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L’analogia tra mondo e musica...
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L’analogia tra mondo e musica...
L’ANALOGIA TRA MONDO E MUSICA
NEL PENSIERO DI
ARTHUR SCHOPENHAUER
6
L’analogia tra mondo e musica...
CAPA: Arthur Schopenhauer. Pintura de Jules Lunteschütz, 1855.
Ademir Menin
L’ANALOGIA TRA MONDO E MUSICA
NEL PENSIERO DI
ARTHUR SCHOPENHAUER
Primeira Edição E-book
Editora Vivens
O conhecimento a serviço da Vida!
Toledo – PR
2016
L’analogia tra mondo e musica...
8
Copyright 2016 by
Ademir Menin
EDITORA:
Daniela Valentini
CONSELHO EDITORIAL:
Dr. Aldo Vendemiati – PUU - Roma
Dr. José Beluci Caporalini - UEM
Dr. Lorella Congiunti – PUU - Roma
REVISÃO ORTOGRÁFICA:
Daniela Valentini
CAPA, DIAGRAMAÇÃO E DESIGN:
Editora Vivens Ltda
Dados Internacionais de Catalogação-na-Publicação (CIP)
M545l
Menin, Ademir.
L’analogia tra mondo e musica nel
pensiero di Arthur Schopenhauer. / Ademir
Menin. - 1. ed. ebook - Toledo,PR : Vivens,
2016.
94 p.
Modo de Acesso: World Wide Web:
<http://www.vivens.com.br>
ISBN: 978-85-92670-05-4
1. Musica. 2. Filosofia alemã 3.
Schopenhauer, Arthur, 1788- 1860.
CDD 22.ed.193
Rosimarizy Linaris Montanhano Astolphi
Bibliotecária CRB/9-1610
Todos os direitos reservados com exclusividade para o território
nacional. Nenhuma parte desta obra pode ser reproduzida ou
transmitida por qualquer forma e/ou quaisquer meios ou
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A tutti quelli che, con pazienza ed umiltà, si dedicano
alla ricerca della Verità.
INDICE
INTRODUZIONE.................................................................13
CAPITOLO I: LE ARTI BELLE...........................................23
1.1 La musica nel contesto delle arti....................................
23
1.1.1 La scala delle arti........................................................
25
1.1.2 L’architettura...............................................................
33
1.1.3 La scultura e la pittura.................................................
40
1.1.4 La poesia e il suo rapporto con la musica....................
44
1.1.5 La caratteristica peculiare della musica......................
52
CAPITOLO II: IL MONDO E LA MUSICA..........................56
2.1 L’analogia tra mondo e musica......................................
61
2.1.1 Il mondo è Volontà......................................................
63
2.1.2 Il mondo è musica.......................................................
70
2.1.3 La musica e i sentimenti..............................................
74
2.1.4 La musica come immagine della Volontà stessa.........
79
2.1.5 La musica come analoga dell’esistenza umana..........
84
CONCLUSIONE..................................................................87
BIBLIOGRAFIA..................................................................91
12
L’analogia tra mondo e musica...
INTRODUZIONE
Il pensiero di Schopenhauer lascia spesso
trasparire la problematicità della sfera privata della sua
vita, il che è normale in tutti i filosofi e scrittori in generale,
ma che spesso lo porta a elaborare una filosofia di
carattere molto soggettivistico e di tipo deduttivo, nonché
intrisa di pessimismo. Questo è uno dei motivi, se non il
principale, per il quale lui ha ricevuto molte critiche ancora
quando stava in vita, ma principalmente dopo la sua morte,
in modo che le sue opere sono rimaste un po’ dimenticate.
Forse Schopenhauer è più famoso per i suoi aforismi, resi
noti principalmente tramite la sua opera Parerga e
Paralipomena, pubblicata verso la fine della sua vita, nel
1851, che non per la sua filosofia vera e propria, esposta
soprattutto tramite la sua opera principale Il mondo come
volontà e rappresentazione, uscita in pubblico per la prima
volta nel 1818/19.
La sua travagliata vicenda personale lo ha portato
ad essere un personaggio antipatico e scorbutico. La perda
del padre in circostanze poco chiare ha esasperato l’animo
del giovane Schopenhauer. Questo fatto è stato in parte
attribuito alla madre, con la quale ebbe un rapporto poco
lodevole, anche dovuto ai problemi legali riguardanti la
14
L’analogia tra mondo e musica...
divisione dell’eredità del padre di Arthur, il quale era un
imprenditore di successo nell’ambito del commercio.
Infatti,
Schopenhauer
nutriva
sentimenti
contradditori nei confronti dei suoi genitori: verso suo
padre, nonostante esso volesse che il figlio continuasse,
controvoglia, la sua attività imprenditoriale, nutriva un
sentimento di grande stima e ammirazione; grazie a lui, il
giovanissimo Schopenhauer ha avuto la possibilità di
compiere molti viaggi in Europa e di conoscere diverse
lingue, il che gli ha aperto il campo della cultura. Infatti, si
deve riconoscere che il nostro filosofo era una persona di
grande cultura: conosceva bene non solo la cultura del suo
tempo, ma anche quella classica, visto che aveva
padronanza anche della lingua greca e di quella latina.
Questi viaggi della sua infanzia lo hanno portato alla
conoscenza della congiuntura politico-sociale dell’epoca e
di tutta la situazione di miseria che regnava allora. Questa
conoscenza contribuirà alla sua tendenza a vedere il tutto
con uno sguardo pessimistico.
Nei confronti di sua madre, Schopenhauer nutriva
sentimenti di disprezzo e la incolpava, in un certo qual
modo, della morte prematura di suo padre, il quale sembra
sia morto suicida. Il suo rapporto con la madre era
estremamente scontroso e, alla fine, si è limitato solo a
questioni giudiziarie legate alla vicenda dell’eredità.
Probabilmente da questo rapporto difficile con la madre è
dovuto il suo tendenziale disprezzo nei confronti delle
donne in generale, come si può notare in alcuni suoi scritti1.
La filosofia di Schopenhauer è spesso di difficile
comprensione. I suoi due riferimenti storici principali sono
Platone e Kant, ma non si deve pensare che lui faccia
coincidere il suo pensiero con il pensiero di quelli per
quanto riguarda concezioni importanti, come per esempio
la concezione di mondo, di rappresentazione, di volontà, di
idea. Tra queste nozioni, forse quella di “volontà” è la più
1
Cf. A. SCHOPENHAUER, Parerga e Paralipomena, II
vol., cap. 27.
Introduzione
15
difficile da essere capita, data la confusione di termini che
si istaura tra l’accezione tradizionale e quella propria
dell’autore.
Nel tentativo di capire meglio questi termini,
passiamo ora all’analisi di essi, che sono di fondamentale
importanza per la filosofia di Schopenhauer e per questa
dissertazione in particolare, senza i quali non è possibile
una buona comprensione della musica nel suo sistema,
che è il tema principale di questo studio. La difficoltà più
grande che io particolarmente ho avvertito nella
comprensione del pensiero del nostro filosofo è la sua
tendenza all’arbitrarietà, ossia molte cose vengono
desunte da altre senza che si riesca a trovare una
sufficiente connessione logica, il che fa sì che il suo
pensiero diventi poco autorevole e di difficile accettazione.
Forse l’esempio più illustrativo in questo senso è proprio
quello delle arti, dove alcune di esse vengono considerate
meno importanti delle altre; la stessa analogia tra mondo e
musica lascia interrogativi difficili da sciogliere. Le
spiegazioni di Schopenhauer a tale riguardo non
convincono sufficientemente quando si volge uno sguardo
più attento e più approfondito al suo pensiero.
Il
titolo
stesso
dell’opera
principale
di
Schopenhauer,
Il
mondo
come
volontà
e
rappresentazione, ci presenta tre termini importanti e molto
usati durante tutta l’opera. Capire questi termini è di
fondamentale importanza per il nostro scopo. Si tratta di
vedere se il nostro filosofo intende questi termini allo
stesso modo di Kant e di Platone oppure gli usa in altri
sensi o con altre sfumature. Lo stesso Schopenhauer non
si preoccupa molto di dare esplicite chiarificazioni a tale
riguardo e si deve capire le sue intenzioni man mano ci si
addentra nel suo pensiero.
16
L’analogia tra mondo e musica...
Il primo termine problematico è “mondo”2. A questo
termine si ricollegano subito gli altri due, ossia “volontà” e
“rappresentazione”. Questo vuol dire che, per
Schopenhauer, il mondo è spaccato in due tronconi e per
conoscere quello che abbiamo davanti dobbiamo tener
presente questa distinzione. Ovviamente il termine
“mondo” qui va capito nella sua accezione più generica,
come la totalità delle cose alle quali si possa attribuire
un’esistenza.
Per
quanto
riguarda
il
mondo
come
rappresentazione, Schopenhauer tratta a lungo a riguardo
nel primo libro della sua opera principale. In questa parte il
mondo è visto in quanto fenomeno, cioè come l’insieme
degli oggetti dell’esperienza e della scienza. Pertanto, tutto
è sottoposto al principio di ragione sufficiente, dato che
tutto deve passare al vaglio dell’intelletto per essere
accettabile come contenuto conoscitivo. In questo senso,
Schopenhauer accetta la dottrina di Kant a riguardo, ossia
il fenomeno percepito dai sensi viene valutato dall’intelletto
2
Secondo G. Invernizzi, la nozione di mondo in
Schopenhauer è bipartita: da un lato abbiamo il mondo
come rappresentazione e dall’altro lato il mondo come
volontà. Nel primo libro della sua opera principale, Il mondo
come volontà e rappresentazione, il nostro autore tratta del
mondo come rappresentazione, come fenomeno, il quale
costituisce oggetto dell’esperienza e della scienza; in
questo caso abbiamo il dominio del principio di ragione. Nel
secondo libro, invece, tratta il mondo come volontà e come
si può giungere alla cosa in sé. Questa parte del mondo è
dominata dalla lotta, dal dolore, dalla sofferenza e dalla
morte. Anche D. Jacquette è della stessa opinione quando
dice che il mondo di Schopenhauer da una parte si mostra
a noi e dall’altra parte rimane nascosto. (Cf. G. Invernizzi,
Invito al pensiero di Schopenhauer, 52; D. Jacquette,
Schopenhauer’s metaphisics of appearance and Will in the
philosophy of art (Introduction), In: D. JACQUETTE,
Schopenhauer, philosophy, and arts, 2).
Introduzione
17
e riconosciuto come facente parte di una catena causale di
fenomeni; in tal senso, la rappresentazione dipende da due
fattori: non si può pensare l’oggetto senza il soggetto, ma
neanche il soggetto senza nessun oggetto, altrimenti non
ci sarebbe nessuna rappresentazione; non tutto dipende
dal soggetto, visto che anche l’oggetto ha la sua parte
importante. Quindi, il punto importante è proprio il “sinolo”
formato dall’attività conoscitiva tra soggetto ed oggetto,
vale a dire la rappresentazione. Niente passa davanti agli
occhi dell’osservatore che non susciti qualche interesse;
anche l’oggetto compie la sua parte nella costruzione della
conoscenza, in quanto si lascia conoscere dal soggetto.
Così, per Schopenhauer, l’oggetto ed il soggetto stanno
pressoché sullo stesso piano: tutti e due concorrono più o
meno a pari passo nell’ambito cognitivo. La “rivoluzione
copernicana” di Kant sarebbe leggermente mitigata, in
quanto il soggetto e l’oggetto hanno uguale importanza.
Un altro importante concetto nel pensiero di
Schopenhauer è quello di “volontà”. Questo è senza
dubbio il più complesso e quello che più crea confusione
nella comprensione della sua filosofia. Oltre all’accezione
tradizionalmente attribuita a questo termine, ossia la
capacità umana di volere, e quindi intesa come qualcosa
dipendente dalla ragione, il nostro filosofo lo usa in un
modo esclusivamente suo: per lui, “volontà” non ha niente
a che fare con la razionalità, una volta che è la forza cieca
della natura. Questa forza si esprime già nella materia
inorganica. In tal senso, Schopenhauer cambia
completamente il senso tradizionale del termine, il quale è
spesso un concetto legato alla razionalità e che comanda
l’azione umana. Nel dire di Kant, la volontà è la facoltà di
agire tenendo presente la legge morale, vale a dire è la
ragione pratica stessa, quella che formula l’imperativo
categorico3. Il nostro autore, invece, usa il termine anche
3
Cf. I. KANT, Critica della ragione pratica, § 7; Fondazione
della metafisica dei costumi, 57.
18
L’analogia tra mondo e musica...
in questa accezione, però il suo uso principale è quello che
fa coincidere la forza cieca della natura con il termine
“volontà” e, pertanto, come accennato sopra, coincide
“volontà”, grosso modo, con il noumeno kantiano, cioè
quella parte inaccessibile alla ragione umana e detta anche
la “cosa-in-sé” (Ding an sich). Non si può, però, fare un
accostamento ravvicinato delle due concezioni, ossia
quella di noumeno di Kant e quella di “volontà” di
Schopenhauer, senza incorrere in errore. Sta di fatto che
Schopenhauer pretende di essere il continuatore della
dottrina kantiana sul noumeno e colui che la supera,
tramite il concetto di “volontà” come essendo la forza cieca
della natura4.
Con questo termine “volontà” Schopenhauer
intende anche quella parte del mondo fortemente
caratterizzata dalla lotta, dal dolore, dalla sofferenza e
dalla morte degli individui. Diventa un concetto carico di
pessimismo nella filosofia del nostro autore; infatti, nella
seconda metà della sua opera principale, nei libri III e IV,
in tutte e due i volumi, Schopenhauer cerca di trovare una
strada che possa portare alla liberazione dell’essere
dall’oppressione di questa padrona impertinente che è la
volontà: è la via dell’arte (III libro) e dell’ascesi (VI libro);
quest’ultima via non verrà affrontata in questa sede.
Nel tentativo di non creare confusione di termini,
userò il termine “Volontà” nel significato proprio di
Schopenhauer con la lettera iniziale maiuscola; il termine
“volontà” tutto in minuscolo, invece, sarà usato
eventualmente nella sua accezione tradizionale, come lo
intende Kant nella sua dottrina morale.
Un altro concetto importante da capire in
Schopenhauer è quello di “idea”. Riguardo questo
concetto, lo stesso filosofo dichiara di usare il termine
esattamente nella stessa accezione usata da Platone,
come possiamo leggere in I, 154 de Il mondo come volontà
4
Cf. A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e
rappresentazione, I 595-602.
