ELETTROMAGNETISMO convenzione: i simboli in grassetto vanno frecciati Modulo 3 I FENOMENI ELETTROMAGNETICI Unità 8 Le correnti alternate 8.0 L’elettricità costituisce una forma di energia estremamente flessibile e conveniente, e anche un mezzo eccellente per elaborare informazioni e per trasmetterle a distanza. Energia e informazione sono dunque i due grandi campi di applicazione dell’elettricità, che nel corso del tempo hanno condotto a cambiamenti radicali nel nostro modo di lavorare, di comunicare e di trascorrere il tempo libero. Sull’informazione torneremo in seguito, nell’Unità xxx del volume xx, mentre in questa Unità ci occupiamo dell’energia elettrica e dei suoi impieghi. Ma perchè diciamo che questa forma di energia è flessibile e conveniente? Perchè può essere facilmente trasmessa a distanza attraverso conduttori elettrici e perchè ci permette di ottenere calore (senza dover bruciare combustibili) e lavoro meccanico (senza dover usare motori termici) dove e quando ci serve. Dell’importanza dell’elettricità, d’altra parte, ci rendiamo veramente conto soltanto quando viene a mancare, perchè consideriamo ovvio disporne in ogni momento. Innumerevoli prese di corrente ci forniscono infatti l’elettricità che ci occorre per tutti i suoi impieghi. Ma da dove proviene? In che forma ci viene fornita? Inizieremo questa Unità proprio occupandoci delle correnti alternate, che sono appunto la forma principale attraverso cui l’elettricità viene generata nelle centrali, trasmessa a distanza e poi distribuita agli utilizzatori. Figura 0. La macchina lavastoviglie è un eccellente esempio di impiego pratico dell’elettricità in casa, sia come forma di energia che come mezzo per elaborare informazioni. Il ciclo di programmazione del lavaggio viene predisposto e attuato da un microprocessore, cioè un calcolatore realizzato interamente in un cristallo di silicio, che provvede ad azionare in sequenza vari dispositivi. Nelle diverse fasi di funzionamento della macchina, poi, l’energia elettrica viene trasformata in calore (riscaldando l’acqua) e in energia meccanica (azionando le pompe che prelevano l’acqua pulita ed espellono quella sporca, i dispositivi che mescolano all’acqua il detersivo, .....). E il risultato di tutto ciò è quello di liberarci dalla fatica di lavare i piatti......... (fotografia di macchina lavastoviglie; meglio uno spaccato che metta in evidenza pompe, riscaldatori e altri dispositivi) 8.1 La corrente alternata Il più semplice generatore elettrico basato sull’induzione elettromagnetica è una spira che ruota in un campo magnetico in modo che il flusso concatenato con essa subisca delle variazioni. Queste variazioni provocano una tensione indotta nella spira, dove scorre quindi una corrente indotta. E in effetti questo è il principio di funzionamento degli alternatori impiegati nelle centrali elettriche. Esaminiamo il fenomeno in termini quantitativi, considerando una spira di area S che ruota in un campo uniforme B attorno a un asse perpendicolare alla direzione del campo, come mostrato in figura 1. Ricordando che il flusso concatenato con la spira è dato dal prodotto di S per il prodotto scalare di B e n (Æ formula (1) dell’Unità 7), possiamo scrivere: ΦC = BS cosα, chiamando α l’angolo fra B e la normale n alla superficie della spira. Se la spira ruota con velocità angolare costante ω, assegnando t = 0 all’istante in cui la spira si trova nella posizione a) in figura, il valore istantaneo dell’angolo α è uguale a ωt e si ha pertanto: (1) ΦC(t) = BS cosωt Cioè il flusso concatenato con la spira varia periodicamente con legge sinusoidale . La tensione indotta V(t) nella spira si ricava applicando la legge di Faraday-Neumann, cioè calcolando la derivata temporale del flusso cambiata di segno: 1 V (t ) = − d ( BS cos ωt ) d ΦC =− = ω BS senωt dt dt Ricordiamo che la derivata delle grandezze costanti è nulla e che la derivata rispetto al tempo di cos(ωt) è ωsen(ωt). che possiamo scrivere nella forma (2) V ( t ) = V0 senωt ponendo V0 = ωBS. Questa tensione, in un circuito di resistenza R, fa scorrere una corrente la cui intensità varia nel tempo corrispondentemente con la legge (3) i ( t ) = i0 senωt dove i0 = V0/R. Flusso concatenato, tensione indotta e corrente indotta sono tutte grandezze periodiche (Æ figura 2), con uguali periodo T e frequenza f, legati come segue alla velocità angolare ω della spira (4) T= 2π ω ; f = 1 ω = T 2π Queste grandezze, il cui segno s’inverte periodicamente e il cui valor medio è nullo, prendono il nome di grandezze alternate. La tensione indotta è una tensione alternata, la corrente è una corrente alternata, come quelle che ci forniscono le prese di rete usuali. In Italia e nella maggior parte degli altri Paesi, la tensione e la corrente della rete elettrica hanno la frequenza di 50 Hz e quindi periodo di 20 ms; in Usa e in Canada la frequenza di rete è invece di 60 Hz. Notate la differenza fra una corrente continua e una alternata: la corrente continua scorre sempre nello stesso senso e con la stessa intensità, l’intensità di una corrente alternata varia invece continuamente e il suo senso s’inverte due volte durante ogni periodo. Non tutte le correnti variabili periodiche seguono però la legge sinusoidale, e del resto non tutte le correnti variabili sono periodiche. Negli schemi elettrici i generatori di tensione alternata si rappresentano con il simbolo grafico . Il valore efficace delle correnti e delle tensioni alternate Possiamo caratterizzare una corrente o una tensione alternata dandone il valore dell’ampiezza massima, cioè V0 e i0 nelle formule (2) e (3). Ma nella pratica si utilizza il valore efficace. Quando per esempio diciamo che la tensione di rete è di 220 volt intendiamo appunto il valore efficace di questa tensione e non la sua ampiezza. si cominciarono a usare le La definizione del valore efficace di una corrente o di una Quando correnti alternate, nella seconda tensione alternata è basata sull’effetto Joule che esse producono. metà dell’Ottocento, si trovò che il In particolare, il valore efficace di una corrente alternata è modo più semplice per caratterizzare una corrente alternata era quello di l’intensità della corrente continua che, attraversando lo stesso stabilirne l’effetto di riscaldamento conduttore, dissiperebbe per effetto Joule la stessa potenza della equivalente a quello di una corrente corrente alternata. continua di intensità nota. Per Ma che relazione c’è fra il valore efficace ieff di una esempio utilizzando un resistore corrente alternata e la sua ampiezza i0? Per stabilirla posto in un calorimetro. consideriamo la potenza istantanea dissipata in una resistenza R da una corrente alternata i(t), rappresentata nel grafico di figura 4: 2 P(t) = R i2(t) = R i02 sen2ωt (5) Il valor medio di questa potenza, ricordando l’uguaglianza trigonometrica sen2 α = ½ - cos2α, e tenendo presente che la funzione coseno ha valor medio nullo, è (6) ⎛1 ⎞ 1 P (t ) = Ri02 (sen 2ωt ) = Ri02 ⎜ − cos 2ωt ⎟ = Ri02 ⎝2 ⎠ 2 Ma questa è anche la potenza dissipata nella stessa resistenza da una corrente continua di intensità i = i0/√2. Concludiamo pertanto che il valore efficace ieff di una corrente alternata di ampiezza massima i0 è: (7) ieff = i0 2 Per analogia, lo stesso criterio si applica a qualsiasi altra grandezza alternata che varia nel tempo con legge sinusoidale. In particolare, il valore efficace di una tensione alternata è: (8) Veff = V0 2 E quindi il valor massimo della tensione di rete è V0 = 2Veff = 1, 414 × 220 = 311 V . La potenza media può quindi esprimersi come prodotto della tensione efficace per la corrente efficace: (9) P(t ) = Veff ieff Ma questa relazione, come vedremo fra breve, vale soltanto per un circuito resistivo. Esempio 1. Calcoliamo il valore efficace della corrente che scorre in un tostapane. Vogliamo calcolare il valore efficace della corrente che scorre in un tostapane, conoscendo la potenza assorbita che rappresenta evidentemente la potenza media. Sulla targa dell’apparecchio leggiamo: P = 500 W. Possiamo utilizzare la formula (9) dato che il tostapane funziona grazie all’effetto Joule prodotto da un resistore usato come riscaldatore. Conoscendo il valore efficace della tensione di rete, Veff = 220 V, dalla formula (9) ricaviamo: ieff = P/Veff = 500/220 = 2,27 A. Figura 1. La spira di area S ruota in un campo magnetico uniforme B. A ogni diversa orientazione della spira corrisponde un diverso valore del flusso concatenato, il cui andamento è mostrato nella parte (b) in funzione dell’angolo α fra B e la normale n alla spira. Il flusso è massimo (ΦC = BS) nella posizione 1, dove α = 0; poi diminuisce, annullandosi nella posizione 2 (α = π/2) e raggiungendo il minimo (ΦC = -BS) nella posizione 3 (α = π); e quindi riaumenta, annullandosi nella posizione 4 (α = 3π/2) per poi riassumere il valore massimo iniziale. (Parte a): Adattare da Hecht, vol.2, pag. 734, solo la parte con le 5 posizioni della spira, indicate con scritte 1, 2, 3, 4, 5, eliminando le frecce e le scritte v, aggiungendo delle frecce nere con la scritta n uscenti dal centro della spira (diretta a destra la prima in alto; diretta in basso la seconda, a sinistra la terza e così via. Parte b), grafico che rappresenta un periodo intiero di un coseno, indicando l’asse x con la scritta angolo α e l’asse y con la scritta flusso Φ; con le scritte 1, 2, 3, 4 rispettivamente in corrispondenza al massimo iniziale della curva, al primo zero e così via. Sull’asse x tacche in dicate con π/2, π, 3π/4, 2π) Figura 2. La figura rappresenta i valori del flusso concatenato, della tensione indotta e della corrente indotta in funzione del tempo per la spira di figura 1 (supponendo che gli estremi della spira siano collegati a una resistenza). Si nota che la tensione indotta, in accordo con la legge di Faraday-Neumann, si annulla agli istanti di tempo in cui il flusso ha un 3 massimo o un minimo (e quindi la sua derivata è nulla), mentre il suo valore assoluto è massimo megli istanti in cui il flusso varia più rapidamente (e quindi la sua derivata è massima). Figura 3. Non tutte le correnti (o le tensioni) periodiche sono sinusoidali: una corrente periodica può avere la forma di un’onda triangolare (a), di un’onda quadra (b) o altre forme ancora. E del resto neanche tutte le grandezze variabili sono periodiche: le tensioni che trasportano informazione, a) chiamate segnali, variano infatti nel tempo corrispondentemente alle informazioni che esse rappresentano. Come il segnale musicale (c) oppure il segnale binario (d), che rappresenta una sequenza di bit. (nella parte c) aggiungere la forma d’onda di un segnale b) musicale. Figura 4. La potenza istantanea (curva rossa) dissipata da una corrente alternata (curva blu) di ampiezza i0 in una resistenza R varia periodicamente fra 0 e Ri02, con valor medio Ri02/2. c) d) 8.2 Gli alternatori Per disporre di tensioni e correnti alternate, in laboratorio come in molti impieghi pratici, si utilizzano vari tipi di generatori, costituiti generalmente da circuiti elettronici (Æ figura 5). Questi strumenti utilizzano la corrente di rete per produrre tensioni alternate di opportuna ampiezza, frequenza e forma. Ma le potenze in gioco sono relativamente modeste. Un tipico generatore da laboratorio può fornire infatti tensioni e correnti fino a circa 10 Veff e 100 mAeff. Tensioni e correnti alternate di grande potenza, come è necessario per esempio per alimentare le rete elettrica, sono prodotte nelle centrali elettriche, utilizzando generatori chiamati alternatori, che convertono in energia elettrica grandi quantità di energia meccanica. Il principio di funzionamento di un alternatore è lo stesso della spira ruotante in un campo magnetico che abbiamo esaminato nel paragrafo precedente, con l’aggiunta di opportuni contatti striscianti per collegare la parte rotante al circuito utilizzatore esterno. E qui notiamo la spira, quando è percorsa dalla corrente indotta, è soggetta a forze magnetiche che si oppongono alla sua rotazione. Perché la spira possa ruotare occorre dunque compiere lavoro, vincendo queste forze, e questo compito è affidato al motore che aziona l’alternatore. Il risultato finale è la trasformazione in energia elettrica dell’energia meccanica fornita dal motore. Esempio 2. Calcoliamo l’intensità della forza magnetica che si oppone alla rotazione di una spira in un campo magnetico. Consideriamo una spira quadrata di lato L = 0,2 m percorsa