Dalla crisi finanziaria ai debiti sovrani
(una sorta di schema Ponzi adattato all’economia mondiale)
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Cap I Le cause all’origine della crisi
1.Inizio della crisi
2.Il fallimento delle banche
3.Le modifiche normative nei modelli bancari
Cap II La finanza strutturata
1.finanza strutturata e strumenti finanziari strutturati
2.Il ruolo delle agenzie di rating nella crisi di fiducia
3.Definizione di un nuovo quadro normativo di controllo
Cap.III Trasferimento del rischio di credito: il sistema bancario portatore del
contagio
1.estensione della crisi
2.Effetto domino
Cap. IV Le politiche monetarie poste in essere dalla FED e dalla BCE
1. Quantative easing e credit easing
2. Gli interventi della BCE
3. La BCE e le misure del quantative easing
Cap.V I debiti sovrani
1.Impatto sulle finanze pubbliche
2.La crisi del debito in Europa
3. Gli aiuti di stato
Cap.VI Modifiche al sistema di interventi a favore delle banche
1.Il meccanismo di vigilanza unica (MVU o Ssm)
2.Meccanismo di risoluzione unico (MRU o SRM)
3.Direttiva sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi (BRRD)
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Dalla crisi finanziaria ai debiti sovrani
Premessa
L’analisi ha come obiettivo lo studio delle dinamiche all’origine della crisi
finanziaria con particolare attenzione alle politiche monetarie poste in essere dalle
economie coinvolte e alle conseguenze che la crisi ha comportato sulle finanze
pubbliche.
Lo studio si sviluppa progressivamente a partire dalle origini della crisi finanziaria
manifestatasi con violenza nell’agosto 2007, a causa della liberalizzazione
finanziaria consolidatasi dopo il crollo definitivo di Bretton Woods (1973), che dara’
luogo a un lungo e processo “finanziocentrico”.
Analizza il progressivo affermarsi della finanza ombra quale concausa. Un rapporto
del Financial Stability Board dell’ottobre 2011 stimava infatti la sua consistenza
nel 2010 in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in Usa e altrettanti in cinque
paesi europei: Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna.
Una attenzione particolare viene quindi prestata alle politiche adottate dalla
banche centrali per fronteggiare gli eventi. La Fed ha intrapreso azioni miranti ad
assicurare l’erogazione diretta di credito a famiglie e imprese e ha varato piani di
acquisto di titoli pubblici e privati mediante emissione di moneta (cosiddetto
quantitative easing). La Bce, invece, ha privilegiato l’offerta di liquidità alle banche,
al fine di contenere la contrazione dell’erogazione di credito, e ha sterilizzato le
misure non convenzionali di politica monetaria il cosiddetto credit easing.
Nel maturare degli eventi, la crisi nata dalle banche è quindi individuata come crisi
del debito pubblico. Costi e conseguenze, che avrebbero dovuto gravare su enti
privati, finanzieri, banchieri e speculatori, sono stati in effetti trasferiti sui
cittadini. Tali strategie attuate in maniera diversa nei vari Stati hanno comportato
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che il denaro pubblico abbia fatto da copertura alle perdite prodotte dal settore
privato.
Si osserverà che l’aumento del rischio di credito all’interno del portafoglio delle
banche si estenderà inizialmente al sistema finanziario ed infine agli stati poiché
il loro intervento tampone, con l’aggravarsi del costo del debito, legato anche al
pagamento degli interessi, provocherà peggioramenti nei bilanci pubblici.
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Cap.I
Le cause all’origine della crisi
La crisi finanziaria iniziata nell’agosto 2007 scaturisce dall’interazione di tre forze:
la liberalizzazione dei movimenti di capitale, la trasformazione bancaria seguita
dall’innovazione finanziaria e
le
politiche
monetarie perseguite nell’ultimo
trentennio negli Stati Uniti ma non solo.
L’abbondante liquidità convogliata nei mercati statunitensi, in seguito alla
liberalizzazione finanziaria consolidatasi a partire dal crollo definitivo di Bretton
Woods (1973), darà luogo a un processo “finanziocentrico” accompagnato da una
progressiva deregolamentazione bancaria che sfocia nel 1999 nell’abrogazione dello
Glass Steagall Act, la legislazione varata all’indomani della Grande Crisi del 1929.
Il modello di banking che emerge denominato ‘originate to distribuite, getta le basi
per lo sviluppo di nuovi prodotti finanziari che, assieme alle politiche monetarie
espansive adottate dalla Federal Reserve in seguito allo scoppio della bolla dei titoli
tecnologici del 2000, accrescono ulteriormente la liquidità in circolazione. Dal giugno
2004 la Federal Reserve cambia corso, imponendo una stretta creditizia in
contrasto alle spinte inflattive. Come risposta, gli operatori finanziari s’impegnano
in mercati sempre più rischiosi come quello dei mutui subprime, poi cartolarizzati in
prodotti derivati e scambiati tra le istituzioni finanziarie di tutto il mondo.
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1. Inizio della crisi
La gran parte degli osservatori ha individuato la data d’inizio della crisi negli
Usa, nel luglio del 2007, in occasione dell’esplosione della bolla dei subprime.
Una delle crisi finanziarie più drammatiche della storia economica, che per durata
ed effetti è stata accostata alla Grande Depressione del ’29.
Si sono individuati all’origine di tale esplosiva dinamica:
- la finanza che aveva iniettato nell’economia mondiale robuste dosi di
speculazione, attraverso gli strumenti della distribuzione artificiale del rischio,
- l’ampiezza di liquidità dei mercati operato da banche centrali e da
intermediari creditizi,
- le costanti spinte rialziste dei meccanismi al di fuori degli “operatori
tradizionali”.
In effetti, le turbolenze finanziarie hanno avuto inizio nel comparto dei mutui
ipotecari subprime statunitensi e nei mercati dei prodotti strutturati a questi
collegati.
I tassi di morosità nel comparto subprime avevano cominciato ad aumentare
agli inizi del 2005, pressoché in concomitanza con veri e propri cali dei prezzi
delle abitazioni. Il mercato, peraltro, non ha evidenziato alcuna reazione
significativa fino dagli inizi del 2007 quando hanno cominciato ad ampliarsi i
differenziali di rendimento di tali prodotti e si sono moltiplicati i declassamenti
di rating.
L’innesco è stata la decisione di un ristretto numero di fondi di investimento
di congelare i rimborsi delle quote, adducendo l’incapacità di valutare le
complesse attività in portafoglio. Muovendo da questo incidente circoscritto, la
turbativa si è quindi propagata a pressoché ogni angolo del sistema.
Alla crisi scoppiata nell'agosto del 2007 sono seguite una recessione, evidente
a partire dal secondo trimestre del 2008 (seguita al fallimento di Lehman
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Brothers), di proporzioni più ampie che nella Grande crisi, con una forte
contrazione della produzione e degli ordinativi.
L'anno 2009 ha poi visto pesanti recessioni e vertiginosi crolli di Pil in
numerosi paesi del mondo e in special modo nel mondo occidentale, seguita a
partire del terzo trimestre 2009, da una parziale ripresa economica (tra la fine
dello stesso anno e il 2010).
Tra il 2010 e il 2011 si è conosciuto l'allargamento della crisi ai debiti sovrani
e alle finanze pubbliche di molti paesi (in larga misura gravati dalle spese
affrontate nel sostegno ai sistemi bancari), soprattutto per i paesi
dell'eurozona (impossibilitati a operare manovre sul tasso di cambio o ad attuare
politiche di credito espansive e di monetizzazione), che in alcuni casi hanno
evitato l'insolvenza sovrana (Portogallo, Irlanda, Grecia) grazie all'erogazione di
ingenti prestiti (da parte di FMI e UE), denominati "piani di salvataggio", volti a
scongiurare possibili default.
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I mutui subprime
Per definire un mutuo come subprime il sistema americano si basa su un punteggio
di credito che classifica tutti i debitori in una scala compresa tra 300 e 850
punti. Negli Stati Uniti tutti coloro che hanno un punteggio di credito inferiore
a 620 sono definiti dei debitori subprime. La storia creditizia di coloro che
contraggono un prestito subprime presenta in genere delle peculiarità tipiche
come due o più pagamenti effettuati oltre 30 giorni dopo la scadenza nell’anno
precedente la richiesta del prestito, l’insolvenza di un mutuo negli ultimi due anni
o la dichiarazione di bancarotta negli ultimi cinque.
Un mutuo subprime è, per definizione, un mutuo concesso ad un soggetto che
non puo’ avere accesso ad un tasso più favorevole nel mercato del credito. I
debitori subprime hanno tipicamente un basso punteggio di credito e storie
creditizie fatte di inadempienze, pignoramenti, fallimenti e ritardi. Poiché i
debitori subprime vengono considerati ad alto rischio di insolvenza, i prestiti
subprime hanno tipicamente condizioni meno favorevoli delle altre tipologie di
credito. Queste condizioni includono tassi di interesse, parcelle e premi più
elevati.
I subprime, quindi, sono mutui immobiliari concessi senza troppe garanzie. Per
questo motivo, le banche hanno cominciato a “cartolizzare” ovvero a
trasformare i mutui immobiliari in titoli negoziabili portando ad una
speculazione azzardata poichè, a differenza delle banche, le finanziarie non
conoscono per nulla i propri clienti.
Alla concessione di crediti privi di garanzie contribuiscono diversi fattori:
1. la libertà di licenziamento e un mercato del lavoro flessibile che non consentono
ai mutuatari di disporre di un reddito stabile e sicuro,
2. il ricorso all’indebitamento per abitudini consumistiche ovvero per un reddito
insufficiente,
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3. una legislazione sfavorevole per i creditori in materia di recupero crediti,
4. la presenza di coperture finanziarie dei rischi alternative alle garanzie fornite
dal cliente.
Ad avvantaggiare il tracollo dei mutui di Stato sono state soprattutto le
condizioni apparentemente più semplici ed elastiche per la concessione dei
“mutui” da privati.
Il mercato dei mutui subprime in Usa
(da sito Sole 24 ore)
FHA = Agenzie federali per la casa)
(Fonte: United States Government Accountability Office, giugno 2007)
Tasso di morosità – mutui subprime
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2. Fallimento delle banche
La massa di crediti adeguatamente impacchettati e strutturati dalle primarie
banche d’affari venivano ceduti come titoli ad altissimo rating ai cosidetti
investitori istituzionali tra i quali le banche commerciali, le società di assicurazioni, i fondi pensione, i fondi di investimento.
Tornando alla storia, la Bear Stearns, banca di investimento globale e pioniere
della cartolarizzazione hedge fund sui mutui subprime, nel giugno 2007 dovette
ricapitalizzare con 3,2 miliardi di dollari il suo Bear Stearns High-Grade
Structured Credit Fund e vennero avviate trattative per salvare un altro
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importante fondo controllato, il Bear Stearns High-Grade Structured Credit
Enhanced Leveraged Fund, entrambi specializzati nel settore dei mutui
subprime, tramite l’emissione di CDO (Collateralized debt obligation).
A luglio dello stesso anno però i due fondi andarono in bancarotta; a questo
punto iniziarono una serie di azioni legali da parte dei fondisti nei confronti della
società, che l’accompagnarono fino al declino in borsa il 17 marzo 2008, quando il
titolo arrivò a valere 3,17$.
Al fine di evitare che l’insolvenza del gruppo generasse un impatto eccessivo sul
sistema finanziario, JP Morgan e la FED predisposero un prestito d’emergenza e
il 24 marzo la stessa JP Morgan acquistò Bear Stearn per 10$ ad azione e nel
maggio dello stesso anno ne completò l’acquisizione, salvandola dalla bancarotta.
Nel settembre 2008 però altre banche illustri falliscono.
Fanny Mae e Freddie Mac, agenzie federali di credito ipotecario che non
concedono mutui ma li comperano, li assicurano, li impacchettano e li
cartolarizzano, per poi rivenderli agli investitori sotto forma di titoli (sono quindi
al centro del meccanismo di credit crunch che ha messo in crisi i mercati
finanziari) subiscono perdite per diversi miliardi di dollari. Controllando circa
tre quarti dei mutui americani e rispondendo alle esigenze sociali in diversi altri
settori, un default di uno dei due colossi o di entrambi avrebbe provocato
conseguenze disastrose sull’intero sistema finanziario: il governo si vide dunque
costretto a nazionalizzarli, il 7 settembre 2008, sollevando in questo modo i
mercati azionari di tutto il mondo.
Il 15 settembre 2008 Lehman Brothers, società attiva nei servizi finanziari a
livello globale e uno dei principali operatori del mercato dei titoli di stato
statunitensi, annunciò la propria intenzione di ricorrere al Chapter 11, cioè
alla procedura statunitense per la bancarotta con “liquidazione pilotata”,
annunciando debiti per circa 613 miliardi di dollari. La FED e la Casa Bianca
cercarono di mediare un’acquisizione da parte di Barclays o di Banck of America,
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che infine rinunciarono. Si è trattata della più grande bancarotta nella storia
degli Stati Uniti. Lo stesso giorno l'indice Dow Jones chiuse in ribasso di 500
punti, realizzando la più grande caduta da quella che era seguita agli attacchi
dell'11 settembre 2001. Lehman Brothers ha portato con se un crac pari a
639 miliardi di dollari, il “buco” maggiore nella storia della finanza mondiale.
Nello stesso periodo ad entrare in crisi è AIG, prima compagnia assicurativa
del mondo, la cui rottura avrebbe causato il crollo del sistema finanziario
globale.
Aig è il numero uno delle polizze assicurative Usa e la prima fornitrice di rendite
a tasso fisso, uno dei prodotti su cui si basa il sistema previdenziale di milioni di
pensionati americani. Ma Aig ha anche una divisione finanziaria che agisce
come una banca d'affari e che è fortemente esposta nei prodotti strutturati
garantiti da mutui: e proprio questo è il buco nero della compagnia.
Nel giugno 2008 la Sec (Securities and Exchange Commission, la società che
controlla la borsa americana) iniziò ad indagare su questo buco nero, ipotizzando
che Aig avesse manomesso il valore in bilancio della polizze assicurative sui bond
legati ai mutui. I guai di Aig cominciarono da questo controllo e Wall Street iniziò
a tremare, perché il suo crollo avrebbe fatto saltare una miriade di banche e di
società che si sono assicurate dal rischio di insolvenza stipulando polizze
cosiddette Cds (credit default swap) con la stessa Aig. Assicurando con dei CDS
(derivati) i titoli a rischio, Aig consentiva di mantenere elevati margini di
affidabilità e di sfuggire ai dowgrade dei regolatori e dalle agenzie di rating; se
un asset si fosse rivelato fasullo, Aig sarebbe però stata costretta a mettere di
tasca propria il necessario.
I controlli rivelarono la presenza nel portfolio del gruppo assicurativo di
derivati legati a debito a rischio non segnalati o non contabilizzati
correttamente dalla società. L’esposizione della compagnia sui prodotti chiamati
“derivati” superava i 441 miliardi di dollari; in origine questi titoli presentavano
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una tripla A, il massimo del rating e quindi della sicurezza per il mercato, ma in
realtà almeno 57,8 miliardi di dollari erano delle assicurazioni sui prestiti
subprime impacchettati e rivenduti a varie società.
Il downgrade delle agenzie di rating causò una crisi di liquidità; Aig chiese quindi
l’intervento della FED, che il 17 settembre 2008 mise in pratica il più
importante salvataggio di una compagnia privata nella storia degli Stati Uniti
aprendo una linea di credito da 85 miliardi di dollari. Il 9 ottobre dello stesso
anno la FED attivò un ulteriore prestito da 37,8 miliardi di dollari in favore della
compagnia. Il 17 novembre le azioni di Goldman Sachs e Morgan Stanley
precipitarono e quattro giorni dopo rinunciarono allo status di banche
d’investimento per trasformarsi in banche commerciali.
Risultò quindi in crisi la credibilità del sistema finanziario USA e del relativo
sistema di vigilanza, indebolito da anni di deregulation.