Introduzione
19
e rappresentazione. Per Platone, l’idea è un esemplare
della natura e tutte le cose che esistono non sono altro che
immagini o copie del prototipo. Per Schopenhauer, “idea”
significa l’immediata oggettivazione della Volontà, il
modello o la forma eterna dei singoli oggetti del mondo. In
pratica, i due pensatori hanno lo stesso concetto.
Comunque, non è così facile far coincidere questo termine
nella filosofia di Schopenhauer con quella di Platone,
anche se tutte e due hanno una concezione molto simile
per quanto riguarda lo specifico di questa ricerca, ossia le
arti.
In Platone le arti in genere sono tenute in poco
conto, visto che producono solo imitazioni delle copie delle
Idee; Schopenhauer tende verso questo stesso
atteggiamento, come vedremo, in quanto, nella scala delle
arti, sottovaluta alcune arti e eleva altre, mettendo al grado
più alto la musica, ritenendo che essa sia l’arte più adatta
ad esprime la Volontà stessa, liberando l’essere dal peso
dei concetti. La grande differenza tra i due è che, mentre in
Platone le Idee sono il criterio supremo di verità e bellezza
e, inoltre costituiscono un mondo a sé, in Schopenhauer
quello che dovrebbe corrispondere alle Idee, ovvero la
Volontà, diventa qualcosa di opprimente nei confronti
dell’essere e che deve essere in qualche modo sconfitta.
Qui si percepisce il pessimismo insito nella sua filosofia.
Per Schopenhauer, le due parti del mondo, quella della
Volontà e quella della rappresentazione, costituiscono un
solo mondo, ovvero questo mondo nel quale ci troviamo; in
Platone, abbiamo il mondo delle Idee e il mondo delle
apparenze. Cercare di mettere le due visioni filosofiche
d’accordo è impresa praticamente impossibile. Seguendo
questa logica, si può dire che per Schopenhauer esiste
solo questo mondo e tutto finisce qui, mentre per Platone
questo mondo in cui ci troviamo costituisce solo apparenze
di un altro mondo, quello vero, quello delle Idee.
Anche in questo caso userò il termine “Idea” con la
prima lettera maiuscola, in riferimento alla concezione
20
L’analogia tra mondo e musica...
platonica, mentre il termine “idea”, tutto in minuscolo,
riferendomi all’accezione moderna, ovvero tutto quello che
costituisce l’oggetto del pensiero in generale.
Con questa dissertazione cercherò di capire proprio
questo problema dell’essere e di come Schopenhauer
pensa di risolverlo tramite le arti, ossia propriamente qual
è lo scopo delle arti nell’esistenza umana e perché il
filosofo mette la musica come la principale di esse. Come
vedremo, la ricerca si svolgerà in due capitoli: nel primo,
verrà inquadrata la musica nel contesto delle arti attraverso
un’analisi delle principali arti e il rapporto di ognuna con la
musica stessa; si comincia dall’architettura, posta da
Schopenhauer al gradino più basso, passando tramite la
scultura, la pittura e la poesia per arrivare all’apice della
scala delle arti, cioè la musica. Nel secondo capitolo verrà
affrontata specificamente l’analogia tra mondo e musica e
la funzione della musica nel tentativo di liberare l’uomo
dalla prigionia della Volontà.
Questo studio vuole essere un approfondimento
della teoria estetica di Schopenhauer e un’analisi della
particolare filosofia esposta dal pensatore di Danzica.
Cercherò di esporre i punti principali della sua dottrina in
modo critico. E’ un compito non facile, visto che il nostro
autore ha una bizzarra visione del funzionamento delle arti
nel mondo e lavora molto con l’analogia e con le metafore
per spiegare le sue teorie, il che spesso crea seri problemi
di plausibilità, rendendolo estremamente vulnerabile alle
critiche. Tra l’altro, è stata proprio un’analogia quella che
mi ha ispirato questa ricerca: l’analogia tra il mondo e la
musica.
Tutti i riferimenti riguardanti l’opera principale di
Schopenhauer, vale a dire Il mondo come volontà e
rappresentazione, verranno indicati direttamente nel corpo
del testo, rendendo più comoda la lettura. Questi
riferimenti, indicati per lo più tra parentesi, sono composti
da una prima parte in numeri romani che indica il volume
dell’opera (I o II) e da una seconda parte in cifre arabe che
Introduzione
21
indica il punto esatto del testo chiamato in causa. Tutti gli
altri riferimenti verranno indicati normalmente in calce.
22
L’analogia tra mondo e musica...
CAPITOLO I:
LE ARTI BELLE
1.1 La musica nel contesto delle arti
In questo primo capitolo s’intende chiarire la
posizione della musica nella filosofia di Schopenhauer
attraverso la lettura dell’opera principale dell’autore, ossia
Il mondo come volontà e rappresentazione5, in modo
speciale il terzo libro di essa e i supplementi al terzo libro;
un ruolo importante avranno anche i riferimenti secondari,
i quali comprendono autori italiani e stranieri.
Infatti, nella sopraindicata opera, pubblicata per la
prima volta nel 1818/196, Schopenhauer fa un’interessante
esposizione riguardo le arti in generale. Nonostante la
particolare visione di mondo che ha, conforme già
5
A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e
rappresentazione, Milano, 2006.
6
Il secondo volume dell’opera, ossia i Supplementi al I
volume, appare solo nel 1844 (Cf. G. INVERNIZZI, Invito
al pensiero di Schopenhauer, 5-11).
24
L’analogia tra mondo e musica...
esplicitato nella parte introduttiva, la sua descrizione e
organizzazione delle arti secondo una gerarchia ben
definita è qualcosa da tenere presente e sicuramente di
grande valore per quanto riguarda lo studio di esse nella
loro complessità.
C’è da dire da subito che le arti in Schopenhauer
sono viste come un insieme, cioè una manifestazione
umana e una forma di conoscenza che possono essere
prese come un complesso unitario; l’unico problema è che,
organizzando le arti in una scala di valori, come vedremo
in seguito, il filosofo condanna alcune arti ad occupare un
grado più basso in relazione ad altre, il che ci lascia un po’
perplessi.
Le arti costituiscono una forma di espressione
caratteristica dell’essere umano (I, 315), ma, allo stesso
tempo, cercano di allontanarsi il più possibile dai concetti,
intesi come gli intende Kant, ossia come concetti
dell’intelletto; in esse regna, in gradi diversi, l’intuizione
immediata della Volontà. Tra l’altro, in Schopenhauer la
filosofia non è altro che il tentativo di tradurre in concetti la
conoscenza acquisita nella contemplazione artistica7.
Stando a quello che dice G. Invernizzi, è proprio la teoria
estetica quella che spiega la filosofia del nostro autore8, il
quale possiede vasta e indiscussa conoscenza riguardo le
arti9. Ma riferendosi all’arte, ci sono delle distinzioni da
tener presente.
7
Cf. R. SAFRANSKI, Schopenhauer e gli anni selvaggi
della filosofia, 320-321.
8
Cf. G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer,
173.
9
Cf. D. JACQUETTE, The philosophy of Schopenhauer,
145-146.
Le arti belle
25
1.1.1 La scala delle arti
L’obbiettivo principale di questa sezione è quello di
contestualizzare la musica nell’insieme delle arti, secondo
Arthur Schopenhauer. Per fare questo si procederà alla
descrizione e caratterizzazione delle principali arti belle in
particolare e, possibilmente, il rapporto che ognuna di esse
intrattiene con la musica, per poi arrivare a una
caratterizzazione della musica stessa. Non sarà possibile
abbordare tutti gli aspetti esposti dall’autore riguardanti
ogni arte analizzata, data la vastità degli argomenti che
girano intorno ad ognuna.
Esiste una vera e propria gerarchia delle arti nella
filosofia di Schopenhauer, secondo la quale l’architettura
rappresenta il grado più basso e la musica quello più alto
in assoluto. E’ stato chiarificante per me a tale riguardo
l’esposizione di D. Jacquette, il quale espone con
chiarezza e brevità che Schopenhauer organizza le arti
belle seguendo una scala ascendente in quest’ordine:
architettura, scultura, pittura, letteratura, poesia e
musica10.
Queste distinzioni fanno sì che il filosofo metta le
arti figurative, come l’architettura, la pittura e la scultura da
una parte, relegandole a un ruolo inferiore e, dall’altra
parte, tende a considerare la poesia e la musica come
essendo arti che sfuggono al regno della visibilità e,
pertanto, di maggior pregio. Quanto più libera dai concetti
e dal mondo fenomenico, più l’arte riesce ad esprimersi
come oggettivazione della Volontà. E’ il caso di dire che
Schopenhauer tende a confondere la pesantezza della
materia con il mondo fisico, fenomenico; l’esempio più
adatto in questo caso è proprio quello dell’architettura,
visto che il materiale usato in essa è caratterizzato dal peso
e dalla rigidità. D’altra parte, la leggerezza della materia è
associata al mondo non fisico, come è il caso della musica,
10
Cf. Idem, 151-154.
26
L’analogia tra mondo e musica...
la quale è costituita da suoni che si propagano nell’aria e,
pertanto, leggera, nel senso che non ha pesantezza come
una pietra o un cavallo.
Ovviamente, questo modo di pensare non va
d’accordo con il modo odierno di pensare il suono, il quale
è considerato un evento fisico a tutti gli effetti, come
qualsiasi altro evento appartenente al mondo fenomenico
e, pertanto, costituito di materia. In tal senso, essendo la
musica un fenomeno fisico, anche se caratterizzata dalla
leggerezza della materia, viene considerata appunto come
qualcosa di fisico, alla pari dell’architettura, perfettamente
spiegabile tramite le leggi fisiche.
Il fatto che alcune tra le arti belle siano di carattere
più spirituale che altre, cioè non hanno bisogno di un
supporto materiale così tangibile come le altre, fa sì che
esse si presentino più legate al tempo e meno bisognose
dello spazio. Questo è il motivo per cui le due forme a priori
della conoscenza, vale a dire spazio e tempo, tratte da
Schopenhauer dalla dottrina kantiana, vengono
considerate largamente nel discorso sulle arti: lo spazio è
più necessario alle arti visive, come la pittura e la scultura,
anche se non si esclude il tempo, mentre il tempo si addice
più alle arti non visive11, come la narrativa e la musica.
«L’esperienza di quadri e statue richiede tempo.
L’esperienza di romanzi, drammi teatrali e sinfonie richiede
un tempo rigorosamente preordinato»12.
In tal senso, la musica, essendo un’arte non visiva,
non ha bisogno dello spazio allo stesso modo che succede
Cf. P. KIVY, Filosofia della musica: un’introduzione, 164165.
12
Idem, 165. Secondo il mio parere, queste frasi di
Schopenhauer sono mal formulate, visto che l’esperienza
di quadri e statue può avvenire in una frazione di secondo,
mentre quella della poesia e della musica richiede un
tempo preordinato. In tal senso, le arti figurative,
trattandosi di esperienza sensitiva, sono più “libere” dal
tempo, ma non dallo spazio.
11
Le arti belle
27
con le altre arti; d’altra parte, le arti figurative, le quali sono
strettamente legate allo spazio, hanno meno bisogno del
tempo per essere esperite.
E’ doveroso notare come le due forme a priori,
spazio e tempo, siano così importanti nel mondo
fenomenico, a tal punto da determinare tutta l’esistenza
delle cose fisiche. Ecco perché i due sensi più importanti
presenti nella maggioranza degli esseri viventi, tra i quali
l’uomo, sono la visione e l’udito13, i quali sono strettamente
legati allo spazio e al tempo. Infatti, l’occhio è colpito in un
unico momento14, mentre l’udito ha bisogno di una
successione di suoni nel tempo per poter capire il
messaggio.
Siccome Schopenhauer condivide, almeno in parte,
la concezione platonica di mondo, possiamo dire che lui si
riferisce alle arti belle proprio con questa concezione, dove
le Idee stanno da qualche parte che non in questo mondo
fenomenico influenzato dallo spazio e dal tempo che siamo
abituati a vedere e a sentire ad ogni momento. L’idea, che
non rientra nel principio di ragione (I, 199), va oltre il mondo
dei fenomeni, cioè oltre il velo della Maia (I, 299). L’arte, in
tal senso, è la responsabile del compimento di questo
passo che costituisce un grande salto di qualità dell’essere
umano in relazione agli animali e a tutto il mondo
fenomenico in genere (I, 199-205; II, 415-419), ossia fa sì
che l’uomo oltrepassi la soglia del puramente sensibile15.
13
Non si può certamente tralasciare e disprezzare gli altri
sensi, ma forse è il caso di dire che la visione e l’udito sono
i due sensi più importanti per quanto riguarda la percezione
e l’apprezzamento delle arti.
14
«Ma un quadro, o una statua, sono lì davanti a noi in un
sol colpo» (Cf. P. KIVY, Filosofia della musica:
un’introduzione, 165).
15
C. Janaway analizza la concezione estetica in
Schopenhauer mettendola in relazione con la dottrina
platonica; quello che lascia intendere è che i due filosofi
28
L’analogia tra mondo e musica...
Comunque, si ha l’impressione che Schopenhauer
non faccia altro che esporre in modo diverso la teoria
platonica secondo la quale l’arte è mimesis, ossia
imitazione degli oggetti del mondo sensibile, i quali sono
loro stessi imitazioni del mondo reale, che è quello
dell’Iperuranio o delle Idee, in modo che le arti si
discostano di tre lunghezze dalla verità e, per questo
devono essere bandite dallo Stato ideale, conforme
esposto nella Repubblica16. Da questa concezione di fondo
sembra provenire la scala delle arti proposta da
Schopenhauer, il quale non ha un evidente disprezzo nei
confronti di esse come riscontrato nel pensiero di Platone,
ma si avverte una certa tendenza, a prediligere la musica
come un’arte diversa e superiore rispetto alle altre.
Il nostro filosofo fa coincidere la sua nozione di
Volontà con la nozione di Idea di Platone e con la cosa-insé di Kant. Anche se lui si tiene in un atteggiamento
abbastanza prudente, in un brano della sua opera
principale (I, 199-205) espone questa sua visione dicendo
che, nonostante non si possa dire che queste tre
concezioni sono esattamente omogenee, si arriva allo
stesso risultato; anzi, Schopenhauer è incline ad avvicinare
il suo concetto di Volontà a quello di Idea di Platone e a
quello di cosa-in-sé di Kant, lasciando trasparire che la
differenza tra queste nozioni sono solo sfumature:
Se si fosse mai intesa e afferrata la dottrina di Kant, se
si fosse da Kant in poi inteso e afferrato veramente
Platone, se si fosse meditato con fedeltà e serietà
l’intimo senso e contenuto delle dottrine dei due grandi
maestri, invece di spacciare a destra e a manca i termini
tecnici dell’uno e di parodiare lo stile dell’altro, non si
sarebbe mancato di riconoscere da gran tempo quanto i
non sono concordi pienamente riguardo la metafisica. (Cf.
