STORIA DELLE TEORICHE TEATRALI, modulo 1 1. Descrizione del

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STORIA DELLE TEORICHE TEATRALI, modulo 1
1. Descrizione del corso:
Il corso sarà dedicato all’esplorazione critica del contributo metodologico e concettuale delle
teoriche teatrali al pensiero moderno del teatro, da Aristotele fino a Nietsche. Da Aristotele ai
nostri tempi, il teatro è stato oggetto d’indagine teorica e il corso sarà dedicato
all’esplorazione storica del mutamento del pensiero d’Aristotele, tramite il rinascimento
italiano e il classicismo francese, fino alla fine dell’ottocento. I principi generali saranno
spesso dedotti o illustrati con esempi d’opere o di spettacoli specifici, intrecciando la teoria
con la critica o con la recensione. Lo scopo del corso è di tracciare la storia delle teoriche
nella convinzione che esse contribuiscano a chiarire il rapporto tra teatro e le teoriche teatrali.
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Le radici: Aristofane, Platone, ed altri greci classici;
Aristotele, Poetica, introduzione;
Aristotele, Poetica, seconda parte,
Analisi della tragedia greca secondo Aristotele: Orestea, Aiace, Edipo Re, Ippolito;
Teoria romana e tardo classica;
Teoriche del rinascimento italiano;
Teoriche del classicismo francese;
Lessing e la nuova tragedia borghese;
Teoriche del primo ottocento: Schiller, Hegel;
Teoriche del tardo ottocento: Wagner, Nietsche;
Fine dell’ottocento e il naturalismo;
Ibsen, Casa di bambole.
Bibliografia:
- Aristofane, Le rane, introduzione e traduzione di Guido Paduano, Milano, Rizzoli 1998;
- Aristotele, Poetica, introduzione di Diego Lanza, Milano, Rizzoli 2007;
- G. Agamben, Poesis e praxis, in L'uomo senza contenuto, Macerata, Quodlibet 1994, pp.
103-143;
- M. Carlson, Teorie del teatro. Panorama storico e critico, Bologna, Il Mulino 1997, pp. 31-43,
59-79, 113-135; 189-225; 277-301.
- Varie dispense on-line
Testi teatrali (obbligatori):
1.
Eschilo, Orestea
2.
Sofocle, Edipo Re
3.
Sofocle, Aiace
4.
Euripide, Ippolito
5.
Racine, Fedra
6.
G.E. Lessing, Emilia Galotti
7.
Ibsen, La casa delle bambole.
1. Introduzione della storia di teoriche teatrali:
Ogni corso è il prodotto del suo tempo, e il mio inevitabilmente riflette gli sviluppi
delle teoriche postmoderne, strutturalismo, studi della cultura, e l'espansione
della teoria di performance, tutte le teoriche che allargano il campo di teatro
come un oggetto di studi interdisciplinari. Piuttosto il mio scopo è stato di
incorporare i risultati dei migliori studi classici e contemporanei. Ma mia
intenzione e anche mettere in rilievo un aspetto particolare di questo argomento
che mi sembra fondamentale:
--la necessita di interpretare le teoriche teatrali in contesto,
-anzi legare le teoriche con il teatro classico e contemporaneo su quali sono
basate;
--analizzare i loro contesti narrative e i contesti sociali;
--misurare la distanza tra fantasia narrativa e interpretazione teorica, tutto questo
mi sembra meritevole d’attenzione.
Quello che voglio fare e indicare fin dall'inizio è quello che sarà una delle mie
tematiche centrali:
il divario e l'interrelazione tra il mondo dei testi teatrali e il mondo di
teoriche.
Da quanto è scritto il primo testo per il teatro, la gente ha sempre provato di
analizzarlo dalle angolazioni estremamente diverse. Normalmente, s’inizierà con
il teatro greco, dove anche prima d’Aristotele e la sua Poetica, l'impulso di
spiegare la tragedia e il teatro era una caratteristica della società greca. Uno dei
nostri scopi, sarà di capire come il poeta tragico affrontava il suo compito,
creando drammi adatti all'occasione, come sceg lieva suo materiale dalla storia o
dalla legenda; come adoperava i propri personaggi, quale ruolo svolgeva nella
sua opera il pensiero religioso o filosofico.
Il primo esempio di narrazione convincente e l' Odissea, un intrecciarsi
estremamente persuasivo di storie credibili e di voci narrative contrastanti. Se
escludiamo il narratore omerico, il più abile manipolatore di storie era Odisseo
stesso. Come Scheherezzade, anche Odisseo racconta storie per
sopraviverre. Esse celano, o rivelano, la sua identità. Innanzi tutto, pero
devono essere credibili, che in Grecia era la prima legge di arte.