da una corrente alternata i ( t ) = i0 senωt , con i0 = 5 A e ω = 6,28×50 rad/s, che ruota in un campo magnetico di intensità B = 0,1 T come mostrato nella figura A. Vogliamo calcolare a) le forze magnetiche agenti sulla spira quando il piano in cui essa si trova forma un angolo α = 45° rispetto al campo, b) il valore istantaneo della potenza del lavoro che, in tale condizione, deve compiere il motore che la mantiene in rotazione con velocità angolare ω. Notiamo innanzitutto che il flusso concatenato con la spira è dato dalla formula (1) e quindi la corrente indotta dalla formula (3). Nella posizione indicata, cioè per α = ωt = 45°, il flusso è in aumento, e quindi la corrente è diretta nel senso delle frecce blu in figura, in modo da contrastare l’aumento del flusso secondo la legge di Lenz. 4 a) Ricordiamo (Æ Unità 6, pag. xxx) che la forza agente su un conduttore rettilineo percorso da G G G corrente in un campo uniforme è: F = i L × B , dove il vettore L ha modulo pari alla lunghezza del filo, la direzione del filo e il verso della corrente. Si capisce che le forze agenti sui tratti BC e DA della spira sono perpendicolari all’asse di rotazione e dunque non compiono lavoro. Le forze agenti sui tratti AB e CD sono dirette come le frecce rosse in figura, con intensità F = iBL. Esse costituiscono una coppia, dato che hanno versi opposti, con modulo del momento M = Fb, dove b = L cosα è la distanza fra le loro rette d’azione. Il modulo del momento è dunque: M = i0 BL2 cos2α = 5×0,1×0,22×0,5 = 0,01 Nm. b) Il lavoro compiuto durante lo spostamento angolare Δα = ωΔt è ΔL = MωΔt. Pertanto la potenza istantanea del motore, quando la spira si trova nella posizione in figura, è P = ΔL/Δt = Mω = 0,01×6,28×50 = 3,14 W. Figura A. La spira quadrata, di lato L, ruota attorno a un asse disposto nel piano orizzontale, in presenza di un campo magnetico diretto orizzontalmente. Perché un alternatore fornisca grandi potenze, la formula (9) mostra che occorre generare al tempo stesso tensioni elevate e correnti molto intense. Per ottenere alte tensioni indotte, tipicamente attorno a 10 kV negli alternatori usati nelle centrali elettriche, invece di una spira si utilizzano bobine costituite da un gran numero di spire, che devono presentare bassa resistenza essendo attraversate da forti correnti, e campi magnetici molto intensi generati da potenti elettromagneti. In queste macchine, inoltre la corrente indotta viene prelevata da bobine fisse anziché mobili e l’elettromagnete è montato sulla parte rotante (il rotore). In altre parole, negli alternatori si preferisce usare bobine fisse soggette al campo magnetico variabile prodotto da un elettromagnete rotante, come è mostrato nella figura 6, anziché bobine rotanti in un campo fisso. Questa scelta evita che correnti molte intense debbano passare attraverso dei contatti striscianti, che inevitabilmente introducono resistenze indesiderate. Attraverso contatti di questo tipo scorrono invece le correnti ausiliarie che alimentano l’elettromagnete rotante, che sono assai meno intense. Negli alternatori i rendimenti di conversione fra energia meccanica ed energia elettrica sono generalmente piuttosto alti, arrivando fino al 98 % per le macchine più grandi, con potenze di centinaia di MW. Oltre che nelle centrali elettriche e negli impianti per la generazione autonoma di elettricità (usati per esempio negli ospedali), gli alternatori trovano impiego nelle automobili, nelle moto e nelle biciclette. Nota storica 1. Le macchine generatrici di corrente continua, da Faraday a Pacinotti. Il primo generatore elettrico, tanto semplice quanto poco efficace, fu realizzato da Faraday nel 1831 facendo ruotare un disco di rame fra i poli di un magnete permanente (Æ figura A). La forza di Lorenz dovuta al moto del disco nel campo agisce radialmente sugli elettroni del metallo creando una corrente nella direzione v×B quando il circuito viene chiuso attraverso dei contatti striscianti collegati all’asse e al bordo del disco. Mantenendo costante la rotazione del disco, si ottiene una corrente costante nel tempo, cioè una corrente continua. Negli anni seguenti furono realizzati varie macchine per generare correnti continue, in alternativa alle batterie di pile, che erano le uniche sorgenti di corrente disponibili al tempo ma erano soggette a esaurimento. Queste macchine, chiamate prima generatori magnetoelettrici, poi dinamoelettriche e in seguito dinamo, non trovarono però impiego pratico per la loro scarsa efficacia. Una svolta si ebbe soltanto parecchi anni dopo, quando attorno al 1860 il fisico pisano Antonio Pacinotti (1841-1912) costruì una dinamo di elevate prestazioni, caratterizzata da un anello 5 di ferro (anello di Pacinotti) con una spirale di rame, che ruotava in un campo magnetico (Æ figura C). Pacinotti descrisse la sua macchina sulla rivista Il Nuovo Cimento, ma trascurò di brevettarla. La brevettò invece il belga Zènobe Il funzionamento reversibile della dinamo, cioè la Gramme, a cui Pacinotti aveva mostrato il suo possibilità di usarla come motore anziché come prototipo, che in seguito ne promosse lo sviluppo generatore, fu osservato per caso da Gramme, industriale. L’inizio della diffusione degli impieghi nell’occasione del guasto del motore che azionava dell’elettricità, prima nel campo dell’illuminazione una dinamo. Questa, che era collegata elettricamente a un’altra dinamo in funzione, continuò a girare e poi anche per la trazione elettrica di tram e altri nonostante il guasto. Gramme, infatti, aveva copiato veicoli, risale agli anni fra il 1870 e il 1880, grazie il progetto di Pacinotti, ma non aveva letto il lavoro alla disponibilità delle intense correnti elettriche sul Nuovo Cimento, dove era descritto il continue generate funzionamento reversibile della macchina. dalle dinamo. Figura A. Il primo generatore basato sull’induzione elettromagnetica fu il disco Faraday (1831). Gli elettroni liberi presenti nel rame, sotto l’azione della forza Lorenz, si spostano radialmente verso il centro del disco. Fra i contatti esterni, conseguenza, scorre una corrente continua. L’intensità di questa corrente proporzionale alla velocità di rotazione del disco. (Adattare da Hecht, vol. 2, pag. 733) di di di è Figura B. Nella figura una delle prime macchine magnetoelettriche, costruita dal francese Antoine-Hippolyte Pixii nel 1832. Figura C. Rappresentazione schematica della dinamo di Pacinotti. Fra i poli di un magnete fisso ruota un anello di ferro (anello di Pacinotti), attorno al quale è avvolta una spirale di rame chiusa su se stessa. Durante la rotazione dell’anello, nei diversi tratti della spirale vengono indotte delle tensioni la cui somma si manifesta fra i contatti striscianti dai quali si preleva la corrente indotta. Approfondimento 1. La corrente trifase. La corrente alternata prodotta da un generatore sinusoidale e trasmessa a destinazione attraverso i collegamenti costituiti da due conduttori prende anche il nome di corrente monofase. Nei grandi sistemi elettrici di generazione e trasporto a distanza dell’elettricità si utilizza invece la corrente trifase, costituita da un insieme di tre correnti sfasate di 120° l’una rispetto all’altra, che sono prodotte da tre generatori di tensione sinusoidali indipendenti, sfasati fra loro allo stesso modo. Il vantaggio di questa scelta sta nel fatto che in tal caso, come mostrato nello schema di figura A, sono sufficienti linee costituite da tre, anziché sei, conduttori: la classica terna di conduttori che si osserva appunto nelle linee ad alta tensione. Per generare queste correnti, naturalmente, non si utilizzano tre diversi alternatori, ma alternatori trifase, dotati di tre bobine fisse disposte a 120° l’una rispetto all’altra, come mostrato in figura B, oltre che del normale elettromagnete rotante che produce il campo magnetico. Figura A. I tre generatori di tensione producono tensioni sinusoidali della stessa ampiezza, ma sfasate fra loro di 120° (a). Ciascun generatore alimenta un carico simboleggiato da una resistenza. Se i carichi sono equilibrati, cioè hanno la stessa resistenza e quindi sono percorsi da correnti della stessa intensità, allora la corrente nel conduttore di ritorno (chiamato neutro) è nulla. In pratica, l’intensità di questa corrente non è nulla ma è comunque molto minore di quelle che attraversano i tre conduttori principali, sicchè il conduttore di ritorno può essere realizzato molto economicamente, con diametro molto minore di quello degli altri conduttori. (a) adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 264, fig. 31; b) adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 264, fig. 33 modificata ponendo a sinistra, al posto delle tre bobine, tre generatori (rappresentati con il simbolo a fianco), collegati con linee più lunghe ai tre resistori, posti a destra, senza la scritta utilizzatori) 6 Figura B. Schema semplificato di un alternatore trifase con tre bobine fisse uguali, i cui assi sono disposti a 120° gradi fra loro. Le tensioni indotte nelle tre bobine hanno la stessa ampiezza, ma sono sfasate fra loro di 120°. (adattare da Caforio, Nuova Physica 2000, pag. E256, fig. 36, modificandone la parte centrale come nella figura 6). Applicazioni tecniche 1. I motori a corrente alternata. Eseguendo il semplice esperimento illustrato nella figura A si nota che l’ago magnetico ruota in perfetto sincronismo con il magnete. Sebbene quasi banale, l’esperimento dimostra il principio di funzionamento dei motori sincroni a corrente alternata. In queste macchine vi sono delle bobine fisse che generano un campo magnetico rotante, il quale esercita una coppia di forze sulla parte rotante del motore, che è costuita da un elettromagnete, provocandone appunto la rotazione. E’ chiaro che il rotore dei motori sincroni non deve perdere il passo con il campo rotante, altrimenti il momento della coppia s’indebolisce o addirittura cambia segno. Si può ripetere l’esperimento (ma questa volta perché funzioni occorre un magnete assai potente) ruotando il magnete al di sopra di un dischetto di metallo libero di ruotare. Questo ruoterà a sua volta, però in questo caso senza inseguire il campo rotante in modo sincrono, ma con una velocità di rotazione più bassa. Ora, infatti, la coppia di trascinamento non proviene dalla magnetizzazione della parte rotante, ma dalle correnti parassite indotte dalle variazioni del campo del magnete, più precisamente dall’interazione fra il campo rotante e queste correnti. Che vengono indotte dal campo nel disco a prescindere dalla sua posizione angolare, esercitando così sempre un momento di rotazione. Questo esperimento dimostra il funzionamento dei motori sincroni, introdotti da Galileo Ferraris, che sono i motori a corrente alternata di impiego più comune, usati nelle lavatrici come nei locomotori. Figura A. Esperimento. Il principio del motore elettrico sincrono. Sospendete un magnete a ferro di cavallo al di sopra di una bussola. Imprimendo al magnete un moto di rotazione attorno al suo asse, osserverete che l’ago della bussola ruoterà a sua volta, e che i due moti sono esattamente sincronizzati. (adattare da Delaruelle, vol. 3, pag. 311: una calamita a ferro di cavallo sospesa con un filo a un sostegno, che ruota al di sopra dell’ago di una bussola, che ruota a sua volta) Figura B. Fotografia dello spaccato di un motore in alternata con dida appropriata Figura 5. (a) Un tipico generatore da laboratorio fornisce tensioni alternate, delle quali si può scegliere la forma (sinusoidale, triangolare, rettangolare, …), la frequenza (generalmente da frazioni di Hz a qualche MHz) e l’ampiezza. (b) Un’onda triangolare osservata all’oscilloscopio ( foto di generatore da laboratorio e di onda triangolare sullo schermo di un oscilloscopio) Figura 6. Schema semplificato di un alternatore, che utilizza bobine fisse in un campo magnetico rotante. La parte rotante è infatti costituita da un elettromagnete, alimentato da una corrente continua esterna attraverso contatti striscianti, mentre le bobine dove sviluppa la corrente indotta sono disposte sulla parte fissa della macchina. La tensione indotta è direttamente proporzionale al numero di spire di questi avvolgimenti. (adattare da il Mondo della Fisica, vol. B, pag 467) 8.3 I circuiti in corrente alternata Abbiamo già visto che in un circuito resistivo (Æ figura 7) alimentato da una tensione alternata scorre una corrente che ha la stessa frequenza e la stessa fase della tensione, e intensità data dalla formula (3). In particolare, se l’ampiezza della tensione è V0 ed R è la resistenza del circuito, l’ampiezza della corrente è: i0 = V0/R. La stessa relazione vale ovviamente anche per i valori efficaci: ieff = Veff/R. Ma se il circuito contiene induttanza o capacità, la nozione di “resistenza” come rapporto fra tensione e corrente perde senso. Per rappresentare questo rapporto, non importa se fra le ampiezze o i valori efficaci, si deve infatti ricorrere alla più generale nozione di impedenza. Tale grandezza, che si misura ancora in ohm, dipende in generale sia dalla resistenza, dall’induttanza e dalla capacità inserite nel circuito sia dalla frequenza della tensione alternata che lo alimenta. E naturalmente l’impedenza di un circuito resistivo si riduce alla sua resistenza. 