C. JANAWAY, Self and world in Schopenhauer’s
philosophy, 276-277).
16
Cf. PLATONE, Repubblica, X.
Le arti belle
29
due grandi sapienti concordino e quanto il puro
significato, il punto d’arrivo delle due dottrine sia
esattamente lo stesso (I, 204).
Non si può non notare, comunque, la difficoltà di
comprensione che viene fuori da questi passaggi di
Schopenhauer (I, 199-206). In fondo, se si tratta solo di
sfumature tra la nozione di Idea di Platone, quella di cosain-sé di Kant e quella di Volontà, alla fine non c’era bisogno
di inventarsi un nuovo termine, Volontà appunto, per
esprimere con precisione e chiarezza il suo pensiero
riguardo l’organizzazione del mondo e le arti in genere.
Comunque sia, nella contemplazione estetica,
secondo Schopenhauer, succede qualcosa che sospende
per un momento l’essere dalla catena causale spaziotemporale. Come dice C. Janaway nel passo indicato poco
fa, alla nota 15, è come se ci fosse la celebrazione del
“sabato” in mezzo alla penosa servitù della Volontà; è un
momento di svago, in cui vengono messi da parte i
concetti.17
17
«Aesthetic experience, for Schopenhauer, is
characterized by suspension of the laws of connection
between representations. Using the very perceptual
apparatus produced in us by the will, we can subvert the
will by refusing temporality to see things according to their
law-like connection, as we must do in empirical
consciousness if we are to manipulate things successfully
to meet our ends. Taking no interest in the ends it may
serve for us, we can merely perceive an object for the sake
of perceiving it, and in so doing we experience the object
as unhooked from its spatio-temporal and causal
connections with the rest of the world. Contemplating, say,
a horse in this way brings our mind – according to
Schopenhauer – into contact not merely with a particular
horse, but with the eternal Idea of the horse in general.
And, as before, this state of contemplation is associated
with a release from the torment of life: “we are, for that
moment, relieved of the will’s vile urge, we celebrate a
30
L’analogia tra mondo e musica...
Anche se, nella visione di Schopenhauer, solo
l’ascesi può annullare il dominio della Volontà sull’essere
umano18, sciogliendolo dal paradosso continuo creatosi tra
gli estremi del desiderio/dolore e della noia, le arti
costituiscono un lenitivo alla vita umana, trasportando
l’individuo, principalmente l’ascoltatore di musica, verso
una dimensione più sciolta e “spensierata”, diversa da
quella dominata dai concetti19. Parlando dell’arte in genere,
Schopenhauer dice che essa
arresta la ruota del tempo; scompaiono per essa le
relazioni: solo l’essenziale, l’idea, è il suo oggetto.
Possiamo quindi definirla addirittura il modo di
considerare le cose indipendentemente dal principio di
ragione, in contrapposizione al modo di considerare le
Sabbath from the penal servitude of willing, the wheel of
Ixion stands still”; “it is if we have entered into a different
world, where everything which moves our will and shakes
it so mightily is no more…happiness and unhappiness
have disappeared”». (Cf. C. JANAWAY, Self and world in
Schopenhauer’s philosophy, 276-277).
18
Questo è l’oggetto di indagine di Schopenhauer esposto
a lungo nel Libro IV de Il mondo come volontà e
rappresentazione. Con il termine “ascesi”, l’autore intende
sia quella cristiana sviluppatasi in Occidente che quella
orientale, legata principalmente alla cultura buddhista,
della quale era cultore e possedeva vasta conoscenza.
19
G. Invernizzi, nell’opera già citata sopra, Invito al
pensiero di Schopenhauer, alle pagine 52-53, fa un
riassunto dell’opera Il mondo come volontà e
rappresentazione di Schopenhauer, dove dice che il terzo
libro tratta l’arte come una via di liberazione dal dolore e il
quarto libro riguarda l’ascesi, che è la definitiva liberazione
dell’uomo dal potere della Volontà.
Le arti belle
31
cose che proprio quello segue, e che è la via
dell’esperienza e delle scienze (I, 218) 20.
Tenendo presente questo brano, non si può non
notare una certa difficoltà nella comprensione di quale tipo
di tempo si riferisce Schopenhauer. Dato che la musica
osserva un andamento di tempo che si può dire
matematicamente esatto, sembra che quando il filosofo
parla del tempo in musica e nelle arti in genere, non si
riferisce al tempo meccanico, ma al tempo così detto
“psicologico”. Nella contemplazione artistica, quindi viene
lasciato da parte il cronometro per dare spazio a una
dimensione in cui il soggetto non si accorge del trascorrere
del tempo stesso: la preoccupazione con la cronologia
viene messa da parte per il soggetto in particolare, anche
se l’orologio non si ferma mai. Solo in questo modo si può
interpretare cosa voglia dire Schopenhauer con l’arresto
della ruota del tempo.
Da questa breve esposizione riguardo la gerarchia
delle arti secondo Schopenhauer, si può dedurre che il
criterio di classificazione è da ricercarsi nell’esperienza
estetica stessa, cioè quanto più l’arte è legata alla
materialità, tanto più rimane legata anche al mondo della
rappresentazione o dei concetti; invece, quanto più l’arte si
libera dai concetti, tanto più porta l’uomo verso il mondo
della Volontà. Come esempio del primo caso possiamo
indicare l’architettura; il secondo caso trova piena
conformazione nella musica, la quale è il più alto grado di
oggettivazione della Volontà, cioè la musica, tra tutte le arti,
è quella che meglio riesce a svelare qualcosa da questo
mondo arcano che è la Volontà. Va fatto presente che il
nostro filosofo considera la materia dotata di pesantezza e
rigidità, come per esempio una pietra, come qualcosa di
materiale, mentre la materia dotata di leggerezza, come i
suoni, come qualcosa di immateriale. Come già accennato
Questo brano apparirà un’altra volta all’interno di un’altra
citazione più ampia, conforme verrà segnalato alla nota 40.
20
32
L’analogia tra mondo e musica...
in precedenza, questa concezione non va tanto d’accordo
con la scienza acustica, la quale considera il suono come
un fenomeno puramente fisico. Ma questa gerarchia delle
arti può essere intesa come tale solo all’interno del sistema
filosofico di Schopenhauer, il quale ha per obbiettivo
trovare una via di fuga dall’oppressione della Volontà.
La dottrina estetica schopenhaueriana cerca di
raggiungere proprio questo traguardo, cioè mostrare come
l’arte può liberare l’uomo dall’intreccio del mondo della
rappresentazione e della Volontà, con le sue forme a priori
di spazio e tempo e le categorie della causalità, per
immetterlo in un mondo che va aldilà dalle apparenze. In
questo senso, la Volontà è conoscibile per Schopenhauer
tramite questa via, ovvero la contemplazione del bello,
anche se la mente umana non riesce ad afferrare e a
delimitare questa dimensione.
In seguito analizzeremo nello specifico alcune delle
principali arti belle, cominciando dall’architettura fino ad
arrivare alla sommità della scala, occupata dalla musica.
Le arti belle
33
1.1.2 L’architettura
La prima arte bella ad essere analizzata da
Schopenhauer è l’architettura. Essa viene paragonata da
lui a quella parte della natura, del mondo fenomenico, la
quale è dominata essenzialmente dal regno minerale. La
caratteristica principale di questo regno è la posatezza e
l’apparente immobilità.
Non è un caso che Schopenhauer incominci la sua
riflessione sulle arti belle proprio dall’architettura; essa
viene considerata da lui come il più basso grado di
oggettivazione della Volontà, visto che, nella sua visione,
l’arte deve essere capace di portare il soggetto
all’apprensione immediata di quella che è l’essenza del
mondo, cioè la Volontà. In questo senso, l’architettura non
è capace di contribuire molto alla conoscenza di quel
mondo che va aldilà della rappresentazione, dato che è
troppo legata alla concretezza della materia, vale a dire alle
sue qualità naturali di durezza, rigidità, peso e massa. Con
Schopenhauer, l’architettura è condannata ad occupare il
più basso gradino della scala delle arti belle21.
La concezione di fondo, a mio avviso, è quella
platonica, secondo la quale la materialità esercita una
situazione di oppressione sull’essere, come l’anima che
rimane incatenata nel corpo e non riesce a tornare verso il
mondo ideale, da dove è venuta, finché non si libera dal
corpo, ossia dalla materia. L’architettura, in questo modo,
è l’arte che più esprime questo bisogno di rapportarsi con
la materia e, pertanto, è tanto più prigioniera di essa
rispetto alle altre arti.
Infatti, l’architettura è, prima di tutto, un’arte
caratterizzata
dalla
materialità.
Qualsiasi
opera
architettonica, bella o brutta che sia, deve essere
Cf. M. SCHWARZER, “Schopenhauer’s philosophy of
architecture”. In: D. JACQUETTE, Schopenhauer,
philosophy, and the arts, 277-179.
21
34
L’analogia tra mondo e musica...
letteralmente un “fenomeno”, vale a dire deve apparire agli
occhi di chiunque si presenti come osservatore. D’altra
parte, anche la musica si presenta come un fenomeno,
secondo la concezione kantiana, allo stesso modo
dell’architettura e delle altre arti. Ma credo che sia il caso
di dire che Schopenhauer dispone le arti nella sua scala
usando il criterio della materialità; da una parte ci mette
l’architettura, come la più legata alla materia nel senso più
naturale possibile, con le sue caratteristiche di durezza,
rigidità, peso e massa; mentre dall’altra parte colloca
quell’arte che è la più distaccata dalla materia in questo
senso, in quanto è caratterizzata dalla leggerezza e dalla
sottigliezza, cioè la musica. In mezzo a queste due ci mette
tutte le altre arti conforme il “criterio della materialità”.
Un’altra caratteristica dell’architettura è quella per
cui siamo, in genere, impressionati dalla grandezza delle
forme (II, 472). Quando si parla di un’opera architettonica
si ha subito l’impressione di star parlando di qualcosa di
grandioso e che oltrepassa le dimensioni dell’essere
umano come corporeità. Infatti, ci fa grande impressione
vedere il complesso di San Pietro in Vaticano, formato
dalla grande piazza delimitata dal colonnato e con in fondo
l’imponente basilica. Ma tutto questo non ci fa molta
impressione se ci mettiamo ad osservare una miniatura di
tale opera.
Tenendo presente che, secondo Schopenhauer, la
natura è la Volontà stessa, ossia quella forza cieca
presente già nella materia inorganica, e che l’arte e tutte le
attività che caratterizzano l’essere umano sono un prodotto
della rappresentazione del soggetto, c’è da dire che il
paragone fatto da Schopenhauer in relazione
all’architettura è che essa, nei confronti della natura, è la
rappresentazione del regno minerale; questo perché ci fa
venire subito il pensiero di qualcosa di stabile e posato. La
massa enorme che caratterizza l’architettura si presta bene
a rappresentare il cosmo nella sua parte più rozza e statica
(I, 253). All’interno delle arti, l’analogia tra l’architettura e la
musica è che la prima è paragonabile a quella parte della
Le arti belle
35
musica delegata ai suoni gravi, più posati e più robusti, se
così si può dire; però, non si può stabilire nessun legame
logico tra la materia pesante dell’architettura e i suoni bassi
della musica, come vorrebbe l’autore; si può soltanto
stabilire un legame metaforico che, se non altro, ci aiuta a
capire la funzione sia della materia dotata di pesantezza
per il mondo fisico, sia dei suoni gravi per l’armonia
musicale.
Se ora consideriamo l’architettura, meramente in
quanto arte bella, prescindendo dalla sua destinazione a
fini pratici, nei quali essa serve la volontà e non la
conoscenza pura, e dunque non è più arte nel nostro
senso; non possiamo attribuire nessun’altra finalità se non
quella di portare a chiara evidenza alcune di quelle idee,
che sono gli infimi gradi di oggettità: vale a dire la gravità,
la coesione, la solidità, la durezza, queste proprietà
generali della pietra, queste prime, più semplici e più
opache qualità visibili della volontà, note di basso continuo
della natura; e poi accanto ad esse la luce, che per molti
versi è un contrapposto di quelle (I, 252).
L’architettura si distingue dalle altre arti figurative
per il suo modo di presentare la cosa-in-sé, ovvero non dà
un’immagine della cosa, ma è la cosa stessa (I, 256). Qui
Schopenhauer si avvale della teoria platonica che dice che
le arti sono imitazioni degli oggetti del mondo fenomenico,
i quali sono a loro volta copie delle Idee; nel dire di
Schopenhauer, l’architettura non imita alcun oggetto del
mondo fenomenico, come la pittura e la scultura, e
addirittura la poesia, che si avvalgono proprio
dell’imitazione. Mentre la pittura e la scultura parlano e
vogliono esprimere un’immagine di qualcosa, l’architettura
si presenta, per così dire, con la propria faccia, cioè senza
imitazioni. Seguendo la terminologia platonica, si può dire
che si tratta di copie delle idee, per quanto riguarda
l’architettura, ma non di imitazioni delle copie delle idee.
Fra le arti figurative l’architettura offre a
Schopenhauer le migliori possibilità di applicare la sua
36
L’analogia tra mondo e musica...
teoria della natura espressiva e non rappresentativa degli
oggetti artistici: un bel palazzo non imita nessun modello
naturale né rappresenta figurativamente una qualche idea:
esso esprime invece la lotta fra la rigidità e il peso, cioè la
lotta fra le corrispondenti idee22.
L’architettura occupa il gradino più basso nella
scala delle arti, secondo Schopenhauer, per il suo forte
legame con la pesantezza e con la rigidità della materia;
questo fatto la fa paragonabile al regno minerale in natura.
Nonostante questo, quando Invernizzi dice, all’inizio della
precedente citazione, che «l’architettura offre a
Schopenhauer le migliori possibilità di applicare la sua
teoria …», vuol dire che essa, proprio perché è così legata
alla materialità, è tanto più visibile agli occhi di tutti e si
mostra come un’arte non imitativa. Qui si potrebbe
addirittura azzardare un paragone con la musica stessa, in
quanto spesso si usa l’espressione “architettura musicale”
riferendosi alla struttura armonica di un’opera musicale.
Non è solo l’aspetto anteriormente descritto della
lotta delle forze della natura che va preso in
considerazione. Spesso un’opera architettonica non viene
eseguita a scopi puramente estetici, ma con fini pratici,
facendola diventare più un’arte utile che bella (II, 467).