Le opere di un altro abile artefice di storie, Erodoto, ci danno un'idea
dell'immensa varietà di materiale in circolazione del V secolo. Ci sono
straordinarie storie di viaggiatori che parlano di licantropi (4.105) e di formiche
giganti (3.102); racconti di luoghi esotici come la Scizia e l'Etiopia; cronache della
fondazione delle colonie; raffinati aneddoti su personaggi carismatici come
Solone, Creso e Policrate; versione opposte sul passato dei Greci... da tutte
queste voci, lo storico costruisce il proprio credibile racconto, ora
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accettando, ora distaccandosi dalle cose: »Il mio compito e di raccontare ciò
che dice la gente, ma non sono affatto obbligato a crederci.«
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Le diverse posizioni assunto da un storico-narratore—da »ho visto« a »si dice« -ci fanno capire dove si trovi l'attento osservatore in mezzo a questa polifonia di
voci contrastanti.
Il Simposio di Platone (427-347 a.c.) narra un episodio della vita di Socrate
quando il filosofo prende parte ad un convito in cui i partecipanti fanno l'elogio
dell'amore. Grazie ad una serie di quadri, viene creata una distanza tra il convito
e il lettore/ascoltatore: prima un certo Apollodoro viene istigato da uno suo
amico, da cui non viene detto il nome, a raccontare ciò che è successo. Il
banchetto ebbe luogo, secondo Apollodoro, un po di tempo prima, ma oramai lo
sa descrivere bene perché solo due giorni prima, dice, ne aveva parlato a
Glauco. A Glauco aveva riferito, spiega Apollodoro al suo amico, che aveva
saputo questo incontro da un certo Aristodemo, che era stato presente. Glauco,
da parte sua, n’aveva sentita una versione da qualcuno che l'aveva sentita da
Fenice, il quale l' aveva appresa a sua volta da Aristodemo. Per finire, tra i
racconti narrati al Symposion c'è una descrizione dell'amore che Socrate dice di
avere sentito da una donna chiamata Diotima. Non esiste forse un altro brano di
letteratura greca che utilizzi in modo più complesso la struttura del discorso
indiretto, sicuramente non c'è un esempio più chiaro di come si possa creare un'
opera letteraria a partire da un intrecciò di storie.
In questa storia c’è una caratteristica in comune tra la narrativa e la
competizione: la pluralità di voci. Nell'ambito della polis arcaica e classica, in
molteplici d’occasioni, il raccontare delle storie diventava un impresa
competitiva (agon). In una discussione politica, raccontare il passato poteva
essere un mezzo per persuadere gli ascoltatori. Anche nei tribunali, delle versioni
opposte, ma credibili, del passato avevano un'importanza cruciale per coloro che
le raccontavano, potevano perfino decidere della vita o della morte. Un modo per
acquistare credibilità era di ricorrere a paralleli presi da tipi particolari di narrativa,
come storia o favola. Più in generale, chiunque compariva davanti ad una giuria
proponeva un racconto che aveva scopo di convincere. Per discolparsi dalle
accuse mosse contro di lui da coloro che egli considerava dei maldicenti, Socrate
non fece altro che raccontare la propria vita, almeno secondo L'Apologia
estremamente convincente di Platone.
Alla fine del VI secolo si sviluppo un modo di rappresentare i miti che non solo
prevedevano l'esecuzione corale d’adulti, ma che univa a questa anche degli
elementi della declamazione rapsodica; ne risulto una forma di narrazione
mitologica senza precedenti per il grado di coinvolgimento dell'intera polis. La
tragedia ateniese, un genere che influenzo in maniera decisiva il corso della
narrazione mitologica greca, veniva messa in scena in una serie di gare alle
grandi Dionisie. I miti tragici passavano attraverso ili filtro di polis democratica.
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Non c'è da meravigliarsi se ne trattare le leggende i drammaturghi spesso fanno
appello all'orgoglio o al patriottismo degli ateniesi. Atene viene descritta come la
protettrice dei deboli e degli oppressi, la patria della democrazia e della liberta.
Atene compare spesso, come la città democratica di Teseo e viene confrontata
al Tebe autocratica di Creonte (Edipo a Colono); essa è un rifugio per gli
oppressi e i senza patria (Eraclidi, Medea, Edipo a Colono) come, in precedenza,
era stata un baluardo di difesa della liberta Greca (Persiani) e città dove la dea e
il popolo insieme avevano risolto un impossibile dilemma grazie alla persuasione
(Eumenidi). Ma la tragedia ha radici più profonde nella polis, esse non toccano
solo l'immagine che Atene vuole dare di se o alle sue affermazioni
propagandistiche. I dibattiti d’origine e la legittimità della legge (Antigone), sul
migliore ordinamento politico (Supplici d’Euripide), sul ruolo contrastante della
persuasione e della violenza in uno stato, tutto questo dimostra come il dramma
forse influenzato dalla dialettica e dall'eloquenza della città che lo aveva visto
nascere.