I mutui subprime: le cartolarizzazioni
(da sito Sole 24 ore)
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3. Le modifiche normative nei modelli bancari
A cavallo degli anni ’70 e ’80 il modello bancario centrato sull’intermediazione
finanziaria vigente sino dagli accordi di Bretton Woods entra in crisi.
La mutazione degli istituti bancari è sostenuta dall’intervento governativo
attraverso una serie di provvedimenti legislativi volti a fluidificare i rapporti
tra mercati finanziari e banche.
Sostanzialmente, quattro sono le misure che, allentando e infine eliminando le
restrizioni previste dalla regolamentazione risalente al 1933, rivoluzionano la
logica stessa degli istituti di credito.
Primo, si abbattono i costi degli scambi azionari attraverso l’eliminazione delle
commissioni previste, rendendo più appetibile l’attività speculativa. Secondo, in
concomitanza
con
l’adozione
di
una
politica
monetaria
particolarmente
restrittiva, nel 1980 è rimossa la ‘Regulation Q’ contenuta nello Glass Steagall
Act mediante il Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act.
Con l’Act del 1980, è stabilito che entro sei anni si sarebbero dovuti eliminare
i limiti ai tassi di interesse applicabili sulle varie forme di raccolta e sui prestiti.
Terzo, col l’abolizione definitiva del Glass Steagall Act avvenuta nel 1999, è
sancito il definitivo passaggio da un modello bancario, ‘net margin banking,’
ad un altro, ‘originate to distribuite.
La legge bancaria del 1933, nota come Glass-Steagall Act (dal nome dei suoi
promotori, fu la risposta del Congresso degli Stati Uniti alla crisi finanziaria
iniziata nel 1929 che all'inizio del 1933 mise in ginocchio numerose banche
americane. che istituì la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) negli
Stati Uniti d'America e introdusse riforme bancarie, alcune delle quali sono state
progettate per controllare la speculazione finanziaria.
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La legge mirava a introdurre misure per contenere la speculazione da parte
degli intermediari finanziari e prevenire le situazioni di panico bancario.
La prima misura fu quella di istituire la Federal Deposit Insurance Corporation
con lo scopo di garantire i depositi e prevenire eventuali corse allo sportello e
ridurre il rischio di panici bancari.
La seconda misura prevedeva l'introduzione di una netta separazione tra attività
bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento. In base alla legge, le due
attività non poterono più essere esercitate dallo stesso intermediario,
realizzandosi così la separazione tra banche commerciali e banche di
investimento.
Con l’Act del 1980, è stabilito che entro sei anni si sarebbero dovuti eliminare
i limiti ai tassi di interesse (‘Regulation Q’) applicabili sulle varie forme di
raccolta e sui prestiti. In assenza di un’ampia liberalizzazione, infatti, il
contemporaneo aumento dei tassi d’interesse avrebbe determinato un crollo
repentino dell’offerta di credito da parte delle banche, che non avrebbero avuto
la possibilità di raccogliere fondi ai tassi di mercato. Prima del 1980, un aumento
dei tassi d’interesse impediva alle banche di raccogliere maggiori risorse poiché
esse erano impossibilitate ad alzare i propri tassi sulla raccolta (i risparmiatori
investivano in altri strumenti, quali ad es. i titoli di stato, titoli emessi dalle
imprese, quote di fondi comuni, ecc.); le banche cioè disintermediano ed erano
costrette a ridurre i loro prestiti.
Dal 1986, le banche usa possono ugualmente continuare a raccogliere fondi
semplicemente alzando i tassi d’interesse offerti ai risparmiatori; d’altro lato
esse concedono soprattutto prestiti a tasso variabile, in modo da mantenere
invariato il proprio spread (se cresceva il tasso offerto sui depositi).
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L’abrogazione della Regulation Q spinge nondimeno le banche d’investimento,
strettamente interconnesse alle altre istituzioni finanziarie attraverso il
mercato interbancario, ad intraprendere attività più rischiose che rimangono
al di fuori di qualsiasi regolamentazione, consentendo alle banche commerciali
di allargare lo spettro delle proprie attività ed eludere l’ordinamento vigente,
specialmente quando imperativi di ordine fiscale e ideologico vanno prosciugando
le risorse degli organismi di controllo. Da un lato, la competizione sugli interessi
con cui remunerare i depositi incoraggia le banche commerciali a perseguire nuove
linee di business. Dall’altro, per fronteggiare la competizione, le banche
d’investimento intraprendono attività ancora più spericolate come originare e
distribuire obbligazioni garantite da titoli rappresentativi di debito per conto di
società che ne assicurano il pagamento attraverso il flusso di cassa conseguente
da crediti commerciali o prestiti di varia natura.
Nel 1999 il Congresso, con il Financial Modernization Act, abrogò le
restrizioni poste dalla legge del 1933. È in questa data, nel novembre del 1999,
sotto la presidenza del democratico B. Clinton, che si segna un momento
fondamentale nel processo di deregolamentazione del settore finanziario.
L’intensa attività di fusione ed acquisizione porta dalla metà degli anni ’90 alla
creazione di enormi istituzioni finanziario – bancarie. Se nel 1995 la quota di
mercato delle prime cinque banche degli Stati Uniti è dell’8%, nel 2009 arriva al
30%. Non è solo questione di concentrazioni societarie ma è anche la cultura
bancaria a cambiare perché si ha un notevole spostamento degli impieghi verso
l’investment banking: la leva finanziaria passa da 29 a 1 nel 2002 a 40 a 1 nel
2009.
Con l’abolizione definitiva del Glass-Steagall Act avvenuta nel 1999, è sancito
il definitivo passaggio da un modello bancario, ‘net-margin-banking,’ a un
altro, ‘originate-to distribuite.’
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Legalizzando
la
fusione
delle
operazioni
delle
banche
commerciali
e
d’investimento, l’abrogazione dello Steagall-Glass Act permette alle istituzioni
finanziarie di scomporre la creazione di crediti dal portafoglio crediti, poiché
diviene ora a discrezione della banca disporre del proprio portafoglio crediti
secondo la gestione del rischio.
L’eliminazione della legislazione del 1933, quindi, promuove un’importante
innovazione finanziaria, che incoraggia le banche a emettere prestiti senza che
il beneficiario soddisfi le famose ‘tre C’
– il collaterale (l’oggetto posto a garanzia del debito),
- la storia creditizia,
- e la capacità di ripagare il debito – poiché ora le banche possono cedere
facilmente i loro crediti (come ad esempio i mutui ipotecari) a un sottoscrittore,
o possono addirittura agire esse stesse da sottoscrittrici. L’elargizione di credito
viene a dipendere dalla valutazione del rischio, ossia la probabilità che i crediti
elargiti siano riscossi.
Iniezione di liquidità da parte della Fed, 1998-2008 (variazione %)
Infine, nel 2000 è approvato il Commodity Futures Modernization Act che
esonera quasi completamente i derivati finanziari, tra cui contratti derivati,
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dalla sorveglianza e dalla regolazione vigente sia della Commissione per il
Commercio dei Titoli Future sia della Commissione Titoli e Borsa (SEC).
In pratica, si dispensano le transazioni finanziarie dalle sanzioni previste contro
il gioco d’azzardo, cui erano state sempre soggette in passato, permettendo
formalmente agli intermediari finanziari di introdurre sul mercato strumenti
innovativi importantissimi come i Cdo e i Cds negoziati all’interno di un mercato
secondario completamente deregolamentato, detto ‘over the counter’, una sorta
di mercato informale, come ad esempio il Nasdaq. Esso è sprovvisto della
disciplina riguardante i requisiti per le quotazioni, per divenire intermediari, gli
obblighi informativi a carico degli emittenti dei titoli e in generale di tutte le
regole standardizzate di negoziazione titoli.
Ciò avviene poiché gli scambi ‘over the counter’, contratti bilaterali stipulati
direttamente tra una banca d’investimento e la sua clientela, avvengono al di fuori
dei listini borsistici ufficiali. Il fatto che la quotazione dei titoli trattati in questo
circuito avvenga secondo il principio della domanda e dell’offerta fa sì che il loro
valore oscilli continuamente e in maniera spesso decorrelata rispetto
all’andamento delle borse mondiali.
Lo sviluppo di questo mercato imprimerà un’accelerazione al processo di
cartolarizzazione e a quello di origination and distribution del credito.
Se nel 2000 il valore nominale dei titoli derivati si attestava a 100 mila
miliardi di dollari, alle soglie della crisi del 2007 tale valore avrà raggiunto
una cifra sei volte superiore, pari a undici volte il Pil mondiale. La massiccia
profusione di credito introduce numerosi squilibri nel sistema poiché l’aumento
del credito concesso non è accompagnato dalla crescita dei depositi liquidi
atti a fronteggiare eventuali fallimenti dei debitori. Il problema è che il nuovo
modello di banking poggia su un pilastro fondamentale, ossia la continua
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rivalutazione delle attività finanziarie – cui a monte sta il rientro dei debiti
contratti e a valle la fluidità dei prestiti fiduciari tra le istituzioni di credito.
Poiché le passività tendono a essere molto più liquide delle attività (è più facile
pagare un debito che riscuoterlo), l’assottigliamento dei depositi significa che in
corrispondenza di una pesante svalutazione degli assets che intacchi la fiducia, le
banche diventano particolarmente esposte al rischio d’insolvenza.
Il rischio insito al nuovo modello di banking è riflesso nell’opacità degli
strumenti finanziari attraverso cui il sistema si riproduce.
La definitiva eliminazione dello Glass Steagall Act nel 1999 e la politica monetaria
adottata da Alan Greenspan hanno determinato una sovra-espansione di liquidità,
attraverso cui gonfiare la bolla immobiliare (originate) e diffondere il rischio
presso un’ampia pletora di investitori (distribuite), facendo affidamento
sull’opacità dei prodotti cartolarizzati e sulla liberalizzazione dei mercati
finanziari internazionali. In presenza di bassissimi tassi d’interesse federali, le
istituzioni bancarie hanno generato e scambiato notevoli quantitativi di prodotti
cartolarizzati, senza dubbio maggiormente remunerativi dei titoli governativi.
Quando la domanda dei prodotti strutturati è crollata, le banche non hanno
potuto disfarsi contemporaneamente di questi titoli, pena un deprezzamento
ancora maggiore. I portafogli delle istituzioni finanziarie, quindi, sono gonfi di
titoli cartolarizzati che, sebbene vadano svalorizzandosi, non riescono a vendere.
Al contempo, preferiscono accantonare la liquidità offerta dalle autorità
monetarie per ripristinare i loro depositi. In termini più concreti, il nuovo
modello di banking ha contribuito alla formazione di un sistema finanziario in
grado di espandere credito a un tasso molto maggiore della crescita
dell’economia reale, offrendo un quantitativo di debito che non avrebbe potuto
mai essere ripagato.
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CAP.II
1. finanza strutturata e strumenti finanziari strutturati
La finanza ombra è stata una delle concause determinanti della crisi
finanziaria esplosa nel 2007. In Usa essa è discussa e studiata fin dall’estate
di quell’anno. Un rapporto del Financial Stability Board dell’ottobre 2011
stimava la sua consistenza nel 2010 in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in
Usa e altrettanti in cinque paesi europei: Francia, Germania, Italia, Olanda
e Spagna. La cifra si suppone corrisponda alla metà di tutti gli attivi
dell’eurozona. Il rapporto raccomandava di mappare i differenti tipi di
intermediari finanziari che non sono banche. Un green paper della Commissione
europea del marzo 2012 precisa che si stanno esaminando regole di
consolidamento delle entità della finanza ombra in modo da assoggettarle alle
regole dell’accordo interbancario Basilea 3 (portare in bilancio i capitali delle
banche che ora non vi figurano).
La “finanza ombra” è formata da varie entità che operano come banche senza
esserlo. Molti sono fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. Il
maggior pilastro di essa sono però le società di scopo create dalle banche stesse,
chiamate Veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli per scopi
speciali (Spv) e simili. Il nome di veicoli è quanto mai appropriato, perché essi
servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da una banca, in
modo che essa possa immediatamente concederne altri per ricavarne un utile.
Infatti, quando una banca concede un prestito, deve versare una quota a titolo di
riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue). Accade però che se continua a
concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali da versare come
riserva. Ecco allora la novità: i crediti vengono trasformati in un titolo
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commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato dalla stessa banca, e tolti
dal bilancio. Con ciò la banca può ricominciare a concedere prestiti, oltre a
incassare subito l’ammontare dei prestiti concessi, invece di aspettare anni
come avviene ad esempio con un mutuo.
Mediante tale dispositivo, riprodotto in centinaia di esemplari dalle maggiori
banche Usa e Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, esse hanno concesso a
famiglie, imprese ed enti finanziari trilioni di dollari e di euro che le loro riserve,
o il loro capitale proprio, non avrebbero mai permesso loro di concedere. Creando
così rischi gravi per l’intero sistema finanziario.
La finanza ombra è formata da varie entità che operano come banche senza
esserlo. Molti sono fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. Il
maggior pilastro di essa sono però le società di scopo create dalle banche
stesse, chiamate Veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli
per scopi speciali (Spv) e simili. Il nome di veicoli è quanto mai appropriato,
perché essi servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da
una banca, in modo che essa possa immediatamente concederne altri per
ricavarne un utile. Infatti, quando una banca concede un prestito, deve versare
una quota a titolo di riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue). Accade
però che se continua a concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali
da versare come riserva. Ecco allora la grande trovata: i crediti vengono
trasformati in un titolo commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato
dalla stessa banca, e tolti dal bilancio.
Con ciò la banca può ricominciare a concedere prestiti, oltre a incassare subito
l’ammontare dei prestiti concessi, invece di aspettare anni come avviene ad
esempio con un mutuo. Mediante tale dispositivo, riprodotto in centinaia di
esemplari dalle maggiori banche Usa e Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, esse
hanno concesso a famiglie, imprese ed enti finanziari trilioni di dollari e di euro
21
che le loro riserve, o il loro capitale proprio, non avrebbero mai permesso loro di
concedere. Creando così rischi gravi per l’intero sistema finanziario.
La finanza strutturata o finanza ombra è pertanto il pooling di attività
(prestiti, obbligazioni, mutui) e la conseguente emissione di trance con differenti
priorità ed è caratterizzata da:
a) messa in pool di attività (sia esistenti sul mercato sia create sinteticamente);
b) dissociazione del rischio creditizio del pool di attività dal rischio creditizio
del titolare delle stesse (originator), mediante il trasferimento delle attività
sottostanti a una società autonoma costituita ad hoc (società veicolo);
c) frazionamento in tranche delle passività emesse a fronte del pool di attività.
Gli strumenti attorno cui ruota l’intero meccanismo sono essenzialmente:
a) i veicoli di investimento strutturato (Siv);
b) i titoli cartolarizzati (Cdo).
a) I veicoli di investimento strutturato (Siv)
Veicolo di investimento strutturato o Structured investment vehicle (in sigla:
SIV) è una tipologia di società finanziaria creata per guadagnare un differenziale
tra i suoi asset e passivi come una banca tradizionale. La strategia di una SIV
è di prendere in prestito denaro mediante l'emissione di titoli a breve
termine, come obbligazioni pubbliche a bassi tassi di interesse e quindi
prestare il denaro con l'acquisto di titoli a lungo termine (come gli RMBS,
prestiti di automobili, prestiti studenteschi, cartolarizzazioni di carte di credito
e titoli bancari) a tassi di interesse più elevati, con la differenza nei tassi dandoli
22
agli investitori come profitto. Secondo questo schema i Veicoli di investimento
strutturato sono considerati come parte del sistema bancario collaterale.
Nel 1988 due banchieri di Citigroup, lasciarono la casa madre e fondarono il primo
SIV, che si chiama Gordian Knot. La SIV essenzialmente serve alla banca per
portare fuori dal bilancio dei propri impegni creditizi, riducendo quindi il
fabbisogno di mezzi propri (patrimonio netto) richiesto dalle regolamentazioni
vigenti.
Il caso: una banca fa prestiti (al consumo, alle aziende, etc.) per 100 milioni.