Questo fa sì che la bravura dell’architetto e il clima
determinino la bellezza di tali opere. Il clima mite dà più
libertà alla ricerca estetica, mentre il clima rigido fa sì che
si anteponga il pratico al bello. Questa è la visione di
Schopenhauer a tale riguardo:
Quanto più il clima crudo accresce quelle esigenze del
fine pratico, dell’utilità, quanto più saldamente le
determina e inderogabilmente le prescrive, tanto meno
campo ha il bello nell’architettura. Nel clima mite
dell’India, dell’Egitto, della Grecia e di Roma, dove le
esigenze pratiche erano minori e determinate con più
larghezza, l’architettura poté perseguire i suoi fini estetici
22
G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer, 88.
Le arti belle
37
nel modo più libero; sotto il cielo nordico essi le vennero
molto pregiudicati: qui, dove si richiedevano casermoni,
tetti a punta e torri, l’architettura, potendo sviluppare la
propria bellezza solo entro limiti molto ristretti, dové in
compenso adornarsi tanto più con gli ornamenti presi a
prestito dalla scultura, come si può vedere dalla bella
architettura gotica (I, 156).
In questo brano, Schopenhauer chiarisce bene la
sua posizione critica e quasi dispregiativa nei confronti
dell’architettura
gotica,
nonostante
riconosce,
stranamente, che questo stile è bello. Come amante della
cultura e dell’arte greco-romana, ha sempre la tendenza a
preferire lo stile antico. Specificamente, la critica è rivolta
allo stile gotico, più diffuso nell’Europa del nord, il quale
crea uno squilibrio appunto tra il sostegno e il carico,
perché molto preoccupato con la linea verticale a scapito
di quella orizzontale. Questa “verticalizzazione”
dell’edificio, secondo lui, si discosta dallo stile
architettonico antico e porta a un tipo di opera meno bella.
Dall’altra parte, lo stile italiano è più fedele a quello antico,
per il fatto di essere il diretto erede della cultura grecoromana antica23. Se poi confrontiamo questo testo con un
altro che si trova in II, 475-476 de Il mondo come volontà e
rappresentazione, la situazione diventa ancora più aspra,
visto che lo stile gotico viene considerato da Schopenhauer
uno stile “barbaro”, nell’accezione dispregiativa del
termine.
L’effetto estetico dell’architettura sta nel giusto
equilibrio tra il sostegno e il carico, il che non significa che
non ci sia la tensione, la lotta tra le forze naturali. Ma i due
elementi (sostegno e carico) producono un effetto positivo
solo se sono ben distinti l’uno dall’altro. Un muro non
produce un effetto estetico perché in esso vengono confusi
questi elementi caratteristici di quest’arte (II 468-469). Un
edificio dove non vengono distinti questi elementi,
23
Cf. F. VERCELLONE, Oltre la bellezza, 90.
38
L’analogia tra mondo e musica...
nonostante devono stare in equilibrio affinché la
costruzione non crolli, è un edificio brutto.
Tornando sempre al paragone con la musica,
Schopenhauer dice che il colonnato e la travatura sono per
l’architettura quello che è per la musica l’esecuzione di una
scala diatonica, ossia a gradi ben distinti (II, 469).
L’equilibrio tra colonna e travatura è analogo a quello tra il
basso e le altre voci più acute che si poggiano su di esso.
Ovviamente, lo squilibrio tra questi elementi crea una
sensazione di bruttezza; in questo caso, i sensi vengono
colpiti in modo negativo e sgradevole.
La concezione estetica di Schopenhauer nei
confronti dell’architettura è che essa è una lotta, un conflitto
permanente tra le forze della natura: è l’espressione della
Volontà stessa; un edificio, che può sembrare qualche
cosa di inerte, in realtà si mantiene in piedi grazie alla
continua lotta tra il sostegno e il carico. La bravura
dell’artista nel combinare questi elementi è fondamentale
per la bellezza di un’opera architettonica.
Nella visione di M. Schwarzer24, Schopenhauer ha
condannato l’architettura al più basso grado dell’arte a
causa della sua concretezza. Essa riesce ad esprimere
solo in un grado molto basso la cosa-in-sé, dato che rimane
sempre molto attaccata al mondo della rappresentazione
e, pertanto, al fenomeno e alla materia.
In conclusione, quello che più mi lascia perplesso
nel ragionamento di Schopenhauer sull’architettura, è il
fatto che lui tende a staccare completamente il fattore
estetico dal fattore pratico; l’architettura antica, nella sua
opinione, è la più bella perché più distaccata dal bisogno di
preoccuparsi con l’aspetto utilitario e, pertanto, pratico.
Personalmente non sono tanto d’accordo con tale
concezione, in quanto l’architettura è un’arte che deve
preoccuparsi senz’altro della questione pratica o dell’utilità.
Cf. M. SCHWARZER, “Schopenhauer’s philosophy of
architecture”. In: D. JACQUETTE, Schopenhauer,
philosophy, and the arts, 285.
24
Le arti belle
39
Nessun architetto può permettersi di staccare questi due
fattori, ossia bellezza ed utilità. Tra l’altro, secondo la mia
modesta opinione, l’utilità di un edificio è anch’essa un
criterio di bellezza. In tal senso, penso che l’architettura sia
un’arte particolarmente diversa da tutte le altre arti, inclusa
la musica, perché deve sì preoccuparsi dell’utilità; essa
deve saper coniugare la bellezza con l’utilità, altrimenti
perde buona parte della sua ragione di esistere come arte.
Tra l’altro, l’arte di edificare parte proprio dalla necessità
naturale di trovare riparo e di delimitare spazi nello spazio,
non solo presente negli esseri umani, ma anche negli
animali in genere, anche se in modo istintivo. Su questa
necessità, l’uomo ha sempre saputo agire con intelligenza
artistica. In questo senso, la bellezza viene addirittura
posposta alla praticità.
Un’altra perplessità nel pensiero di Schopenhauer
sull’architettura è che lui afferma con assoluta convinzione
che l’architettura antica, ossia quella greco-romana, ha già
esaurito a suo tempo tutte le possibilità di sviluppo (II, 480),
in modo tale che qualsiasi cosa appaia dopo tale epoca
riguardante quest’arte è un regresso tanto più notevole
quanto più si distacca dallo stile greco-romano antico.
Questa è una tesi molto azzardata, visto che non lascia
spazio a nuovi sviluppi in tal senso e qualsiasi tentativo di
innovazione fallirebbe in partenza. Ecco perché parla così
male dello stile gotico, nonostante apprezzi questo stile
qualificandolo addirittura come “bello” (I, 156).
40
L’analogia tra mondo e musica...
1.1.3 La scultura e la pittura
Nella sequenza proposta da Schopenhauer nella
sua riflessione sulle arti belle abbiamo la scultura e la
pittura, le quali occupano rispettivamente il secondo ed il
terzo posto nella gerarchia delle arti secondo la scala
ascendente, esposta in modo chiaro e riassuntivo da D.
Jacquette25.
La prima cosa che si può dire, tenendo in mente il
pensiero platonico, è che queste due arti si propongono
come arti imitative del mondo fenomenico. In qualche
modo, se non nella totalità espressiva di esse, almeno in
parte c’è l’imitazione di qualcosa che è già presente in
natura o costruito dall’uomo, diversamente da quanto
succede con l’architettura e con la musica (I, 260).
Nel dire di Schopenhauer, la scultura raggiunge il
massimo del suo splendore già nella cultura antica, come
l’architettura, dove si doveva cercare di esprimere la
bellezza in modo più reale e concreto. La pittura si è
sviluppata dopo, principalmente in tempi cristiani (II, 478),
anche per una questione di necessità comunicativa di un
messaggio ben preciso legato alla dottrina religiosa.
La principale differenza, comunque, della scultura e
della pittura nei confronti della musica è che esse sono arti
imitative e che hanno sempre bisogno di un modello
ispiratore che si trova già nel mondo fenomenico, mentre
la musica non ha bisogno di questo modello ispiratore
presente nel cosmo: il suo paradigma sta da qualche altra
parte. Nella musica, come anche nell’architettura, il
modello viene ricavato dall’immaginazione del soggetto. La
pittura e la scultura danno anch’esse ali alla fantasia, ma
in questo caso ci deve essere un modello ispiratore
esistente nel mondo fenomenico che permetta all’artista di
lavorarci sopra. Nel caso della musica, sia il modello che
25
Cf. D. JACQUETTE, The philosophy of Schopenhauer,
152.
Le arti belle
41
anche l’ulteriore lavorazione, dipendono solo ed
esclusivamente dall’immaginazione dell’artista.
La musica si serve delle strutture compositive, le
quali sono molto simili ad esercizi aritmetici, ma il
“materiale” sonoro viene percepito ed espresso a partire da
una fonte che sta nell’intimo dell’uomo stesso, in quella
parte più nascosta e più enigmatica del soggetto, che è la
sua mente. Riconosciamo in questo aspetto della musica il
suo carattere di libertà. Non si sa da dove l’artista ricava i
soggetti musicali e non si sa neanche cosa produrranno
questi soggetti quando incontreranno la sensibilità
dell’ascoltatore. Questa libertà si ha anche nelle altre arti,
soltanto che in minor grado. A tale riguardo, G. Invernizzi
propone la seguente soluzione per l’apprezzamento
dell’arte in genere:
Per apprezzare ed ammirare un’opera d’arte non è
necessario condividerne per intero il contenuto, né è
necessario concordare con quanto l’artista ritiene più
importante o addirittura decisivo: l’opera d’arte vale
spesso nonostante il suo contenuto, nonostante il
messaggio che vuole comunicare, talvolta per aspetti
considerati marginali26.
La musica lascia ampia libertà di interpretazione, a
differenza della pittura e della scultura; in quest’ultimo caso
il messaggio è ben preciso. Anche se le arti figurative
danno margine ad una certa diversità di interpretazioni, il
loro messaggio è ben preciso e definito dall’artista stesso,
il quale trae ispirazione da soggetti vari presenti nel mondo
fenomenico, eseguendo opere scultoree e pittoriche di più
o meno pregio, secondo le sue abilità tecniche personali e
secondo lo stile. Riguardo i capolavori delle arti figurative,
Schopenhauer propone un’interessante spiegazione.
Secondo lui, la rarità di un capolavoro di questo tipo di arte
26
G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer,
174.
42
L’analogia tra mondo e musica...
fa sì che esso diventi prezioso a tal punto da avere un
valore anche sproporzionato.
Un’altra importante differenza che possiamo notare
tra le arti figurative e la musica è che si ha nelle prime a
disposizione in un unico istante tutta l’opera senza aver
bisogno di tanto impegno di tempo, cosa che non succede
con la poesia e con la stessa musica. Ma il vantaggio di
queste ultime due, secondo Schopenhauer, è che nessuno
vive senza di esse, mentre nel caso delle arti figurative ci
si può fare a meno:
Che i grandi e i ricchi dedichino l’appoggio più forte
proprio alle arti figurative e impieghino somme
considerevoli solo nelle opere di quelle, anzi che oggi
giorno un’idolatria, nel vero senso della parola, dia per
un quadro di un celebre maestro antico il valore di un
intero latifondo, dipende principalmente dalla rarità dei
capolavori, il cui possesso quindi conferisce all’orgoglio,
e poi però anche da ciò, che il godimento di essi richiede
pochissimo tempo e sforzo, ed è pronto per un momento
ogni momento; mentre la poesia e la stessa musica
pongono condizioni incomparabilmente più gravose.
Corrispondentemente, delle arti figurative si può anche
fare a meno: popoli interi, come per esempio i
maomettani, ne sono privi; ma nessun popolo è privo di
musica o di poesia (II, 485).
Questa tesi è facilmente contestabile, visto che si
può fare a meno anche della poesia e della musica. Se
pensiamo poi che Schopenhauer intende con il termine
“musica” solo, o quasi solo, quello che oggi intendiamo con
il termine “musica classica”, possiamo dire che grande
parte delle persone, se non popoli interi, hanno vissuto e
vivono senza la musica classica.
Nonostante l’apprezzamento di Schopenhauer nei
confronti di queste due importanti arti nella storia
dell’Occidente, ovvero la scultura e la pittura, esse
vengono collocate da lui in una posizione relativamente
bassa nella scala delle arti belle. Il motivo per cui fa questo
Le arti belle
43
è da ricercarsi nelle caratteristiche stesse di queste arti, le
quali non riescono ad essere libere, almeno in gran parte,
dall’imitazione.
Viene da chiedersi come mai Schopenhauer non
abbia messo la scultura e la pittura al di sotto
dell’architettura nella sua gerarchia delle arti, dato che si
tratta di imitazioni di oggetti del mondo fenomenico, mentre
l’architettura non si presta a queste imitazioni, secondo lui.
La soluzione a tale problema, a mio avviso, è da ricercarsi
sempre in quello che ho chiamato il “criterio della
materialità”, esposto in precedenza, secondo il quale le arti
vengono disposte in una scala che rispetta i gradi della
materia, vale a dire si passa dall’architettura, che è l’arte
più legata alla pesantezza e alla rigidità della materia, alla
musica, la quale risente meno di tutte di questa
pesantezza. La scala delle arti in Schopenhauer coincide,
metaforicamente, con la scala del mondo fisico o dei regni
della natura, ovvero i regni minerale, vegetale, animale e
uomo.
44
L’analogia tra mondo e musica...
1.1.4 La poesia e il suo rapporto con la musica
Analizziamo adesso il rapporto che intercorre tra la
poesia e la musica. Per Schopenhauer quest’arte, la
poesia, si è sviluppata storicamente ed è arrivata al suo
culmine molto prima della musica. Già nel mondo greco,
mentre la musica era considerata un’arte di poco conto e
che serviva più da accompagnamento all’arte poetica, la
poesia era un’arte molto importante e faceva parte della
vita della polis27. E’ vero che le fondamenta della musica
occidentale sono da ricercarsi nella cultura greca antica,
vale a dire nella musica modale28, ma è ancora più palese
il fatto che l’arte poetica ha raggiunto alti livelli ancora nel
mondo greco, principalmente con quel genere considerato
da Schopenhauer come il massimo livello dello sviluppo
della poesia: «Come il vertice dell’arte poetica, tanto per la
grandezza
dell’affetto quanto
per
la
difficoltà
dell’esecuzione, è da considerarsi ed è effettivamente
considerata la tragedia» (I, 298). Essa, la tragedia, mette
in luce la natura umana con tutta la sua debolezza.