L'intero repertorio di leggende dal quale i tragediografi trassero la trama dei loro
drammi era un retaggio comune, un ricco materiale da tutti considerato come
patrimonio sociale, benché le testimonianze contrastanti non ci permettano di
giudicare fine a che pubblico fosse al corrente dei particolari. Non era
sconosciuta l'idea della finzione nel teatro; era usuale nella commedia e nella
Poetica (9), Aristotele accenna ad un'opera d’Agatone come ad una di numerose
tragedia con personaggi e trama inventati. Comunque, è chiaro che tale
esperimento non poteva durare: non fu soltanto per rispetto della tradizione o per
avversione ai cambiamenti che queste storie più o meno conosciute del passato
continuerano a fornire materia alla tragedia, ma sopratutto per la convinzione che
esse costituissero la più ricca fonte di motivi drammatici a disposizione della
comunità.
Quindi la leggenda era la riserva alla quale di solito si rivolgevano i poeti tragici in
cerca di una trama; ma la leggenda gia vista sotto una certa angolatura e
plasmata in una forma determinata. Eschilo, si dice chiamo le sue opere »fette
dai grandi banchetti d’Omero‖, intendendo tutto il corpo dei poemi epici di stile
Omerico, ormai perduto. Abbia Eschilo pronunciato questa frase o no, essa
proclama una verità echeggiata da altri e fondamentale per la compressione
della tragedia greca. Nella Repubblica (595b-c) Platone parla d’Omero come del
»istruttore e guida originaria della bella compagnia dei poeti tragici.«
Aristotele collega strettamente la tragedia con l'epopea, trovando gli stessi
elementi in ambedue. Se immaginiamo l'epopea omerica non come dei versi
sulla pagina, ma come era conosciuta dai greci, cioè come una serie di
narrazione e discorsi declamati, quasi recitati, sia dai ragazzi a scuola, sia dal
rapsodo alla festa, l'affinità tra essa e il dramma diventa più evidente. Le
caratteristiche che sono ben evidenti nell’Iliade: il concetto degli esseri umani,
eroici e umili; intervento degli dei nella vita umana; la dignità dell'uomo e la sua
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impotenza, che contribuiscono al fatto che si può considerare una delle più
grandi tragedie. Non vi può essere preparazione migliore alla tragedia greca che
la lettura dei due poemi omerici: la combinazione della rapida narrazione con il
contrasto del discorso e della replica ci prepara alla struttura delle tragedie.
Le leggende degli dei e degli eroi assumevano di continuo nuove forme, e i poeti
erano gli agenti principali in tale processo. La parola greca poietes significa
artefice, e quando Aristotele descrive il drammaturgo come »artefice di favole«
(Poetica, IX), lo inserisce fra i poeti epici e corali che gia prima di lui avevano
fatto e rifatto i racconti.
Anche se in qualche modo si può affermare che gli ideali ateniesi, per esempio
l'importanza fondamentale attribuita alla discussione persuasiva, non sono
semplicemente impliciti nella tragedia, ma spesso vengono anche esplicitamente
difesi, questo non è tutto: anzi è l'aspetto meno interessante. La cosa più
straordinaria è vedere fino a che punto la tragedia pone degli interrogativi
inquietanti. Interrogativi, per esempio, sull'equità degli dei: come si può
giustificare il comportamento di Apollo nei confronti di Creusa, cosi come viene
rappresentato nello Ione di Euripide, cioè violenza e abbandono. Interrogativi
sulla misteriosità degli dei: che cosa pensare del mostruoso toro che esce dal
mare e uccide Ippolito nel dramma di Euripide? Interrogativi sull'incomprensibilità
degli dei: qual e l'atteggiamento di Zeus nei confronti del destino di Eracle
(Tracchinie) e di Edipo (Edipo re)? Ancor più della mitologia greca in generale, la
tragedia si concentra l'attenzione sulle situazioni estreme: sconvolgimenti
all'interno di una famiglia portati a un livello raramente, o forse mai, raggiunto
nella realtà; dilemmi disperati che devono essere risolti e per i quali non esiste
una soluzione, come nel caso di Agamemnone in Aulide o di Oreste ad Argo.
