Gabriele Lavia - Persinsala Teatro

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Egle
Zapparrata
maggio 20, 2016
Intervista a Gabriele Lavia, in scena a Siracusa con la verità di Elettra
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Freud associò Elettra a uno dei suoi complessi, la figlia che percepisce e
vive la figura materna come rivale. Un complesso simmetrico a quello di
Edipo, quello di una figlia gelosa che nutre così tanto odio per la madre da
volerla eliminare per far trionfare l’amore che prova per il padre.
L’essenza di Elettra non è questa specie patologica da cui prende nome il
complesso. In origine, fu la divinità della luce. Poi fu citata come figlia
dell’Oceano. Una stella delle Pleiadi ne prese il nome.
La verità di Elettra è custodita nelle tragedie di Sofocle, Euripide, Eschilo.
Nel 900 è ritornata nei versi del poeta austriaco Hugo von Hofmannsthal,
del drammaturgo americano Eugene O’Neill, dello scrittore francese Jean
Giraudoux e della scrittrice belga Marguerite Yourcenar.
L’Elettra di Sofocle non risparmia se stessa, soffre e protegge il fratello da
una cattiva madre. Sopravvive al vedere il padre tradito e ucciso dalla
madre. Brama vendetta in solitudine di fronte all’ascesa al potere
dell’amante e complice della madre. Ritrova Oreste, il fratello maschio, e
con lui finalmente ottiene giustizia.
A distanza di ventiquattro secoli dalla scrittura dell’opera originale, ecco
l’intervista al regista Gabriele Lavia che nella sua Sicilia ha aperto la
stagione 2016 dell’INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico, portando in
scena al Teatro Antico di Siracusa l’Elettra di Sofocle.
La stagione proseguirà con Alcesti di Euripide e Fedra di Seneca.
La Sicilia con il Teatro greco di Siracusa continua a custodire
l’arte del dramma antico; nel tempo e nello spazio, si rivive ogni
anno l’arte di un teatro sacro che si tramanda di generazione in
generazione. C’è qualcosa che le ha posto delle difficoltà in questa
location?
Gabriele Lavia: «Quello di Siracusa è un teatro greco, questo basta a dire
tutto. Al suo interno vive l’origine del teatro. Per secoli, laddove ancora
oggi andiamo in scena, proprio lì, è già accaduto molto, davvero molto di
più che in molti altri posti. Dentro è vissuta l’origine ed è rimasto tutto lì,
tutto tranne il silenzio. Sono siciliano, da piccolo quando ancora non
andavano in scena le rappresentazioni classiche, mio padre mi portava in
quel teatro con altri bambini, noi salivamo in cima e lui da giù ci parlava
piano, ma così piano. E noi riuscivamo a sentirlo. Manca quel silenzio. I
rumori della città, il traffico, le campane irrompono sulle voci che prima
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riuscivamo a sentire. È irrecuperabile quel silenzio. Adesso siamo costretti
ad utilizzare i microfoni».
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Cosa racconta il dramma antico nel 2016?
GL: «Non è detto che tutto ciò che è attuale sia contemporaneo. Nel
dramma antico c’è qualcosa che ci avvicina alle radici più profonde della
nostra origine. Pensando alle opere dette classiche, viene da chiedersi, ma
cosa si intende per classiche? Quando ci domandiamo “chi sono io? chi
siamo?” andiamo alla ricerca della nostra essenza. Credo che quel “chi”
che tanto cerchiamo stia all’origine, in quelle rappresentazioni che
chiamiamo classiche, in quei drammi che tutti dicono antichi, ci sia molto
di quell’origine, molto più che nelle opere contemporanee. In scena,
quando Oreste ed Elettra (fratello e sorella) si sono riconosciuti e si sono
abbracciati, il pubblico ha spontaneamente applaudito. Per quanto si tratti
di un gesto popolare c’è un grande segno di vita in questo istinto. Gli
uomini si ritrovano e si riconoscono tra gli uomini. Il tempo che ci separa
dal IV e dal V secolo AC è solo un soffio se commisurato al tempo del
pianeta. In poco meno di cento anni, in quel momento della storia
dell’umanità, la polis si è impegnata nella costruzione della filosofia,
dell’architettura, del pensiero che ancora oggi continua a delineare i tratti
principali del nostro carattere occidentale, e la bufera del monoteismo non
lo ha ancora smontato questo pensiero, anzi ha dovuto farci i conti».
Se si ritrovasse Sofocle seduto accanto, cosa potrebbe ritrovare
intatto della sua opera?