Una definizione molto semplice della poesia,
Schopenhauer la propone nel secondo volume della sua
opera principale, dicendo semplicemente che «essa è
l’arte di mettere in gioco l’immaginazione con le parole» (II,
484). Pertanto, la poesia è l’arte della parola. Questo fatto
già impone una grande distinzione tra la musica29 e la
poesia, dato che, se è vero che la poesia è l’arte che
utilizza la parola come “materia prima” per il proprio
E’ importante ricordare che Schopenhauer non
condanna l’arte poetica come lo fa Platone, conforme si
legge nella sua opera Repubblica (Libro X, 595A-608C), il
quale vuole che quest’arte sia bandita dal suo Stato ideale.
28
Cf. C. CASINI, Storia della musica: dall’antichità classica
al Cinquecento, 18-24.
29
Quando Schopenhauer si riferisce alla musica, intende
la musica assoluta, ossia la sola musica senza l’aggiunta
delle parole.
27
Le arti belle
45
sviluppo, conseguentemente è un’arte che ha a che fare
con i concetti30. Non si può pensare di impostare un
discorso verbale senza utilizzare concetti prestabiliti da
una comunità linguistica, dove tutti i componenti di questa
comunità hanno più o meno lo stesso codice semantico.
Nonostante la poesia abbia il carattere di dare ali a
interpretazioni varie, dipendendo da chi la legge o l’ascolta,
c’è da considerare la mediazione della parola. Quindi, l’arte
di combinare le parole è molto diversa dall’arte di
combinare i suoni. Anche se la poesia ha in sé la
componente sonora quando viene recitata, essa non è
suono puro come la musica, dato che in questo suono c’è
l’articolazione di un messaggio concettuale e, quindi, un
significato più o meno preciso, che si può considerare di
carattere universale, cioè intelligibile a tutti i lettori e
ascoltatori.
Se ora, con le considerazioni finora svolte sull’arte
in generale, ci volgiamo dalle arti figurative alla Poesia, non
dubiteremo che anch’essa abbia il fine di manifestare le
idee, i gradi di oggettivazione della volontà, e di
comunicarle all’ascoltatore con la chiarezza e vivacità con
cui le colse l’animo poetico. Le idee sono essenzialmente
intuitive: se quindi nella poesia ciò che viene
immediatamente comunicato con le parole sono soltanto
concetti astratti, è tuttavia palese l’intento di far intuire
all’ascoltatore, nelle parole che rappresentano questi
concetti, le idee della vita, il che può avvenire solo con
l’ausilio della sua fantasia. Ma per mettere in moto
quest’ultima in conformità dello scopo, i concetti astratti,
che sono il materiale immediato della poesia come della
più arida prosa, devono venir così combinati che le loro
sfere si intersechino in maniera che nessuno di essi possa
persistere nella sua astratta generalità; in luogo di essa si
presenti invece alla fantasia un’immagine che li rappresenti
30
Cf. G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer,
89.
46
L’analogia tra mondo e musica...
intuitivamente, e che poi le parole del poeta modifichino
sempre più secondo il suo intento (I, 286).
La parola è un prodotto della mente umana e solo
l’essere umano è riuscito a sviluppare un linguaggio così
articolato e complesso, il quale rimane ancora un mistero
sia per la filosofia che per la scienza linguistica. Questo
succede perché l’essere umano è un animale razionale e il
linguaggio è uno strumento che gli permette di soddisfare
il suo naturale bisogno di comunicazione e di relazione
interpersonale.
E’ noto a tutti la potenza della parola e l’importanza
che essa ha nel mondo razionale; essa è fattore di
conoscenza, visto che tramite la parola avviene la
trasmissione della conoscenza umana acquisita durante
secoli di storia. La scienza, non appena scopre qualcosa,
cerca subito di mettere in parole i risultati delle proprie
scoperte per poterle trasmettere a tutta la comunità umana
e affinché questa conoscenza rimanga nel tempo. Tutto
questo è prodotto di molto lavoro e sacrificio svolto da tante
persone impegnate nella ricerca.
Tuttavia, la poesia, utilizzando la parola, ha altri
scopi: essendo un’arte, è da collocarsi nella parte
dilettevole della vita umana. Poteva anche non esistere
affatto; eppure esiste. E’ una forma di conoscenza che va
oltre la parola scritta e pronunciata. Non è un linguaggio
scientifico preciso e indubitabile, ma un linguaggio che
lascia una certa libertà di interpretazione e persino un
linguaggio che ama l’ambiguità. Parlando dell’allegoria (I,
279-286) Schopenhauer dice che essa costituisce un vizio
per le arti figurative, ma va perfettamente d’accordo con
l’arte poetica:
In tutt’altro rapporto sta invece l’allegoria con la poesia
che non con le arti figurative, e benché qui essa sia
riprovevole, là essa è ammissibilissima e opportuna.
Giacché nelle arti figurative conduce dall’intuizione data,
oggetto proprio di ogni arte, a pensieri astratti, mentre
nella poesia il rapporto è rovesciato: qui ciò che è dato
Le arti belle
47
direttamente con le parole è il concetto, e il fine prossimo
è sempre di condurre da questo all’intuizione, la cui
rappresentazione deve essere intrapresa dalla fantasia
dell’ascoltatore (I, 283).
Questa caratteristica della poesia la avvicina alla
musica, la quale, priva di parole, lascia il soggetto
ascoltatore più libero di interpretare il messaggio musicale
come vuole.
La cosa più interessante del rapporto tra l’arte
poetica e l’arte musicale è che, essendo così diverse l’una
dall’altra, vanno molto d’accordo quando si mettono
insieme31. Questo rapporto viene da lontano nella storia;
come già menzionato sopra, sin dai tempi dell’Antica
Grecia la poesia era accompagnata da melodie.
Nonostante in questo senso la musica abbia sempre
ricoperto un ruolo di secondo ordine, c’è sempre stata
questa collaborazione.
In tempi cristiani è meritevole notare il ruolo che
hanno avuto queste due arti in ambito religioso. Nella
liturgia cristiana la musica ha sempre accompagnato i testi
sacri e si è sviluppata grandemente in questo ruolo di
subalterna del testo. L’esempio più alto in questo senso è
dato dal Canto Gregoriano32, nel quale la cadenza del testo
viene accompagnata dalla musica, che deve dare enfasi a
certe parole o addirittura a certe sillabe importanti da
essere sottolineate a chi ascolta. Un altro esempio di
grande valore è quello della polifonia sacra, la quale ha
raggiunto il suo culmine attorno al XVI secolo, con
Giovanni Pierluigi da Palestrina, sopranominato “Principe
della musica”33.
31
Schopenhauer è contrario a questo legame tra poesia e
musica. (Cf. G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di
Schopenhauer, 90-91).
32
Cf. C. CASINI, Storia della musica: dall’antichità classica
al Cinquecento, 59-75.
33
Idem, 314-338.
48
L’analogia tra mondo e musica...
In tempi moderni si ha un altro esempio di
collaborazione tra musica e poesia: è l’Opera34. In questo
stile si ha un progressivo sviluppo dell’arte musicale. Se
all’inizio della storia dell’Opera il testo la faceva ancora da
padrone, nel periodo aureo, principalmente con
Gioacchino Rossini, la musica ha preso il sopravento ed è
diventata la protagonista, anche se il testo non è mai stato
sottovalutato. Ecco perché Schopenhauer predilige la
musica di Rossini e la esalta in questi termini:
perciò la sua musica parla con tanta chiarezza e purezza
la sua propria lingua, da non aver affatto bisogno delle
parole, e da produrre quindi in pieno il suo effetto anche
se eseguita dai soli strumenti. (I, 309)
Nella storia della musica tonale, principalmente
dopo J. S. Bach, la musica strumentale conquista sempre
più campo e arriva a grandi sviluppi, con compositori della
portata di Haydn, Mozart, Beethoven e tanti altri. Questo
tipo di musica è quello che viene definito con il termine
“musica assoluta” oppure music alone, ossia quel tipo di
musica che non si avvale più dell’ausilio della parola35.
Così, la musica si sente sempre più sicura di andare avanti
da sola per la sua strada senza l’appoggio della poesia. Gli
stessi operisti, come Rossini e Verdi, solo per citare due
tra i più grandi, danno grande importanza a momenti di
musica strumentale, principalmente attraverso le famose
ouverture36 delle loro Opere. In questo senso
Il termine “Opera”, riferito alla messa in scena musicale,
verrà usato qui con la lettera iniziale maiuscola per
distinguerlo dalla comune accezione attribuita a questo
termine.
35
Cf. P. KIVY, Filosofia della musica: un’introduzione, 3132.
36
Il termine “ouverture” viene dal francese e significa
“apertura”; è usato per designare appunto l’apertura
dell’Opera e, in genere, accenna i principali temi musicali
34
Le arti belle
49
Schopenhauer dice che le composizioni di Rossini sono da
considerarsi modelli intramontabili di musica assoluta,
dove la musica parla da sé, senza il concorso della parola.
Infatti, c’è da riconoscere che nelle composizioni
operistiche, le parti dove i protagonisti devono recitare un
testo, cioè il recitativo appunto, sono le parti più noiose e
di difficile comprensione. Invece, dove l’orchestra “parla”
tramite la sola musica, l’ascolto diventa interessante e
dilettevole. Questo succede perché la musica ha in sé
qualcosa che colpisce la nostra sensibilità in modo
irresistibile, richiamando l’attenzione dell’ascoltatore su di
sé.
Dunque, guardando la storia di queste due arti, si
ha una specie di sviluppo anacronistico, dove la poesia sin
dall’Antichità era l’arte più sviluppata e sicuramente più
pregiata e la musica fungeva da ausiliare del testo; mentre
nei tempi più recenti la musica si è sciolta da questa
posizione di inferiorità per raggiungere alti livelli con la
musica assoluta.
Nei nostri giorni, a parte una minoranza di
intenditori e amanti della musica classica o colta, la
stragrande maggioranza delle persone intende con il
termine “musica” come se fosse quell’arte di combinare i
suoni di una canzone con un testo più o meno sostanzioso
come significato. Anzi, spesso il testo viene composto
prima e solo dopo viene “musicato”, il che spiega il perché
di molte canzoni poco pregevoli dal punto di vista musicale,
anche se il testo riporta un contenuto interessante37; o vice
che riappariranno nelle varie parti della messa in scena.
Molte Opere vengono popolarmente riconosciute dalle
ouverture e non tanto dalle arie o, peggio ancora, dai
recitativi che ne fanno parte della trama.
37
Allan Bloom fa un’interessante riflessione sul potere
della musica sugli adolescenti nordamericani. La sua
critica riguarda il genere musicale conosciuto
popolarmente come “Rock” e della forza che il ritmo e la
50
L’analogia tra mondo e musica...
versa, melodie gradevoli con un testo poco interessante.
Questo tipo di arte è senz’altro interessante e diletta chi
l’ascolta, ma non si tratta della musica assoluta, quella
analizzata a fondo da Schopenhauer, la quale è ben poco
ascoltata nei giorni nostri dalla stragrande maggioranza
delle persone.
Dicendo questo non si sta disprezzando il repertorio
canoro legato al genere musicale “canzone”,
abbondantemente presente in ogni parte del mondo e
espresso in tutte le lingue, senza eccezioni. La canzone è
presente da lungo tempo nella vita artistica dell’umanità e
ha il suo inestimabile valore; si tratta sempre di quella
tendenza inspiegabile e quasi naturale di coniugare i suoni
prodotti da uno strumento musicale, pertanto da un
artefatto costruito dall’uomo, con i suoni prodotti dallo
strumento musicale per antonomasia, ovvero la voce
umana (II, 512), la quale emana suoni estremamente
complessi e pieni di significato. Questo è esattamente
quello a cui si propone di fare l’Opera, come già spiegato
sopra. Ma è vero anche che la voce umana è capace di
produrre suoni estremamente significativi dal punto di vista
musicale senza preoccuparsi del loro significato linguistico
e, pertanto, poetico.
Nella visione di Schopenhauer, comunque, resta
chiaro che la poesia rimane qualcosa di estraneo alla
musica, cioè la musica la fa da padrona, anche se per molti
secoli è successo l’esatto contrario:
Le parole sono e rimangono per la musica un’aggiunta
estranea, di valore subordinato, essendo l’effetto dei
suoni incomparabilmente più potente, infallibile e rapido
di quello delle parole; queste devono, dunque, quando
vengono incorporate nella musica, occupare solo un
melodia esercitano su di noi: secondo lui esiste un delicato
equilibrio tra ragione e passione, ma la tendenza è quella
di dare ali alla passione (Cf. A. BLOOM, The closing of the
american mind, 68-81).
Le arti belle
51
posto del tutto subordinato, adattandosi interamente ad
essa (II, 512).
Per sottolineare ancora una volta il rapporto tra
musica e poesia e la grande differenza che intercorre tra
queste due arti, si può usare una breve frase dello stesso
Schopenhauer che recita così: «la musica è il linguaggio
del sentimento e della passione, così come le parole sono
il linguaggio della ragione» (I, 307). Da qui si può desumere
che le due arti seguono strade ben diverse, anche se
spesso si intersecano e collaborano tra di loro.
In ultima analisi, secondo la filosofia estetica di
Schopenhauer, la poesia, nonostante il suo grande
sviluppo sin dal tempo dai Greci e la sua grande
importanza nella vita culturale dei popoli, non supera,
come arte bella, la musica, dato che è troppo legata ai
concetti, mentre la musica segue una strada diversa,
quella dell’intuizione e del sentimento. La collaborazione
della poesia con la musica si limita a un ruolo subordinato.
A mio avviso, anche per quanto riguarda la poesia, come
per la scultura e per la pittura, si intravede una posizione
concorde da parte di Schopenhauer nei confronti del
pensiero di Platone, il quale disprezza queste arti,
considerandole imitative del mondo delle apparenze e,
pertanto, lontane dal mondo delle Idee, che è il solo criterio
di verità e di bellezza.
52
L’analogia tra mondo e musica...
1.1.5 La caratteristica peculiare della musica
Dopo questa riflessione sulle principali arti belle,
cioè l’architettura, la scultura, la pittura e la poesia e il loro
rapporto con quella che viene definita da Schopenhauer
l’arte per eccellenza, vale a dire la musica, resta ora da
verificare più chiaramente quale sia il carattere particolare
della musica nei confronti delle altre arti e perché la musica
è messa in posizione rilevante nel contesto artistico.
Dagli scritti di Schopenhauer, non si evince un
disprezzo esplicito nei confronti delle altre arti, come
riscontrato in Platone38, nel tentativo di far spiccare la
musica. Anzi, si può notare come lui consideri le arti in un
contesto unitario, come un complesso espressivo unico
facente parte dell’essere umano, anche se suddiviso in vari
gradi, dove ognuno è rappresentato da un’arte, o meglio
ancora, dove ogni arte rappresenta un grado di
oggettivazione della Volontà.