Tensioni, disordini, interrogativi: è stato detto che la struttura stessa della
tragedia, in cui le azioni d’eroi vengono rappresentate ed esaminate davanti a un
gruppo, il coro – rispecchia la particolarità della presa di posizione narrativa di
questo genere letterario, cosi come la città-stato affronta il passato mitico e lo
rimette in discussione. L'aspetto più rivoluzionario – un paradosso che,
paradossalmente, è perfettamente ragionevole – è il fatto che perfino i valori
dell'ideologia predominante (grecità, atenesità, democrazia, i valori stessi che
rendono possibili questi interrogativi tragici) sono essi stessi sottoposti a
un'indagine critica. Quando l'inettitudine e la superficialità di Giasone, il marito
greco, vengono messe a confronto con la passionalità e la sofferenza di Medea,
la moglie »barbara«; quando la fretta e l'autoritatismo dell'eroe ateniese Teseo
vengono tragicamente rivelati nell' Ippolito; quando nell'Ecuba Odisseo asserisce
di eseguire degli ordini democratici, ma le sue parole suonano cosi vuote; e
allora che la vera voce della tragedia si fa sentire con tutto il s uo sconcentrante
potere.
Come poteva la polis tollerare tale autocritica? Forse perché, dopo tutto, questa
iniziativa non poteva che essere considerata per quello che era, cioè una attività
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ludica. I cittadini a cui avveniva assegnato il ruolo d’attori o che facevano parte
del coro assumevano un'altra identità con le maschere: questo mutamento
andava di pari passo con il fatto che essi recitavano nell'area sacra di Dioniso, il
dio che fa superare i confini. Nonostante la dimensione politica, il teatro
tragico non è l'assemblea democratica. I dibattiti e le discussioni che vengono
messi in scena rappresentano in molteplici modi un'immagine distorta o opposta
del contesto politico.
Il coro, che apertamente incarna la saggezza tradizionale della comunità, e
socialmente marginale, come lo sono gli altri personaggi »neutri«, i portatori di
notizie (»messaggeri«); gli attori recitano la parte di donne che si comportano
con un'aggressività maggiore di quella maschile; gli dei compaiono a fianco dei
mortali, ma allo stesso tempo non sono sottoposti alle stesse leggi morali.
Nonostante, ma anche cause di questa intensa esagerazione fantastica, la
tragedia dimostra, con una forza pari solo a quella dell'Iliade, che delle storie
semplici possono rivelare certi aspetti dell'esperienza umana più strani e profondi
di quelli affrontati in altri campi della cultura greca.
Nel V secolo, tutte le tragedie messe in scena alle Dionisie erano delle opere
nuove, con unica eccezione: la fama d’Eschilo era tale, che dopo la sua morte,
altri potevano rappresentare di nuovo le sue tragedie nelle gare. Questo e
diventata la pratica durante il IV secolo, quando tutte le tragedie gia note erano
rappresentate di nuovo. Infatti, Aristofane lo spiega in Rane, è il punto di
riferimento, perché il Dionisio legge l'Andromeda di Euripide e decide di riportarlo
dall'Ad. L'opinione di Aristotele che la tragedia avrà effetto sia che venga recitata
o letta e il prodotto di un'epoca in qui la parola scritta sta acquistando maggiore
importanza.
Uno delle domande più generali, del rapporto tra mitologia e contesto storico
riguarda le Eumenidi di Eschilo. Sembra evidente che questa opera contenga
almeno due allusioni dirette agli avvenimenti politici dell'epoca. La prima riguarda
l'appoggio risoluto d’Oreste e un'alleanza tra Atene ed Argo. La seconda e la
decisione di Atena di costituire l'Aeropago come tribunale e lo svolgimento
dell'azione e profondamente influenzato della situazione storica contemporanea
di Atene. Il tentativo di trovare una risposta all'insolubile dilemma di Oreste viene
condotto da un gruppo normale di cittadini ateniesi, e l’impressione di una polis
democratica e idealizzata viene confermata quando Atene loda il valore della
persuasione rispetto alla forza, anche se sostenuta da essa, il che riflette un
elemento centrale dell'immagine che l'insieme dei cittadini ateniesi aveva di se.
Nella tragedia c'è spazio per il divario fra ciò la poesia promette e l'effetto
ottenuto: la nutrice della Medea di Euripide, un dramma privo di sollievo, si
lamenta che nessuno sia riuscito a trovare un modo di curare il dolore tramite il
canto, nonostante tutta la bella musica che si sente ai banchetti. Ma è il punto di
vista opposto che viene più spesso rappresentato, come nell'affermazione
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Teocritea che cantare è una cura/un rimedio piacevole (pharmakon) per l'amore,
l'unico rimedio del genere posseduto dall'umanità.