7 Notiamo inoltre che la corrente e la tensione hanno sempre rigorosamente la stessa frequenza in tutti i circuiti costituiti da elementi descritti da equazioni lineari (algebriche o differenziali che siano), come resistori, induttori e condensatori. Però in generale la corrente non è in fase con la tensione, ma presenta uno sfasamento φ che dipende dalle caratteristiche del circuito. In questi circuiti, in altre parole, a una tensione V ( t ) = V0 senωt corrisponde sempre una corrente i ( t ) = i0 sen(ωt + φ ) . La presenza di uno sfasamento fra la corrente e la tensione nei circuiti a corrente alternata ha una importante conseguenza per quanto riguarda la potenza che il generatore fornisce al circuito. Infatti la formula (9) è stata ricavata nel caso particolare in cui la corrente e la tensione sono esattamente in fase fra loro, cioè quando φ = 0. Nel caso generale, invece, esprimendo la potenza media come valor medio del prodotto dei valori istantanei della tensione e della corrente, si ottiene la formula di Galileo Ferraris: (10) P (t ) = V ( t ) i ( t ) = V0i0 senωt sen(ωt + φ ) = Veff ieff cos φ dove il fattore cosφ prende il nome di fattore di potenza. L’ingegnere italiano Galileo Ferraris (1847-1897) è ricordato sopratutto per l’invenzione del motore a corrente alternata (motore asincrono) usato più comunemente oggi e per la scoperta del suo principio di funzionamento, basato sull’impiego di un campo magnetico rotante. Il circuito induttivo Un caso particolare importante è quello di un circuito puramente induttivo, in pratica un circuito comprendente un induttore la cui resistenza sia tanto piccola da poter essere trascurata. In tal caso l’equazione del circuito, costituito da un generatore collegato a un induttore (Æ figura 8), si ottiene eguagliando la tensione del generatore a quella ai capi di un induttore percorso da una corrente i(t): (11) V ( t ) = V0sen ωt = L di dt Ora sappiamo che l’andamento della corrente deve essere sinusoidale, della stessa frequenza della tensione, cioè deve avere la forma i(t) = i0 sen (ωt + φ). L’ampiezza i0 e la fase φ si ricavano sostituendo tale espressione nella (11) e imponendo l’uguaglianza fra i due membri. Sostituendo nella (11) la derivata temporale di i0 sen (ωt + φ), cioè ωi0 cos(ωt +φ), si ha: V0sen ωt = ω Li0 cos (ωt + φ ) dove l’uguaglianza è verificata se V0 = ωLi0 e φ = π/2 (in modo che il coseno si trasformi in un seno). Si ha pertanto, sostituendo i0 e φ nell’espressione della corrente: (12) V i ( t ) = 0 sen ωL π⎞ ⎛ ⎜ ωt + ⎟ 2⎠ ⎝ Qui si notano due cose: a) l’ampiezza della corrente, a parità di valori di V0 ed L, è inversamente proporzionale a ω, cioè alla frequenza (ricordiamo che f = ω/2π); b) l’onda che rappresenta la corrente è sfasata di π/2 in ritardo rispetto a Il fatto che nel circuito induttivo l’intensità della corrente sia tanto minore quanto maggiore è la frequenza deriva dalla proprietà di un induttore di opporsi alle variazioni della corrente che l’attraversa. E queste variazioni sono appunto tanto più rapide quanto maggiore è la frequenza. 8 quella della tensione. Con la conseguenza che, in base alla (10), il generatore, in media, non fornisce potenza al circuito (e del resto, in assenza di resistenza, la potenza dove verrebbe dissipata?). Dalla (12) si ricava anche l’impedenza dell’induttore, definita come abbiamo detto dal rapporto fra l’ampiezza della tensione e quella della corrente: (13) Z = V0/i0 = Veff/ieff = ωL Questa grandezza non è una costante del circuito (come in un circuito resistivo, in cui Z = R), ma è direttamente proporzionale alla frequenza. In particolare l’impedenza si annulla a frequenza zero, cioè l’induttore si comporta (idealmente) come un cortocircuito per una corrente continua. E se il circuito comprende sia induttanza che resistenza? Non esaminiamo in dettaglio il caso del circuito RL, limitandoci a dire che la corrente scorre sempre in ritardo rispetto alla tensione, con ritardo compreso fra zero (quando ωL=0, in pratica per ωL<<R) e π/2 (quando R=0, in pratica per R << ωL). Il circuito si comporta infatti come resistivo alle frequenze più basse, come induttivo a quelle più alte. Il circuito capacitivo Un altro caso importante è quello di un circuito puramente capacitivo, in pratica un circuito comprendente un condensatore la cui resistenza sia tanto piccola da poter essere trascurata. In tal caso l’equazione del circuito, costituito da un generatore collegato a un condensatore (Æ figura 9), si ottiene considerando eguagliando la tensione del generatore a quella ai capi di un condensatore sulle cui armature si trova la carica q (14) V ( t ) = V0sen ωt = q (t ) C L’andamento della corrente (naturalmente anche qui sinusoidale e della stessa frequenza della tensione), si ricava ricordando che i(t) = dq/dt. E quindi, ricavando q dalla (14), si ha: (15) i (t ) = C dV π⎞ ⎛ = ωCV0 cos (ωt ) = ωCV0 sin ⎜ ωt − ⎟ dt 2⎠ ⎝ In questo caso l’onda che rappresenta la corrente è sfasata di π/2 in anticipo rispetto a quella della tensione e la sua ampiezza, a parità di valori di V0 e C, è direttamente proporzionale alla frequenza. Ciò è in accordo col fatto che la corrente che attraversa un condensatore è tanto più intensa quanto più rapide sono le variazioni della tensione, cioè, nel caso di una tensione alternata, quanto maggiore è la frequenza. Anche in questo caso, inoltre, lo sfasamento fra corrente e tensione è tale che, in base alla (10), il generatore, in media, non fornisce potenza al circuito Dalla (15) si ricava poi che l’impedenza del condensatore: (16) Z = V0/i0 = 1/ωC è inversamente proporzionale alla frequenza. E in particolare l’impedenza diventa infinita a frequenza zero, cioè il condensatore per una corrente continua si comporta come un circuito aperto, come del resto è ovvio. Mentre alle frequenze più alte l’impedenza tende a zero, cioè il condensatore si comporta come un cortocircuito E se il circuito comprende sia capacità che resistenza? Non esaminiamo in dettaglio il caso del circuito RC, limitandoci a dire che la corrente scorre sempre in anticipo rispetto alla tensione, con ritardo compreso fra zero (quando 1/ωC=0, in pratica per ωC>>R) e π/2 (quando R=0, in 9 pratica per R << ωL). Il circuito si comporta infatti come resistivo alle frequenze più alte, come capacitivo a quelle più basse. Figura 7. (a) Resistore alimentato da un generatore di tensione alternata. (b) L’intensità della corrente che scorre nel circuito (linea blu), a ogni istante di tempo, è proporzionale alla tensione (linea rossa) (b). (adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 258, rimettendo per dritto il circuito: generatore a sinistra e resistore a destra) Figura 8. (a) Induttore alimentato da un generatore di tensione alternata. (b) La corrente che scorre nel circuito (linea blu) è sfasata di π/2 (corrispondenti a ¼ di periodo) in ritardo, rispetto alla tensione (linea rossa); la sua ampiezza è inversamente proporzionale alla frequenza. (adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 259, rimettendo per dritto il circuito: generatore a sinistra e induttore a destra) Figura 9. (a) Condensatore alimentato da un generatore di tensione alternata. (b) La corrente che scorre nel circuito (linea blu), è sfasata di π/2 (corrispondenti a ¼ di periodo) in anticipo rispetto alla tensione (linea rossa); la sua ampiezza è direttamente proporzionale alla frequenza. (adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 260, rimettendo per dritto il circuito: generatore a sinistra e condensatore a destra) 8.4 Il circuito RLC serie e il fenomeno della risonanza Consideriamo ora il caso, più generale, del circuito rappresentato nella figura 10, comprendente cioè resistenza, induttanza e capacità. L’equazione di questo circuito si ottiene uguagliando la tensione del generatore alla somma delle tensioni ai capi dei tre elementi. Sviluppando i calcoli, si ricava l’espressione della corrente e si trova che l’impedenza del circuito è la seguente: (17) 1 ⎞ ⎛ Z = R2 + ⎜ω L − ωC ⎟⎠ ⎝ 2 e che lo sfasamento della corrente rispetto alla tensione è dato dalla relazione: (18) tangφ = ωL − 1 ωC R Notiamo subito che l’impedenza complessiva del circuito non è data dalla somma delle impedenze dei tre elementi. Essa si ottiene infatti dalla radice quadrata della somma dei quadrati della parte resistiva (R) e della parte chiamata reattiva, quest’ultima data da ωL – 1/ωC. Esaminando la formula (17) si osserva che per frequenze molto basse l’impedenza si riduce a quella (1/ωC) del condensatore; per frequenze molto alte a quella (ωL) dell’induttanza. In queste due condizioni estreme si semplifica anche la formula (18): a bassa frequenza lo sfasamento è π/2 in anticipo; ad alta frequenza, π/2 in ritardo. Come appunto avviene, rispettivamente, in un circuito puramente capacitivo o puramente induttivo. Esempio 3. Calcoliamo la corrente in un circuito RLC collegato a una presa di rete. Vogliamo calcolare il valore efficace della corrente e lo sfasamento della corrente rispetto alla tensione quando si collega a una presa di rete (Veff = 220 V) un circuito RLC con R = 100 Ω, L = 0,5 H e C = 10 μF. Ricaviamo l’impedenza del circuito alla frequenza di rete f = 50 Hz, cioè per ω = 2πf = 314 rad/s, dalla formula (17): 10 2 2 1 ⎞ 1 ⎛ ⎛ ⎞ 2 Z = R + ⎜ωL − = 112 Ω ⎟ = 100 + ⎜ 314 × 0,5 − −6 ⎟ 314 × 30 ⋅10 ⎠ ωC ⎠ ⎝ ⎝ E quindi il valore efficace della corrente è ieff = Veff/Z = 220/112 = 1,96 A. Ricaviamo la tangente dello sfasamento dalla formula (18): 1 1 ωL − 314 × 0,5 − ωC = 314 ×10 ⋅10−6 = −1, 61 . Da cui si ottiene φ = -58,2°. Cioè la fase tangφ = R 100 della corrente è in anticipo rispetto alla tensione, indicando che il circuito, a questa frequenza, ha un comportamento di tipo capacitivo. 2 Esempio 4. Ricaviamo l’impedenza di un circuito RL e di un circuito RC da quella del circuito RLC. La formula (17), che rappresenta l’impedenza di un circuito RLC, può essere specializzata a vari casi particolari, cioè quando nel circuito è assente la resistenza, cioè R = 0, o l’induttanza, cioè L = 0, o la capacità, in tal caso assumendo 1/C = 0, oppure anche sono assenti due di queste grandezze. In particolare, nel caso di un circuito RL, ponendo 1/C = 0 nella (17), si ottiene: Z = R 2 + (ω L ) , 2 cioè la radice quadrata della somma dei quadrati della resistenza e dell’impedenza dell’induttanza. 1 Nel caso di un circuito RC, ponendo L = 0 nella (17), si ottiene: Z = R 2 + , che è la radice 2 (ωC ) quadrata della somma dei quadrati della resistenza e dell’impedenza della capacità. Il fenomeno della risonanza La formula (17) mostra che quando in un circuito RLC l’impedenza della capacità (1/ωC) è uguale a quella dell’induttanza (ωL), cioè è verificata la condizione di risonanza (19) ω = ωR = 1 LC l’impedenza del circuito assume il valore minimo in quanto si riduce a quella della resistenza. E quindi l’intensità della corrente è massima. La formula (18) mostra poi che lo sfasamento si annulla, cioè la corrente è in fase con la tensione come se il circuito fosse puramente resistivo. Ma l’induttanza e la capacità non restano a riposo perchè fra questi due elementi si verificano scambi continui di energia (Æ Approfondimento 2): l’energia nell’induttore è infatti massima quando l’intensità della corrente attraverso il circuito raggiunge il valor massimo (positivo o negativo) e in tal caso l’energia nel condensatore si annulla, mentre l’energia nel condensatore è massima quando la corrente si annulla, e con essa l’energia nell’induttore. In queste condizioni, inoltre, la tensione agli estremi di questi elementi può risultare anche assai maggiore di quella del generatore, e in ciò si manifesta appunto il fenomeno della risonanza. Se infatti la tensione del generatore è Veff e la sua frequenza f = 2πωR, la corrente che scorre nel circuito è ieff = Veff/R; e allora la tensione ai capi dell’induttore, o del condensatore, è: (20) V’eff = ieff ωRL = Veff ωRL/R il cui valore dipende dal rapporto ωRL/R, che può essere anche assai maggiore dell’unità. L’effetto della risonanza è infatti tanto più vistoso quanto minore è la resistenza, e la dissipazione di energia che essa comporta (Æ figura 12). 