Se tutto il mondo come rappresentazione non è che
la visibilità della volontà, l’arte è il rischiaramento di questa
visibilità, la camera obscura, che mostra gli oggetti più
puramente e li fa meglio vedere e abbracciare insieme,
spettacolo nello spettacolo, scena sulla scena, come
nell’Amleto (I, 315).
Se esiste una certa prevalenza di un’arte sulle altre,
questo va spiegato come un fenomeno naturale. Il fatto che
la musica, nelle sue diverse forme, stili e generi spicchi
sulle altre arti in tutte le culture, non è una questione di
predilezione da parte di qualcuno o di un certo gruppo
sociale, ma c’è dell’altro dietro questa tendenza: è
qualcosa presente intrinsecamente nella musica stessa e
non una qualità attribuita ad essa dal di fuori (II, 512).
In tal senso, possiamo notare come la musica sia
tanto presente in tutte le culture del mondo. Se prendiamo
in esame un qualsiasi popolo poco sviluppato
culturalmente, possiamo trovare povertà architettonica,
38
Cf. PLATONE, Repubblica, X.
Le arti belle
53
poca presenza di opere scultoree, insignificante
espressione pittorica, scarsa cultura poetica, ecc; ma per
quanto riguarda la musica, il fenomeno è diverso: anche le
persone poco istruite hanno una conoscenza musicale
proporzionalmente più spiccata se paragonata con le altre
arti belle. Sono ben noti nella storia della musica i fatti
riguardanti l’affermazione di certi generi musicali (mazurca,
tango, valzer, ecc.)39, i quali affondano le proprie radici nel
vissuto di gruppi etnici poveri culturalmente, spesso
insediati in luoghi disprezzati dal ceto sociale più
raccomandato. In questo senso, sembra che dobbiamo
proprio dare ragione a Schopenhauer quando dice che le
arti belle, e la musica in particolare, ricoprono una funzione
di lenitivo del dolore nella vita umana, facendo sì che
l’uomo viva momenti di gioia, nonostante i problemi della
vita. Come sarà spiegato meglio nel secondo capitolo, si
tratta di una sospensione momentanea di quelle che sono
le preoccupazioni della vita quotidiana e delle attività della
ragione strettamente collegate ai concetti: «Il concetto è
qui, come sempre in arte, sterile» (I, 307).
Nelle arti, secondo Schopenhauer, viene meno il
principio di ragione, in modo tale che quello che è acquisito
non ha a che fare con la logicità della conoscenza umana
concettuale, ma è una conoscenza della cosa-in-sé,
l’essenza stessa del mondo. Parlando dell’arte,
Schopenhauer fa la seguente descrizione:
Essa si ferma perciò a questo oggetto; arresta la ruota
del tempo; scompaiono per essa le relazioni: solo
l’essenziale, l’idea, è il suo oggetto. Possiamo quindi
definirla addirittura il modo di considerare le cose
indipendentemente dal principio di ragione, in
contrapposizione al modo di considerare le cose che
proprio quello segue, e che è la via dell’esperienza e
della scienza. Si può paragonare quest’ultimo modo di
39
Cf. AA. VV., Enciclopedia della Musica, IV, 158-159; VI,
130, 273-275.
54
L’analogia tra mondo e musica...
considerare a una linea infinita che corre
orizzontalmente; il primo invece alla verticale che la
taglia in qualsivoglia punto. Quello che segue il principio
di ragione è il modo di considerare razionale, che
soltanto vale e soccorre nella vita pratica, come nella
scienza; quello che prescinde dal contenuto di detto
principio è il modo di considerare geniale, che soltanto
vale e soccorre nell’arte. Il primo è il modo di considerare
di Aristotele; il secondo è in complesso quello di Platone
(I, 218)40.
Poche righe più avanti, Schopenhauer descrive
l’agente dell’arte, cioè il genio, colui che è capace di
apprendere il mondo dell’arte e trasmetterlo agli altri, in
questi termini:
In conseguenza la genialità è la capacità di comportarsi
in modo puramente contemplativo, di perdersi nella
contemplazione e di sottrarre la conoscenza, che esiste
originariamente solo per servire la volontà, a codesto
servizio, vale a dire la capacità di perdere
completamente di vista il proprio interesse, il proprio
volere e i propri fini, e in tal modo di rinunciare appieno,
per un certo tempo, alla propria personalità, per rimanere
come soggetto puro della conoscenza, come chiaro
occhio del mondo (I, 218-219).
Questa è la principale differenza tra la conoscenza
scientifica, totalmente impostata sul principio di causalità e,
pertanto imprescindibilmente sviluppata tramite i concetti,
e la conoscenza artistica, la quale non segue tale principio
ed è libera di esprimersi secondo il proprio modo di essere,
riproducendo le Idee stesse (I, 217-218). La musica, tra le
arti belle, è quella che meglio riesce a svolgere questo
compito, in quanto rappresenta la volontà stessa.
40
Conforme già segnalato alla nota 20, questo brano
contiene al suo interno un brano già citato in precedenza
(«arresta la ruota del tempo … e della scienza»).
Le arti belle
55
A tale proposito, quando Schopenhauer parla della
musica, mostra un atteggiamento diverso e tende a
preferire essa a tutte le altre arti belle, anche se non
disprezza le altre, lasciando trasparire il suo assenso alla
concezione di Platone, il quale predilige la musica, dicendo
che essa è per l’anima quello che la ginnastica è per il
corpo, anzi la musica deve essere addirittura proposta agli
educandi prima della ginnastica41. Nella stessa opera,
Platone critica aspramente la pittura e la poesia; secondo
lui, queste arti non passano di vaghe imitazioni delle Idee,
cioè hanno a che fare con le apparenze e non con la
verità42, vale a dire producono copie delle apparenze e non
delle Idee stesse.
Comunque, nel pensiero di Schopenhauer non
notiamo alcun accanimento contro le arti imitative come in
Platone, dato che lui considera l’arte come una totalità
espressiva dell’essere umano. Però non c’è dubbio che,
per quanto riguarda la musica, è il caso di dire che la
concezione è la stessa: il nostro autore considera
quest’arte come la più alta espressione della Volontà
stessa. Non possiamo far coincidere la concezione
platonica del mondo delle Idee con la concezione
schopenhaueriana della Volontà; ma è innegabile che c’è
qualche somiglianza tra queste due concezioni.
La seguente affermazione di Schopenhauer può
essere presa come una prova della profonda convinzione
del filosofo nei confronti della musica:
Poiché la musica non rappresenta, come tutte le altre
arti, le idee o i gradi di oggettivazione della volontà, bensì
immediatamente la volontà stessa, con ciò si spiega
anche che essa influisca immediatamente sulla volontà,
vale a dire sui sentimenti, le passioni e gli affetti
dell’ascoltatore, in modo da accrescerli rapidamente, o
anche da mutarli (II, 512).
41
42
Cf. PLATONE, Repubblica, II 376C-177A.
Cf. Idem, X 600E-601C; X 605A-606A.
56
L’analogia tra mondo e musica...
La musica ha, pertanto, una forte azione direttamente sui
sentimenti umani, più potente che l’azione delle altre arti
belle. Questa è la nota peculiare della musica e il motivo
per cui Schopenhauer la colloca al più alto grado nella
gerarchia delle arti, considerandola come la chiave di volta
tra il mondo della rappresentazione e quello della Volontà;
nella metafisica delle arti la musica è l’oggettivazione della
Volontà stessa, ma purtroppo questa tesi è difficile, se non
impossibile, da essere dimostrata logicamente. Questa
difficoltà è riconosciuta dallo stesso autore (I, 303-304), il
quale ammette che tale rapporto è spiegabile solo tramite
l’artificio dell’analogia. Secondo L. Ferrara43, la metafisica
della musica viene confusa con il misticismo. Ho
l’impressione che Schopenhauer pratichi una forzatura nei
confronti della musica, facendo un passaggio dal piano
fisico al piano metafisico difficile da essere accettato
logicamente. Per lui le arti costituiscono il solo passaggio
possibile tra la parte del mondo come rappresentazione e
la parte del mondo detta Volontà; la musica è l’arte più
spinta verso il mondo come Volontà e quella che meglio
riesce a cogliere ed oggettivare la Volontà stessa.
Cf. L. FERRARA, “Schopenhauer on music as the
embodiment of Will”, in: D. JACQUETTE, Schopenhauer,
philosophy, and the art, 189.
43
CAPITOLO II:
IL MONDO E LA MUSICA
Lo stile di scrittura di Schopenhauer44 è
notevolmente inframmezzato da molte metafore e dall’uso
dell’analogia45; tramite questi artifici del linguaggio cerca di
44
C. Janaway elogia le abilità scritturistiche di
Schopenhauer, dicendo che il suo stile rende la lettura
piacevole e interessante: «Again, brilliant literary qualities
for which he is justly praised, and the great skill with which
he enlivens his text with allusions to Homer, Dante,
Shakespeare, Byron, and hundreds of others, threaten to
crowd out a more sober philosophical approach. Metaphor,
rhetoric, and allusion can complement the virtues of
precise formulation, clear exposition, and reasoned
argument – as they undoubtedly do in Plato – but they
should not replace them» (C. JANAWAY, Self and world in
Schopenhauer’s philosophy, 14).
45
L’analogia è da collocarsi a mezza strada tra l’univocità
e l’equivocità. Un termine univoco, per esempio “casa”,
designa un unico contenuto; un termine equivoco, come
“pesca”, designa due contenuti completamente diversi. Tra
l’univocità e l’equivocità si inserisce l’analogia, la quale
58
L’analogia tra mondo e musica...
far capire la sua dottrina in modo certamente più dicibile e
più capibile in parole più vicine al contesto quotidiano.
Questo dell’analogia e della metafora è un antico metodo
di ragionare e di esprimere certi concetti che non
sarebbero capiti altrimenti fino in fondo, ma che non sono
nemmeno esprimibili tanto chiaramente se non tramite
questi strumenti. Così, l’analogia è una forma interessante
di far capire un’idea tramite l’accostamento di un’altra idea
che si assomiglia in parte a quella che si vuole esprimere.
Di grande aiuto è l’uso dell’analogia nel passaggio dal
piano fisico al piano metafisico, visto che la metafisica non
ha un approccio diretto con il mondo sensibile; ed è proprio
in questo contesto che sorge la necessità di ricorrere a
questo strumento.
Per quanto riguarda la metafora, la quale è una
figura retorica caratterizzata dal trasferimento o trasporto
di significato46, ossia due cose o situazioni completamente
distinte espresse con le stesse qualità, Schopenhauer fa
grandissimo uso. Una tra tutte le metafore del filosofo è
quella dei porcospini, usata con l’intento di spiegare la
convivenza sociale. Secondo Schopenhauer, quanto più
due esseri s’avvicinano tanto più hanno la possibilità di
ferirsi a causa delle proprie qualità fisiche o caratteriali. In
tal senso, la società umana, la quale è tale per garantire
una convivenza socievole e pacifica, può diventare una
convivenza fastidiosa se non vengono rispettate certe
“distanze”47, esattamente come succede con un gruppo di
porcospini, i quali, per riscaldarsi a vicenda durante una
fredda notte d’inverno, devono avvicinarsi, ma
avvicinandosi si pungono gli uni gli altri con i propri aculei.
designa qualche somiglianza di rapporto tra termini
completamente differenti.
46
Cf. N. ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, 707-708.
47
Cf. A. SCHOPENHAUER, Parerga e paralipomena, 884.
Il mondo e la musica
59
Nella metafora48, il significato letterale serve solo a
far capire un’altra cosa, spesso più complessa e più
fantasiosa, ovvero serve da trampolino di lancio affinché
chi legge o ascolta, oltre a rimanere impressionato con
l’accostamento e la somiglianza delle due cose, capisca il
messaggio figurato che si vuole trasmettere, ovvero è la
«sostituzione di una parola con un’altra il cui senso
letterale ha una qualche somiglianza col senso letterale
della parola sostituita»49.
Nel linguaggio quotidiano è molto comune l’uso di
metafore nelle più svariate situazioni. Per esempio: se una
persona è molto affamata, si può usare una metafora per
esprimere questa gran fame e per impressionare
enormemente il recettore del messaggio usando
l’espressione “fame da lupi”; tutti sanno che una tale
espressione è esageratamente inverosimile, ma essa
raggiungere perfettamente il suo obbiettivo che è quello di
esprimere la situazione in cui una persona si trova. In
questo senso, si potrebbe fare centinaia di esempi.
Per quanto riguarda l’analogia, invece, sembra che
essa non sia così tanto comune e tanto chiara da
evidenziare nel linguaggio quotidiano. In verità, l’analogia
contiene anche la metafora ed è molto utile nella
risoluzione di certi problemi che rimarrebbero oscuri senza
questo artificio della ragione.
Nicola Abbagnano spiega in questi termini
l’analogia in senso filosofico:
In filosofia, invece, l’analogia è l’uguaglianza tra due
rapporti non quantitativi ma qualitativi: il che vuol dire
che, dati tre termini della proporzione, il quarto termine
non è con ciò dato, ma è dato solo un certo rapporto con
essi. Questo rapporto è una regola per cercarlo nella
esperienza e un segno per scoprirlo. Sicché il principio
La parola “metafora” viene dal vocabolo greco
“μεταφορά”, e significa letteralmente “trasporto”.
49
AA.VV., Grande Dizionario Enciclopedico, XIII, 483.
48
60
L’analogia tra mondo e musica...
della permanenza della sostanza, il principio di causalità
o il principio di reciprocità d’azione, non entrano
veramente a costituire gli oggetti di esperienza ma
valgono soltanto per scoprirli e per situarli nell’ordine
universale della natura50.
Non è cosa semplice fare una distinzione netta tra
la metafora e l’analogia, data la grande varietà di pareri a
riguardo e il largo uso che si fa di questi artifici linguistici in
tutte le lingue. Nel nostro caso specifico, ossia l’analogia
tra mondo e musica propostaci da Schopenhauer, è
plausibile pensare alla “metafora per analogia”51, già
proposta da Aristotele, vale a dire un tipo di analogia a
quattro termini, dove B sta a A allo stesso modo che D sta
a C. Il termine A è, in tal caso, il mondo; il termine B sono i
quattro regni della natura (minerale, vegetale, animale e
essere umano); il termine C è la musica e il termine D sono
i quattro timbri sonori (basso, tenore, contralto e soprano).
Tenendo presente questa breve spiegazione riguardo l’analogia
e la metafora, vediamo come Schopenhauer espone la sua
teoria quando fa il parallelismo tra mondo e musica.
50
51
N. ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, 45.
Cf. AA. VV., Grande Dizionario Enciclopedico, XIII, 483.