Incassa gli interessi e ricche commissioni. Ma se il suo patrimonio è di 8 milioni,
non ne può fare più fino a che questi 100 non iniziano a rientrare. Qui nasce l’idea,
perchè se la banca può trasferire una parte di questi 100 milioni ad un veicolo
esterno, automaticamente può fare altri prestiti, e quindi guadagnare di più. Se
poi trasferisce quelli a peggior qualità, fa come si dice “window dressing” e
legalmente si libera anche del rischio.
Infatti una SIV è composta da tre diversi portatori di rischio: il primo è il
capitale sociale, quasi sempre intorno all’1% del totale; il secondo sono delle
obbligazioni emesse dalla medesima, che non superano mai il 7%; ed il
restante 92% del rischio……………..!!?.
Legalmente, coloro che fanno finanziamenti alla SIV, principalmente sotto forma
di commercial paper, cioè cambiali brevi (max. 270 gg.) su cui la SIV paga un
interesse un pò superiore al mercato interbancario, è come se fossero i veri
azionisti della società. Di fatto per qualche decimo di punto in più negli interessi
si accollano il rischio di fallimento della SIV.
La SIV quindi opera con una leva di 12-15 volte i suoi mezzi propri, e sempre
ottiene un rating AAA sulla sua commercial paper, cosicchè gli investitori si
sentono tranquilli.
23
La SIV guadagna la differenza tra il tasso d’interesse a breve che paga sulle sue
commercial paper, ed il tasso d’interesse a più lungo termine percepito sui
prestiti che la banca gli ha girato (ad esempio sui subprime).
Ma la SIV è della banca. Se i suoi attivi falliscono la banca ha due possibilità:
- far fallire la SIV e girare la negatività agli investitori nelle commercial paper
perchè lei non li rimborsa;
- accollarsi le perdite della SIV, e quindi rimangiarsi gli utili precedenti e
soprattutto ridurre i propri margini di attività perchè scattano i requisiti
patrimoniali di cui sopra.
Si cercano però altre strade, ed è così che è nata l’idea del M-LEC, che altro
non è che una nuova SuperSIV che resta fuori dai bilanci delle banche e si
accolla gli attivi delle SIV conferite, emettendo a sua volta commercial paper per
finanziarsi.
I beni o attività sono ceduti a terzi, e il recupero da parte dei terzi del
valore di questi beni o attività dovrebbe garantire la restituzione del capitale
e delle cedole di interessi indicate nell'obbligazione. Se tale recupero non è
possibile, chi ha comprato titoli cartolarizzati incorre nella perdita sia del
capitale versato che degli interessi dovuti.
Per lo più i beni ceduti sono costituiti da crediti, tuttavia possono essere immobili,
strumenti derivati o altro. Le obbligazioni emesse sono divise in classi a seconda
del rating (AAA, AA, BBB, BB ecc. fino alla partecipazione azionaria), con un
merito creditizio che è minore quanto più è alto il livello di subordinazione nella
restituzione del debito obbligazionario.
24
b) i titoli cartolarizzati (Cdo)
Questa sigla indica i "collateralized debt obligations". Si tratta di prestiti
obbligazionari
creati,
usando
la
tecnica
della
cartolarizzazione,
impacchettando una serie di bond o di derivati. I Cdo sono emessi in varie
tranche (con rating e rischiosità a scalare) da speciali società-veicolo: il loro
rimborso e le loro cedole sono garantite dal portafoglio sottostante di
obbligazioni o di prestiti o di derivati. I Cdo possono avere strutture molto
complesse, che creano anche un effetto leva. Alcuni Cdo sono "gestiti":
l'emittente ha la facoltà di sostituire i titoli sottostanti posti in garanzia.
L'investimento in Cdo comporta vari rischi (e ovviamente pari rendimenti). C'è
il rischio che il portafoglio sottostante posto in garanzia vada in default, almeno
in parte. C'è poi un rischio di "concentrazione": se i titoli sottostanti sono
concentrati in settori simili o nello stesso settore. E c'è un rischio di "struttura":
un investitore può infatti acquistare la tranche migliore (con il rating più elevato)
o quella peggiore. La tranche più rischiosa in un'emissione di Cdo è quella
definita equity: quella che va ad assorbire le prime perdite del portafoglio
sottostante.
2. Il ruolo delle agenzie di rating nella crisi di fiducia
Nei meccanismi di mercato risulta fondamentale l’aspetto della condivisione delle
informazioni tra gli individui e le istituzioni. In particolare, nel mercato
finanziario, un’informazione attendibile sullo stato reale dei fattori di produzione
o sulla solidità finanziaria delle imprese, è essenziale per il calcolo del rischio e
per evitare insolvenze.
25
Le agenzie di rating, soggetti tesi a valutare e garantire l’affidabilità
creditizia di titoli obbligazionari o imprese, perseguono un obiettivo di riduzione
dell’asimmetria informativa legata alla distanza e al distacco tra intermediari e
investitori, rivestono perciò al contempo un ruolo di grande responsabilità.
Il loro compito è stato messo in discussione con l’avvento della crisi finanziaria
attuale in quanto la possibilità di avere accesso ad informazioni corrette ed
esaustive per tutti gli agenti economici è stata negata (basti pensare alla nascita
improvvisa di tutti i nuovi servizi e strumenti finanziari e a quello che viene
definito “mercato ombra”). Si è così sollevato il problema del peso e del concorso
di colpe, in cui sono implicate le agenzie di rating accanto alle banche, nel
diffondere distorsioni informative nei mercati.
Lo stesso Joseph Stiglitz, studioso delle asimmetrie informative nei mercati
e premio Nobel per l’economia 2001, afferma che “le banche non sarebbero
riuscite a fare tutto quello che hanno fatto senza l’aiuto delle agenzie di
rating”.
La gravità della crisi, infatti, non puo’ essere spiegata con la mera analisi degli
elevati tassi di insolvenza dei mutui ipotecari subprime, congiuntamente a questo
fattore è necessario considerate altre cause che hanno contribuito a propagarla
molto rapidamente, complici una struttura finanziaria fragile, imperniata sulla
finanza strutturata, e una supervisione inadeguata.
Il ruolo di tali soggetti nell’innescare un pericoloso sentimento generalizzato di
diffidenza e sfiducia nel mercato interbancario e finanziario è evidente, tuttavia,
un’analisi approfondita dei compiti assolti e dei conflitti d’interesse alla base del
loro operato può rappresentare una possibile ispirazione per una corretta
regolamentazione futura.
Le agenzie assegnano ad ogni titolo un rating, cioè una misura della solvibilità
dell’obbligazione, espressa utilizzando degli indicatori alfabetici.
26
Durante la crisi 2007-2008 sono stati emessi titoli con una valutazione AAA, poi
rivelatisi obbligazioni dietro le quali c’erano crediti irrecuperabili legati ai mutui
subprime. «Il 93% dei titoli che nel 2006 ebbero il rating AAA – denuncia il
premio Nobel per l’economia Paul Krugman – in seguito sono stati declassati
al rango junk, spazzatura».
Dal punto di vista legale le agenzie non hanno alcuna responsabilità sulla bontà
del punteggio diffuso. Se il titolo fosse sopravvalutato, le agenzie non sarebbero
soggette ad alcuna sanzione materiale, ma vedrebbero minata unicamente la loro
‘reputazione’. Questo è proprio ciò che è avvenuto relativamente ai “tre colossi”
(Fitch Ratings, Moody’s Investor Services, e Standard & Poor’s) la cui credibilità
era stata indiscussa fino ad allora.
Nel luglio del 2008 la Securities and Exchange Commission, l’ente governativo
americano preposto alla vigilanza della borsa valori, ha riportato gli esiti di
un’inchiesta sulle tre principali agenzie di rating.
L’organismo rimprovera loro la difficoltà che hanno dimostrato nel mantenersi al
passo con i prodotti sempre più complessi di cui però continuavano imperterriti a
stimare il merito di credito.
L’incapacità di una corretta valutazione della qualità dei titoli di debito da parte
delle agenzie di rating è da ricercare anche nel conflitto d’interesse di cui tali
istituzioni sono portatrici.
Il primo fa riferimento ad un conflitto tra proprietà e controllo. Le agenzie
infatti sono società quotate in borsa e remunerate dai soggetti valutati, i quali
orienteranno le proprie preferenze a favore delle agenzie offerenti il rating più
elevato. Le agenzie saranno quindi incentivate a sovrastimare il rating sui titoli
emessi per accaparrarsi fette maggiori di mercato.
Il secondo conflitto d’interessi è relativo ad una trasformazione avvenuta nel
settembre del 2000, quando, la Dun & Bradstreet scorpora e mette sul
27
mercato Moody’s. Da quel momento in poi le agenzie, oltre a diffondere
valutazioni in merito al credito degli emittenti di titoli, forniscono consulenze.
Ricorda Stiglitz: “Le agenzie di rating non si limitavano a dare il rating alle
emissioni, ma spiegavano anche ai clienti come fare per ottenere la
valutazione desiderata”.
3. Definizione di un nuovo quadro normativo di controllo
La definizione di un nuovo quadro normativo e di regolamentazione dei mercati
finanziari, in grado di prevenire o mitigare l’effetto delle crisi finanziarie, si è
concretizzato nel corso del 2010 in una serie di proposte di riforma ispirate
anche da principi di cooperazione e coordinamento a livello internazionale.
Nel caso specifico degli Usa è stato adottato il Dodd Frank Act, una normativa
di primo livello.
Il “Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act” (o Dodd-Frank
Act) è una legge federale degli Stati Uniti firmata dal Presidente Barack Obama
il 21 luglio 2010 che prevede una profonda riforma della regolamentazione
finanziaria incidendo su molteplici aspetti dell’industria nazionale dei servizi
finanziari.
La riforma di Wall Street è un complesso intervento voluto dall’amministrazione
di Barack Obama per promuovere una più stretta e completa regolazione della
finanza statunitense incentivando al tempo stesso una tutela dei consumatori e
del sistema economico statunitensi.
Uno
degli
interventi
più
importanti
del
Dodd-Frank
Act
riguarda
il
consolidamento di diverse agenzie nella Consumer Financial Protection Agency,
che ora fa riferimento al Dipartimento del Tesoro Usa, e ha il compito di
28
proteggere i consumatori tramite il monitoraggio e la regolazione dei settori delle
carte di credito, di debito e dei mutui immobiliari. Gli obiettivi dichiarati sono
quello di scongiurare la creazione di nuove bolle, come quella che ha portato alla
crisi dei mutui subprime, e quello di evitare l’accumulo di un eccesso di rischio da
parte dei contribuenti americani, promuovendo una maggiore trasparenza su
diversi mercati finanziari.
Il Dodd-Frank Act ha anche istituito il Financial Stability Oversight Council
che ha lo scopo specifico di identificare eventuali rischi sistemici presenti nel
sistema finanziario a stelle e strisce, tramite un’azione di monitoraggio che si
estende anche agli hedge fund.
Un altro obiettivo dichiarato è stato quello del bando del trading proprietario,
ossia della cosiddetta Volcker Rule, che si propone di evitare che le banche
commerciali utilizzino i depositi dei propri clienti per fare trading sui mercati
finanziari compiendo operazioni rischiose.
Per aumentare la trasparenza dei mercati è stato anche creato un Office of
Credit Ratings presso la Sec (la Consob americana): dovrà vigilare sull’operato
delle maggiori agenzie di rating (le nationally recognized statistical rating
organizations o NRSROs). Queste agenzie sono infatti finite più volte sul banco
degli imputati durante la crisi e sono state accusate di non avere saputo valutare
per tempo i rischi impliciti di diversi strumenti finanziari posti sotto la loro
osservazione.
Un altro campo di intervento del Dodd-Frank Act è stato quello dei derivati.
Questi strumenti finanziari sono stati chiamati in causa in tutte le maggiori crisi
degli ultimi anni, ma rimangono ancora oggi assai spesso fuori dai monitor dei
maggiori enti regolatori del mondo.
La nuova riforma di Wall Street si è proposta di intervenire sul campo degli swap
Over the counter (ossia non regolamentati) attribuendo delle specifiche aree di
intervento alla SEC e alla CFTC (Commodity Futures Trading Commission). La
29
prima è incaricata di sorvegliare i "security-based swap", ossia i contratti di
"scambio" più semplici basati su un singolo titolo, finanziamento o su una base
molto ristretta di titoli o di eventi da monitorare. Alla Commodity Futures
Trading Commission spetta invece il compito di monitorare tutti gli altri swap.
L’attenzione riservata a questi strumenti deriva anche dal fatto che nei momenti
di maggiore tensione sui mercati le forti oscillazioni dei credit default swap, ossia
delle assicurazioni contro il fallimento di determinati emittenti tra i quali anche
gli stati sovrani, hanno aumentato l’instabilità dei mercati senza peraltro
dimostrare una adeguata trasparenza sui movimenti reali di titoli.
I principali provvedimenti disciplinati nel Dodd-Frank Act (DAF) possono
essere sintetizzati nei seguenti cinque aspetti: rischi sistemici e intermediari
sistemicamente rilevanti, standard di capitale e liquidità, protezione
dell’investitore e disciplina dei valori mobiliari, corporate governance e
meccanismi di compensazione, tutela dei consumatori.
Nel Titolo I (“Financial Stability”) è prevista la costituzione di due agenzie
denominate Financial Stability Oversight Council e Office of Financial
Research. La prima ha l’obiettivo di identificare i rischi per la stabilità finanziaria
degli Stati Uniti derivanti da istituzioni finanziarie bancarie e non bancarie,
promuovere la disciplina di mercato eliminando l’aspettativa di un intervento
governativo in caso di fallimento, rispondere alle minacce emergenti per la
stabilità del sistema finanziario americano.
L’Office of Financial Research fornisce supporto amministrativo, tecnico e di
budget al Council e alle agenzie in esso rappresentate e le sue attività sono
finanziate a regime tramite la creazione di un fondo, denominato “Financial
Research Fund”, alimentato dai contributi dei gruppi bancari con attivo superiore
30
ai 50 miliardi di dollari e delle istituzioni finanziarie non bancarie sottoposte alla
vigilanza del Board of Governors.
In particolare si segnalano le nuove norme in materia di:
Derivati: il Titolo VII (“Wall Street Transparency and Accountability”) cerca di
dare attuazione all’obbligo, deciso dai vertici del G-20, di rendere più sicuro e più
trasparente il mercato dei derivati negoziati fuori borsa (i cosiddetti derivati
over-the-counter o Otc). In particolare si segnala l’obbligo di compensazione
mediante controparti centrali, la previsione di requisiti di capitale per i soggetti
della contrattazione (“swap dealers” e “major market partecipants”) e il public
reporting dei dati sulle transazioni in derivati tramite appositi regolamenti che
dovranno essere emanati dal Commodity Futures Trading Commission e dal
Securities and Exchange Commission (le autorità regolamentari in materia di
derivati).
Cartolarizzazioni: nuove norme sono previste per le istituzioni finanziarie
coinvolte in operazioni di securitization, in particolare è previsto l’obbligo di
ritenere una quota del rischio di credito degli attivi ceduti nell’operazione. Il SEC
dovrà emanare regole per la pubblicazione di informazioni sulle cartolarizzazioni
da parte dell’emittente di asset-backed securities e condurre uno studio biennale
sul processo di rating per i prodotti di finanza strutturata, i potenziali conflitti
di interesse e la fattibilità di un sistema in cui un’autorità indipendente possa
assegnare alle agenzie di rating registrate il compito di determinare il rating di
prodotti di finanza strutturata.
Agenzie di rating: è prevista una nuova regolamentazione basata su linee guida
in materia di corporate governance, sulla riduzione dei conflitti di interesse e sul
rafforzamento dei controlli e della trasparenza nei processi di rating.
Nel settore della corporate governance e dei meccanismi di remunerazione, le
nuove norme cercano di rafforzare la trasparenza e di riequilibrare il modello
31
di governo societario dall’attuale sistema “board-centric” verso un modello
“shareholder-centric”. In particolare il SEC è stato autorizzato ad adottare il
“proxy access” (accesso alla delega) ovvero un meccanismo che consente agli
azionisti di proporre propri candidati per il consiglio di amministrazione della
società[8]. Sul tema delle remunerazioni, invece, si segnala l’introduzione del
“say-on-pay” ovvero, l’approvazione da parte degli azionisti dei compensi degli
organi esecutivi della società[9].