11 Esempio 5. Il circuito risonante di un ricevitore radio. Il circuito d’ingresso di un radioricevitore è costituito da un circuito RLC, schematizzato nella fìgura A, che serve a un duplice scopo: a) selezionare il segnale proveniente dall’antenna, fra i tanti ricevuti, in base alla sua frequenza caratteristica (la selezione è affidata a un condensatore di capacità variabile); b) accrescerne l’ampiezza per facilitarne la ricezione. Vogliamo calcolare la frequenza selezionata da un circuito costituito da una bobina di induttanza L = 90 μH e resistenza R = 25 Ω e da un condensatore variabile, quando esso presenta capacità C = 300 pF, e il fattore di amplificazione che il circuito fornisce a tale frequenza. La condizione di risonanza, in base alla formula (19), si ha per: 1 1 ωR = = = 5, 634 ⋅106 rad / s . E quindi la frequenza di risonanza, cioè la −6 −12 LC 90 ⋅10 × 350 ⋅10 frequenza delle onde radio selezionate dal circuito, è: fR = ωR/2π = 0,8967 MHz. A tale frequenza il fattore di amplificazionedel circuito, cioè il rapporto fra la tensione ai capi del condensatore e quella indotta nella bobina (rappresentata in figura dal generatore G), è dato dalla formula (20): ωRL/R = 5,634·106×90·10-6/25 = 20,3. Figura A. (a) La bobina, avvolta su un nucleo di ferrite, si accoppia alla componente magnetica del campo a radiofrequenza, che vi induce una tensione secondo la legge di Faraday-Neumann; (b) Il generatore di tensione alternata G rappresenta la tensione indotta nella bobina; la corrispondente tensione di uscita VC viene prelevata ai capi del condensatore, amplificata grazie al fenomeno della risonanza. La freccia sul simbolo del condensatore indica che si tratta di un condensatore variabile, del quale cioè si può variare la capacità. (a) fotografia di una bobina avvolta su un nucleo di ferrite collegata a un condensatore variabile; b) schizzo a fianco) Approfondimento 2. Risonanza e scambi di energia in un circuito RLC. Per studiare gli scambi di energia in circuito RLC in condizioni di risonanza conviene studiare cosa avviene quando un condensatore C, inizialmente carico alla tensione V0 e quindi dotato di carica q0 = CV0, viene collegato a una induttanza L in serie a una resistenza R che per ora assumiamo di valore trascurabile. Quando l’interruttore è chiuso, la tensione q/C ai capi del condensatore è certamente uguale a quella ai capi dell’induttore, -Ldi/dt, se si trascura la caduta sulla resistenza. Imponendo questa uguaglianza, e ricordando che i = dq/dt, si ottiene l’equazione differenziale: (A) Ld2q/dt2 + q/C = 0 la cui soluzione generale, come si apprende dallo studio dell’analisi matematica, è di tipo sinusoidale, cioè: q(t) = A sen (ωt +φ). Dove restano da determinare le due costanti A e φ. Derivando tale espressione due volte rispetto al tempo si ha d2q/dt2 = -ω2 A sen (ωt +φ) che sostituiamo nella (A) ottenendo: -L ω2 A sen (ωt +φ) + (A/C) sen (ωt +φ) = 0 Tale uguaglianza è verificata per ω = ωR = 1/√(LC). Imponendo poi che al tempo t = 0 la carica del condensatore sia q(0) = q0 e che la corrente (i = dq/dt) sia nulla, perché così gradisce l’induttore, si ricavano i valori delle due costanti: A = q0 e φ = π/2. Da cui si ottiene q(t) = Q0 cos(ωRt). E quindi la tensione del condensatore e la corrente nel circuito seguono rispettivamente le leggi: V(t) = V0 cos(ωR t) ; i(t) = ωRCV0 sen(ωR t) 12 Possiamo ora occuparci dell’energia. Ricordando le espressioni dell’energia di un induttore e di un condensatore e sostituendovi le espressioni della corrente e della tensione, abbiamo: (B) EL(t) = ½ Li2(t) = ½ L(ωRCV0 sen(ωRt))2 = CV02 (1 - cos(2ωRt))/4 (C) EC(t) = ½ CV2(t) = ½ C(V0 cos(ωRt))2 = CV02 (1 + cos(2ωRt))/4 E quindi l’energia totale è costante e pari a quella posseduta inizialmente dal condensatore: E(t) = EL(t) + EC(t) = ½ C V02 come del resto, in assenza di dissipazioni, si poteva prevedere. Esaminando le formule (B) e (C), si nota che l’energia dei due elementi oscilla continuamente con frequenza doppia di quella della corrente, con scambi continui fra i due elementi. Più precisamente, come mostrato nella figura B, ci sono degli istanti in cui tutta l’energia del sistema è energia elettrostatica immagazzinata nel condensatore. e degli altri in cui invece essa è tutta immagazzinata nell’induttore come energia magnetica. E se la resistenza R non è trascurabile? In tal caso si trova che la dissipazione si manifesta introducendo un fattore esponenziale (exp(-Rt/2L)) nelle espressioni della corrente e della tensione, che quindi si smorzano gradualmente fino ad annullarsi (Æ figura A(b)). E naturalmente anche l’energia diminuirà nel tempo fino ad annullarsi. Figura A. (a) Il condensatore C possiede inizialmente la carica q(0). Al tempo t=0 l’interruttore I viene chiuso provocando il passaggio nel circuito della corrente i(t). Questa corrente, nel caso ideale R = 0, è una sinusoide alla frequenza di risonanza del circuito; (b) In pratica, per R piccola ma diversa da zero, la corrente è una sinusoide smorzata con legge esponenziale. Con smorzamento tanto maggiore quanto maggiore è la resistenza. Figura B. La curva rossa rappresenta l’energia del condensatore del circuito in figura A, quella blu l’energia dell’induttore, quella nera tratteggiata l’energia totale; quest’ultima è costante nel tempo (in assenza di dissipazioni, cioè per R = 0). Approfondimento 3. Risonanza elettrica e risonanza meccanica. Il fenomeno della risonanza non si verifica soltanto nei circuiti elettrici. Esso si manifesta infatti in tutti i processi fisici nei quali nei quali le forze sono conservative (o comunque le dissipazioni di energia sono di modesta entità) e si possono avere scambi periodici di energia fra una forma e un’altra. I fenomeni di risonanza, in particolare, sono comuni nella meccanica, nel moto di un pendolo come nelle oscillazioni di una massa sospesa a una molla. In tali casi l’equazione del moto è del tutto analoga a quella del circuito RLC, ricavata nell’Approfondimento 2, e gli scambi di energia avvengono fra l’energia cinetica di una massa e l’energia potenziale, gravitazionale nel caso del pendolo, elastica nel caso della molla. E del resto sui fenomeni di risonanza meccanica è basato il funzionamento della maggior parte degli strumenti musicali. 13 Figura 10. L’impedenza di un circuito RLC, fissati i valori dei tre parametri (R, L e C) che lo caratterizzano, dipende dalla frequenza. Il minimo dell’impedenza si ha alla frequenza fR per cui verificata la condizione di risonanza (19) e allora la corrente è massima perchè Z si riduce a R . Il grafico rappresenta l’impedenza complessiva di un circuito RLC (curva nera), mostrando anche l’andamento dell’impedenza dell’induttore (curva blu) e quella del condensatore (curva rossa). Figura 12. Andamento della corrente in funzione della frequenza in un circuito RLC, con L = 1 H e C = 5 μF, alimentato da un generatore di tensione di ampiezza c costante e frequenza variabile per tre o diversi valori della resistenza: R = 1 r Ω (curva rossa), R = 3 Ω (curva blu), r R = 10 Ω (curva verde). Il picco e della risonanza diventa sempre più n pronunciato al diminuire della t resistenza. e i m p e d e n z a ωL 1/ωC R fR frequenza 60 65 70 75 80 8.5 I trasformatori frequenza (Hz) Il trasformatore elettrico è un dispositivo basato sul fenomeno dell’induzione elettromagnetica fra due bobine ben accoppiate magneticamente, cioè avvolte su un medesimo nucleo di materiale ferromagnetico. La storia del trasformatore è curiosa perché il suo principio di funzionamento risale al primo degli esperimenti svolti da Faraday nel 1831 (Æ Unità 7, §7.1), ma alla sua realizzazione pratica, e poi alla sua diffusione, si arrivò soltanto mezzo secolo dopo, attorno al 1885. La figura 13 mostra la struttura essenziale di un trasformatore e il simbolo usato per rappresentarlo negli schemi elettrici. Quando applichiamo una tensione alternata a una delle bobine, chiamata primario, la corrente che vi circola genera un campo magnetico variabile che induce una tensione nell’altra bobina, chiamata secondario. Il campo, in effetti, è quasi completamente racchiuso nel nucleo ferromagnetico, grazie all’elevata permeabilità magnetica del materiale che costituisce una “guida” per le linee del campo. Sicchè il flusso Φ magnetico nelle due bobine è sempre (approssimativamente) lo stesso, non importa se generato da correnti circolanti nell’una, nell’altra o in tutte e due. Chiamando N1 il numero delle spire dell’avvolgimento a cui è applicata la tensione alternata V1, tale tensione equilibra la tensione autoindotta nella bobina stessa dalle variazioni del flusso Φ nel nucleo e quindi, essendo N1Φ il flusso concatenato con la bobina, dalla formula (7) dell’unità 7 si ha: V1 = N1 ΔΦ/Δt Corrispondentemente, la tensione indotta nella seconda bobina, con N2 spire e flusso concatenato N2Φ, è; V2 = N2 ΔΦ/Δt E quindi il rapporto fra le due tensioni è dato dal rapporto spire: (21) V2/V1 = N2/N1. 14 I trasformatori sono realizzati di solito in modo da ridurre al minimo le perdite di energia: sia quelle dovute alle correnti che scorrono negli avvolgimenti, usando conduttori di bassa resistenza, sia quelle dovute alle correnti parassite che vengono indotte nel nucleo, non usando nuclei solidi, ma costituiti da strati sottili di materiale ferromagnetico, ben isolati fra loro. Da ciò consegue che quando la seconda bobina è collegata a un carico esterno, e quindi vi scorre corrente, la potenza V2eff i2eff che viene fornita al carico è approssimativamente uguale alla potenza V1eff i1eff assorbita dal generatore. Cioè il rendimento è poco inferiore all’unità, con valori tipici fino al 98% nei grandi trasformatori. Dall’uguaglianza (approssimata) fra le due potenze si ricava che il rapporto fra le intensità delle correnti deve essere (22) i2eff/i1eff ≈ V1eff/V2eff = N1/N2 I risultati espressi dalle formule (21) e (22) rappresentano le proprietà essenziali di un trasformatore, come dispositivo in grado di convertire una intensa corrente alternata a bassa tensione in una corrente meno intensa a tensione più alta, o viceversa. E per questo i trasformatori trovano un gran numero di impieghi. Notiamo poi che un trasformatore elevatore, usato per esempio per innalzare la tensione da 125 a 220 V, può essere usato anche come trasformatore riduttore, per abbassarla da 220 a 125 V, semplicemente scambiando fra loro le due bobine. Si realizzano anche trasformatori con avvolgimenti dotati di prese intermedie, ciascuna delle quali fornisce una tensione diversa in rapporto a quella d’ingresso, e anche trasformatori variabili, dotati di un cursore che permette di variare il numero di spire effettivamente utilizzato per prelevare la tensione d’uscita, consentendo quindi di sceglierne il valore. Esempio 6. L’adattatore di tensione di un calcolatore portatile. L’adattatore di tensione usato per ricaricare le batterie di un calcolatore portatile, come di qualsiasi altro oggetto elettronico portatile (telefonino, riproduttore di suoni, …) contiene un trasformatore riduttore che converte a una tensione più bassa la corrente prelevata dalla rete elettrica e un circuito che converte poi questa corrente alternata in un corrente continua. Vogliamo calcolare il numero di spire N1 dell’avvolgimento primario di un trasformatore che fornisce in uscita una corrente alternata a 12 Veff, sapendo che il numero di spire dell’avvolgimento secondario è N2 = 30. Essendo V1eff = 220 V e V2eff = 12 V, dalla formula (21) si ricava: N1 = N2 V1/V2 = 30×220/12 = 550 spire Fotografia dello spaccato di un adattatore di tensione, che evidenzi il trasformatore Esempio 7. Il calore sviluppato da un trasformatore di grande potenza. Un trasformatore di grande potenza, con rendimento η = 98%, viene usato per elevare da 8 kV a 150 kV la corrente generata da un alternatore da 10 MW, allo scopo di trasmetterla a distanza attraverso una