Non meno della sua funzione didattica, il ruolo della narrazione di miti nel
risvegliare le emozioni attiro l'attenzione di coloro che intendevano prendere le
distanze dalla tradizione mitologica per poter osservare quale funzione avesse la
poesia nella società. Il sofista Gorgia, che aveva i suoi buoni motivi per metter in
evidenza il potere persuasivo della lingua, scrisse della capacita del logos di
»mettere fine alla paura, allontanare il dolore, istillare la gioia, accrescere la
pietà.« In Platone, Socrate, non senza ironia, descrisse come »sbalorditivo«,
»stupefacente« l'effetto dei passi che abitualmente i rapsodi sceglievano: il verbo
e ekleptto, che Aristofane aveva gia usato per dare un idea dell'impressione
prodotta sul pubblico dal suo personaggio maestoso e all'anticha Eschilo. Il
giudizio sulla forza emotiva della narrazione varia, naturalmente, in base al punto
di vista morale-filosofico. La diffidenza di Platone è contra-bilanciata dall'opinione
di Aristotele, che riconosce alla narrazione tragica, per lo meno, una funzione
preziosa in quanto suscita un insieme di pietà e timore.
La commedia
La commedia ebbe uno sviluppo meno uniforme della tragedia. Non solo subì
delle lunghe e complesse trasformazioni (rispetto all'incontrastata influenza
esercitata dal grande trio di tragici del V secolo sull'intera tradizione antica
successiva), ma fu anche caratterizzata da una maggiore diversità geografica.
Abbiamo delle testimonianze limitate sull'esistenza di una farsa peloponnisiaca
del VI secolo, le cui regole pare siano state fissate dal siracusiano Epicarmo;
l'importanza che Odisseo ed Eracle sembrano avere avuto nelle sue opere fa
pensare alla presenza di una farsa mitologica, uno dei principali fili conduttori
della commedia greca fin verso del IV secolo. Simili parodie teatrali di temi
mitologici potrebbero aver ispirato i cosi detti vasi Cabirici di Tebe; mentre i vasi,
che con la loro comicità scurrile sono forse un'espressione delle commedie
fliaciche (phlyakes, i buffoni) dell'Italia meridionale, ci lasciano solo immaginare
che cosa abbiamo perso con la scomparsa dei testi stessi.
Le commedie antiche del V e dell'inizio del IV secolo spesso presentavano o
facevano riferimento a personaggi mitologici. Questi potevano comparire di
persona, come nel caso di Dioniso, Eaco, Caronte, ed Eracle nelle Rane di
Aristofane; oppure le loro storie potevano fornire lo spunto per una parodia,
come nel caso di Perseo e di Menelao-in-Egitto nellle Tezmoforiazuse. La scena
pero è collocata sempre in epoca contemporanea e non »all'epoca di mito«. Cosi
possiamo vedere-capire ed imparare tutto sull'Atene di V secolo. Poi, nell'Atene
della fine di IV secolo, la commedia si sviluppo in senso antitetico al genere
teatrale che sarebbe portato ai massimi livelli di Rablais; il maggiore esponente
di questa nuova forma fu Menandro. In queste opere, la mitologia perde
importanza, e talvolta gli dei potevano fare la loro apparizione nel Prologo per
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riassumere la storia, come Pan nel Dyskolos (Il misantropo), Tyche in Caso
(Fortuna), etc.
Quasi contemporaneamente alla fine del V secolo, vennero messe in scena due
opere teatrali che avevano come protagonista Dioniso: le Baccanti di Euripide e
le Rane di Aristofane. Sarebbe difficile insistere troppo sull'importanza del
contrasto tra il dio sorridente e minaccioso della tragedia e il personaggio
altamente comico che porta il stesso nome. La pluralità è una caratteristica
fondamentale della mitologia greca, una caratteristica fondamentale che
potrebbe avere un qualche legame causale con il più generale pluralismo insito
nella polis greca e che sicuramente era alimentata da questo. È giusto,
perlomeno da un punto di vista simbolico, che il migliore esempio di questa
pluralità, il doppio ritratto di Dionisio, appartenga alla democratica Atene. Per
rispondere alla domanda »Come i Greci vedevano Dionisio, bisogna innanzi tutto
specificare il contesto.
LE RANE
Le Rane di Aristofane furono messe in scena 2 anni dopo la morte di Euripide,
nel 404. a.c. Dei vari personaggi che di volta in volta occupano la scena, solo
uno appare sia dall'inizio che alla fine. È Dioniso, divinità protettrice della
tragedia, rappresentato all'inizio della commedia come un ammiratore di
Euripide, che egli vuole andare a riportare dagli inferi. Ammesso finalmente
nell'Ade, il dio sparisce per un po’ della vista degli spettatori (669-673) per
ricomparire dopo poco tempo dentro il mondo sotterraneo, presente in qualità di
ospite nella sala dei banchetti di Plutone, dove è stato invitato per dirimere
un'aspra controversi nata tra Eschilo ed Euripide. Eschilo vive oramai da più di
50 (?) anni ospite onorato con un suo posto a capotavola. E uripide, al suo
ingresso, è appunto andato ad occupare la sedia di Eschilo, con il proposito di
farne uso per un tempo indefinito. Anche se i convitati li presenti (i quali sono
straordinariamente somiglianti a personaggi ateniensi, morti o vivi) hanno
appoggiato la sua decisione, Eschilo non ne vuole proprio sapere. Il lungo e
aspro litigo al quale danno subito la vita i due poeti, discutendo i meriti
contrapposti di ciascuno quale drammaturgo professionista, occupa la seconda
meta della commedia. Ad intervalli regolari il coro attizza il fuoco. Dioniso, in una
serie di »a parte«, vi contribuisce con continui commenti.