Il Titolo X istituisce una nuova autorità di protezione dei risparmiatori, il
Bureau of Consumer Financial Protection, che è istituito come organo autonomo
nell’ambito della Federal Reserve e guidato da un direttore, che resta in carica
per 5 anni, nominato dal Presidente e confermato dal Senato. I poteri di
supervisione e controllo del Bureau sono maggiori sulle “insured depository
institutions” con totale attivo superiore ai 10 miliardi di dollari verso le quali ha
l’autorità esclusiva di richiedere report e condurre controlli periodici,
coordinandosi con le altre autorità di vigilanza (section 1024). Sulle istituzioni
dimensionalmente inferiori si conferma il potere di richiedere report, ma i
controlli possono essere effettuati solo nell’ambito dei controlli regolari svolti
dalle autorità di vigilanza (section 1026).
La gravità degli eventi di metà settembre convince la Fed e il Tesoro ad adottare
una risposta coordinata e sistemica nella gestione della crisi, che si concretizzerà
con la votazione da parte del Congresso del Troubled Asset Relief Plan (TARP).
Il Tarp permette al Tesoro di assorbire i titoli tossici di dubbio valore – in grossa
parte Mbs e Cdo – ancora in possesso delle istituzioni bancarie, al fine di
stabilizzare, ripristinando la fiducia tra gli istituti di credito, il sistema
finanziario internazionale. acquistate dal Tesoro, nella terza colonna gli assets
32
garantiti dal Tesoro e nella successiva viene indicato se gli aiuti del Tarp siano
già stati ripagati.
All’iniezione di liquidità si è aggiunta una garanzia temporanea della Fdic, l’agenzia
che assicura i depositi bancari, per il nuovo debito emesso dalle banche e
triennale per le istituzioni a risparmio. La Fdic, inoltre, offrirà garanzie illimitate
per depositi in conti correnti che non pagano un interesse, tipicamente di
proprietà di piccole aziende.
33
Cap.III
Trasferimento del rischio di credito: il sistema bancario portatore del
contagio (lo schema Ponzi riadattato al sistema finanziario).
1. Estensione della crisi
“La crisi è nata dal fatto che le banche Usa e Ue sono gravate da una
montagna di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto
ammontare né il rischio di insolvenza. Ciò avviene perché esse hanno creato, con
l’aiuto dei governi e della legislazione, una gigantesca “finanza ombra”, un
sistema finanziario parallelo i cui attivi e passivi non sono registrati in bilancio,
per cui nessuno riesce a capire dove esattamente siano collocati né a misurarne
il valore.”
L’apice della crisi si è avuto con il crollo di Wall Street nell’ottobre del 2008
rievocando così il famoso martedì nero del 1929. Quella che era nata come crisi
finanziaria, si è trasformata drammaticamente in una crisi di economia
34
reale con un forte calo del pil, un aumento dei fallimenti, il rialzo del tasso di
disoccupazione e una riduzione del credito bancario.
La crisi dei subprime dai mercati finanziari statunitensi ha colpito in
brevissimo tempo l’intero sistema creditizio globale.
I fondamentali canali di trasmissione sono da ricercarsi nel coinvolgimento
diretto delle diverse istituzioni finanziarie sul mercato dei titoli legati ai
mutui subprime e nella forte interdipendenza finanziaria nata dalla crescente
globalizzazione.
Il fatto che le securities fondate su mutui subprime americani fossero state
vendute ovunque ha generalizzato la crisi. Il rischio era stato trasferito su
agenti economici, e soprattutto su banche, sparsi dappertutto nel mondo.
Le perdite per le banche mondiali, secondo una valutazione del Fondo
Monetario Internazionale compiuta nell’ottobre 2010, sarebbero infine
ammontate a più di 2.000 miliardi di dollari.
Il fallimento delle istituzioni operanti nel settore dei subprime però non può
essere considerato l’unico fattore alla base di un contagio di tipo mondiale,
entrano infatti in gioco numerosi meccanismi di trasmissione nel passaggio da un
crollo locale ad una crisi sistemica.
La coesistenza di molteplici condizioni, infatti, ha innescato un pericoloso
effetto domino e un periodo di drammatica turbolenza finanziaria ove regnano
crisi di fiducia, aspettative disilluse, crisi di liquidità dovute a asimmetrie
informative, assenza di controllo e regolamentazione delle istituzioni
implicate, interconnessione dei mercati, effetto leva esercitato dalle banche.
L’interdipendenza tra le economie nazionali infatti e al contempo l’estrema
volatilità dei mercati generano insicurezze nelle persone e una estrema
vulnerabilità dei sistemi finanziari al presentarsi di shock negativi.
35
La globalizzazione ha di certo incrementato esponenzialmente le opportunità
di investimento finanziario; in tale contesto però i sistemi bancari hanno esteso
i loro servizi finanziari senza limitazioni offrendo al mercato titoli scadenti,
cartolarizzati
e
nascosti
all’interno
dei
diversi
portafogli,
introdotti
originariamente dalle banche statunitensi e poi diffusi in tutto il mondo.
Le banche si sono scambiate titoli subprime sul mercato finanziario senza
rispettare i vincoli delle loro riserve, sotto la cattiva sorveglianza degli istituti
di vigilanza, con il beneplacito delle agenzie di rating, sullo sfondo di un “sistema
finanziario ombra”.
L’origine di questa crisi deriva dalla diffusione di un nuovo modello di
trasferimento del rischio di credito che passa dalle banche al mercato, i cui
tratti positivi sono stati poi travolti dagli eccessi dell’innovazione finanziaria.
Abbiamo quindi assistito al passaggio dal modello “originate to hold” (Odt), che
significa
letteralmente
“origina
e
trattieni”,
a
quello
“originate
to
distribuite”(Otd) cioè “origina e distribuisci”, che ha fatto saltare il corretto
funzionamento del sistema.
Nel
modello
classico
dell’intermediazione
finanziaria
gli
intermediari
trasformano passività liquide perché esigibili senza preavviso o comunque a breve
termine, i depositi, in attività meno liquide prevalentemente a medio-lungo
termine – i crediti erogati a imprese e famiglie. I crediti rimangono sui bilanci
degli intermediari, che ne sopportano i rischi. Inoltre, nell’erogazione del credito
la banca stessa esegue un monitoraggio sia ex ante che ex post, il primo riguardo
la solvibilità del debitore; il secondo sull’uso del credito erogato, accumulando
così “capitale informativo”.
Nel nuovo modello “Originate to distribuite” invece, affermatosi con impetuoso
sviluppo negli ultimi vent’anni grazie all’innovazione finanziaria, le banche che
inizialmente erogano i crediti non li tengono poi all’attivo dei propri bilanci
ma li cedono immediatamente “pro soluto”, come già esposto, a imprese
36
costituite dalle stesse istituzioni finanziarie Special Investment Vehicols
(SIV), magari non contabilizzate a bilancio, cartolarizzando un pool di mutui,
diversi per qualità e titolarità del debito, in complessi strumenti finanziari (titoli
derivati) collocati ad altri investitori, allargando in questo modo il perimetro di
business della banca senza “forzare” il suo patrimonio di vigilanza. Tali emissioni
sono state poi certificate dalle società di rating (Standard and Poor’s,
Moodys…etc…) che valutano il rischio utilizzando tecniche matematiche molto
sofisticate basate sull’ipotesi dell’efficienza dei mercati finanziari.
Esse si sono poi assicurate contro il rischio di default sul credito presso le
compagnie di assicurazione, che si sono a loro volta assicurate.
In altri termini si può parlare di un continuo trasferimento, non certo
ripartizione o riduzione, del rischio da un soggetto ad un altro con guadagni via
via ridotti ma che si ritenevano certi fino a quando il mancato pagamento del
prestito non avesse colpito l’ultimo soggetto detentore del rischio (il famoso
schema Ponzi riadattato agli intermediari finanziari che hanno spostato il
rischio fino all’inverosimile, per poi piazzarlo definitivamente sui cittadini,
attraverso la Stato, “contribuenti”, e/o direttamente sui clienti stessi delle
banche). A livello di sistema nessuno pensava che ci sarebbe stato il default delle
famiglie americane e quando si è verificato nessuno era preparato.
Dunque apparentemente nessuno si era reso conto che una parte dei rischi
trasferiti dalle banche era tornata alle banche stesse, ma il mercato e le
autorità di vigilanza non erano più in grado di capire a quali poiché le esposizioni
effettive non potevano essere ricavate dai bilanci.
Questa condizione sulla situazione finanziaria e sui rapporti credito-debito degli
intermediari ha contato molto nella crisi: l’incertezza che ha riguardato
l’affidabilità delle controparti nei normali rapporti di credito ha compromesso la
funzionalità dell’intero sistema finanziario.
37
Il sistema bancario dunque si è rivelato portatore del contagio.
Il default delle famiglie americane nel mercato dei mutui “subprime”, una quota
non molto importante del mercato finanziario americano e mondiale, ha messo in
atto una fuga dal debito, ha fatto scoppiare la bolla immobiliare, ha contagiato le
borse mondiali ed il mercato del credito.
I titoli derivati sono diventati titoli tossici (bad assets). Le banche commerciali
e d’investimento e le compagnie d’assicurazione con questi titoli tra le attività
sono state travolte da massicce operazioni di realizzo in borsa delle loro azioni
con effetti devastanti.
La crisi di fiducia che ne è derivata è stata quindi trasmessa alle borse
mondiali provocando cali dei listini. Inoltre, un clima di sospetto sulla solidità
delle banche commerciali (entità dei titoli tossici nell’attivo patrimoniale,
adeguatezza del capitale proprio) ha fatto crollare il mercato dei prestiti
interbancari.
38
Secondo Spaventa, “se in linea di principio e con un’evoluzione graduale il nuovo
modello poteva rappresentare un risultato fisiologico e benefico del processo di
innovazione finanziaria, la sua degenerazione è imputabile a due cause
fondamentali: un sistema distorto di incentivi, che ha dato spazio all’avidità
sempre presente sui mercati finanziari; lo sviluppo di un “sistema finanziario
ombra”, al riparo delle regole e mancante di trasparenza.
Ne sono risultate conseguenze destabilizzanti che, pur se previste da alcuni
osservatori, non furono chiaramente individuate né dalle autorità preposte alla
vigilanza né dai partecipanti al mercato”.
2. Effetto domino
39
Le
proporzioni
della
crisi
finanziaria
americana
hanno
dunque
avuto
ripercussioni in tutto il mondo e i governi dei vari Paesi si sono visti costretti
ad effettuare una serie di salvataggi bancari a catena.
L’effetto domino della crisi ha mietuto le sue vittime.
La stagione di fallimenti celebri si apre in Inghilterra con il crollo della banca
britannica Northern Rock, prima salvata dalla Banca d’Inghilterra nel settembre
2007 e poi nazionalizzata nel febbraio 2008.
Il 28 settembre 2008 i Paesi Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo)
sembravano aver trovato un accordo per il salvataggio del colosso assicurativo
Fortis, mediante una parziale nazionalizzazione, ma cinque giorni dopo il governo
dell’Aia procedeva all’acquisizione di tutta la parte olandese del gruppo, di lì a
poco le attività di Fortis in Belgio e Lussemburgo verranno acquistate da BNP.
L'immobiliare finanziaria franco-belga Dexia, banca leader mondiale nel credito
agli enti locali, che aveva risentito in modo particolarmente forte della crisi dei
subprime, attraverso la controllata americana Financial Security Assurance
(Fsa), specializzata in assicurazioni sulle obbligazioni, scampò al default, grazie
anche all'aiuto dei governi di Francia, Belgio e Lussemburgo che stanziarono circa
6 miliardi di euro.
In Germania, sempre nel mese di settembre, la banca IKB entrò in crisi e per
evitarne il fallimento viene richiesto l’intervento della Bundesbank; anche
Deutsche Bank ammise perdite per 1,7 miliardi, entrambe per l’esposizione
ai subprime americani. Nel mese di ottobre Hypo Real Estate, società holding
a capo di tre banche tedesche, rischiò il fallimento, a causa della bancarotta della
filiale irlandese Depfa. Il governo tedesco varò inutilmente un “pacchetto di
salvataggio” da 35 miliardi di euro che avrebbe dovuto essere immesso nelle
operazioni del Dax 30 (il principale indice della borsa di Francoforte). Era stato
infatti previsto apporto immediato di liquidità dalle banche e dalla banca centrale
40
con una garanzia fornita dallo stato tedesco per 26,5 miliardi dei 35
complessivi. Tuttavia questo provvedimento non ebbe i risultati sperati. In
seguito il governo tedesco stanziò 15 miliardi di euro e HypoRE, grazie alla
nazionalizzazione, venne salvata dal crollo definitivo.
Danimarca e Islanda intervennero per nazionalizzare la banca danese Roskilde
Bank (con un costo di un miliardo di euro circa) e l'islandese Glitrin (con un
esborso di 600 milioni di euro). Nell'insieme, tali provvedimenti sono costati più
di 100 miliardi di euro, tra nazionalizzazioni e aiuti di Stato a pioggia.
Intanto, a Londra, dopo Northern Rock, venne nazionalizzata la banca dei mutui
Bradford & Bingley, i cui depositi passarono ad Abbey, banca britannica
controllata dalla spagnola Santander.
In Francia la BNP Paripas congelò improvvisamente tre fondi per l’ammontare
di 2,2 miliardi di dollari. Il presidente francese Nicolas Sarkozy chiese un vertice
europeo per discutere di un «nuovo sistema finanziario globale» e convocò un
summit di banche ed assicurazioni.
La proposta di creare un fondo europeo per le banche in difficoltà venne subito
affossata di fronte allo scetticismo britannico e all’opposizione tedesca. I
governi europei hanno quindi agito differentemente gli uni dagli altri per
contrastare gli effetti della crisi nei loro sistemi bancari nazionali.
41
Cap. IV
Le politiche monetarie poste in essere dalla FED e dalla BCE
1. Quantative easing e credit easing
Le banche centrali hanno fronteggiato la crisi ricorrendo a strumenti
differenti, tenuto conto della struttura dei rispettivi mercati finanziari e del
ruolo delle banche nel finanziamento dell’economia. La Fed ha intrapreso azioni
miranti ad assicurare l’erogazione diretta di credito a famiglie e imprese e ha
varato piani di acquisto di titoli pubblici e privati mediante emissione di moneta
(cosiddetto quantitative easing). La Bce, invece, ha privilegiato l’offerta di
liquidità alle banche, al fine di contenere la contrazione dell’erogazione di
credito, e ha sempre sterilizzato (sterilizzando la base monetaria ha
mantenuto lo stock di liquidità ripartendo la stessa a favore delle banche e
sottraendola di fatto all’economia) le misure non convenzionali di politica
monetaria il cosiddetto credit easing. Il Credit Easing è uno strumento di
politica monetaria non convenzionale che, attraverso l’acquisto di titoli di debito,
inietta liquidità nel sistema bancario ed incrementa teoricamente il volume dei
prestiti cercando di stimolare l’ economia.
Secondo il Trattato di Maastricht e lo Statuto della BCE, l’obiettivo primario
dell’istituzione di Francoforte è quello di mantenere la stabilità dei prezzi
nel medio periodo. Di tale stabilità si dà anche una definizione quantitativa:
l’aumento annuale dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IACP) deve
essere prossimo ma inferiore al 2%. Solo nella misura in cui non sia pregiudicata
la stabilità dei prezzi la BCE può concorrere a dare sostegno alle politiche
economiche comunitarie.
42
Emerge pertanto una netta distinzione con il mandato di altre banche centrali
come la Federal Reserve o la Banca d’Inghilterra le quali perseguono in
maniera non subordinata l’obiettivo della piena occupazione.