linea elettrica ad alta tensione. Vogliamo calcolare la quantità di calore sviluppata ogni ora dal trasformatore durante il suo funzionamento. La potenza dissipata nel trasformatore è P = 10·106×(1 - η) = 2·105 W. Pertanto la quantità di calore sviluppata durante un’ora di funzionamento è : 2·105×3600/4187 = 1,78·105 Cal. Figura 13. a) Schema costruttivo di un trasformatore; b) simbolo usato per rappresentare il trasformatore negli schemi elettrici. Se N1 = 100 e N2 = 50, quando alla prima bobina si applicano 220 V, un voltmetro collegato alla seconda indicherà 110 V. E se scambiamo fra loro le due bobine, applicando 220 V alla seconda bobina? (Adattare da il Mondo della Fisica, vol. B, pag. 439: a) con più spire a sinistra che a destra, con meno spazio vuoto in orizzontale nella parte interna, aggiungendo due freccette dirette verso destra accanto alle scritte i1 e i2) Figura 14. Negli impianti dell’Enel si usano trasformatori di grande potenza per innalzare o abbassare le tensioni delle correnti alternate. Nella fotografia … (Simile a quella in Mondo della Fisica, vol. B, pag. 439, con dida appropriata) 15 Figura 15. Trasformatore con secondario “universale”, che permette di ottenere in uscita tensioni di valore diverso, b) Trasformatore di tipo variabile, che permette di ottenere una tensione il cui valore dipende dalla posizione del cursore. (adattare da Fisica per tutti, pag. 408) 8.6 La produzione e il trasporto a distanza dell’energia elettrica Il grafico in figura 16 rappresenta i consumi annui di energia elettrica (curva blu in basso) e di energia totale (curva rossa in alto) in Italia nel corso degli ultimi decenni (andamenti simili a questi si registrano anche negli altri Paesi). Non soltanto il consumo di energia elettrica è aumentato nel corso del tempo, ma è cresciuta anche la frazione dell’energia totale che viene richiesta come elettricità. Ciò deriva dalla grande convenienza pratica di questa forma di energia, che è essenziale per il funzionamento degli apparati di elaborazione e di trasmissione delle informazioni, e che ci permette inoltre di ottenere luce e calore, senza dover bruciare combustibili, e lavoro meccanico, senza dover usare motori termici, dove e quando ci serve. Le centrali elettriche Ma l’elettricità non è una “fonte” di energia, come il carbone o il petrolio: essa è piuttosto un “vettore” di energia, cioè un mezzo per trasportare energia a distanza e per distribuirla agli utilizzatori. La generazione dell’energia elettrica avviene infatti attraverso la conversione di altre forme di energia. Questi processi vengono attuati nelle centrali elettriche, generalmente impiegando motori che azionano degli alternatori. Nelle centrali idroelettriche si utilizza l’energia idraulica, cioè l’energia cinetica di un flusso d’acqua, per mettere in rotazione delle turbine, cioà delle ruote dotate di palette. Nelle centrali termoelettriche si utilizza l’energia termica ottenuta bruciando un combustibile, che a sua volta deriva dall’energia chimica (energia di legame fra gli atomi) di queste sostanze, per azionare dei motori termici, generalmente del tipo a turbina. Centrali termoelettriche di tipo particolare sono le centrali geotermiche, che sfruttano il calore del sottosuolo, le centrali nucleari , che utilizzano il calore prodotto da reazioni nucleari di fissione (Æ Tomo x, pag. xxx) di particolari sostanze radioattive e le centrali solari termiche, che impiegano il calore del Sole. Nelle centrali solari fotovoltaiche si sfrutta la conversione diretta della radiazione solare in elettricità utilizzando le celle fotovoltaiche (Æ Tomo x, pag. xxx); nelle centrali eoliche, l’energia del vento. Una importante caratteristica dei processi fisici utilizzati per convertire le diverse forme di energia in energia elettrica è il rendimento. Per quanto riguarda gli alternatori, abbiamo già detto che in queste macchine la conversione da energia cinetica in energia elettrica non presenta limiti teorici e infatti in pratica il rendimento è appena inferiore all’unità. Diverso è il caso dei motori termici, il cui rendimento, come sapete (Æ ), dipende dalle temperature a cui queste macchine scambiano energia termica con la sorgente calda e la sorgente fredda. I motori termici, in pratica, convertono l’energia termica in energia cinetica con rendimenti fra il 30% e il 60%, negli impianti di più recente concezione. Le turbine idrauliche usate nelle centrali idroelettriche, infine, offrono rendimenti assai elevati, fra l’80 e il 90%, nella conversione dell’energia cinetica di un flusso d’acqua in quella di rotazione necessaria per azionare gli alternatori. Altre caratteristiche importanti delle centrali riguardano l’inquinamento che esse producono, i costi di esercizio (che nel caso delle centrali termoelettriche dipendono dai combustibili usati) e la continuità della fornitura dell’energia. Le centrali nucleari, per esempio, devono funzionare con continuità; le centrali termoelettrice possono invece esser “accese” o “spente” quando è necessario; il funzionamento delle centrali idroelettriche dipende dalla portata dei corsi d’acqua che le alimentano o dalla disponibilità di acqua nei bacini montani, le centrali solari possono evidentemente funzionare soltanto nelle ore centrali del giorno e se il tempo è buono, … Applicazioni tecniche 2. Produzione e consumi di energia elettrica in Italia. Il consumo totale di energia elettrica in Italia nel 2004 è stato di 349 TWh = 1,26 EJ, al quale 16 i diversi tipi di centrali hanno contribuito come mostrato nella figura A, con concorso prevalente delle centrali termoelettriche e con forti importazioni dall’estero di energia prodotta in centrali nucleari. La potenza totale delle centrali italiane, 84,4 MW, è infatti insufficiente a assicurare il fabbisogno. Tale potenza è fornita attualmente termoelettrico 75,6% per la maggior parte da centrali termoelettriche idraulico 21,5% (61,5 MW) e idrauliche (21,1 MW), in parte geotermico 1,7% assai minore da centrali geotermiche (0,7 MW) fotovoltaico ed eolico 0,6% ed eoliche e solari (1,1 MW). importazioni 14,0% Figura A. Contributo relativo dei diversi tipi di centrali al fabbisogno totale di energia elettrica in Italia. Applicazioni tecniche 3. Le centrali di pompaggio. I consumi di energia elettrica variano grandemente durante le stagioni, i giorni e le ore del giorno. La figura A mostra per esempio che in una giornata invernale il fabbisogno nel pomeriggio è quasi il doppio di quello delle ore notturne. Per fronteggiare la richiesta di energia nelle ore di punta sarebbe necessario disporre di un numero di centrali assai maggiore di quanto occorrerebbe se il fabbisogno fosse costante nel tempo. Risulta invece più conveniente trasformare in energia potenziale gravitazionale l’energia elettrica prodotta in eccesso nei periodi di minor consumo, per riottenerla poi quando serve. A questo scopo si utilizzano le cosidette centrali di pompaggio, nelle quali l’energia elettrica in eccesso viene usata per pompare acqua da un bacino a un altro a quota più alta; quando poi si richiede energia elettrica, l’impianto funziona come una normale centrale idroelettrica. Uno dei maggiori impianti di questo tipo, con potenza di 1 GW, si trova a Presenzano, Caserta. I due bacini si trovano rispettivamente a 150 e 630 metri di quota; la centrale comprende quattro alternatori da 300 MW, collegati ad altrettante turbine idrauliche reversibili, che possono funzionare sia come pompe che come normali turbine (cioè motori idraulici). Figura A Il grafico rappresenta il fabbisogno orario di potenza elettrica (in GW) in Italia durante le 24 ore di giovedì 15 dicembre 2005. (solo la linea rossa, in ascissa solo le ore pari, in ordinata le scritte senza virgole e zeri) Il trasporto e la distribuzione dell’energia elettrica Le centrali elettriche si trovano generalmente in luoghi diversi dalle città e dai siti industriali dove si utilizza l’energia prodotta da esse, spesso anche a distanze notevoli. Perché le centrali idroelettriche vanno situate in montagna o lungo i fiumi, le centrali termoelettriche vengono costruite lontano dalle città per evitare di inquinarne l’aria con i fumi che esse producono, e gli altri tipi di centrali vanno poste nei luoghi dove è disponibile calore dal sottosuolo a profondità convenienti (centrali geotermiche), dove il vento soffia intensamente e con continuità (centrali eoliche) o dove sono disponibili grandi spazi con forte insolazione durante tutto l’anno (centrali solari). Ma questo non è il solo motivo per cui occorre trasportare energia elettrica a distanza. Vi è infatti anche la necessità di collegare fra loro le centrali di un Paese, e anche di più Paesi diversi, in modo che esse possano contribuire nel modo più conveniente e sicuro alla fornitura di energia elettrica. 17 Per trasmettere l’energia elettrica a distanza si usa una rete di linee di trasmissione, impiegando sia linee aeree, costituite da conduttori di rame o di alluminio sorretti da grandi torri, sia cavi sotterranei, costituiti da conduttori ben isolati fra loro, posti all’interno di una guaina di protezione, sia cavi sottomarini, attraverso bracci di mare. A queste linee si richiede di trasportare grandi quantità di energia, con potenze quindi assai elevate, e conseguentemente con inevitabili dissipazioni per effetto Joule nella resistenza dei conduttori che le costituiscono. Per ridurre le dissipazioni si potrebbe diminuire la resistenza dei conduttori, aumentandone la sezione, ma ciò non è conveniente dal punto di vista sia economico (costo del metallo) sia pratico (peso eccessivo dei conduttori). La scelta seguita comunemente è invece quella occorre di ridurre l’intensità delle correnti a parità di potenza trasmessa. Ciò è possibile, ricordando che la potenza è il prodotto della tensione per la corrente (Æ ), utilizzando sulle linee tensioni molto elevate, fino a centinaia di migliaia di volt. A questo scopo si impiegano dei trasformatori, elevatori all’ingresso della linea, riduttori alla sua uscita; questi naturalmente introducono ulteriori dissipazioni ma, come sappiamo, di modesta entità in termini relativi. Esempio 8. Le linee ad alta tensione permettono di ridurre le perdite per effetto Joule. Gli alternatori situati in una centrale elettrica generano una corrente alternata alla tensione V1eff = 12 kV, con potenza P = 50 MW. Questa viene trasmessa a distanza con una linea elettrica i cui conduttori presentano resistenza totale R = 1 Ω. Vogliamo calcolare le dissipazioni per effetto Joule nella linea, e quindi il suo rendimento energetico quando la corrente viene trasmessa: a) alla tensione dell’alternatore , b) alla tensione V2eff = 220 kV. La corrente erogata dagli alternatori è i1eff = P/V1eff = 50·106/12·103 = 4,17·103 A. a) Alimentando direttamente la linea con questa corrente, la potenza dissipata nella linea è: P1diss = i1eff2 R = (4,17·103)2×1 = 1,74·107 W, quella fornita al carico all’uscita della linea: P1’ = P - P1diss = 50·106 - 1,74·107 = 3,26·107 W. Sicchè il rendimento della linea è: η1 = P1’/P = 3,26·107/50·106 = 65,2%. b) Innalzando la tensione, con un trasformatore, da 12 kV a V2eff = 220 kV, la corrente inviata sulla linea, ricordando la formula (22), avrà intensità i2eff = P/V2eff = 50·106/220·103 = 227 A. In questo caso la potenza dissipata nella linea è: P2diss = i2eff2 R = (227)2×1 = 5,15·104 W, quella fornita al carico all’uscita della linea: P2’ = P – P2diss = 50·106 - 5,15·104 = 4,995·107 W. Sicchè il rendimento della linea è: η2 = P2’/P = 4,995·107 /50·106 = 99,9%. Nei grandi sistemi elettrici si utilizzano linee a diversi livelli di tensione. Le tensioni più alte, in Italia 220 e 380 kV, sono impiegate per trasmettere grandi quantità di energia a grandi distanze, tensioni via via minori per trasmetterla localmente e poi per distribuirla agli utilizzatori, nelle abitazioni e negli uffici a 220 V, alle industrie a tensioni più alte (Æ figura). In Italia la lunghezza totale delle linee ad altissima tensione (220 e 380 kV) è di 21500 km; altrettanto quella delle linee a 120 e 150 kV. Nota storica 1. Corrente continua o corrente alternata? Sebbene nel corso dell’Ottocento gli impieghi pratici dell’elettricità trovassero un certo sviluppo, la potenze utilizzabili in pratica erano relativamente modeste, in quanto le uniche sorgenti di elettricità erano i generatori elettrochimici: pile e accumulatori. Una volta decisiva si