Euripide, prendendo per primo l'iniziativa, asserisce la sua superiorità sulla base
della sua abilita professionale (831). La parola chiave è techne, intraducibile
letteralmente se non con attraverso una perifrasi che fonde in uno concetto il
significato moderno di tecnologia e arte. Il servo di Dioniso, parlamentando con il
guardiano della porta d’Ade, percepisce un suono confuso di voci provenienti
dall'interno. È il guardiano gli spiega che succede. Nell'Ade è scoppiata una lite
in pubblico tra i due »artigiani« in gara per il titolo di »maestro di bottega« nel
loro rispettivo mestiere, il che comporta la possibilità di ottenere il premio una
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pensione dallo stato. Questo genere di disordine sociale (stasis) tra i morti
avviene sempre ogni volta che si ammettono degli artigiani. Ecco perché in
questo caso è chiesta la presenza di Dioniso per sistemare il problema, essendo
il dio protettore della tragedia, la sua funzione potrebbe essere quella di un
esperto nel mestiere in questione (762-821): techne e i suoi derivati appaiano
dieci volte in questo passo, collegati con il termine sophos impiegato nel senso di
»abile«.
In questo momento inizia quello che possiamo chiamare la prima teorica
del teatro. Euripide si da la carica con le sue stesse parole. Se ci deve essere
una rissa, in cui i rispettivi meriti inerenti alla lingua poetica, alla musica e »le
stesse membra della tragedia« devono essere storpiati, lui non si tira indietro e
risponderà colpo su colpo. Il coro, assecondando allegramente tutti i due i
contendenti, chiama le Muse Olimpiche perché scendano a sedersi intorno al
ring, cosi che possano godersi il divertimento (876/884). La contesa sarà tra due
tipi di lingua poetica, una »tutta civiltà e delicatezza«, l'altra »buona a far aprire in
due la terra con le sue espressioni che vengono dalle viscere (901-904). Si da il
via. Il tipo umano disegnato da Eschilo ( e qui si indica forse il pubblico) è rozzo,
quello di Euripide gentile (965-7).
E ora è il turno di Eschilo. Lui non si fa pregare a lungo, e dice che il suo rivale è
un tipo d'uomo che egli non può proprio sopportare. Lo sfiderà quindi sui
rudimenti dell'arte. »Qual è il reale fondamento del ruolo del poeta in una
comunità? Dammi una risposta.« La risposta fa riferimento a due principi: una
cosa e la sua destrezza, altra cosa è il suo compito di guida morale e la sua
opera di miglioramento degli esseri umani quali cittadini. Ma è proprio qui che
Eschilo dice che il suo rivale ha sbagliato, lui aveva ereditato da Eschilo delle
figure nobili, alte quanto un palazzo, non degli irresponsabili, ma dei degni
abitanti della polis (1013-1014). Poteva mettere il coturno a dei campioni, e
invece guardate come gli ha ridotti. (indicando il pubblico). Euripide desidera
pero una risposta migliore, chiedendo quel fu mai l'azione che lui ha messo in
scena e che ha prodotto un cosi grande »insegnamento« di nobilita (1019). La
domanda è posta con arroganza e offende il vecchio poeta, il quale esita sino a
che Dioniso non lo incoraggia personalmente, e la riposta che arriva è tale che
far scattare in piedi tutti.
Tuttavia, questa battaglia di battute di spirito e di parole richiede dal pubblico
conoscenze alquanto sofisticate. La discussione si svolge alle raffinatezze della
tecnica drammaturgica. Euripide lancia un attacco contro i prologhi di Eschilo, lo
stile e il contenuto, con una citazione pertinente (1119-1176) ed Eschilo contra attacca con il stesso tono (1177-1247). I paragoni poi scivolano sul campo di
melodia e della metrica, s’ironizza sulla melodia e la metrica di Eschilo, mettendo
allo scoperto la loro monotonia (1262).