In conformità alla propria vocazione istituzionale la BCE non può comprare
direttamente in asta i titoli del debito pubblico dei paesi dell’eurozona e quindi
creare base monetaria: in definitiva non è un prestatore di ultima istanza. Se
da un lato tale vincolo pone al riparo da una monetizzazione del debito, dall’altro
espone gli Stati alle reazioni degli operatori di mercato che, con politiche di
investimento anche speculative, incidono profondamente sui rendimenti delle
obbligazioni pubbliche e in definitiva sulle finanze statali.
La principale risposta della Federal Reserve e della Bank of England alla crisi
finanziaria ed economica è rappresentata dal Quantitative easing, ossia
programmi
di acquisto
su larga scala di titoli. Il QE viene implementato
attraverso l’acquisto di specifiche quantità di titoli da banche commerciali e altre
istituzioni private, così da far aumentare il prezzo dei titoli in questione e
diminuire il loro rendimento. Simultaneamente il QE permette alle banche
centrali
di
aumentare
la
base
monetaria, in
quanto
gli
acquisti
non vengono sterilizzati, e di influenzare il mercato in modo determinato
rispetto agli acquisti di titoli di Stato per mantenere ad un certo livello il tasso
di interesse interbancario.
Dal 2009 al marzo 2014, la Federal Reserve ha acquistato 1.9 trilioni di
dollari di Treasury, bonds a lungo termine (11,9% del PIL) e 1.6 trilioni
di dollari di Mortage-backed securities (MBS, titoli garantiti da mutui
ipotecari), insieme ad altri programmi di supporto alla liquidità in diversi
mercati, i quali hanno determinato una significativa
espansione dello stato patrimoniale della banca centrale, nella misura di 4.2
trilioni di dollari.
43
Titoli presenti nel bilancio della Fed da agosto 2007 a gennaio 2014
Anche la Bank of England ha intrapreso misure non convenzionali di politica
monetaria riconducibili al Quantitative Easing. I programmi di QE della BOE
sono iniziati nel gennaio 2009, quando la banca centrale avviò l’acquisto di 200
miliardi di sterline di titoli di Stato di medio e lungo termine da
istituzioni finanziare non bancarie. Ulteriori misure di QE sono state intraprese
anche tra il 2011 e il 2012, portando l’ammontare dei titoli acquistai dalla banca
centrale ad una valore pari al 24% del PIL.
Quanto alla BCE, l’esplosione dell’ultima crisi finanziaria ha spinto l’istituto
centrale a interventi senza precedenti che hanno forzato i limiti tradizionali del
suo perimetro di azione. Diversamente dalla Federal Reserve (FED), la Bank
of England (BOE) e dalla Bank of Japan (BOJ) che sono intervenute sul
mercato acquistando enormi quantità di titoli pubblici e creando base monetaria,
le operazioni monetarie non convenzionali della Bce si sono concentrate
principalmente sull’obiettivo di assicurare la necessaria liquidità alle banche
della zona euro.
44
3. Gli interventi della BCE
L’Europa, sembrava relativamente lontana dalle sofisticazioni Usa, ma i titoli
azionari perdevano terreno lo stesso. I mercati si mostravano profondamente
collegati e una falla in qualunque parte del sistema – e gli States ne sono il centro creava effetti a catena nelle altre economie.
Nel 2009 le borse europee toccano nuovi minimi. A fine anno scoppia il caso della
Grecia, il nuovo governo appena insediatosi aveva infatti radicalmente rivisto le stime
sul bilancio, l’Europa chiedeva interventi immediati. Nel novembre del 2010 anche
l’Irlanda chiedeva aiuto all’Europa. Insomma si cercava di intervenire, ma nell’Europa
periferica si agitavano le paure di un default dell’Italia o della Spagna.
Nell’aprile del 2011 segue il Portogallo.
Nella concitazione delle continue emergenze, sono nati e si sono consolidati
strumenti di intervento e sostegno finanziario a stati in crisi che hanno consentito
di tamponare le falle e di evitare il peggio. Questi strumenti vengono ormai
identificati solo con acronimi complessi.
Si tratta dell’EFSM (l’European Financial Stabilization Mechanism), dell’EFSF
(l’European Financial Stability Facility) e dell’ESM (l’European Stability Mechanism).
I primi due sono nati nel maggio del 2010 per reagire al contagio che già allora dalla
Grecia si era esteso all’Irlanda ed al Portogallo. L’ESM è operativo dalla primavera del
2012. Tutti e tre gli organismi sono stati concepiti per finanziare attraverso prestiti
i paesi dell’area Euro in difficoltà. Per questo sono spesso battezzati fondi “salvastati”.
L’EFSM è piccolo (60 miliardi contro 440 dell’EFSF), è amministrato autonomamente
dalla Commissione Europea e i titoli emessi sono garantiti solo dal bilancio dell’Unione
Europea (che è molto piccolo). L’EFSM ha processi decisionali immediati e diretti, ma
anche una piccola dimensione che lo rende quasi irrilevante.
45
L’EFSF si finanzia emettendo titoli garantiti pro-quota da tutti i singoli stati: dietro ci
sono cioè i bilanci di tutti gli stati dell’Eurozona. è quindi uno strumento
intergovernativo, soggetto alla decisione unanime di tutti gli stati membri. L’EFSF è
diventato negli ultimi anni il principale strumento di “salvataggio” dei paesi in
difficoltà, ma la sua attivazione e “dotazione” finanziaria sono state oggetto di
estenuanti trattative, per la sistematica opposizone della Germania a procedure di
salvataggio da essa considerate “troppo generose”. Inizialmente la sua capacità
erogativa è stata limitata ai 250 miliardi di euro necessari per salvare la sola Grecia e
la speculazione ha risposto attaccando il Portogallo. Lo stesso copione si è ripetuto nel
2011, quando la Germania ha acconsentito ad aumentare la capacità dell’EFSF a 440
miliardi. L’EFSF finanzia i propri prestiti emettendo titoli sul mercato. Questi titoli
sono garantiti dai singoli governi, ma non godono di nessuna priorità di rimborso in caso
di insolvenza del paese finanziato. Per le regole contabili vigenti in Europa i governi
devono contabilizzare come parte del loro debito pubblico la quota del fondo salvastati che garantiscono. Ogni volta che per salvare altri paesi europei si aumenta la
dotazione del fondo, gli stessi paesi europei aumentano il loro debito pubblico e mettono
a rischio se stessi. Questo spiega la resistenza della Germania.
L’ESM è una vera e propria istituzione permanente abilitata ad intervenire a
salvaguardia della stabilità finanziaria dell’Eurozona. È regolato da leggi internazionali
(come il FMI) e, a partire dal 2013, è stato destinato a sostituire i predecessori EFSM
e EFSF. Diversamente dall’EFSF, gli stati non offrono al nuovo organismo garanzie
sulle sue emissioni obbligazionarie, ma ne sono veri e propri azionisti. Con il capitale
(705 miliardi), l’ESM puo’ indebitarsi emettendo titoli per poi dare assistenza
finanziaria agli Stati in difficoltà. I titoli emessi dall’ESM hanno inoltre priorità di
rimborso sui titoli di debito nazionali degli stati finanziati: ne deriva che i titoli di
questo nuovo fondo “salva-stati” saranno meno rischiosi di per sé e non perché coperti
da garanzia altrui. Per questo, le emissioni dell’ESM non comportano alcun parallelo
aumento dei debiti pubblici dei paesi azionisti.
46
Nell’anno 2011, in concomitanza con gli interventi a sostegno delle banche, il Consiglio
europeo approvava un’importante riforma della governance economica europea nota
come six-pack: in pratica gli Stati europei si sottoponevano a controlli sul budget
e sul bilancio pubblico accettando una politica di rigore. Con il termine "Six-Pack"
si definisce il pacchetto di riforme approvato dal Parlamento Europeo ad ottobre 2011
ed entrato in vigore a partire dal 12 dicembre dello stesso anno. In estrema sintesi si
tratta di questo: per gli Stati che non si adegueranno all'austerity, scatteranno multe
europee pesantissime che, a seconda dei casi, sono nell'ordine dello 0,2% o 0,1% del
Pil. Il controllo sul debito: impone agli Stati che hanno un rapporto debito/Pil
superiore al 60%, la riduzione del 5% annuo per la parte eccedente.
In contemporanea alle dazioni a favore delle banche si introducono pertanto
misure restrittive su debito, imponendo all’economia reale i tagli della parte
eccedente del debito che aveva il compito di limitare i default bancari.
A dicembre la Bce annunciava nuove operazioni di liquidità straordinarie suddivise
in due longer-term refinincing operation (LTRO) con scadenza a tre anni e viene
ridotto all’1% il coefficiente di riserva. Alle banche arrivano finanziamenti per 489
miliardi di euro il 22 dicembre 2011 e per altri 530 miliardi di euro il primo marzo del
2012.
Nel 2012 viene varato il secondo pacchetto di aiuti per la Grecia e i leader
europei varano il "fiscal compact". Per sommi capi :
-il trattato si apre con lo Stability Pact (Patto di Stabilità), che impone lo 0,5% per
il rapporto deficit/PIL e il 60% per il rapporto debito/PIL;
-se un Paese non sottostà alle imposizioni dell'UE e non si adegua ai parametri
stabiliti, scatta automaticamente la denuncia della Commissione Europea al
Consiglio Europeo ed alla Corte di Giustizia Europea, che può imporre multe dello
47
0,2% del PIL. La Germania gode di un particolare privilegio: si riserva infatti il diritto
di poter denunciare un Paese che non rispetti i parametri anche in assenza
dell'opinione della Commissione Europea; per potersi opporre, gli altri Paesi devono
ottenere maggioranze qualificate;
-nella parte del cosiddetto Europact viene stabilito che la competitività di un
Paese viene giudicata in termini di riduzione dei salari pubblici e privati e
contemporaneo aumento della produttività del lavoro;
-la sostenibilità della politica fiscale viene giudicata in base alla spesa per
previdenza, sanità, servizi pubblici: se un Paese spende troppo per questi capitoli, è
pesantemente sanzionato;
-il Fiscal Compact richiede una revisione della contrattazione salariale e sindacale e
la delocalizzazione della contrattazione salariale;
-infine esso richiede l'inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione.
Ogni Paese dovrà quindi ridurre ogni anno il suo indebitamento di 1/20 l’anno della
parte eccedente il 60% del PIL.
Nel luglio del 2012 scoppia la crisi di Cipro che chiede aiuto all’Unione europea dopo
che le perdite sui titoli greci hanno messo in crisi il suo sistema bancario. In quei
giorni anche la Spagna è alle prese con la necessità di una ristrutturazione del
proprio settore bancario, l’Eurogruppo si dice disponibile a un corposo, ma
condizionato, intervento.
Di fronte ai timori di una frantumazione dell’Eurozona a seguito di una serie di default
disordinati tra i suoi Paesi "periferici" il presidente della BCE precisa che "la Bce è
pronta a fare tutto quello che è necessario per difendere l’euro". L’intervento
deciso della Banca centrale respinge le spinte speculative sul crollo dell’euro e
costruisce una forte barriera anti-crisi che dà un nuovo orientamento a tutto il
dibattito sulla crisi del debito sovrano nell’Eurozona.
48
Il 6 settembre del 2012 la Bce articola il proprio intervento annunciando le Outright
Monetary Transactions (Le OMT consistono nell'acquisto diretto da parte della
BCE di titoli di stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica
grave e conclamata. La liquidità immessa nel mercato a causa dell'acquisto dei
titoli di stato sarà pienamente sterilizzata, cioè riassorbita (ad esempio vendendo
altri titoli) per evitare che queste operazioni interferiscano con la politica monetaria
che mira a controllare il tasso di inflazione…………(ma quale inflazione visto che la
recessione ha comportato in Europa un’ampia deflazione).
Fonte: Eurostat
Gli interventi mirati sui titoli del debito pubblico Ue, potenzialmente illimitati, sono
sottoposti a condizioni dettate da un programma di recupero economico deciso su
scala europea.
Nel Luglio 2013 la BCE adotta il forward guidance come nuovo strumento non
convenzionale di politica monetaria: lo strumento consiste in una strategia
comunicativa attraverso la quale la banca centrale decide di fornire agli operatori, in
49
maniera più o meno esplicita, informazioni, previsioni ed indicazioni sui futuri
comportamenti riguardo i tassi di interesse.
Diversamente dalla Federal Reserve (FED), la Bank of England (BOE) e dalla Bank of
Japan (BOJ) che sono intervenute, come esposto, sul mercato acquistando enormi
quantità di titoli pubblici, le operazioni monetarie non convenzionali della Bce si
sono concentrate principalmente sull'obiettivo di assicurare la necessaria liquidità
alle banche della zona euro.
Oltre al rapido abbassamento dei tassi di interesse, dato che tra la fine del 2008 alla
primavera del 2009 il corridoio dei tassi è stato abbassato da 5.23- 3.25 a 1.75-0.25,
la Bce ha introdotto aste a tasso fisso ed a quantità illimitata (FRFA, fixed rate full
allotment) permettendo alle banche di ottenere tutta la liquidità di cui avevano
bisogno, a fronte soltanto di adeguate garanzie.
Ha inoltre introdotto operazioni di rifinanziamento in valute diverse dall'euro
(principalmente in dollaro, grazie ad una apertura di credito illimitata presso la
Federal Reserve), permettendo all'Istituto di erogare finanziamenti in valuta estera
a fronte di garanzie denominate in euro. Inoltre, dato che molte banche avevano
difficoltà a reperire sufficienti garanzie per ottenere la liquidità di cui avevano
bisogno, la Bce ha previsto un allargamento delle attività stanziabili a garanzia
dei prestiti dell'Eurosistema (collateral framework).
Infine, la Bce ha attuato anche un programma di acquisto di obbligazioni garantite
denominate in euro ed emesse nell'area della moneta unica, sia sul mercato principale
che su quello secondario (CBPP, Covered Bonds Purchase Programme), con lo scopo di
riattivare il mercato delle obbligazioni garantite.
Un altro strumento di importanza cruciale nell'azione dell'Istituto durante la crisi,
è l'ELA (Emergency Liquidity Assistance). Gli enti creditizi dell’area dell’euro
possono ricevere finanziamento dalla banca centrale non soltanto nel quadro delle
50
operazioni di politica monetaria, ma in via eccezionale anche a titolo di liquidità di
emergenza (emergency liquidity assistance, ELA).
L’ELA consiste nell’erogazione da parte delle banche centrali nazionali (BCN)
dell’Eurosistema di: (a) moneta di banca centrale e/o (b) qualsiasi altra tipologia
di assistenza che possa comportare un incremento della moneta di banca centrale a
favore di un’istituzione finanziaria solvibile o di un gruppo di istituzioni finanziarie
solvibili che si trovino ad affrontare temporanei problemi di liquidità, senza che tale
operazione rientri nel quadro della politica monetaria unica. Si tratta di una linea di
liquidità d'emergenza che può essere aperta da una banca centrale nazionale (e quindi
non dalla Bce) a favore di banche solventi ma che in via eccezionale e temporanea non
hanno accesso alle aste della Bce per mancanza di garanzie.
51
3. La BCE e le misure del quantative easing
Il persistere di condizioni di stagnazione, e l'aggiunta del rischio di deflazione,
spinge la BCE a considerare con sempre maggiore forza la possibilità di iniettare
liquidità netta, e non più "sterilizzata", nel circuito economico europeo.
Questo dapprima si è verificato con l'implementazione, decisa a giugno 2014, di
un piano di TLTRO (targeted LTRO), un finanziamento bancario a lungo termine
questa volta finalizzato al supporto creditizio di imprese del settore non
finanziario (dell'"economia reale"), i cui risultati sono però stati minori delle
attese. Poi, visto il persistere della stretta creditizia e l'esaurimento delle politiche
monetarie convenzionali (abbassamento dei tassi di interesse allo zero, tasso di
interesse negativo per i depositi presso la stessa BCE), è stato considerato con
sempre maggior consenso la decisione di un vero alleggerimento quantitativo
nell'Eurozona.
