LA MONETA IN GRECIA In Grecia, grazie alle numerose miniere, era molto diffuso l’argento (Atene, in particolare, possedeva le ricche miniere del Laurio, attive ancora oggi); i Romani collocavano le loro zecche in distretti minerari di primaria importanza, come Sirmio, Siscia o Tessalonica. Con l’argento, in Grecia, si cominciarono a coniare le prime monete di notevole valore, le dracme, il cui nome significava, appunto, manciata d’argento, ossia l’argento che stava in pugno; esse si diffusero in tutte le città greche. La moneta divenne presto un simbolo della potenza della città che la coniava: per questo ogni città imprimeva sulla propria moneta le sue insegne o l’immagine dei suoi protettori. Nello stesso tempo, la città garantiva ai propri cittadini e, soprattutto, ai commercianti stranieri che ne entravano in possesso, che le proprie monete erano tutte uguali per titolo e peso: il conio diventava, perciò, un sigillo di garanzia. Anche monete di valore più elevato della dracma dovevano il loro nome ad aspetti concreti: il nome dello statere, che valeva due dracme ed era la moneta d’oro più diffusa, significava “bilancia” perché due pugni di argento si bilanciavano. Un caso a sé è rappresentato dal talento, che fu in realtà una moneta virtuale: si trattava del quantitativo d’argento che un uomo poteva portare sulle spalle e, perciò, fu utilizzata solo come unità di conto per le grandi somme e non fu mai coniata; ciò nonostante, il talento ebbe larga diffusione in tutto il mondo greco-romano, segno di traffici economicamente sempre più consistenti. Nel mondo cristiano il talento dovette la sua fama alla celebre Parabola dei dieci talenti, tratta dal Vangelo. Naturalmente esistevano anche monete reali di grande valore, seppure non pari al talento: la mina, per esempio, valeva cento dracme, mentre la decadramma (pari a dieci dracme) era assai diffusa in tutte le città greche.