Il mondo e la musica
61
2.1 L’analogia tra mondo e musica
L’analogia di Schopenhauer tra il mondo, inteso
come Volontà, e la musica, intesa come immediata
oggettivazione della Volontà stessa, è sicuramente valida,
dato che i due concetti, ognuno nel suo significato
specifico, presentano delle somiglianze rilevanti. Però, è
anche vero che le differenze sono molto più evidenti e non
permettono un accostamento così ravvicinato come lo fa il
nostro filosofo. Forse è il caso di dire che l’analogia è
l’unica via che ha permesso a Schopenhauer di esporre il
suo pensiero in modo sistematico più o meno convincente.
La sua bizzarra visione di mondo non permette un chiaro e
logico collegamento tra il piano fisico e quello metafisico in
questa specifica analogia tra mondo e musica. Il fatto che
faccia coincidere il mondo fisico, organizzato nei suoi vari
gradi della materia, ovvero i quattro regni, cioè minerale,
vegetale, animale e umano, e la musica, secondo la sua
organizzazione rispettando i timbri sonori, vale a dire il
basso, il tenore, il contralto ed il soprano, lascia
l’impressione di qualcosa di molto riduttivo, sia nei confronti
del mondo fisico che nei confronti della musica.
Praticamente Schopenhauer sovrappone la musica al
mondo fisico, forzando una coincidenza quasi perfetta. Ma
sappiamo che l’analogia non permette questa operazione
logica così netta e rimane, in questo caso, nel campo
dell’uguaglianza di rapporti qualitativi.
Nell’uso che Schopenhauer fa di questo artificio
della ragione tra mondo e musica, non si sa bene se
l’analogia aiuta a capire meglio il funzionamento della
musica tramite la conoscenza del mondo o se si capisce
meglio il mondo tramite la conoscenza della musica.
Sembra che si debba mischiare le due cose: sia il mondo
che la musica si aiutano a vicenda nella miglior
comprensione del funzionamento l’uno dell’altro.
62
L’analogia tra mondo e musica...
Comunque, come in tutte le analogie, la somiglianza tra i
due elementi è parziale e bisogna prenderla per quanto
serve, scartando il surplus.
Prima di continuare con l’analisi dell’analogia
propriamente detta, dobbiamo verificare cosa intende
Schopenhauer quando parla del mondo come Volontà. Il
suo modo di vedere il mondo come essendo una forza
cieca è molto interessante, ma spesso lascia delle lacune
difficili da essere interpretate. Nella sua opera Sulla
Volontà nella natura, composta nel 1835 e pubblicata nel
1836, quindi diciassette anni dopo la pubblicazione de Il
mondo come volontà e rappresentazione (1818-1819), il
nostro autore cerca di spiegare meglio cosa significa la
Volontà; dimostra prima di tutto come alcuni autori hanno
copiato il suo pensiero senza citarlo, ma soprattutto cerca
conferme di esso negli sviluppi delle scienze empiriche. In
particolare, in uno dei capitoli, intitolato “Magnetismo
animale e magia”52, il quale è il più prolisso dell’opera,
cerca di dimostrare che cos’è questa forza misteriosa che
è la Volontà: essa spesso si lascia intravedere in quello che
comunemente viene considerato magia o stregoneria.
Secondo lui, la magia fa parte dell’essenza della natura e,
quindi anche dell’essenza umana. Da qui si vede la
complessità di questo tema e di quanto Schopenhauer si
addentra in argomenti difficili ed azzardati. Nel tentativo di
capire meglio questa tesi, procediamo con la nostra
indagine.
52
A. SCHOPENHAUER, Sulla Volontà nella natura, 173210.
Il mondo e la musica
63
2.1.1 Il mondo è Volontà
«Il mondo è la mia rappresentazione» (I, 3). La tesi
principale di Schopenhauer, che si trova subito all’inizio
della sua opera principale, Il mondo come volontà e
rappresentazione, ha a che fare con il modo con cui noi
conosciamo il mondo che ci sta intorno. La Volontà è il
mondo così come è, senza consapevolezza,
semplicemente come forza cieca. La rappresentazione,
invece, è l’azione dell’intelletto e della ragione su quello
che il mondo fenomenico ci offre tramite i sensi,
riconoscendolo e organizzandolo (I, 3-4).
Il termine usato da Schopenhauer, ovvero Volontà,
per designare questa forza cieca e misteriosa che è il
mondo nella sua parte che va oltre la rappresentazione,
forse non è il più felice in questo caso. Spesso si corre il
rischio di confonderlo con l’accezione più comune del
termine, ossia la capacità umana di volere, la quale
dipende dalla ragione, come esplicitato nell’introduzione; in
questo caso il nostro filosofo ha creato un equivoco53. Se
si istaura questa confusione di termini, il discorso diventa
piuttosto complicato54. Comunque, sarebbe difficile trovare
53
«We are familiar with willing in the ordinary sense
through every first-person acts of volition. In willing to do
something, we decide upon a course of action, and then as
a rule make an effort to carry out the intention in practice.
The idea is that in such instances we are engaged in the
pursuit of a desire that impels us to motion. We must be
careful not to confuse the properties of psychological
willing as we experience it phenomenologically or
introspectively with whatever Schopenhauer means by the
non-representational nature of thing-in-itself as Will» (D.
JACQUETTE, The philosophy of Schopenhauer, 73).
54
«Ciò crea confusione, perché equivale a identificare la
natura con l’uomo, il macrocosmo col microcosmo, in
quanto l’uomo, il microcosmo, si guida con la volontà
64
L’analogia tra mondo e musica...
un termine sostitutivo al termine “Volontà”; si potrebbe
proporre il termine “energia” oppure “potenza”, o ancora,
“forza”; però, sembra che il problema non si risolve, in
modo che prendiamo il termine “Volontà” per buono,
tentando di non creare confusione.
Il punto focale di tutta la teoria della conoscenza di
Schopenhauer è appunto il contrasto tra la Volontà e la
rappresentazione. E’ l’osservatore quello che crea, in gran
parte, l’oggetto della conoscenza, dato che tutto dipende
dalla sua capacità di conoscere la cosa-in-sé,
assorbendola e facendola propria; in una parola,
svelandola. Il soggetto vive nel mondo in modo tale a
seconda della sua capacità di rappresentare quello che sta
intorno a sé. Il fatto che il mondo sia la rappresentazione
dell’individuo significa, per Schopenhauer, che il soggetto
occupa una posizione di centralità in tutto il suo processo
cognitivo, conforme già esposto da Kant nella sua Critica
della ragion pura. Anche se l’oggetto ed il soggetto sono
inseparabili in questo processo, il fatto è che il soggetto è
quello che agisce sull’oggetto appropriandosi di esso in
senso cognitivo.
Quello che tutto conosce e da nessuno è
conosciuto è il soggetto. Esso è il portatore del mondo, la
condizione universale, sempre presupposta, di tutto ciò
che appare, di ogni oggetto: giacché tutto quanto è, esiste
sempre e solo per il soggetto. Ognuno trova se stesso
come tale soggetto, tuttavia solo in quanto conosce, non in
quanto è oggetto di conoscenza (I, 15).
In questo tentativo di organizzare il mondo fisico,
l’intelletto procede in modo da concatenare tutte le cose
che percepisce tramite i sensi, attraverso il principio di
causalità, concezione largamente discussa nella storia
razionale. La volontà universale e la volontà individuale
sono invece, prese in sé, due cose ben diverse, distinte
all’occasione da Schopenhauer stesso» (S. Giametta,
Introduzione all’edizione Bompiani de Il mondo come
volontà e rappresentazione, XVII).
Il mondo e la musica
65
della filosofia nei secoli precedenti, sin dai greci. E’
doveroso sottolineare comunque che Schopenhauer
prende come punto di partenza non il soggetto né l’oggetto,
ma quello che è il prodotto di questi due, cioè la
rappresentazione, conforme esplicitato da G. Invernizzi55.
Se così è, vuol dire che il soggetto viene anche lui
trasformato in qualche modo quando conosce l’oggetto,
dato che allarga la propria conoscenza e non è più lo
stesso di prima per quanto riguarda la consapevolezza
delle cose che gli girano intorno.
Schopenhauer si tiene alla larga dai due estremi
della teoria della conoscenza, cercando di non essere né
empirista, né idealista. Secondo lui l’accento non va posto
nell’oggetto, ma neanche nel soggetto. Quello che
interessa quindi è il “sinolo”56 tra questi due elementi, cioè
la rappresentazione (I, 15-17; 30).
Tutto il mondo degli oggetti è e rimane
rappresentazione, e proprio perciò sempre e per tutta
l’eternità condizionato dal soggetto: cioè ha idealità
trascendentale. Ma perciò esso non è menzogna, né
parvenza: si dà perciò che è, per rappresentazione, e
precisamente per una serie di rappresentazioni, il cui
legame comune è il principio di ragione. Come tale è
intelligibile al sano intelletto, anche quanto al suo intimo
significato, e parla una lingua ad esso perfettamente chiara
(I, 17).
55
«Dunque la sua filosofia, a differenza delle precedenti,
non prende le mosse né dall’oggetto, né dal soggetto,
bensì dalla rappresentazione» (G. INVERNIZZI, Invito al
pensiero di Schopenhauer, 55).
56
Questo termine, proveniente dal vocabolo greco
σύνολον, è utilizzato spesso da Aristotele, principalmente
nel libro Z (VII) della Metafisica (per esempio:1033b16-20;
1039b20), per designare l’unione tra materia e forma nella
sua ricerca riguardo la sostanza.
66
L’analogia tra mondo e musica...
L’uomo stesso ha in sé la Volontà e la
rappresentazione. Per quanto riguarda la Volontà, tutto
dipende dalla natura; la rappresentazione, invece, è il
lavoro dell’intelletto umano che agisce sul mondo
appropriandosi di esso in un modo o in un altro: «(…) tutto
ciò che esiste per la coscienza, quindi tutto il nostro mondo,
è soltanto oggetto in rapporto al soggetto, intuizione
dell’intuente, in una parola: rappresentazione» (I, 3-4).
Potremo fare ancora una volta un’analogia dicendo che,
per quanto riguarda la rappresentazione degli oggetti del
mondo, ovvero l’organizzazione fatta dall’intelletto, regna
quello che nella mitologia greco-romana si attribuisce ad
Apollo, il dio che organizza il caos e tenta di mettere tutto
in ordine. Dall’altra parte c’è Dioniso, il quale non si
preoccupa molto dell’organizzazione delle cose e vive una
vita “sregolata”, vedendo il mondo in modo molto più
semplice e banale, dandosi alla “pazza gioia”; non per caso
la sua figura viene sempre collegata con il vino, il quale
provoca l’ebbrezza. Tradizionalmente, nel mondo
dionisiaco entrano a far parte le arti: è un mondo festoso e
gioioso. Nel mondo apollineo tutto è guidato dalla ragione,
la quale ha il duro compito di tenere tutto in ordine. Da una
parte il mondo è Volontà, ossia è il regno di Dioniso, e
dall’altra è rappresentazione, ovvero dominio di Apollo.
Dioniso si lascia guidare dal sentimento e dalla
spensieratezza, mentre Apollo si affida alla ragione e alla
sua sobrietà57.
Lasciando da parte il contesto mitologico grecoromano e affidandoci alla riflessione filosofica, possiamo
notare come Schopenhauer si basa sul pensiero kantiano
per quanto riguarda la teoria della conoscenza. Tutta la
dottrina kantiana sullo spazio e sul tempo viene accettata,
nonostante il fatto che la dottrina critica riguardante la
57
Cf. C. JANAWAY, Self and world in Schopenhauer
philosophy, 344-345; R. SAFRANSKI, Schopenhauer e gli
anni selvaggi della filosofia, 196-197; F. NIETZSCHE, La
nascita della tragedia, 21-26.
Il mondo e la musica
67
conoscenza umana viene semplificata da Schopenhauer
alle sole forme a priori di spazio e tempo e alla categoria
della causalità; la materia può essere pensata solo se la si
pensa nello spazio e nel tempo (I, 9-15).
Tutto il mondo visibile e palpabile, quindi la materia,
è diviso in quattro parti: regno minerale, regno vegetale,
regno animale e l’uomo. Quest’ultimo è quello che porta in
sé la consapevolezza, la coscienza del mondo stesso e di
se stesso. Nel regno minerale si trova tutta la materia
“immobile” a occhio nudo, cioè la materia più stabile e
statica; nel regno vegetale è più visibile e immediato il
cambiamento naturale e la reazione a fattori esterni; nel
regno animale c’è un’azione ancora più visibile
sull’ambiente naturale; ma solo nella sfera umana, cioè
nell’ambito dominato dall’intelletto e dalla ragione,
possiamo vedere un’azione consapevole sull’ambiente in
genere. L’azione umana non è puramente dominata dalla
Volontà, ma è un abbinamento di Volontà e intelletto, con
la prevalenza di quest’ultimo (I, 304-305; II, 511).
Nella vita di un individuo umano si può notare la
bipartizione tra Volontà e rappresentazione: quando nasce
una persona, essa è completamente dominata dalla
Volontà, cioè dagli impulsi naturali caratteristici
dell’animalità, senza consapevolezza del mondo che le sta
intorno. Man mano cresce, viene a formarsi, pian piano,
l’intelletto e la ragione, i quali prendono il soppravvento
della vita e delle azioni umane nel mondo.
L’intelletto è il responsabile di tutte le operazioni di
ricognizione del mondo dato tramite i sensi. Mentre la
Volontà nasce e muore con l’individuo, vale a dire è
“indistruttibile” dal tempo e coinvolge l’uomo durante tutta
la sua vita fisica, l’intelletto si forma dopo la nascita, molto
lentamente, con lo sviluppo psicomotorio dell’individuo, e
muore, o almeno s’indebolisce, con il passar del tempo (II,
239-240; 260; 265; 536). Come dice Schopenhauer stesso,
l’intelletto è uno strumento a servizio della Volontà, cioè ha
una funzione passeggera (II, 455).
68
L’analogia tra mondo e musica...
C’è da esplicitare ancora che Schopenhauer
distingue nettamente i campi dell’intelletto e della ragione.
Nel primo libro della sua opera principale (I, 22-30), dice
che l’intelletto non è una capacità esclusiva dell’essere
umano, ma è presente anche negli animali in genere. In
effetti, se la parola “intelletto” viene dal verbo latino
intelligere, vale a dire la capacità di intendere qualcosa,
allora si può accettare che anche gli animali hanno tale
capacità. Questa capacità negli animali non arriva
assolutamente ai livelli raggiunti dall’uomo, ma non si può
negare che esista in essi. Una prova molto semplice a
questo proposito si può avere se prendiamo come esempio
quello che è definito comunemente come “il miglior amico
dell’uomo”: il cane; esso è capace di imparare tante cose
se addestrato; è dotato anche di buona memoria sia visiva
che olfattiva, in modo che viene impiegato in tante attività
ausiliarie nella nostra società umana, per esempio, come
guida a persone non vedenti e come ausiliare nelle attività
di polizia.