Il 22 gennaio 2015, il governatore Mario Draghi ha annunciato al World Economic
Forum che la BCE avrebbe acquistato titoli di debito pubblici e privati a partire
da marzo 2015 almeno fino a settembre 2016 al ritmo di 60 miliardi di
euro/mese, e comunque fino a quando il tasso di inflazione nell'eurozona sarebbe
tornato ad avvicinarsi al 2%.
Le norme a livello europeo non vietano l'utilizzo del quantitative easing per
finanziare spese militari (siamo in guerra!?), né richiedono un'autorizzazione
preventiva in merito da parte delle istituzioni politiche.
Il 4 dicembre 2015 il Board della BCE ha approvato la fase 2 del programma di
quantitative easing. Il QE2 consiste in un prolungamento degli stimoli monetari per
altri sei mesi, fino a Marzo 2017, a parità di "potenza" dello stimolo, 60 miliardi di
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euro al mese, con l'acquisto esteso ai titoli emessi dagli enti locali, e il tasso dei
depositi bancari presso la BCE, già negativo, ulteriormente sceso dal -0.2 al -0.3%.
Il 10 marzo 2016 la BCE ha deciso a maggioranza, con voto contrario della
Germania, di portare da 60 a 80 miliardi di euro l'importo mensile di acquisto col
Quantitative Easing, già a partire da Aprile 2016.
Il programma è concepito per il perseguimento dell’obiettivo della stabilità dei prezzi
in un contesto in cui l’economia europea soffre una prolungata stagnazione con
pericolosi effetti deflattivi, che potrebbero innescare una nuova recessione
economica. Posto che la BCE individua la stabilità dei prezzi in un tasso di
inflazione sotto il 2% annuo, gli ingenti acquisti di titoli da parte della BCE
dovrebbero allentare le condizioni monetarie e finanziarie, rendendo più facile
l’accesso al finanziamento da parte di imprese e famiglie al fine di sostenere la
ripresa degli investimenti, dei consumi e quindi dei prezzi.
Anche in questo caso l’obbiettivo ufficiale del QE di evitare una spirale deflattiva
lesiva della stabilità dei prezzi deve essere contestualizzato alla luce delle cause e
dei rischi della perdurante crisi economica in cui si trova l’Europa. Infatti una ricaduta
della zona euro in una nuova fase acuta di crisi potrebbe mettere nuovamente in
pericolo la stabilità finanziaria dell’unione monetaria e la solidità della moneta
unica.
Si parte con l’abbassamento dei tassi d’interesse: quello principale dallo 0,05% allo
zero, quello sui depositi ulteriormente in territorio negativo al -0,4% e quello di
rifinanziamento marginale allo 0,25%. “I tassi resteranno molto bassi per un lungo
periodo di tempo”, ha detto il governatore della Bce. “Non prevediamo che sarà
necessario ridurli ulteriormente”.
Seconda mossa: un ampliamento del programma di acquisto di titoli di Stato e
obbligazioni (il cosiddetto “Quantitative Easing). L’ammontare passa da 60 a 80
miliardi di euro mensili e il limite acquistabile di ogni singola emissione sale dal 33%
53
al 50%. Non solo: “Abbiamo deciso di includere nella lista di attività idonee ad essere
acquistate – ha detto Draghi – obbligazioni in euro con rating adeguato ed emesse da
aziende non finanziarie basate nei Paesi del blocco della moneta unica”.
Terzo punto: nuova liquidità per le banche. Le operazioni, ribattezzate “TLTRO II”
(acronimo di Targeted long term refinancing operations), dureranno quattro anni e
l’ammontare dipenderà da quanto credito gli istituti erogano all’economia reale. Molto
agevolate, come nelle manovre precedenti, le condizioni: “Per le banche il cui credito
erogato netto supera la soglia fissata – spiega Draghi – il tasso d’interesse applicato
nelle nuove operazioni di rifinanziamento sarà più basso e potrà scendere fino al livello
del tasso d’interesse di deposito attivo al momento della sottoscrizione”.
54
Cap.V
I debiti sovrani
Le cause della crisi sono da ricercarsi, come già osservato, nel sistema finanziario,
cosa di cui nessuno dubitava sino agli inizi del 2010. Dopo, nel maturare degli eventi
la crisi nata dalle banche è stata individuata come crisi del debito pubblico.
Costi e conseguenze, che avrebbero dovuto gravare su enti privati, finanzieri,
banchieri e speculatori, sono stati trasferiti sui cittadini.
In sintesi la crisi è nata dal fatto che anche le banche UE sono gravate da una
montagna di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto ammontare
né il rischio di insolvenza. Ciò avviene perché al pari delle consorelle Usa hanno
creato, con l’aiuto dei governi e della legislazione, una gigantesca “finanza ombra”.
Consapevoli degli effetti delle crisi bancarie sull’economia, i governi sono intervenuti
con piani di salvataggio, ricapitalizzazione diretta, garanzie sulle passività e
scambi di assets. Tali strategie sono state attuate in maniera diversa nei vari Stati
dell’Unione europea, ma il minimo comune denominatore è stato che i governi hanno
dovuto emettere nuovi titoli di debito per finanziare i piani di salvataggio. Il
denaro pubblico fa quindi da copertura alle perdite prodotte dal settore privato. Un
aumento del rischio di credito all’interno del portafoglio delle banche si estende
inizialmente al sistema finanziario ed infine agli stati poiché il loro intervento
tampone con l’aggravarsi del costo del debito, legato anche al pagamento degli
interessi, provoca peggioramenti nei bilanci pubblici.
1.Impatto sulle finanze pubbliche
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La dottrina economica insegna che le crisi bancarie portano con sé alcune conseguenze
a livello macroeconomico, tra cui: a) diminuizione delle entrate pubbliche con
conseguente peggioramento dei deficit fiscali; b) grave contrazione dell’economia;
c) aumento del debito pubblico per i piani di salvataggio, aiuti di stato in generale
e/o nazionalizzazioni delle banche.
E’ proprio a causa del forte indebitamento dei governi determinato dagli interventi a
sostegno delle banche e dell’aggravio del deficit dovuto anche all’attuazione dei piani
di stimolo, questi non sono riusciti a controbilanciare la zavorra che stava facendo
affondare l’economia.
Le eccezionali misure di salvataggio e le politiche di bilancio attuate in risposta
alla crisi finanziaria, congiuntamente alla notevole contrazione dei redditi nazionali,
hanno causato un grave deterioramento delle finanze pubbliche nei paesi
industriali. Da qui è nata una crisi parallela a quella bancaria, che è la crisi degli
Stati sovrani.
Dal 2007 al 2012 il debito peggiora in tutto il mondo industrializzato passando dal
73,1 al 105,4, con intensità specifica a partire dal 2007.
56
Mentre nell’intera area l’incremento del debito tra il 2002 e il 2007 è dell’1,5;
tra il 2007 e il 2012 questo registra un incremento del 32,3.
Il fenomeno è esasperato negli Usa (+50,2), Giappone (+51,7) e Regno Unito
(46,1%), paesi che hanno tempestivamente adottato forme di intervento massicce
sia a favore delle banche che dell’economia reale.
Nell’area euro (2002-2007:-3,6) l’incremento tra il 2007 e il 2012, periodo di
maggior incidenza degli interventi di sostegno, è del 25,3 che aggiunto al -3,6
precedente porta ad un incremento complessivo del periodo osservato pari al 29,0%.
In particolare si segnalano picchi tra il 2007 e il 2010 per l’Irlanda (109,5); per
la Grecia (34.4); per il Portogallo (27,7) e per la Germania (21,7).
Dai dati osservati c’è da chiedersi perché, date le dimensioni dei debiti e degli
incrementi di altri Paesi Ocse, gli attacchi speculativi non abbiano riguardato gli
altri paesi gravemente toccati dalla crisi.
La risposta è da ricercare nella perdita di sovranità monetaria dei cosidetti
PIIGS. Un intervento sui cambi e quindi la perdita di margini di arricchimento
per gli speculatori, avrebbero annullato gli attacchi perché non remunerativi.
Interventi sui cambi hanno in effetti annullato gravi attacchi speculativi
precedenti
(leggi
Regno
Unito
1992).
Inoltre
non
ci
poteva
essere
la
monetizzazione del debito, perché incompatibile con le regole europee per le
banche centrali dei singoli Paesi e per la BCE che non è un prestatore di ultima
istanza.
I paesi piu’ deboli (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) hanno reagito
unicamente intervenendo in negativo sulle politiche di bilancio, come richiesto dal
“Fiscal compact” contribuendo cosi’ ad innescare una spirale deflattiva e recessiva
che ancora scontiamo. Senza considerare le cosidette “Riforme” con le quali si
sono modificati in peggio diritti consolidati.
57
I colossali programmi di assistenza al settore finanziario hanno infatti impattato
pesantemente sulle finanze pubbliche, come principali fattori di accelerazione del
deterioramento fiscale. Questo vortice ha inghiottito il debito di molti prenditori
sovrani, facendo loro perdere il privilegio di essere considerati dal mercato
sostanzialmente immuni dal rischio di credito e, in tal senso, privi di rischio.
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La crisi nata in America si sposta in Europa con maggiore virulenza perchè le scelte
di politica economica adottate, come è già stato evidenziato, sono state
sostanzialmente diverse.
Negli Usa la politica fiscale ha teso a sostenere sia la domanda aggregata che le
banche, in parte nazionalizzandole. Esercitando cosi’ la piena sovranità di una banca
centrale che stampa moneta e di uno Stato sostanzialmente indifferente al livello di
debito. Scelte di politica economica condivise del resto dal Regno Unito e dal
Giappone.
Il governo degli Stati Uniti d'America, infatti, è intervenuto prima con il Piano
Paulson e poi con l’azione di Geithner, riportando in vita l’intervento pubblico come
panacea per restituire fiducia a mercati in via di smobilitazione e per scongiurare
il panico.
L'obiettivo della 'Legge di stabilizzazione d'economia d'urgenza 2008', così è stato
chiamato il piano Paulson mira a proteggere i risparmi e i beni immobiliari dei
contribuenti, mantenere la proprietà, promuovere la crescita economica e
massimizzare il ritorno sugli investimenti. Ecco i punti principali del nuovo progetto.
Il segretario al Tesoro può acquistare in un primo tempo fino a un massimo di 350
miliardi di dollari di asset tossici. Al di sopra di tale cifra, il Congresso ha diritto di
veto e comunque "non si potranno superare i 700 miliardi". Lo Stato può partecipare
al capitale e ai profitti delle società che entrano a far parte del progetto.
Il segretario al Tesoro potrà coordinarsi con le autorità di altri Paesi. Maggior
raggio d'azione per la Fdic, l'organismo federale di assicurazione dei depositi. La
Sec può sospendere le pratiche di mark-to-market.
Sono quindi previste Norme contro le buone uscite d'oro per i dirigenti e misure a
tutela dei proprietari di abitazione minacciati da pignoramenti e l'autorizzazione
per rivedere, in caso di difficoltà del contribuente, le condizioni a cui sono stati accesi
i mutui. Sono previsti anche crediti d'imposta per la classe media e le piccole imprese.
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Si sono succeduti una serie di interventi, caratterizzati da metodologie molto diverse,
dal piano di ripulitura degli asset tossici in pancia alle grandi banche retail, alle
“nazionalizzazioni” delle stesse banche e delle big three, fino all’ultima versione del
Troubled Asset Relief Program (Tarp). Il TARP è un programma di governo (USA)
congegnato per la creazione e la gestione di un fondo del Tesoro, nel tentativo di
arginare la crisi finanziaria del 2007-2008. Il TARP dà il potere d’acquisto al
Tesoro USA di istituire un fondo da 700 miliardi di dollari per comprare titoli
garantiti da ipoteche (MBS) emessi dalle istituzioni finanziarie di tutto il paese, nel
tentativo di creare liquidità.
Quest’ultimo percorso ha spostato in maniera significativa il baricentro dell’azione
del governo degli Stati Uniti dalle politiche monetarie convenzionali, operate
attraverso i tassi d’interesse, a quelle non convenzionali come il quantitative easing,
la creazione indotta di carta moneta volta in primis a finanziare i T bond, i titoli del
Tesoro Usa, che venivano così collocati a tassi a medio e lungo termine decisamente
bassi. L’effetto più evidente di questa strategia è stato quello di trasferire una
parte significativa del debito privato, soprattutto di quello bancario, in direzione
del debito federale.
L’appesantimento del debito, peraltro, non ha condizionato le scelte di politica
economica a sostegno dell’economia reale, cosa che non puo’ dirsi per l’Unione
europea concentrata a fornire liquidità alle banche, in una ipotetica e
incomprensibile difesa del livello dei prezzi.
60
61
In Europa l’arrivo della crisi ha trovato il Vecchio Continente impreparato, e
soprattutto fin troppo abbarbicato a uno schema concepito nei primi anni Novanta
quando i grandi pericoli erano l’inflazione, il monopolio mondiale del dollaro e
l’insostenibile disomogeneità fra i vari Stati membri della Comunità europea.
Mentre negli Stati Uniti d'America, di fronte alla crisi, sono state terremotate
molte adesioni ideologiche consolidate e con Quantitative easing e nuove regole (si
pensi al Frank Dodd Act che ha provato a modificare il profilo del sistema bancario),
ha preso forma un nuovo tipo di paradigma dell’economia pubblica, in Europa non si
sono messi in dubbio i dogmi di Maastricht.
Si è continuato a considerare l’inflazione il male supremo, si è continuato a limitare
l’azione della Bce. Non sono state neppure modificate le regole finanziarie, e si è
posto in essere il meccanismo di "Basilea 3", imponendo requisiti patrimoniali
pesanti, ma calcolandoli favorendo il trading a discapito del credito produttivo, senza
limitare in alcun modo le vendite allo scoperto e lo strumentario dei contratti derivati
e delle assicurazioni.
62
Queste incertezze e queste contraddizioni hanno alimentato i focolai e il contagio,
nell’ipotesi diffusa che non esistessero né i mezzi e neppure la volontà per coprire le
eventuali insolvenze di Stati non più capaci di onorare il loro debito (non potevano
potenzialmente onorare il loro debito perché non potevano finanziarlo, come Usa e
Giappone, monetizzandolo) o di approvvigionare le loro banche.
2.La crisi del debito in Europa
Consapevoli degli effetti delle crisi bancarie sull’economia, i governi sono intervenuti
con strategie attuate in maniera diversa nei vari Stati dell’Unione europea, ma il
minimo comune denominatore è stato che i governi hanno dovuto emettere nuovi
titoli di debito per finanziare i piani di salvataggio.
Il coinvolgimento così massiccio dei governi per venire in soccorso degli istituti, se
per certi versi era inevitabile, ha avuto però un effetto altrettanto devastante.
A causa del forte indebitamento dei governi determinato dagli interventi a sostegno
delle banche e dell’aggravio del deficit, questi non sono riusciti a controbilanciare la
zavorra che stava facendo affondare l’economia. Da qui una crisi parallela a quella
bancaria, che è la crisi degli Stati sovrani.
Le banche europee che avevano effettuato ingenti investimenti sul mercato
ipotecario americano sono state colpite pesantemente. Cercando di evitare il
fallimento di alcune banche, i governi di molti paesi dell'UE, Germania, Francia, Regno
Unito, Irlanda, Danimarca, Paesi Bassi e Belgio, sono corsi in aiuto.
Salvare le banche ha comportato costi elevatissimi.
Quando poi nel 2009 l'Europa è entrata in recessione, un problema che inizialmente
riguardava solo le banche ha cominciato a coinvolgere sempre più i governi, mentre sui
63
mercati circolava il timore che alcuni paesi non sarebbero riusciti a salvare le loro
banche in difficoltà.
I governi gravati dai nuovi debiti, si sono trovati di fronte a mercati decisamente
meno propensi a concedere prestiti, con ulteriore pressione sul debito per il forte
incremento dei tassi, condizionati anche da forti elementi speculativi.
La crisi ha avuto epicentro nei paesi periferici dell'eurozona (Portogallo, Irlanda
e Grecia) per poi estendersi nel corso del 2011 a Spagna e Italia.