ebbe negli anni attorno al 1880, grazie all’introduzione di generatori elettromeccanici azionati da motori: la dinamo e l’alternatore, che producevano rispettivamente correnti continue e correnti alternate, in entrambi i casi fornendo potenze considerevoli. E proprio in quegli anni sua polemica contro sorse un acceso dibattito su quale tipo di correnti fosse più Nella l’impiego delle correnti alternate, conveniente distribuire agli utilizzatori. mirata all’affermazione delle Acceso fautore delle correnti continue fu Edison, che nel tecnologie in suo possesso, Edison 1882 realizzò a New York una delle prime centrali elettriche, tentò per anni di screditarle, insistendo sulla loro maggiore 18 pericolosità per l’uomo. Egli riuscì addirittura a far adottare la corrente alternata per le esecuzioni capitali nello stato di New York. impiegando delle dinamo, per alimentare gli impianti di illuminazione delle strade e degli edifici della città, sostituendo l’illuminazione a gas usata a quel tempo. Ma si trovò presto che queste centrali potevano distribuire l’elettricità soltanto in un piccolo raggio attorno ad esse, oltre il quale le dissipazioni per effetto Joule nelle linee elettriche di collegamento risultavano inaccettabili. Le tensioni utilizzate erano infatti relativamente basse (240 V) e conseguentemente le correnti molto intense. E inoltre occorreva realizzare le centrali, alimentate a carbone, nel centro delle città, con evidenti inconvenienti, sebbene l’attenzione ai problemi ambientali fosse all’epoca assai minore di oggi. Per l’affermazione delle correnti alternate risultò decisivo l’impiego dei trasformatori, che consentivano di innalzare a tensioni elevate le correnti generate dagli alternatori, trasmetterle a distanza senza perdite eccessive, e poi ridurne la tensione per distribuirle convenientemente agli utilizzatori. Uno dei primi impianti di questo tipo fu realizzato nel 1892 dal fisico italiano Giuseppe Mengarini, professore di elettrotecnica alla Sapienza, collegando la rete elettrica della città di Roma a una centrale idroelettrica situata a Tivoli con una linea ad alta tensione funzionante a 5000 volt. Figura. Le prime centrali elettriche, che usavano motori termici e dinamo per generare correnti continue, erano situate nel centro delle città. Nella fotografia la prima centrale italiana, costruita nel 1883 a Milano in via Santa Radegonda, nei pressi del Duomo. Quattro dinamo fornivano 350 kW complessivi: quanto bastava per accendere 4800 lampade ad incandescenza da 16 candele, alimentate a 100-110V. Ma soltanto nel raggio di poche centinaia di metri. Applicazioni tecniche 4. I blackout elettrici. Si verificano talvolta, sebbene assai di rado, delle interruzioni della fornitura di energia elettrica di durata relativamente lunga (ore o giorni) e riguardanti regioni più o meno estese, che prendono il nome di blackout (oscuramento). Le conseguenze, si capisce, sono pesantissime: tutte le luci si spengono, gli apparecchi elettrici smettono di funzionare, si bloccano gli ascensori delle case come pure le ferrovie metropolitane, il traffico impazzisce perché i semafori non funzionano, … Uno di questi eventi ebbe luogo nel novembre 1965, in una vasta regione degli Stati Uniti e del Canada comprendente la città di New York. 30 milioni di personedovettero aspettare molte ore, in alcune zone alcuni giorni, prima che il servizio venisse ristabilito. Un altro caso del genere, sempre in Usa, si verificò nell’agosto 2003, questa volta riguardando ben 50 milioni di persone. In Italia si ricorda il blackout del settembre 2003, che riguardò tutto il Paese, ad eccezione della Sardegna, e una parte della Svizzera. L’interruzione della fornitura ebbe inizio alle 3:30 della notte del 28 settembre e terminò poche ore dopo in alcune zone, protraendosi in altre fino al pomeriggio. Le cause dell’evento del 28 settembre sono state investigate. Causa specifica fu il ramo di un albero (evidentemente non potato a regola) che il vento portò a sfiorare i conduttori di un elettrodotto in Svizzera, provocando alle 3:01 un cortocircuito e quindi mettendo fuori servizio la linea, che trasmetteva energia verso l’Italia. Avvenne allora che altre linee, che portavano anch’esse energia verso l’Italia dalla Francia e dalla Svizzera, subirono un aumento dell’intensità di corrente, con graduale riscaldamento dei conduttori e poi interruzione alle 3:25 per l’intervento degli interruttori di sicurezza (ciò si sarebbe evitato se gli operatori delle reti elettriche dei tre Paesi si fossero scambiati in tempo le informazioni sulla situazione). A quel punto il sistema elettrico nazionale entrò in crisi: gli interruttori di protezione delle centrali in funzione in quel momento, insufficienti alla bisogna, le distaccarono automaticamente dalla rete e l’Italia rimase al buio. 19 Cause più remote, d’altra parte, sono la debolezza del nostro sistema di produzione di elettricità, che richiede forti approvvigionamenti dall’estero, e il maggior costo dell’energia prodotta in Italia rispetto a quella prodotta negli altri Paesi, che incentiva quindi le importazioni. Nel momento dell’interruzione, infatti, l’Italia stava importando ben 6,4 GW di potenza. Figura 16. Consumi annui di energia elettrica (curva blu in basso) e di energia totale (curva rossa in alto) in Italia. Dal 1960 a oggi è aumentata anche, dall’8 al 15%, la frazione di energia elettrica rispetto all’energia totale. Figura 17. Schema del sistema di generazione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica in corrente alternata. Parti essenziali del sistema sono gli alternatori, le linee di trasmissione e i trasformatori. (Adattare da il Mondo della Fisica, vol. B, pag. 471, riducendo la torre a media tensione ) energia totale ed energia elettrica 8 7 6 5 4 3 2 1 0 1950 1960 1970 1980 1990 (EJ) 2000 2010 20 Test di verifica 1) La tensione indotta in una spira che ruota in un campo magnetico è sempre nulla quando il campo è diretto Ο parallelamente Ο perpendicolarmente Ο a 45° rispetto all’asse di rotazione della spira 2) Vero o falso? V F - la tensione indotta in una spira in un campo magnetico è direttamente proporzionale al flusso O concatenato con essa O - la tensione indotta in una spira che ruota in un campo magnetico è direttamente proporzionale alla derivata rispetto al tempo del flusso concatenato con essa O O - l’ampiezza della tensione indotta in una spira che ruota in un campo magnetico è direttamente O O proporzionale alla sua velocità di rotazione - la tensione indotta in una spira che ruota in un campo magnetico è direttamente proporzionale all’area della sua superficie O O - una corrente elettrica non può scorrere in un circuito nel quale non vi è un generatore O O 3) La tensione indotta in una spira che ruota in un campo magnetico ha Ο la stessa ampiezza Ο la stessa fase Ο la stessa frequenza delle variazioni del flusso concatenato con essa 4) Sottolineate gli errori che individuate nella frase seguente. La corrente continua scorre sempre nello stesso senso con intensità variabile; la corrente alternata scorre con intensità costante, e il suo senso s’inverte una volta durante ogni periodo. 5) Completate la frase seguente Il valore efficace di una corrente alternata è l’intensità della corrente continua che, attraversando lo stesso conduttore, dissiperebbe per effetto Joule la stessa potenza della corrente alternata. 6) La corrente alternata descritta dalla legge i ( t ) = i0 senωt ha valore efficace O i0 O i0/√2 O √2 i0 7) Il valore efficace della corrente che scorre in un resistore da 1000 ohm collegato a una tensione alternata di ampiezza V0 = 100 volt è O 0,1 A O 0,141 A O 0,0707 A 8) La corrente che scorre in un resistore alimentato da una tensione alternata con frequenza di 400 Hz ha il periodo di O 400 ms O 400 Hz O 2,5 ms 9) La potenza media dissipata da una corrente alternata in un circuito resistivo si può esprimere come prodotto del valore efficace della corrente per O la resistenza del circuito O il reciproco della resistenza O il valore efficace della tensione 10) Negli alternatori la corrente indotta viena generata in O bobine rotanti in un campo magnetico costante O bobine fisse in un campo magnetico variabile O bobine fisse in un campo magnetico costante 11) Le bobine usate negli alternatori hanno generalmente O molte spire O poche spire O una elevata resistenza elettrica 21 12) Gli alternatori convertono energia meccanica in energia elettrica con rendimenti di circa il O 30% O 50% O 90% 13) Alla frequenza di risonanza un circuito RLC si comporta come un circuito O resistivo O costante O variabile nel tempo 14) Nei circuiti costitituiti da resistori, condensatori e induttori percorsi una corrente alternata la corrente e la tensione hanno sempre la stessa O ampiezza O frequenza O fase 15) L’impedenza di un circuito in corrente alternata è definita come il rapporto fra i valori efficaci della O tensione e della corrente O corrente e della tensione O tensione e della resistenza 16) Un generatore di tensione sinusoidale con valore efficace di 220 V alimenta un circuito nel quale scorre una corrente con valore efficace di 0,18 A, con ritardo di fase di 30° rispetto alla tensione. Pertanto la potenza fornita dal generatore è O 1222 W O 39,6 W O 34,3 W 17) Se l’onda a) rappresenta la tensione che alimenta un circuito in corrente alternata, la corrente che vi scorre non è certamente rappresentata nel grafico O b) O c) O d) 18) Vero o falso? V F In un circuito induttivo la corrente è in anticipo rispetto alla tensione O O In un circuito capacitivo la corrente è direttamente proporzionale alla frequenza O O L’impedenza di un induttore è direttamente proporzionale alla frequenza O O O O La condizione di risonanza non si verifica in un circuito privo di capacità In un circuito RLC la corrente può scorrere sia in anticipo che in ritardo rispetto alla tensione O O 19) Raddoppiando la frequenza della tensione applicata a un induttore, l’intensità della corrente che lo attraversa O si dimezza O si raddoppia O resta uguale 20) Raddoppiando la frequenza della tensione applicata a un condensatore, l’impedenza dell’elemento O si raddoppia O resta uguale O si dimezza 21) La corrente che scorre in un circuito RLC in condizioni di risonanza ha sfasamento O in anticipo O nullo O in ritardo rispetto alla tensione 22) I trasformatori servono a modificare O la frequenza O la fase di una corrente elettrica O la tensione 22 23) La potenza che il secondario di un trasformatore eroga a un circuito esterno è O maggiore di O appena inferiore a O decisamente minore di quella che il generatore fornisce al primario 24) Sottolineate gli errori che individuate nella frase seguente. Il trasformatore è un dispositivo il cui funzionamento è basato sull’induzione elettrostatica. Esso permette di innalzare o abbassare la tensione di una corrente continua. 25) In un trasformatore elevatore di tensione il numero di spire dell’avvolgimento primario è O minore di O uguale a O maggiore di quello dell’avvolgimento secondario 26) Vero o falso? V Il funzionamento dei trasformatori è basato sull’induzione elettromagnetica O Un trasformatore elevatore può essere usato come riduttore, scambiando fra loro gli avvolgimenti O I trasformatori possono avere un rendimento poco inferiore all’unità O Il rendimento di un trasformatore dipende dall’entità delle correnti parassite nel nucleo O F O O O O 27) Un trasformatore assorbe 1,2 A quando il primario è collegato alla tensione di 220 V. Se la tensione al secondario, collegato a un carico, è di 125 V, la corrente nel carico è di circa O 2,1 A O 0,68 A O indipendente dalla sezione delle sue spire 28) Due linee elettriche sono usate per trasmettere la stessa energia. La linea A lavora a 10 kV e presenta resistenza di 1 Ω. La linea B lavora a 100 kV e presenta resistenza di 100 Ω. La dissipazione di energia nella linea A è O maggiore O uguale a O minore di 29) A parità di potenza trasmessa lungo una linea elettrica, e a parità di resistenza della linea, le dissipazioni di potenza nei suoi conduttori sono O inversamente proporzionali alla O direttamente proporzionali alla O inversamente proporzionali al quadrato della tensione di lavoro della linea. 23 Problemi e quesiti DA COMPLETARE 1. La nozione di valore efficace di una corrente alternata, secondo voi, si può applicare anche a correnti elettriche di forma non sinusoidale? Risoluzione. Sì. La definizione di valore efficace è infatti basata sull’equivalenza fra il calore sviluppato da una corrente continua e da una alternata, e quindi è applicabile anche a onde di forma diversa da quella sinusoidale. 