GL: «Sofocle non riconoscerebbe la sua opera. Ho evitato di cadere in
questa trappola. Il quadro di Picasso non ha niente a che vedere con il
soggetto che lui dipinge. Porto in scena i testi nel modo più semplice e
meno consueto dal punto di vista estetico. Nei costumi, nelle scenografie e
con il coro ho proposto una differente visione registica, e qualcuno potrà
storcere il naso. Le rappresentazioni devono tradire, trasferire, tradurre le
opere originali. Nonostante tutto, qualcosa di quel mondo rimane dentro lo
spettacolo. E per individuare quel qualcosa dobbiamo prima tradirlo, cioè
tradurlo. Io per esempio non nomino mai gli dèi, perché nominandoli il
pubblico non potrebbe sapere chi sono. Gli spettatori non conoscono
profondamente gli dèi, quegli dèi, nè tutto ciò che viveva in loro e intorno
a loro. Apollo lo traduco con luce pura, Apollo è luce, Apollo è la speranza
che possa rivelarsi la verità. E Giove, che vuol dire fulmine, lo traduco con
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l’istante che illumina il tutto. La lingua pone il primo degli scogli. Da uno
scritto che nel suo aulico linguaggio non supera le seicento parole, l’opera
viene trasposta in una lingua che ne usa oltre ventiduemila, è un
tradimento assoluto. Mantenere saldo il significato che vi è all’origine del
testo implica la necessità di tradurre. Mai travisare la natura più intima dei
significati, il senso dato agli atti, agli uomini, agli dèi. Elettra, per esempio,
non vuole vendetta, ma giustizia, una vendetta sacra, quella che serve per
ricostituire l’armonia. La parola armonia, da armos, da armi, da guerra, è
l’unione dei contrari, dei contrapposti. Ecco cosa accade quando Oreste, il
fratello maschio, compie il matricidio, realizza l’atto dovuto, ciò che Elettra
attende e desidera fortemente affinché vi sia giustizia, realizzando
l’armonia. Anche nel senso dato dalla musica all’armonia possiamo
rintracciare la sua essenza. L’essenza è che il do è sempre do, che il mi
rimane mi, il sol sol, e che, nella guerra del loro agire in musica, ogni nota
pur contrapposta all’altra mantiene la propria identità, nel loro essere si
compie l’armonia».
Cosa conserverà di questo periodo di intensa preparazione per
l’Elettra?
GL: «Tutti i giorni sono stati un arricchimento, mi piace molto provare con
gli attori. Insieme si fa una grande fatica, fare gli attori è cosa
difficilissima. Molti pensano che sia un mestiere che possano far chiunque,
perché in tv sono in troppi che si spacciano per tali. Il mestiere e l’arte
dell’attore è inarrivabile. È sempre troppo difficile, nessuno può dire ecco
l’ho fatto bene. Con Elettra andranno in scena attori che conosco, che
condividono la passione e l’impegno del nostro lavoro con fatica e con
grande onestà».
Lo spettacolo continua
Teatro Greco
Viale Paradiso, 96100 Siracusa SR
dal 13 maggio al 19 giugno 2016
Link al calendario del 52° Ciclo di rappresentazioni classiche
dell’INDA
http://www.indafondazione.org/wp-content/uploads/2015/12/calendar
io-2016.pdf
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Elettra
di Sofocle
regia di Gabriele Lavia
con Federica Di Martino (Elettra), Jacopo Venturiero (Oreste),
Maddalena Crippa (Clitennestra), Maurizio Donadoni (Egisto),
Massimo Venturiello (Pedagogo), Massimiliano Aceti (Pilade), Pia
Lanciotti (Crisòtemi), Giulia Gallone (Corifea)
con le prime coreute Simonetta Cartia, Flaminia Cuzzoli, Giovanna
Guida, Giulia Modica, Alessandra Salamida
al coro delle fanciulle di Micene: Chiara Cianciola, Greta D’Antonio,
Giulia Oliva, Maria Chiara Pellitteri, Noemi Scaffidi, Aurora Miriam
Scala, Vittoria Scuderi, Silvia Trigona, Delfina Balistreri, Alice
Canzonieri, Martina Cassenti, Valentina Elia, Roberta Giordano, Giulia
Goro, Debora Iannotta, Clara Ingargiola, Giulia Navarra, Aurora
Cimino, Carla Cintolo, Cinzia Coniglione, Alice Fusaro, Desiree
Giarratana, Virginia La Tella, Anita Martorana, Sabrina Sproviero,
Giulia Valentini, Arianna Vinci
traduzione di Nicola Crocetti
revisione e adattamento teatrale di Gabriele Lavia
scena di Alessandro Camera
costumi di Andrea Viotti, Laboratorio di sartoria Fondazione Inda
Onlus
musiche di Giordano Corapi
maestri del coro Francesca Della Monica, Ernani Maletta
regista assistente Giacomo Bisordi
assistente scenografo Andrea Gregori
assistente volontario Gianni Luca Giuga
direttore di scena Mattia Fontana
progetto audio di Vincenzo Quadarella
progetto luci di Elvio Amaniera
costumista assistente e responsabile sartoria Marcella Salvo
responsabile trucco e parrucco Aldo Caldarella
fotografi di scena Maria Pia Ballarino, Franca Centaro
scenografie del Laboratorio di scenografia Fondazione Inda Onlus
area comunicazione Fondazione Inda
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