Bisogna prendere una decisione. Una competizione come quella che si è svolta
fino ad ora sembra essere affidata solo al caso. Si porta allora una gigantesca
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bilancia per pesare le vite e i meriti di due drammaturghi – una parodia del
episodio omerico imitato a sua volta in una dramma di Eschilo. In effetti, due
poeti non salgono sulla bilancia, sudi essa invece si misura il peso dei loro versi
man mano che vengono posti sui piatti, appena pronunciati dai protagonisti. I
versi sono scrupolosamente pesati. Il vantaggio in quanto a peso spetta senza
alcun dubbio ad Eschilo. Per rianimare la competizione questo ultimo propone di
lasciare che Euripide e tutta la sua famiglia si sistemino su uno dei due piatti,
suggerendo che può anche portare dietro i suoi papiri. Gli basterà pronunciare
un paio di versi e metterli sull'altro piatto per battere il suo avversario (1407-10)
Ma Dioniso è ancora indeciso e si rivolge a pubblico: »Uno lo considero un
intellettuale, con altro mi diverto.« Plutone gli suggerisce che deve scegliere un
vincitore e portarlo via con se. Cosi arriva il momento della prova decisiva, e
prima di affrontarla i due candidati devono essere messi a conoscenza del vero
scopo della visita di Dionisio nell'Ade, specialmente perché il suo interesse
principale non è precisamente di natura estetica. (1418-21).
La lunga contesa finisce in un pareggio. Dioniso pone fine a questa situazione di
stallo annunciando che darà ascolto al suo cuore (psyche) e sceglie Eschilo,
mettendo a tacere il suo affetto per Euripide, da lui espresso all'inizio della
commedia. Il perdente inutilmente gli rinfaccia questo tradimento.
Eschilo si ritira per ultimo banchetto con Plutone e il coro in nove versi loda la
sua acuta intelligenza... (1529-1530).
3.
A prima vista, questo contesto comico, condotto attraverso uno scambio di
citazioni e parodie, potrebbe essere letto come un paragone di stili più che
contenuti. I due poeti sono esplicitamente presentati come ―artigiani‖,
incoraggiano l'opinione seconda la quale il problema è relativo più a come essi
parlano che a cosa dicono. L'iniziativa d’Euripide sembra confermarlo, quando
egli porta la sfida sul terreno della espressione linguistica e dell'insieme del
metro e melodia, anche se egli vi aggiunge i muscoli di tragedia ( 862). Quando
finalmente prende il corpo, il conflitto è identificato da entrambi i poeti, come
anche da Dioniso e il coro, come un conflitto tra virtuosismi contrapposti (872,
882, 896, 1104, 1108) e abilità linguistica (1009, 1114, 1370). Tutti questi esempi
di virtuosismi rappresentano momenti salienti della disputa, ora messi in
connessione con l'eleganza di un poeta ora con la dimensione eroica dell'altro.
Quando pero alla prima occasione Eschilo si fa avanti per sfidare il suo
oppositore, egli formula una proposta che entrambi accettano in buon grado. A
parte l'abilita, il compito principale del poeta è quello di educare. Espresso
nei termini di »miglioramento degli abitanti della città« (1009-1010), si
riproduce in effetti un clichè che descrive il processo educativo, come viene
presentato da Socrate di Platone. Questa interpretazione della funzione di poeta
è presentata nelle Rane, non sotto forma di una delle teorie dei filosofi sofisti, ma
come una opinione condivisa da tutta la società, la quale proprio per questo
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tributa onori a i poeti. Non è certo sorprendente che Euripide condivida questa
concezione. In precedenza egli aveva appunto difeso il suo stile drammaturgico,
ritenendo un metodo efficace per insegnare agli spettatori ad esprimersi
correttamente (955). Gli spettatori, replica Eschilo, sommettono da par te la
questione inerente al 'mestiere' del poeta. Al contrario, l'educazione dei cittadini
si presenta come una delle componenti fondamentali di questa arte.
Nella Repubblica il bersaglio di Platone è la poesia imitativa (cioè, quella che,
attraverso l'imitazione delle passioni, cerca di suscitare le stesse passioni
nell'animo di ascoltatori) e non la poesia semplicemente narrativa. Piuttosto
nell'ultimo libro della Repubblica, Platone ci informa, perché nessuno possa
accusarlo di insensibilità e di rozzezza per aver bandito la poesia della sua città,
che il divorzio fra la filosofia e la poesia era gia considerato a i suoi tempi
qualcosa come una vecchia inimicizia, e per provare la sua affermazione, cita
alcune espressioni poco riverenti che i poeti aveva no rivolto contro la filosofia,
definendola »la cagna che abbaia e guaisce contro il suo padrone,« »la banda
dei filosofi che hanno servito Zeus,« e cosi via.
Sino a questo momento i due poeti presentano un certo patrimonio in comune.