2. Calcolate la corrente che scorre in una stufetta elettrica che assorbe dalla rete l’energia di 4 kWh durante 5 ore di funzionamento. . Risoluzione. La potenza della stufetta è P = E/Δt = 4 kWh/5 h = 800 W. Dato che si tratta di un circuito resistivo, possiamo ricavare il valore efficace della corrente dalla formula (9): ieff = P/Veff = 800/220 = 3,37 A. 3. Determinate il valore efficace di un’onda quadra di corrente (Æ fig. 4 b)) la cui intensità assume periodicamente i valori 2 A e –2 A. Risoluzione. La potenza dissipata per effetto Joule è direttamente proporzionale al quadrato dell’intensità di corrente, e quindi non dipende dal segno dell’intensità, cioè dal senso in cui scorre la corrente. Pertanto il valore efficace della corrente considerata, la cui intensità ha modulo costante di 2 A, è 2 A. 4. Vogliamo misurare il valore efficace di una tensione alternata v(t) utilizzando i circuiti elettronici A, B e C, che svolgono le seguenti funzioni. L’uscita di A fornisce il valor medio del suo ingresso; l’uscita di B fornisce il quadrato del suo ingresso; l’uscita di C fornisce la radice quadrata del suo ingresso. Spiegate come disporreste i tre circuiti per eseguire la misura. Risoluzione. La potenza dissipata in un resistore di resistenza R al quale è applicata una tensione continua V è Pcc = V2/R; la potenza media dissipata in un resistore al quale è applicata una tensione alternata v(t) è Pca = v Si ha dunque l’equivalenza quando V = Veff = 2 (t ) / R . v 2 ( t ) . Il valore efficace di una tensione alternata, e in generale di una tensione variabile, si calcola pertanto eseguendo il quadrato della tensione, poi calcolando il valor medio del quadrato e infine calcolando la radice quadrata v(t) v2(t) v2(t) Veff del risultato. Pertanto i tre circuiti vanno B A C disposti come indicato a fianco. 5. Un alternatore genera 1 MW alla tensione di 15 kV. Individuate un criterio per la scelta della resistenza elettrica delle sue bobine. Risoluzione. La corrente indotta nelle bobuine dell’alternatore è i = 1 MW/15 kV = 66,7 A. E’ ragionevole imporre che la macchina abbia un rendimento del 95%, per metà dovuto alle perdite per correnti parassite e per metà dovuto alle perdite per effetto Joule nelle bobine. Si ha pertanto Pdiss = 1 MW × 2,5/100 = 25 kW. La potenza dissipata nelle bobine è evidentemente Pdiss = i2 R, da cui si ricava R = Pdiss/i2 = 25000/66,72 = 5,62 Ω. 6. Spiegate in termini fisici (non matematici) perché la potenza istantanea in figura 4 presenta due massimi per ogni periodo della corrente alternata. Risoluzione. Il valore istantaneo della potenza dissipata è i2(t)R, che presenta un massimo sia quando i = i0 sia quando i = -i0, e quindi due volte durante ciascun periodo della corrente 7. Su un quotidiano economico si legge che sono in vendita le azioni di una società che produce un nuovo tipo di generatore elettrico, in grado di trasformare 50 MJ di energia meccanica in 25 kWh di energia elettrica ogni secondo. Comprereste le azioni di questa società? Risoluzione. No. Il nuovo generatore dovrebbe avere un rendimento di 25 kWh / (50 MJ × 1 s) = 25·103×3600/50·106 = 180%. E ciò è impossibile in base al principio di conservazione dell’energia. 24 8. Due normali lampadine, una da 150 W, molto luminosa, e una da 40 W, meno luminosa, vengono collegate in serie alla rete elettrica. Stabilite se esse brillano con la stessa intensità oppure se una di esse brilla più intensamente dell’altra, e in tal caso quale delle due. Risoluzione. La lampadina a incandescenza è un oggetto resistivo, il cui funzionamento è basato sull’effetto Joule: se la sua resistenza è R, la potenza sviluppata in corrente alternata è P = i2eff R = V2eff/R, dove R = Veff/ieff. Concludiamo che la resistenza delle due lampadine A e B, di potenza PA = 150 W e PB = 40 W è rispettivamente: RA = V2eff/PA = 2202/150 = 323 Ω e RB = V2eff/PB = 2202/50 = 968 Ω. Quando esse sono collegate in serie alla rete, il valore efficace della corrente che le attraversa è ieff = Veff/(RA + RB) = 220/(323 + 968) = 0,17 A. La potenza sviluppata nella lampadina A è PA’ = i2eff RA = 0,172×323 = 9,33 W. La potenza sviluppata nella lampadina B è PB’ = i2eff RB = 0,172×968 = 30 W. Sicchè sarà quest’ultima a brillare più intensamente della prima (che in effetti resterà praticamente spenta. Conviene osservare che, in realtà, la resistenza delle lampadine dipende dalla temperatura a cui si trova il filamento e quindi dalla potenza sviluppata effettivamente, sicchè l’ipotesi di considerarla costante nei calcoli precedenti costituisce una approssimazione. B B B B B B 9. Una lampadina a incandescenza è attraversata da una corrente alternata con frequenza di 5 Hz.. Calcolate il numero di bagliori di luce che essa emette durante 10 s. Risoluzione. La potenza istantanea dissipata in un resistore da una corrente alternata di frequenza f ha frequenza 2f, come mostra la figuara 3. Pertanto, se la corrente ha frequenza 5 Hz, la potenza istantanea ha frequenza 10 Hz, sicchè il numero dei bagliori di luce emessi in 10 s dalla lampadina è 10×10 = 100. 10. Utilizza i risultati dell’Esempio 2, supponendo di sostituire la spira con una bobina di 100 spire percorsa da una corrente alternata con i0 = 200 A per calcolare: a) la potenza istantanea del motore quando il piano della bobina forma un angolo di 45° rispetto alla direzione del campo magnetico; b) la potenza media del motore. Risoluzione. La forze agenti sulla bobina di 100 spire percorse da una corrente di intensità 200/5 = 40 volte maggiore sono complessivamente 100×40 = 4000 volte più intense di quelle calcolate nell’esempio. a) Ne consegue che quando la bobina si trova a 45° il modulo del momento M è 0,01×4000 = 40 Nm e la potenza istantanea del motore P = 3,14×4000 = 12,56 kW. b) 11. Una tensione alternata con valore efficace 380 volt viene applicata a un circuito dove scorre una corrente con valore efficace di 4,18 A. La potenza media assorbita dal circuito è 1,2 kW, sebbene il prodotto Veff ieff fornisca il valore: 380×4,18 = 1588 W. Spiegate l’apparente incongruenza. Risoluzione. La formula (9) vale soltanto per un circuito puramente resistivo. In generale, per un circuito a corrente alternata, si deve applicare la formula (10), che tiene conto del fatto che vi può essere uno sfasamento φ fra la tensione e la corrente. Nel caso in questione da tale formula si ricava: cosφ = P/(Veff Ieff) =1200/1588 = 0,756. A tale valore del coseno corrispondono i seguenti due valori di sfasamento della corrente rispetto alla tensione: 40,9°, -40,9°. 12. La corrente che scorre nel conduttore di ritorno di un sistema trifase (Æ Applicazioni tecniche 2.) è la somma delle seguenti tre correnti: i1(t) = i01 sen(ωt), i2(t) = i02 sen(ωt + 120°), i3(t) = i03 sen(ωt + 240°). Dimostrate matematicamente che questa corrente è nulla quando le tre correnti hanno la stessa ampiezza, cioè: i01 = i02 = i03 = i0. Risoluzione. Il problema si risolve utilizzando l’identità trigonometrica sen(α + β) = senα cosβ + cosα senβ. Si ha infatti: i1(t) + i2(t) + i3(t) = i0[sen(ωt) + sen(ωt) cos(120°) + cos(ωt) sen(120°) + sen(ωt) cos(240°) + cos(ωt) sen(240°)]. Essendo cos(120°) = cos(240°) = 0,5; sen(120°) = - sen(240°), si ha: i1(t) + i2(t) + i3(t) = 0. 13. Un motore elettrico, alimentato alla tensione Veff = 380 volt, viene utilizzato per sollevare di 14 m una tonnellata di pietre. Durante la manovra, che dura T = 10 s, il motore è attraversato da una corrente che presenta un ritardo di fase φ = 20° rispetto alla tensione, con valore efficace di 45 A. Calcolate il rendimento del motore. Risoluzione. La potenza elettrica assorbita dal motore, utilizzando la formula (10), è P = Veff ieff cosφ = 380×45×0,94 = 16,1 kW. E quindi l’energia elettrica assorbita è Eel = PT = 1,61·104×10 = 1,61·105 J. L’energia meccanica necessaria a sollevare il carico è Em = mgh = 103×9,8×14 =1,37·105 J. Pertanto il rendimento del motore è: Em/Eel = 1,37·105/1,61·105 = 85%. 25 14. Una bobina di induttanza L = 50 mH e resistenza trascurabile è alimentata da una tensione alternata con valore efficace Veff = 24 volt e frequenza f = 400 Hz. Calcolate il valore massimo dell’intensità della corrente. Ripetete il calcolo alle frequenze f/2 e 2f. Risoluzione. L’impedenza della bobina è data dalla formula (13): Z = 2πfL = 6,28×400×0,05 = 126 Ω. Pertanto il valore efficace della corrente è ieff = Veff/Z = 24/126 = 0,19 A. E il valore massimo è : 0,19 √2 = 0,512 A. Alla frequenza f/2 = 200 Hz, l’impedenza si dimezza e la corrente si raddoppia, con valore massimo 1,024 A. Alla frequenza 2f = 800 Hz, l’impedenza si raddoppia e la corrente si dimezza, con valore massimo 0,256 A. 15. Determiniamo la capacità di un condensatore collegandolo a un generatore di tensione (Veff = 10 volt) alla frequenza di 20 kHz e misurando la corrente che lo attraversa: ieff = 2,5 mA. Calcolate il valore della capacità. Risoluzione. L’impedenza del condensatore, data dalla formula (16), rappresenta il valore del rapporto fra la tensione agli estremi dell’elemento e la corrente che lo attraversa a una data frequanza. Si ricava pertanto: C = ieff /(ωVeff) = 2,5·10-3/(6,28×20·103×2,5) = 7,96·10-9 F. 16. Vogliamo determinare l’induttanza di una bobina frequenza corrente impedenza induttanza (H) (mA) (kΩ) collegandola a un generatore di tensione (Veff = 10 (kHz) 0,5 18,2 volt) e misurando la corrente che la attraversa a 1 10,9 varie frequenze. I risultati sono raccolti nelle 2 6,80 prime due colonne della tabella. Utilizzate questi 5 2,53 dati per calcolare l’impedenza della bobina alle 10 1,39 varie frequenze, compilando la terza colonna, e la 20 0,62 corrispondente induttanza della bobina, impiegando la formula (13) per compilare la quarta colonna. Determinate infine l’induttanza della bobina in qualche maniera sensata. Risoluzione. L’impedenza della bobina alle varie frequenze si calcola eseguendo il rapporto fra la tensione del generatore (10 volt) e la corrente, come rappresentato nella terza colonna della tabella. L’induttanza della bobina, supponendo di poterne trascurare la resistenza, si ricava dalla formula (13): L = Z/ω, come rappresentato nella quarta colonna della tabella. I frequenza corrente impedenza induttanza (H) (kHz) (mA) (kΩ) valori di induttanza così ottenuti sono evidentemente diversi a causa 0,5 18,2 0,549 0,175 degli inevitabili errori sperimentali. Per ricavare una stima 1 10,9 0,917 0,146 complessiva dell’induttanza si può calcolarne il valor medio, 2 6,80 1,47 0,117 ottenendo così: L = 0,1345 H. Si nota tuttavia che i valori di 5 2,53 3,95 0,126 induttanza determinati alle frequenze più basse si discostano dagli 10 1,39 7,2 0,115 altri, essendo decisamente più elevati. Ciò induce a supporre che a 20 0,62 16,1 0,128 queste frequenze non sia corretto trascurare l’effetto della resistenza della bobina sulla sua impedenza (Æ Esempio 4); e in effetti lo scostamento è tanto maggiore quanto più bassa è le frequenza. Conviene perciò ripetere il calcolo del valor medio escludendo i dati a 0,5 kHz e 1 kHz. Si ottiene così la stima L = 0,1215 H. Applicando metodi statistici più raffinati si potrebbero utilizzare tutti i dati per stimare sia l’induttanza che la resistenza della bobina, rappresentando in tal caso l’impedenza con la formula riportata nell’Esempio 4. 17. Vogliamo realizzare una impedenza Z = 1000 Ω alla frequenza di 100 kHz usando un condensatore. Calcolate il valore della capacità necessaria. Risoluzione. L’impedenza di un condensatore è data dalla formula (16). Da questa si ricava: C = 1/(2πfZ) = 1/(6,28×105×1000) = 1,59·10-9 F = 1,59 nF. ZL 18. Ricavate graficamente il valore della frequenza di risonanza del circuito costituito da un condensatore di capacità C = 2,56 nF in serie a una bobina di induttanza L = 10 μH, individuando la frequenza a cui l’impedenza della bobina uguaglia quella del condensatore. (Suggerimento: tracciate i grafici dell’impedenza dei due elementi fra 0,6 MHz e 1,2 MHz con passo di 0,1 MHz.). Controllate il risultato confrontandolo con il valore della frequenza di risonanza ottenuto applicando la formula (19). 