Nel corso del 2010, a maggio in particolare, i paesi dell'Eurozona e il FMI hanno
approvato un prestito di salvataggio per la Grecia. Successivamente, nel mese di
novembre, è emersa la crisi del sistema bancario irlandese: il Governatore della
banca centrale irlandese ha rivelato che le perdite delle banche domestiche
ammontavano a 85 miliardi di euro (pari al 55% del PIL) e le istituzioni europee con la
partecipazione del FMI hanno approvato un piano di sostegno. A maggio 2011, UE, BCE
e FMI (la cosiddetta Troika) hanno concesso un prestito anche al Governo portoghese.
Come i programmi di aggiustamento concordati con il FMI, i programmi dell’eurozona
contengono una serie di provvedimenti economici formulati dal Paese richiedente e
negoziati con la Troika. L’attuazione delle riforme viene valutata attraverso attività
di monitoraggio e revisioni a cadenza trimestrale. Anche in questo caso i programmi
includono politiche molto simili tra loro, tra le quali riforme della politica fiscale,
volte alla riduzione del deficit, tagli alla spesa pubblica, liberalizzazione del
commercio e di settori come quello dei trasporti, oltre alla privatizzazione delle
imprese a partecipazione statale.
Ogniqualvolta la pressione dei mercati si faceva insostenibile, il governo approvava un
set di misure di austerità volte a contenere il deficit del Paese.
Nel gennaio del 2011, mentre la crisi economica nella zona euro continuava ad
aggravarsi e i mercati vedevano sempre più probabile un intervento sul Portogallo, le
istituzioni europee e il governo portoghese concordarono una soluzione alternativa,
64
ovvero un “memorandum ombra”, che permettesse al governo portoghese di evitare
un programma formale, ma allo stesso tempo assicurasse alle istituzioni l’attuazione
delle riforme ritenute necessarie per il Paese.
I contenuti delle riforme da includere nel “memorandum”, sarebbe stati presentati
come prodotto unicamente dal governo nazionale.
Le tensioni di questi paesi si sono riflesse immediatamente su tutti i principali mercati
finanziari, ove si sono registrati cali di ampie dimensioni, in alcuni casi comparabili a
quelli verificatisi nel corso della crisi del 1929.
Le maggiori agenzie di rating hanno inoltre abbassato il merito di credito di
diversi paesi europei e, conseguentemente, di diverse banche con sede in tali paesi
o con consistenti esposizioni in titoli pubblici di paesi in difficoltà, amplificando in
molti casi le turbolenze sui mercati.
Di conseguenza la Grecia e, successivamente, l’Irlanda, il Portogallo, l’Italia, la Spagna
e Cipro alla fine, non sono stati in grado di contrarre prestiti sui mercati finanziari a
tassi d’interesse ragionevoli. È stato pertanto richiesto un intervento dell’UE, che è
sfociato nella creazione di un meccanismo di risoluzione della crisi e di meccanismi
finanziari di protezione, ossia cospicui fondi di emergenza a disposizione di paesi
dell’area dell’euro in difficoltà economiche.
Debito pubblico/Pil
65
Dai dati riportati emerge che il debito nell’area euro negli anni tra il 2008 e il 2015
l’incremento osservato varia dal +6,3 (Germania) al +67,5 (Grecia). Il picco per la
Germania si osserva tra il 2008 e il 2010 (+16,1%) per poi scemare, mentre per gli
altri paesi l’effetto è ritardato e protratto (eccezione per l’Irlanda con picco del +
77,7).
Stock del debito/pil e variazione nel triennio 2008/2012
66
Consapevole degli effetti delle crisi bancarie sull’economia, l’Europa è infatti
intervenuta, oltre che con le misure di politica monetaria, con le nazionalizzazioni
e, progressivamente, attraverso tre diverse modalità:
- sostegno pubblico,
- risorse interne – di azionisti e creditori – della banca,
- risorse provenienti da altre banche.
3. sostegno pubblico
Il sostegno pubblico alle banche è consistito in ricapitalizzazione diretta, garanzie
sulle passività e scambi di assets, attraverso i cosidetti “aiuti di stato”.
Per aiuti di Stato nella terminologia usata dall'Unione europea si intendono tutti
i finanziamenti a favore di imprese o produzioni, sia provenienti direttamente
dallo Stato, inteso in senso ampio (amministrazioni centrali, regionali, locali, ecc), sia
da altri soggetti quali le imprese pubbliche.
Gli aiuti sono sottoposti al controllo della Commissione, che li autorizza solamente
quando rientrano in una delle deroghe previste dal trattato. Per l'applicazione della
maggior parte delle deroghe la Commissione gode di un ampio poter discrezionale
ma deve comunque motivare le sue decisioni. Gli aiuti sono generalmente ritenuti
compatibili dalla Commissione qualora perseguano un obiettivo di comune interesse
(es. la tutela ambientale, la formazione, la lotta alla disoccupazione, l'incremento delle
attività di ricerca, sviluppo e innovazione, la promozione del capitale di rischio, gli
investimenti delle piccole e medie imprese o, in talune regioni, delle grandi imprese,
ecc.). In genere, l'aiuto deve essere volto a correggere un fallimento del mercato.
Tra l’ottobre 2008 e il luglio 2009 si assiste all’adozione di quattro Comunicazioni
relative all’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato per il settore finanziario.
67
La Commissione in questo senso è riuscita a soddisfare la richiesta di provvedimenti
tempestivi ed urgenti degli Stati membri e di certezza legale in un contesto dove
queste caratteristiche erano ulteriormente enfatizzate per l’elevato rischio di
contagio sistemico e in mancanza di una procedura dedicata alle situazioni di urgenza.
Questo pacchetto di provvedimenti avrebbe dovuto rappresentare un quadro
emergenziale di durata temporanea. Nel dicembre 2011, peraltro, la Commissione
proroga sine die la durata delle proprie Comunicazioni con la consapevolezza che,
quando la crisi sarebbe volta al termine, si sarebbe dovuto alternativamente scegliere
tra dar certezza al quadro temporaneo elaboratosi nell’emergenza, adottare una
nuova disciplina che si occupi delle imprese finanziarie in difficoltà o ritornare alla
prassi normativa e decisionale ante crisi.
Dal settembre 2008 la Commissione ha preso oltre 50 decisioni, spesso in tempi
record. Questo ha contribuito a salvaguardare la stabilità finanziaria e a far
rinascere la fiducia nel settore finanziario e nell'economia in generale, mantenendo
al tempo stesso gli incentivi per un'assunzione di rischi e una concorrenza adeguate
in futuro.
Tra il 2008 e il 1° ottobre 2014, la Commissione ha approvato aiuti al settore
finanziario per un importo complessivo 5.386,8 md di euro .
La maggior parte degli aiuti è stata autorizzata nel 2008, con l'approvazione di 3.394
miliardi di EUR (27,7% del PIL dell'UE), prevalentemente sotto forma di garanzie
sulle obbligazioni bancarie e sui depositi e sulle attività deteriorate.
I Paesi cui è stata autorizzata la parte piu’ cospicua degli aiuti sono per:
ricapitalizzazioni: Spagna 174,3, Germania 114,6 md di euro, e Regno Unito
114,6;
attività deteriorate: Regno Unito 248,1, Spagna 139,9, e Germania 82,8 md di
euro;
68
garanzie: Danimarca 586,0 md.di euro, Regno Unito 458,7, Germania 455,
Irlanda 386,0, Francia 382,7, Spagna 320,9, Belgio 275,8, Olanda 200, Svezia
156.
Riepilogando: I paesi per i quali sono stati autorizzati gli aiuti piu’ cospicui sono
il Regno Unito con 821,4 md. di euro; la Germania con 652,4; la Spagna con
635.1; la Danimarca con 586.0, l’Irlanda con 386,0 e la Francia con 382,7.
Gli aiuti utilizzati nel periodo tra il 2008 e il 2014 ammontano complessivamente
a 4.671,7 miliardi di EUR (14,0% del PIL del'UE), costituiti per la maggior parte
da garanzie (circa 1 084,8 miliardi di EUR, pari all'8,6% del PIL dell'UE), seguite da
ricapitalizzazioni (322,1 miliardi di EUR, pari al 2,5% del PIL dell'UE), misure di
sostegno a fronte di attività deteriorate (119,9 miliardi di EUR, pari allo 0,9% del PIL
dell'UE) e misure a sostegno della liquidità (89 miliardi di EUR, pari allo 0,7% del PIL
dell'UE).
I Paesi che hanno impiegato la parte piu’ cospicua degli aiuti sono per:
ricapitalizzazioni: Regno Unito 100,1 md di euro; Germania 64,2, Irlanda 62,8 e
Spagna 61,9.
attività deteriorate: Germania 86,0, Regno Unito 40,4 e Spagna 32,9.
Garanzie: Irlanda 902,7; Regno Unito 502,7; Germania 335,7; Spagna 290,3;
Danimarca 176,5.
Riepilogando: I paesi che hanno utilizzato la gran parte degli aiuti autorizzati
sono: Irlanda 965,5 md di euro; Regno Unito 643,2, Germania 485.9; Spagna
385.1, Grecia 321,0 e Danimarca 176,5.
69
Dall’analisi dei dati emerge che il Nord Europa ha attratto la gran parte degli aiuti;
l’Est Europa è praticamente assente, mentre il Sud Europa evidenzia elementi critici
soprattutto in Spagna e Grecia.
Si segnala che i dati relativi all’Italia (200,3 md euro) e Grecia evidenziano
rispettivamente discrasie tra le autorizzazioni complessive, 133 md di euro, e gli
impieghi, 208,3; altrettanto per la Grecia che a fronte di autorizzazioni per
149,8 md di euro, evidenzia impieghi per 321,0). Di tali discrasie, peraltro, non
si conosce la motivazione.
70
Aiuti di stato approvati -dati Eurostat
71
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Aiuti di stato utilizzati-Eurostat
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77
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Cap VI
Modifiche al sistema di interventi a favore delle banche
Dopo la crisi del 2008, in Europa c’è stato un turbinio di innovazioni nel settore
bancario: innanzitutto, sono stati recepiti gli Accordi di Basilea 2 e 3, che ribaltano
i precedenti principi contabili, ritenuti pro-ciclici, responsabili di una sorta di
esasperazione del ciclo al rialzo dei titoli e del credito a leva. È stata istituita l’Eba,
che ha poteri normativi in ordine ai criteri prudenziali di capitale e liquidità e che
effettua gli stress test sui bilanci bancari al fine di valutarne la resilienza nel caso di
ipotetici scenari traumatici. Sono stati attribuiti alla Bce i poteri di sorveglianza
unificata sulle banche di rilievo sistemico dei Paesi aderenti all’euro, con la istituzione
di una vigilanza sostanzialmente autonoma e indipendente dal Board dei Governatori.
È stata varata la direttiva europea Brrd sul risanamento e la risoluzione che
individua i poteri delle autorità nazionali e le procedure da seguire per il bail-in, la
strategia secondo cui pur in modo graduato sono penalizzati dal default gli azionisti,
gli obbligazionisti non garantiti e i depositanti oltre i 100 mila euro. È stata varata
la direttiva sulla tutela dei depositi, che però non si è completata a livello di sistema
coordinato all’interno dell’Unione, per cui oggi ogni sistema bancario nazionale è
responsabile della garanzia dei depositanti fino a 100 mila euro.
Infine, c’è stato l’Autodafè della Commissione il 1° agosto del 2013, con la
“Comunicazione sul sistema bancario”, che ha stabilito le nuove linee guida, bailin e burden-sharing, cui si atterrà nel giudicare e rendere ammissibili gli eventuali
aiuti di Stato al settore bancario.
1.Il meccanismo di vigilanza unica (MVU o Ssm)
La crisi finanziaria iniziata nel 2007 ha palesato la necessità di armonizzare in tutta
l'Unione europea, e soprattutto nella zona euro, la regolamentazione delle attività
bancarie e la vigilanza su tali attività. La crisi ha rivelato in particolare che un'errata
79
valutazione dei rischi da parte del settore bancario può compromettere la stabilità
finanziaria di interi Stati membri. Nel giugno 2012 il Consiglio europe, nell’ambito
dell’EBA, ha pertanto deciso di «spezzare il circolo vizioso tra banche e debito
sovrano», attraverso un progetto di Unione bancaria che garantisca un approccio
sistemico alle crisi finanziarie nell’Eurozona. L’ elemento portante di tale progetto è
il Meccanismo di vigilanza unico (MVU), che assegna alla Banca centrale europea la
vigilanza bancaria diretta, al fine di garantire che le maggiori banche europee siano
soggette a una vigilanza indipendente sulla base di norme comuni.
Nel marzo 2013 Parlamento e Consiglio hanno raggiunto un accordo politico sulla
realizzazione del primo pilastro dell'Unione bancaria, il Meccanismo di vigilanza unico
(MVU), che copre tutte le banche della zona euro. Possono partecipare all'MVU anche
gli Stati membri non appartenenti alla zona euro che lo desiderino. Il Meccanismo di
vigilanza unico, operativo dal 4 novembre 2014, fa capo alla BCE ed è competente
a esercitare la vigilanza diretta sulle banche di maggiori dimensioni e su quelle più
significative (129 entità al gennaio 2016), mentre le autorità nazionali di vigilanza
continueranno ad occuparsi della vigilanza su tutte le altre banche, sotto la
responsabilità ultima della BCE. I criteri per determinare se una banca deve essere
considerata significativa — ed essere quindi sottoposta alla vigilanza diretta della
BCE — sono definiti nel regolamento MVU e nel regolamento quadro MVU e si
riferiscono alle dimensioni, alla rilevanza economica e alle attività transfrontaliere di
una banca, nonché alla necessità di un sostegno pubblico diretto. In funzione
dell'evoluzione di tali criteri, il numero effettivo di banche sulle quali la BCE esercita
una vigilanza diretta può pertanto variare nel tempo; inoltre, la BCE può decidere in
qualsiasi momento di classificare come significativa una banca per garantire
l'applicazione coerente di standard di vigilanza elevati.
Per evitare un potenziale conflitto di interessi, norme chiare disciplinano la
separazione organizzativa e operativa delle funzioni della BCE rispettivamente nel
campo della vigilanza e della politica monetaria.
80
La nuova sorveglianza bancaria europea assicura alla Bce di ottenere maggiori
informazioni, permettendo all'Istituto di distinguere con maggiore facilità le banche
dotata di scarsa liquidità da quelle insolventi.
Il Meccanismo di vigilanza unico (MVU o Ssm) esercita la vigilanza diretta su 129
gruppi bancari significativi, che rappresentano l’82% (in termini di attivi) del
settore bancario dell’area dell’euro. Inoltre, per gli altri 3.500 enti creditizi la BCE
definirà gli standard di vigilanza e ne verificherà l’applicazione, collaborando
strettamente con le autorità nazionali competenti nella vigilanza di tali enti.
Una delle tappe fondamentali per la realizzazione del meccanismo di vigilanza
unico è rappresentata dagli "Stress Test", una valutazione approfondita effettuata
dalla BCE per verificare la tenuta dei bilanci bancari in scenari avversi. Gli Stress
Test fanno parte di una valutazione più ampia, il cosiddetto "comprehensive
assessment", che si compone anche di un’analisi dei rischi a fini di vigilanza (cioè una
revisione della posizione di liquidità, del livello di indebitamento e della raccolta fondi)
e di un’analisi sulla qualità degli attivi degli istituti (la cosiddetta "asset quality
review", "AQR"), intesa a migliorare la trasparenza delle esposizioni bancarie. In
pratica, viene analizzato il capitale di ciascuna banca per valutare le risorse che la
banca può eventualmente utilizzare nel caso in cui si verifichi la necessità di dover
assorbire perdite improvvise determinate da una crisi economica.
La soglia di capitale minimo da raggiungere per superare gli stress test è fissata da
una percentuale che viene calcolata considerando tutte le attività della banca pesate
per il rischio, attualmente pari al 5,5 per cento di tutte le attività pesate per il
rischio. Entro il 2016 questa quota dovrebbe raggiungere l’8 per cento. Uno degli
obiettivi principali degli stress test è sostanzialmente migliorare la fiducia reciproca
all’interno del sistema finanziario in modo da rendere più agevoli i prestiti tra banche.