Non mancano segni che ci si trova di fronte ad un conflitto non solo tra 2 stilli, ma
anche tra 2 epoche. Una delle differenziazioni è fortuita, nel senso che il suo
rilievo deriva dalla situazione militare e navale del momento. È stata appena
combattuta e vinta, con gravi costi, la battaglia delle Arginuse. Un'altra battaglia
dovrà essere combattuta, di li a poco, con risultati catastrofici e infine resa della
città. Il momento è difficile, tra i cittadini c‖è grande l'insofferenza nei confronti
della guerra. È possibile che essi si impegnino in un ultimo sforzo? In questo
contesto i precetti che Eschilo da per quanto riguarda la resistenza militare
ricevono un rilievo enorme, in contrapposizione ad Euripide, il »politico«,
portavoce appunto di una soluzione esclusivamente politica.
Ma esistono differenze più profonde, che devono essere imputate ad un
mutamento nel contesto culturale. Eschilo difende strenuamente l'artificialità del
linguaggio eroico, della tradizione arcaica e della condizione semidivina (1060)
dai suoi personaggi, ritenendo queste le caratteristiche appropriate all'importanza
di quello che si vuole comunicare. Uno stille più vicino alla dimensione eroica di
Omero permette di sfruttare appieno l'elemento dell'immaginario mitico tipico
della didattica di tradizione orale. Questo stile appunto richiede l'eliminazione
di tutto quello che c'è di volgare nella vita quotidiana.
Al contrario i drammi di Euripide, separati da un lasso di tempo tra i 40 anni, a
seconda dell'opera presa in considerazione: mostrano una volontà di fare a
meno di questo immaginario. È vero che i personaggi, almeno in nomi non
appartengono alla vita contemporanea. Ma il loro comportamento è al contrario
tipico di tempo presente. Il dibattito porta in luce particolarmente nelle sue opere,
la tendenza di allontanarsi da tematiche politiche a favori di argomenti inerenti
alla vita privata quotidiana (976-77), a come essa si svolga, tra i padroni e i servi,
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a i rapporti più o meno leciti tra i due sessi, alla condizione della infanzia. I miti
trattati dal più anziano dei due diventano nei contenuti quasi dei drammi storici,
con un stile molto formalizzato e una struttura molto rigida. La loro retorica
omerica li rende piuttosto monotoni dal punto di vista drammatico. I personaggi di
Euripide hanno molto di più a comunicare a i spettatori. Euripide si mostra
orgoglioso delle sue monodie, dei veri e propri 'a solo' che mettono in risalto, nel
complesso del svolgimento, la presenza di individualità i cui ruoli non sono dettati
dalla loro collocazione nella società. Le tematiche riguardano il privato, il che
secondo la vecchia poetica starebbe ad indicare la loro risibile banalità. Gli stessi
contrasti si ripropongono sul versante linguistico. La metafora è sempre stata
uno degli strumenti preferiti della critica, e Aristofane non fa eccezione. La sua
terminologia stilistica deriva dalla medicina (942-43), dalla falegnameria (799),
dall'edilizia (801), dalla fabbricazione dei mattoni (800), dalla costruzione dei navi
(824), come anche dell'armeria (818), e persino dagli animali.
Nella scena iniziale della commedia, Dionisio, spiegando i motivi del suo viaggio
nell' Ade descrive il suo intenso desiderio di rivedere Euripide. È accaduto
mentre 'leggevo per mio conto l’Andromeda – primo esempio, nella letteratura
greca, dell'esistenza di un lettore solitario, separato dall'insieme definito come
pubblico di una rappresentazione. La parola detta è memorizzata non ha
un'esistenza fisica (se non in termini di onde acustiche, cosa di cui i greci non
erano certo a conoscenza). La parola scritta e letta si oggettivizza, diventa
qualcosa di separato della coscienza che la crea ed è cristallizata in una
situazione di sopravvivenza fisica. Le metafore impiegate per descrivere le due
varianti rispecchiano il concetto secondo il quale le parole stanno diventando gli
oggetti materiali. La terminologia arcaica aveva descritto il linguaggio umano in
modo sintetico come canto, eloquio, affermazione od anche come il dire e il
parlare.
Nel impianto critico di Aristofane si scopre una tendenza crescente a vedere il
linguaggio come se fosse frammentato in brani (1199), diviso in versi (1239), in
metri (1162-1163), in piedi (1323), in strofe (1281). Questi a loro colta possono
essere pesati e valutati come se fossero monete di valore specifico diverso le
une dalle altre (802, 1367). Possiamo perciò seguire l'ipotesi che questo tipo di
terminologia si sia formato grazie al nuovo uso di considerare la parola come
qualcosa di fisico, un mezzo di comunicazione che per la maggior parte della
popolazione nelle generazioni precedenti aveva agito solo attraverso il parlare e
l'ascoltare.
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