26 Risoluzione. La tabella rappresenta le impedenze dei due elementi, calcolate con le formule (13) e (16). Tracciando i grafici, si frequenza ZL ZC trova che le due (MHz) (ohm) (ohm) impedenze sono uguali fra 0,6 37,7 103,7 loro alla frequenza di circa 0,7 44,0 88,9 1 MHz. Tale valore è in 0,8 50,2 77,8 buon accordo con quello 0,9 56,5 69,1 calcolato usando la 1 62,8 62,2 formula (19): 1,1 69,1 56,5 fR = 1/(2π√(LC)) = 1/(6,28×√(10-5×2,56·10-9) 1,2 75,4 51,8 = 9,995·105 Hz = 0,995 MHz. 120,0 100,0 80,0 60,0 40,0 20,0 0,0 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4 19. Un circuito costituito da un resistore R = 1000 Ω e da un induttore L = 100 mH disposti in serie è alimentato da una tensione alternata di valore efficace 10 V alla frequenza di 20 kHz. Calcolate il valore efficace della corrente che scorre nel circuito. Volgiamo aumentare questa corrente di un fattore 10, a parità di tensione applicata, inserendo un altro elemento, senza modificarne gli altri componenti . Risoluzione. L’impedenza del circuito RL (Æ Esempio 4) è: Z = R 2 + (ω L )2 = 10002 + (6, 28 × 20000 × 0,1)2 = 12, 6 k Ω . Per aumentare la corrente occorre diminuire l’impedenza del circuito. Ciò si può ottenere disponendo in serie al circuito un condensatore C. In tal caso, come mostra la formula (17) qui riportata Z = R 2 + ⎛ ω L − 1 ⎞ , l’impedenza ⎜ ⎟ 2 ⎝ ωC ⎠ diminuisce perché al termine ωL viene sottratto il termine 1/ωC. In particolare, per aumentare la corrente di un fattore 10 occorre diminuire l’impedenza dello stesso fattore, cioè scegliere un valore di capacità per cui Z = 1,26 2 kΩ. Elevando al quadrato, si ha Z 2 = R 2 + ⎛ ω L − 1 ⎞ , da cui si ricava: ⎜ ⎝ C= 1⎛ ⎜ 1 ⎞ ⎟= ω ⎝ ω L − Z 2 − R2 ⎠ ωC ⎟⎠ ⎛ 1 1 ⎜ 6, 28 × 2000 × 0,1 ⎜⎝ 6, 28 × 2000 × 0,1 − 12602 − 1000 2 ⎞ ⎟⎟ = 1, 63 μ F ⎠ 20. Un generatore di tensione sinusoidale, di valore efficace Veff = 12 volt e frequenza f = 5000 Hz, viene collegato a un circuito comprendente una bobina di induttanza L = 0,15 H, un resistore di resistenza R = 1000 Ω e un condensatore di capacità C = 10 nF, disposti in serie. Calcolate i valori efficaci delle tensioni misurate disponendo un voltmetro in parallelo a ciascuno degli elementi e delle correnti misurate disponendo un amperometro in serie a ciascuno di essi. Calcolate inoltre lo sfasamento fra la corrente e la tensione per stabilire se il comportamento complessivo del circuito è di tipo capacitivo o induttivo. Risoluzione. L’impedenza complessiva del circuito, data dalla formula (17), è: 2 2 1 ⎞ 1 ⎛ ⎞ ⎛ 2 = 1824 Ω . Pertanto il valore Z = R2 + ⎜ ω L − ⎟ = 1000 + ⎜ 6, 28 ⋅ 5000 × 0,15 − −9 ⎟ ⋅ × ⋅ C 6, 28 5000 10 10 ω ⎝ ⎠ ⎝ ⎠ efficace della corrente che attraversa il circuito, la stessa nei tre elementi, è: ieff = Veff /Z =12/1824 = 6,58·10-3 A. Le tensioni che si stabiliscono agli estremi dei tre elementi si determinano moltiplicando la corrente per l’impedenza di ciascuno di essi: VeffR = ieff R = 6,58·10-3 × 1000 = 6,58 volt; VeffL = ieff ωL = 6,58·10-3 × 6,28×5000×0,15 = 31,0 volt; VeffR = ieff /ωC = 6,58·10-3 /(6,28×5000×10-8) = 21,0 volt. Lo sfasamento della corrente si ricava dalla formula (18): tangφ = 1 1 6, 28 × 5000 × 0,15 − 6, 28 × 5000 ×10−8 ωC = = 1,53 . Da cui si ha: φ = arctang(1,53) =56,8°. R 1000 ωL − Siccome lo sfasamento è positivo, la corrente ritarda rispetto alla tensione, indicando che il comportamento del circuito è di tipo induttivo. A B C 21. Collegando separatamente un resistore, un induttore e frequenza frequenza frequenza 27 un condensatore a un generatore di tensione alternata, si ottengono i grafici a fianco quando si misura l’intensità della corrente al variare della frequenza mantenendo costante la tensione. Attribuite i grafici agli elementi corrispondenti, giustificando le vostre scelte. Risoluzione. L’impedenza di un resistore (R) non dipende dalla frequenza e quindi la corrente è anch’essa indipendente dalla frequenza, sicchè a tale elemento si attribuisce il grafico C. L’impedenza di un induttore (ωL) è direttamente proporzionale alla frequenza e quindi la corrente è inversamente proporzionale alla frequenza frequenza, sicchè a tale elemento si attribuisce il grafico A. L’impedenza di un condensatore (1/ωC) è inversamente proporzionale alla frequenza e quindi la corrente è direttamente proporzionale alla frequenza frequenza, sicchè a tale elemento si attribuisce il grafico B. 22. Una lampadina da 220 V non si accende correttamente perché è collegata alla rete attraverso un condensatore. Suggerite come modificare il circuito per alimentare correttamente la lampadina. Risoluzione. La soluzione più ovvia è quella di rimuovere il condensatore. Altrimenti si può disporre un condensatore in serie al circuito, scegliendone la capacità in modo che la frequenza di risonanza del circuito eguagli quella della rete. In tal caso infatti, come mostra la formula (17), l’impedenza complessiva del circuito si riduce a quella della resistenza della lampadina, che quindi sarà attraversata da una corrente sufficiente ad accenderla. 23. Il valore istantaneo della tensione di un generatore di laboratorio varia fra –15 e +15 volt con legge sinusoidale alla frequenza di 1 kHz. Calcolate il valore efficace della corrente che attraversa un condensatore da 100 nF collegato allo strumento. Risoluzione. L’ampiezza massima della tensione del generatore è V0 = 15 volt e pertanto il suo valore efficace è Veff = 15/√2 = 10,6 volt. L’impedenza del condensatore a 1000 Hz si calcola utilizzando la formula (16): Z = 1/ωC = 1/(6,28×1000×10-7) = 1592 Ω. E quindi il valore efficace della corrente attraverso il condensatore è: ieff = Veff/Z = 10,6/1592 = 6,66·10-3 A. 24. Un trasformatore, il cui primario viene alimentato a 220 volt, deve fornire in uscita le seguenti tensioni: 24 V, 12 V e 6 V. Disegnate lo schema del trasformatore, indicando il numero di spire di ciascun avvolgimento, sapendo che il primario ha 587 spire. Risoluzione. Il trasformatore dovrà avere tre diversi avvolgimenti secondari, il numero delle spire dei quali si calcola utilizzando la formula (21). L’avvolgimento che fornisce 6 V avrà 587×6/220 = 16 spire. L’avvolgimento che fornisce 12 V avrà 587×12/220 = 32 spire. L’avvolgimento che fornisce 24 V avrà 587×24/220 = 64 spire. (disegno di un trasformatore con un primario e tre secondari, indicandone le tensioni e il numero di spire) 25. Il trasformatore A, per errore, viene realizzato avvolgendone le bobine su un nucleo chiuso di plastica anziché di materiale ferromagnetico. Il trasformatore B, per errore, viene realizzato avvolgendone le bobine su un nucleo chiuso di alluminio anziché di materiale ferromagnetico. Che succede, secondo voi, nei due casi? Dando tensione al primario, si osserva tensione al secondario? Risoluzione. In entrambi i casi viene a mancare il materiale ad alta permeabilità magnetica, che guida le linee del campo magnetico generato dal primario. E quindi, in prima approssimazione, il campo generato dal primario è sostanzialmente quello di una bobina in aria, sicchè il secondario è attraversato soltanto da una modesta frazione delle linee del campo del primario con la conseguenza che la tensione indotta è assai minore del previsto. Nel caso del trasformatore B, inoltre, nel nucleo di alluminio si sviluppano intense correnti parassite, con effetto di riscaldamento. 26. Una linea elettrica per trasmettere energia a distanza viene collegata a un alternatore di potenza P = 10 MW. Calcolate la resistenza della linea perchè le perdite nella linea siano il 5% della potenza nell’ipotesi che la tensione di linea sia rispettivamente di: a) 1 kV, b) 25 kV, c) 220 kV. Calcolate la sezione dei conduttori di rame da utilizzare nella linea, che deve collegare due località situate a 10 km di distanza. Risoluzione. La corrente nella linea, trascurando gli sfasamenti, è rispettivamente: a) ia = 10 MW/1 kV = 10000 A, b) ib = 10 MW/25 kV = 400 A, c) ic = 10 MW/220 kV = 45,5 A. La potenza che può essere dissipata nella linea è Pdiss = (5/100)×10 MW = 50 kW, che va uguagliata a i2 R per calcolare la resistenza R = Pdiss/i2 della linea nei tre casi. Si ottiene così: a) Ra = 50 kW/100002 = 0,0005 Ω, b) Rb = 50 kW/4002 = 0,313 Ω, c) Rc = 50 kW/45,52 = 24,2 28 Ω. La sezione S del conduttore si ricava dalla seconda legge di Ohm: S = ρL/R, dove la resistività del rame, in unità pratiche (Æ tabella 2 dell’Unità 7) è ρ = 0,017 Ω mm2/m e la lunghezza totale dei conduttori è L = 20 km. Si ricava pertanto: a) Sa = 0,017 Ω mm2 × 20000/0,0005 = 680000 mm2 , b) Sb = 0,017 Ω mm2 × 20000/0,313 = 1086 mm2 , a) Sa = 0,017 Ω mm2 × 20000/24,2 = 14 mm2. 27. Nel 2002 il Patent Office degli Stati Uniti ha assegnato il brevetto n. 6362718 a un nuovo tipo di generatore elettrico denominato MEG (Motionless Electrical Generator, generatore elettrico senza parti in movimento). Questa macchina è costituita da due bobine avvolte su un nucleo ferromamagnetico, all’interno del quale si trova un potente magnete permanente. L’inventore afferma che, quando si fornisce energia all’avvolgimento primario, dal secondario si può ottenere una maggiore quantità di energia, che viene fornita dal magnete permanente. Esprimete la vostra opinione al riguardo Risoluzione. E’ evidentemente impossibile, in base al principio di conservazione dell’energia, che il dispositivo MEG possa effettivamente offrire le prestazioni dette sopra. Del resto, in base alla sommaria descrizione (maggiori dettagli al sito http://peswiki.com/index.php/PowerPedia:Motionless_Electrical_Generator), il dispositivo appare costituito essenzialmente da un trasformatore, e non ha senso inoltre ammettere che il campo magnetico statico di un magnete permanente possa intervenire, per di più fornendo energia, nel fenomeno dell’induzione elettromagnetica fra i due avvolgimenti del trasformatore. Stupisce pertanto che a un dispositivo siffatto sia stato assegnato un brevetto. 28. Un trasformatore, dopo essere stato fissato a un sostegno usando una staffa metallica disposta attorno al nucleo magnetico, non funziona correttamente, presentando al secondario una tensione assai più bassa del previsto e sviluppando forte calore. Spiegate perché. (disegno di un trasformatore fissato a un sostegno con una staffa chiusa attorno al nucleo) Risoluzione. La staffa metallica attorno al nucleo costituisce una spira in cortocircuito, nella quale scorre una intensa corrente indotta, con conseguente forte dissipazione di potenza. 29. Vogliamo calcolare la resistenza dei conduttori di un trasformatore da 100 kW, con primario a 25 kV e secondario a 1 kV, in modo che le perdite per effetto Joule siano il 2%. Eseguite il calcolo ammettendo che nei due avvolgimenti si dissipi la stessa potenza. Risoluzione. La corrente che attraversa il primario è: i1 = P/V1 = 105/25·103 = 4 A. Quella che attraversa il secondario (supponendo per semplicità che la potenza erogata dal secondario sia uguale a quella assorbita dal primario) è: i2 = P/V2 = 105/1000 = 100 A. Se la potenza dissipata in ciascuno degli avvolgimenti è Pdiss = P/100 = 1 kW, la resistenza del primario dovrà essere R1 = Pdiss/i12 = 1000/42 = 62,5 Ω, la resistenza del secondario dovrà essere R2 = Pdiss/i22 = 1000/1002 = 0,1 Ω. 30. Vogliamo smaltire il calore prodotto dalle dissipazioni di potenza in un trasformatore da 100 MW con rendimento del 96%, utilizzando un flusso d’acqua a 15°C con temperatura d’uscita di 60°C. Calcolate la portata del flusso d’acqua necessario al raffreddamento in unità di metri cubi/minuto. Risoluzione. La potenza dissipata nel trasformatore duranre il suo funzionamento è P(1 – η) = 108(1-0,96) = 4·106 W = 4·106 /4187 Cal/s = 955 Cal/s. Per smaltire questa potenza usando un flusso d’acqua la cui temperatura viene innalzata di ΔT = 60 – 15 = 45°C, occorre una portata Q = 955 /45 = 21,2 litri/secondo = 1,27 m3/min. 31. Uno degli eventi che condussero al blackout elettrico in Italia del 2003 (Æ Applicazioni tecniche 4) fu il cortocircuito di una linea elettrica, che era percorsa da una corrente più intensa del normale, provocato dal contatto fra un conduttore e un albero. Spiegate perché, secondo voi, il conduttore sospeso fra due torri della linea, percorso da una corrente molto intensa, si era abbassato fino a toccare i rami di un albero. Risoluzione. Qualsiasi conduttore, percorso da corrente, dissipa energia per effetto Joule e quindi si riscalda. A una corrente più intensa corrisponde un riscaldamento maggiore. In tal caso il conduttore, per effetto della dilatazione termica, si allunga e di conseguenza si abbassa. Il massimo abbassamento si ha al centro della campata fra due torri. 29