Tutti i Paesi dell’area euro, e di conseguenza i loro istituti bancari, rientrano di diritto
sotto il cappello della vigilanza unica. Ma in riferimento a quest’ultimo punto ci saranno
81
due classi di banche: quelle significative e quelle meno significative. Per le prime,
circa 120 (rappresentanti di 1.200 soggetti), la supervisione sarà diretta. Per le
seconde, circa 3.700, la Bce agirà in collaborazione con le autorità nazionali
competenti.
.
Il Ssm avrà il potere di acquisire - nell’arco di pochi giorni nel caso la situazione non
fosse emergenziale, nell’arco di poche ore nel caso lo fosse - la vigilanza verso anche
le banche sorvegliate dalle autorità nazionali competenti.
2. Meccanismo di risoluzione unico (MRU o SRM)
Al Meccanismo di risoluzione unico (MRU), spetta la predisposizione di misure
qualora si verifichi lo scenario meno favorevole, ossia il dissesto di una banca,
82
per garantire che la situazione possa essere gestita in modo ordinato, a un costo
minimo per i contribuenti.
Con regolamento UE/2014/806, pienamente operativo da gennaio 2016, è stato
introdotto il Meccanismo di risoluzione unico delle banche e delle società di
intermediazione mobiliare (SIM) che prestano servizi che comportano l’assunzione di
rischi in proprio (Single Resolution Mechanism, SRM), complementare al Meccanismo
di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism - SSM) con l’obiettivo di preservare
la stabilità finanziaria dell’area dell’euro mediante una gestione centralizzata delle
procedure di risoluzione.
È altresì prevista l’istituzione di un Fondo di risoluzione unico per il finanziamento
dei programmi di risoluzione (Single Resolution Fund, SRF) alimentato dai contributi
degli intermediari dei paesi dell’area dell’euro con un piano di versamenti distribuito
in 8 anni, senza utilizzo di denaro pubblico.
Il sistema è formato dalle Autorità nazionali di risoluzione (National Resolution
Authority, NRA) e dal Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board, SRB),
un’agenzia europea per l’esercizio delle funzioni di risoluzione, nel cui board sono
presenti anche i rappresentanti delle autorità nazionali.
Il sistema di risoluzione unico dovrà assicurare, dal 1° gennaio 2016, la gestione
ordinata
delle
crisi
delle
banche
c.d.
significative
o
con
operatività
transfrontaliera nell’area dell’euro e delle principali SIM, superando i problemi
determinati dalla frammentazione delle procedure su base nazionale.
Il Comitato di risoluzione unico assumerà le decisioni in merito ai piani di risoluzione
e all’avvio della risoluzione e individuerà le azioni più idonee al raggiungimento degli
obiettivi fissati dalla disciplina comunitaria. Le autorità nazionali di risoluzione, oltre
a partecipare alle decisioni del Comitato, sono responsabili dell’attuazione delle
concrete misure di risoluzione.
Le Autorità nazionali di risoluzione rimangono altresì responsabili della gestione delle
crisi degli intermediari meno significativi. Nello svolgimento di tali attività le NRA
83
agiranno nell’ambito di orientamenti e linee guida stabiliti dal Comitato di risoluzione
unico che, in casi eccezionali, potrà esercitare poteri di sostituzione assicurando
l’effettiva unitarietà del Meccanismo.
Mentre il Meccanismo di risoluzione unico è attivo dal gennaio 2016, il Fondo di
risoluzione unico raggiungerà il livello-obiettivo di finanziamento soltanto nel
2023. I membri della zona euro partecipano automaticamente all'Unione bancaria. Gli
altri Stati membri possono aderirvi.
3.Direttiva sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi (BRRD)
La direttiva sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi (BRRD), approvata
dal Parlamento nell'aprile 2014, fissa le nuove norme applicabili in caso di
risoluzione bancaria. Essa prevede modalità che permettono la risoluzione degli
istituti bancari in sofferenza senza la necessità di un salvataggio da parte dei
contribuenti, applicando il principio in base al quale le perdite devono essere
innanzitutto poste a carico degli azionisti e non ripianate con fondi pubblici.
Nell’evitare di addossare i costi delle crisi ai contribuenti, le nuove norme europee,
in vigore dal 1 gennaio 2016, li fanno ricadere in primo luogo sugli azionisti e sui
creditori della banca (il cosiddetto bail-in).
I sistemi di garanzia dei depositi (DGS) sono sistemi istituiti in ciascuno Stato
membro per rimborsare i depositanti (fino a un limite stabilito) qualora la loro banca
sia in dissesto e i depositi diventino indisponibili.
Tutte le banche devono aderire a uno di tali sistemi. Le banche aderenti versano
contributi in base ai rispettivi profili di rischio e ad altri fattori. Il sistema di
garanzia accumula i contributi in un fondo.
84
Quando una banca è in dissesto e i depositi diventano indisponibili, i sistemi di garanzia
devono essere in grado di rimborsare i depositanti titolari di qualsiasi tipo di deposito
protetto dalla direttiva.
Secondo la normativa, tutti i depositanti, siano questi persone fisiche o società, hanno
diritto alla protezione dei loro depositi fino a un importo di 100 000 EUR per banca
da parte del sistema di garanzia cui aderisce la loro banca.
Sono inoltre protetti i seguenti depositi:

i regimi pensionistici delle piccole e medie imprese

i depositi delle autorità pubbliche aventi bilanci inferiori a 500 000 EUR

i depositi superiori a 100 000 EUR per taluni scopi abitativi e sociali
I sistemi di garanzia sono inoltre in grado di finanziare la risoluzione delle banche (in
base alle norme dell'UE sul risanamento e la risoluzione delle banche) e, a condizioni
rigorose, di evitare il dissesto di una banca.
I fondi dei sistemi di garanzia dei depositi provengono dal settore bancario. L'entità
delle somme è determinata in parte dal profilo di rischio della banca: quanto più
elevati sono i rischi da essa assunti, tanto maggiore è il contributo che deve versare
al fondo.
Entro il 2025 il livello di tali fondi dovrebbe essere pari allo 0,8% dei depositi coperti
in ciascuno Stato membro.
I fondi sono investiti in attività a basso rischio in modo da essere disponibili in caso
di dissesto o probabile dissesto di una banca. Inoltre i sistemi di garanzia dei depositi
possono concedersi reciprocamente prestiti in caso di necessità e a determinate
condizioni.
Le procedure da seguire per il bail-in si applicano seguendo una gerarchia la cui
logica prevede che chi investe in strumenti finanziari più rischiosi sostenga prima
degli altri le eventuali perdite o la conversione in azioni (cfr. grafico). Solo dopo aver
esaurito tutte le risorse della categoria più rischiosa si passa alla categoria
successiva.
85
In primo luogo, si sacrificano gli interessi dei “proprietari” della banca, ossia degli
azionisti esistenti, riducendo o azzerando il valore delle loro azioni. In secondo luogo,
si interviene su alcune categorie di creditori, le cui attività possono essere
trasformate in azioni – al fine di ricapitalizzare la banca – e/o ridotte nel valore, nel
caso in cui l’azzeramento del valore delle azioni non risulti sufficiente a coprire le
perdite.
Ad esempio, in caso di bail-in, chi possiede un’obbligazione bancaria potrebbe veder
convertito in azioni e/o ridotto (in tutto o in parte) il proprio credito, ma solo se le
risorse degli azionisti e di coloro che hanno titoli di debito subordinati (cioè più
rischiosi) si sono rivelate insufficienti a coprire le perdite e ricapitalizzare la banca,
e sempre che l’autorità non decida di escludere tali crediti in via discrezionale, al fine
di evitare il rischio di contagio e preservare la stabilità finanziaria.
L’ordine di priorità per il bail in è il seguente: i) gli azionisti; ii) i detentori di altri
titoli di capitale, iii) gli altri creditori subordinati; iv) i creditori chirografari; v) le
persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di depositi per l’importo
eccedente i 100.000 euro; vi) il fondo di garanzia dei depositi, che contribuisce al
bail-in al posto dei depositanti protetti.
Il legislatore europeo ha adottato il cosiddetto “approccio legale” al bail-in, per cui
queste misure devono potersi applicare anche agli strumenti già emessi e già oggi in
possesso degli investitori.
Conclusioni
86
In breve, il percorso storico e le conclusioni che evidenziano i passaggi
fondamentali della degenerazione finanziaria da cui è discesa la crisi.
1986
Con l’Act del 1980, negli Usa è stabilito che entro sei anni si sarebbero dovuti eliminare
i limiti ai tassi di interesse (‘Regulation Q’) applicabili sulle varie forme di raccolta
e sui prestiti. Veniva così, in definitiva, abolita la normativa che regolava i tassi
massimi che le banche potevano accordare sui depositi bancari, uno degli strumenti di
controllo della liquidità messi a disposizione del Federal Reserve System.
La
Regolation è stata abrogata definitivamente il 31 marzo 1986.
1999
Con la deregolamentazione bancaria che sfocia nel 1999 nell’abrogazione dello Glass
Steagall Act, (la legislazione varata all’indomani della Grande Crisi del 1929), si
afferma incontrastato, per primo in Usa, il sistema “finanziocentrico” e di finanza
creativa, quale modello occidentale. Il modello di banking che emerge denominato
‘originate to distribuite, getta le basi per lo sviluppo di nuovi prodotti finanziari
che, assieme alle politiche monetarie espansive adottate dalla Federal Reserve in
seguito allo scoppio della bolla dei titoli tecnologici del 2000, accrescono la liquidità in
circolazione e un basso livello dei tassi. In contemporanea si afferma la “finanza
ombra” formata da varie entità che operano come banche senza esserlo. Molti sono
fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. Il maggior pilastro di essa
sono però le società di scopo create dalle banche stesse, chiamate Veicoli di
investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli per scopi speciali (Spv) e simili.
2004
Dal giugno 2004 la Federal Reserve, in contrasto alle spinte inflattive, cambia
corso, imponendo una stretta creditizia. Come risposta, gli operatori finanziari
87
s’impegnano in mercati sempre più rischiosi come quello dei mutui subprime, poi
cartolarizzati in prodotti derivati e scambiati tra le istituzioni finanziarie di tutto il
mondo.
La cartolarizzazione dei crediti (Securization) è un'operazione finanziaria che consiste nella cessione a titolo
oneroso di un portafoglio di crediti pecuniari o di altre attività finanziarie non negoziabili, individuabili anche in
blocco, capaci di generare flussi di cassa pluriennali.
I crediti vengono ceduti da una o più aziende (Originator) ad una società-veicolo (SPV) che, a fronte delle
attività cedute, emette titoli negoziabili da collocarsi sui mercati nazionali o internazionali. La cartolarizzazione
è una cessione di credito pro soluto. L'azienda cedente non deve pertanto fornire garanzie alla società veicolo
in caso di mancato pagamento da parte dei debitori.
La massa di crediti adeguatamente impacchettati e strutturati dalle primarie
banche d’affari venivano ceduti “pro soluto” come titoli ad altissimo rating ai
cosidetti investitori istituzionali tra i quali le banche commerciali, le società di
assicurazioni, i fondi pensione, i fondi di investimento e le SIV. Se nel 2000 il valore
nominale dei titoli derivati si attestava a 100 mila miliardi di dollari, alle soglie
della crisi del 2007 tale valore, secondo alcune stime, avrebbe raggiunto una cifra
sei volte superiore, pari a undici volte il Pil mondiale.
L’eliminazione della legislazione del 1933 (Glass Steagall Act) incoraggia le banche
a emettere prestiti senza che il beneficiario soddisfi le famose ‘tre C’ :
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– il collaterale (l’oggetto posto a garanzia del debito),
- la storia creditizia,
- e la capacità di ripagare il debito.
La sottoscrizione dei crediti vengono a dipendere dalla valutazione del rischio,
ossia dalla probabilità che i crediti elargiti siano riscossi, complici le società di rating
che regalano ad amici e parenti le famose “A”, anche perché coinvolte esse stesse nelle
società valutate, e venduti alla clientela di tutto il mondo, con le conseguenze globali
che si sono osservate.
In estrema sintesi gli istituti di credito, complici governi e Parlamenti, hanno
generato un moltiplicatore di crediti avulso dalle condizioni di cautela richieste
(percentuale riserve), sia direttamente che attraverso le altre istituzioni
finanziarie ed in particolare le Siv, super Siv e società assicurative, fino a crollare
su se stesse nel momento in cui i crediti non sono stati piu’ esigibili. Ma, data la
funzione salvifica delle banche per le società sviluppate, è stato necessario correre
ai ripari attraverso l’intervento dello Stato, soprattutto: nazionalizzazioni, fondi
di salvataggio creati con contributi degli Stati e aiuti di stato.
Le società liberali e liberiste ancora una volta rispolverano le teorie Keynesiane
per salvarsi. Ma a pagare, come in qualunque “schema Ponzi”, sono stati i cittadini
sia come contribuenti che, piu’ recentemente, come clienti delle banche.
Peraltro bisogna dare atto che le scelte di politica monetaria e di finanza pubblica
adottate dagli Usa, dal Giappone e dal Regno Unito sono state coerenti con
politiche di sostegno a favore sia degli istituti finanziari che dell’economia reale,
per un obiettivo finale che è stato ed è di sostegno ai livelli occupazionali.
Nell’Europa continentale, al contrario, i dogmi di Mastrict sono rimasti intoccati
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e intoccabili per essere poi solo parzialmente rettificati nel dicembre 2015
(quantitative easing).
In effetti la Bce, fino a questa data, adottando misure non convenzionali di politica
monetaria, il cosiddetto credit easing, ha privilegiato l’offerta di liquidità alle
banche, al fine di contenere la contrazione dell’erogazione di credito, ma ha
sterilizzato la base monetaria mantenendo lo stock di liquidità. Queste scelte sono
state affiancate da politiche fiscali rigorose che hanno contribuito a contrarre i
livelli di crescita …il tutto per un obiettivo che è rimasto il controllo dei prezzi (in
recessione e deflazione??!).
I vincoli posti al bilancio, la mancanza di liquidità, costantemente sterilizzata e
sottratta alla collettività, hanno salvato le banche ma al prezzo di contrarre
sviluppo e crescita soprattutto nei Paesi del Sud Europa, contrassegnati da elevati
tassi di disoccupazione che diventano eccezionali nella fascia giovanile alla quale
viene, nei fatti, negato un futuro.
Quello che rimane difficile capire di questo excursus è l’obiettivo finale.
In un periodo caratterizzato da deflazione e recessione si sono, infatti, scelti
strumenti sostanzialmente recessivi come una politica fiscale e monetaria
restrittive, penalizzanti soprattutto per quei paesi che non hanno potuto
incrementare la liquidità tramite il canale estero. La Germania, ad esempio,
caratterizzata da esportazioni a domanda rigida, ha aggirato i limiti posti alla
liquidità proprio tramite questo canale, incrementandola oltre il consentito (ha
superato l’attivo delle partite correnti e per questo sanzionata, senza però
risultato) e con cio’ contribuendo a superare i rigidi limiti imposti. Per la gran
parte dei paesi euro cio’ non è stato possibile con le conseguenze analizzate.
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Che cosa si è voluto difendere visto che un decremento del pil ha aggravato sia il
debito (debito/pil) che il deficit, comportando (patto di stabilità) nuove misure di
contenimento della spesa pubblica con spirali negative sull’economia reale??!!.
E poi ancora: perché non si è cercato di modificare nella sostanza la normativa
europea relativa agli istituti di credito, distinguendo di nuovo, come dopo la crisi
del ’29, le banche di affari da quelle commerciali ?!..
In effetti si sono introdotte misure di controllo delle Banche (leggi Eba, etc..) e
applicato il principio in base al quale le perdite devono essere innanzitutto poste
a carico degli azionisti, obbligazionisti e depositanti e non ripianate con fondi
pubblici, ma non si è posto mano alle cause all’origine del disastro finanziario che
sono state ampiamente descritte nel testo.
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