo]
Pagina 222