La ragione, invece, è prerogativa esclusiva
dell’essere umano58. Essa è la capacità di lavorare con i
concetti; mentre l’intelletto è più legato alla parvenza delle
cose, ossia alla sensibilità, la ragione è legata ad attività
astratte, cioè ad attività indipendenti dalla presenza
materiale degli oggetti sensibili. Questa capacità non è
presente in tutti gli individui umani allo stesso grado e
neanche in uno stesso individuo allo stesso modo durante
tutta la sua vita, ma quello che è sicuro è che solo l’uomo
è capace di lavorare con i concetti.
Il mondo come Volontà, compreso come lo intende
Schopenhauer, trova qualche corrispondenza nel mondo
delle Idee di Platone e nella concezione di cosa-in-sé della
dottrina kantiana. Però, questa tesi è di difficile spiegazione
58
Secondo la dottrina morale kantiana, la ragione è
prerogativa degli esseri razionali, ossia non solo del genere
umano, ma anche degli angeli e di Dio.
Il mondo e la musica
69
perché Schopenhauer non è chiaro nelle sue esposizioni a
riguardo e lascia molti dubbi.
Le Idee, nell’accezione di Platone, sono per
Schopenhauer i gradi di oggettivazione della Volontà. Ma
qui si ha un altro problema: se le Idee sono i gradi di
oggettivazione della Volontà, allora a quel punto
appartengono al mondo della rappresentazione e sono
guidate dal principio di individuazione, dato che c’è una
molteplicità di Idee. D’altra parte, la cosa-in-sé di Kant
viene affermata da Schopenhauer stesso come essendo il
mondo come Volontà, unico e indivisibile, il quale non può
essere guidato dal principio di individuazione. Da questo
groviglio è difficile uscirne e il ragionamento del nostro
filosofo lascia molte domande in sospeso, conforme
indicato da D. Jacquette59.
Comunque sia, quello che ci interessa più di tutto in
questa sezione è la visione di mondo di Schopenhauer
come essendo Volontà, visto che è in questo particolare
approccio che la musica viene inserita nel suo sistema.
Nella prossima sezione affronteremo più da vicino questo
rapporto tra il mondo come Volontà e la musica.
59
D. JACQUETTE, The philosophy of Schopenhauer, 101107.
70
L’analogia tra mondo e musica...
2.1.2 Il mondo è musica
Tornando a quella che è la proposta iniziale di
questo studio, analizziamo ora ciò che intende dire
Schopenhauer quando parla della musica come analoga
del mondo e qual è il valore filosofico di quest’arte vista in
questa prospettiva, la quale è collocata al gradino più alto
nella gerarchia delle arti.
Come abbiamo già esplicitato in precedenza, le arti
in Schopenhauer ricoprono un ruolo di oggettivazione della
Volontà, come tutti gli altri fenomeni che fanno parte del
mondo come rappresentazione. Però la musica è vista in
una prospettiva ben diversa rispetto alle altre arti. Nella
visione schopenhaueriana, la musica si adatta
perfettamente come analoga della natura, a causa della
sua stessa natura, ovvero la sua struttura sonora60, anche
se questa concezione non è dimostrabile logicamente.
I suoni percepiti dall’udito umano hanno
un’estensione notevole; anche se sappiamo che esistono
animali che possiedono una capacità molto più spiccata
dell’uomo per quanto riguarda l’udito, sappiamo anche che
solo l’essere umano è capace di ascoltare i suoni in modo
consapevole e di organizzarli. La scala dei suoni va da un
suono grave ad un suono acuto e viceversa; i suoni bassi
ci danno l’idea di una maggior posatezza e stabilità, mentre
man mano si va verso i suoni acuti si ha l’impressione di
una maggior leggerezza e fluidità. Forse è proprio questa
caratteristica della musica quella che porta Schopenhauer
a fare tale parallelismo con la natura. Questo lo possiamo
notare più facilmente se sentiamo delle arie d’Opera, dove
i baritoni e i bassi vengono meno impiegati che i tenori ed
i soprani, secondo Schopenhauer, a causa della difficoltà
maggiore che si ha nell’esecuzione dei suoni in registro
basso; in altre parole essi non hanno la stessa leggerezza
60
In II, 511 de Il mondo come volontà e rappresentazione,
Schopenhauer si riferisce al rapporto tra il mondo e la
musica come uno “stretto parallelismo”.
Il mondo e la musica
71
ed agilità di movimento musicale come si ha con i suoni più
acuti. In un certo senso questo è vero, ma è altrettanto
evidente che Schopenhauer cerca a tutti i costi di far
combaciare in modo perfetto i regni della natura con la
scala sonora. In un altro passo (I, 182-182), Schopenhauer
mette in parallelo non solo i regni della natura con i gradi
della scala sonora, ma anche con le sfumature della luce,
in una gradazione che va dalle tenebre alla luce piena.
L’esatto parallelismo che Schopenhauer intravede tra
mondo e musica (II, 511-512) suscita seri dubbi: sembra
che operi una forzatura quando fa coincidere i quattro regni
della natura (minerale, vegetale, animale e uomo) con i
quattro principali timbri sonori (basso, tenore, contralto e
soprano)61. Il fatto è che questa è una sovrapposizione
artificiale che non trova una reale corrispondenza in natura,
se non solo una corrispondenza allusiva, metaforica,
sicuramente interessante, ma da non prendere troppo alla
lettera.
Nella visione di Schopenhauer, se la nostra
struttura mentale ha bisogno di essere soddisfatta da
strutture del mondo visibile che ci diano sicurezza secondo
una logica, così anche succede per quanto riguarda il
mondo sonoro: ci deve essere una logica delle strutture
sonore, un sostegno che mantenga il carico. I grandi edifici
musicali sono tutti sorretti da possenti strutture di sostegno,
le quali non lasciano crollare tutto l’edificio. Probabilmente
il filosofo si riferisce strettamente a un certo tipo di musica,
tralasciando altri tipi. Dalla sua biografia sappiamo che era
un assiduo frequentatore di teatri e di concerti62; quindi, il
tipo di musica al quale si riferisce è principalmente l’Opera,
in modo speciale il repertorio operistico di Rossini, e le
Cf. L. FERRARA, “Music as the embodiment of Will”, In:
D. JACQUETTE, Schopenhauer, philosophy, and the arts,
185-186.
62
Cf. G. INVERNIZZI, Invito al pensiero di Schopenhauer,
15-34.
61
72
L’analogia tra mondo e musica...
grandi sinfonie e composizioni varie degli autori classici,
come Haydn, Mozart, Beethoven, ecc. E’ ben vero che in
queste grandi opere musicali esiste un grande impianto
armonico che regge tutta la struttura del pezzo, ma è anche
vero che in musica anche una semplice melodia senza
nessun accompagnamento armonico può toccare quella
parte di noi che viene toccata quando si ascolta una
grandiosa sinfonia o una strepitante ouverture di un’Opera
di Rossini. In tal caso, tutto il ragionamento di
Schopenhauer riguardo l’analogia tra la natura e la musica
andrebbe compromesso63.
Come le pietre e i colori, i quali esistono in natura,
vengono organizzati dal costruttore o dal pittore a seconda
del proprio scopo di costruire un edificio o di comporre un
dipinto, così anche funziona per i suoni, i quali esistono in
natura come la luce, le pietre ed i colori, ma vengono messi
in modo tale dal compositore, in successione o in
simultaneità, che viene fuori una composizione musicale.
Le regole della teoria della musica servono a scopi
organizzativi, ma vengono superate da un qualcosa che va
63
Il periodo classico della musica coincide, grosso modo,
con il periodo moderno in filosofia. In questo periodo ci
sono stati molti sviluppi per quanto riguarda l’Acustica e c’è
stato, di conseguenza, un grande sviluppo anche per
quanto riguarda la teoria musicale. Non è un caso che il
Settecento è ritenuto il periodo classico in musica. Nel caso
specifico di Schopenhauer, per quanto riguarda i riferimenti
alla teoria musicale, lui si basa principalmente sugli sviluppi
messi in luce dal musicista e teorico francese JeanPhilippe Rameau, il quale espone il suo sistema armonico
in un trattato, Traité de l’harmonie réduite à ses principes
naturels, nel 1722; Johann Fux fa altrettanto nel suo
Gradus ad Parnassum nel 1725. Quest’ultimo è il teorico
più seguito dai compositori classici (Cf. L. FERRARA,
“Schopenhauer on music as the embodiment of Will”. In: D.
JACQUETTE, Schopenhauer, philosophy, and the art,
191).
Il mondo e la musica
73
al di là di una semplice organizzazione della composizione
stessa, vale a dire la musica incide sul pathos, come
vedremo nella prossima sezione. Un brano musicale
rimanda a un qualcosa che sovrasta la semplice
composizione secondo regole matematicamente precise.
La genialità del compositore consiste proprio in questa
capacità di andare a toccare un tasto dell’essere umano
che sarebbe insensibile altrimenti, ovvero un punto che
distoglie l’uomo dal mondo della rappresentazione, anche
se non elimina le strutture concettuali.
Secondo Schopenhauer, attraverso il mondo
sonoro si riesce a raggiungere quel livello di coscienza che
va oltre la conoscenza sensibile. Il velo della Maia (I, 9) si
sparte lasciando posto a una visione più vicina alla cosain-sé.
74
L’analogia tra mondo e musica...
2.1.3 La musica e i sentimenti
Ma perché la musica ha questo potere? Cosa
succede nell’intimo della persona umana che la porta a tale
livello di conoscenza?
Schopenhauer dice che la musica ha il potere di
andare oltre il mondo fenomenico, più delle altre arti,
perché essa stessa non è altro che l’oggettivazione
immediata della Volontà stessa (I, 304). La musica non ha
bisogno di un supporto materiale allo stesso modo delle
altre arti, come già trattato nel primo capitolo, ma è
qualcosa che supera di gran lunga il piano fisico.
Ma questa caratteristica dell’immaterialità64 della
musica può essere osservata anche nella poesia e in tutte
le arti che coinvolgono in qualche modo la letteratura;
anche la musica è letteratura, è scrittura a modo suo. Ma
allora, quale è questa caratteristica peculiare della musica?
Senz’altro si deve andare a prendere in esame lo
specifico della musica, cioè il fatto che essa è l’arte dei
suoni; ma questi suoni non vanno confusi con quelli del
linguaggio umano che costituiscono dei suoni articolati in
parole e che hanno un preciso valore semantico. Il segreto
sta nel suono e nella sua potenza, il quale è capace di
trascendere questo mondo materiale e aprire una visione
diversa su un panorama che non dipende, se non in piccola
parte, dal supporto materiale. In un passo, il quale sarà
esposto più avanti, Schopenhauer addirittura afferma che
la musica potrebbe esistere anche se il mondo non
esistesse affatto (I, 304)65. Oltre a questo, la musica non
Da ricordare che la parola “immaterialità” viene usata qui
nel senso già riferito prima, ossia la leggerezza della
materia e non nel senso kantiano.
Questa affermazione di Schopenhauer invoca, anche se
non dichiaratamente, la dottrina pitagorica dei numeri e la
loro relazione con la musica (Cf. G. REALE - D. ANTISERI,
Storia della filosofia, I, 75-87; AA. VV., Enciclopedia
Europea, VIII, 1003-1004).
64
Il mondo e la musica
75
segue la strada dei concetti, il che rende ancora più
problematica la comprensione riguardo l’effetto di essa
sulla nostra mente. Per usare la terminologia di
Schopenhauer, la musica non dipende dal principio di
ragione (I, 218).
La difficoltà della maggior parte delle persone di
rapportarsi con l’arte, sta nel fatto che è difficile all’essere
umano fare a meno del principio di ragione e lasciarsi
guidare da qualcosa che, a prima vista, è irragionevole.
L’arte non segue gli stessi principi della matematica (I,
222), ossia il principio di ragione, ma segue una sua strada
che non sempre coincide con la logica, la quale sta alla
base di ogni ragionamento.
Quando si ascolta un brano musicale66 per puro
piacere, non si pensa a tutte le strutture logiche che
sorreggono la musica stessa, ovvero a tutte le regole della
teoria musicale e le tendenze compositive che si sono
svelate durante la storia della musica, ma la si ascolta e
basta. I ragionamenti vengono, per così dire, sospesi per
un momento. Non significa che le regole della teoria
musicale o lo spazio ed il tempo non esistono più, ma
soltanto che tutte queste cose vengono lasciate da parte
per poter dare spazio alla sola contemplazione dei suoni.
Un ascoltatore di musica è quasi portato
naturalmente a chiudere gli occhi quando sente della
musica, in un atteggiamento di “fuga” dal mondo spaziotemporale retto dal principio di ragione. Nel mondo dei
suoni si sospende il ragionamento; è un momento di svago.
66
Quando Schopenhauer parla della musica, intende
parlare della “musica assoluta”, cioè quel tipo di musica
caratterizzato dal solo uso degli strumenti senza il
contributo della parola. P. Kivy, sulla scia di Hanslick,
chiama questa modalità di esecuzione con il termine
“music alone”. (Cf. P. KIVY, Filosofia della musica:
un’introduzione, 31).
76
L’analogia tra mondo e musica...
Ma questa sospensione non è automatica e non la
si può costatare sempre. Essa dipende ancora una volta
dal concorso della persona di lasciarsi andare o meno per
la strada dei suoni. Si può anche scegliere di non
sospendere i ragionamenti e osservare solo le strutture
musicali, rimanendo in una specie di contemplazione delle
sole forme stilistiche, senza lasciarsi coinvolgere più di
tanto dai suoni e senza “emozionarsi”. Rimane sempre
l’autonomia della persona e la sua libera decisione.
Questo tipo di contemplazione musicale è più
esteriore o, in altre parole, si ferma su quelle che sono le
strutture musicali esterne. Schopenhauer ha individuato
questo atteggiamento nei confronti della musica come un
esercizio aritmetico, riferendosi alla definizione proposta
già da Leibniz (I, 302). Ma quello che ci interessa in questo
caso non sono semplicemente le strutture esteriori della
musica, che sono ben vicine alla matematica, e sì qualcosa
che supera di gran lunga ogni appiglio con il mondo
fenomenico e con i concetti, i quali sono un prodotto della
ragione. Ci interessa capire per quale motivo la musica
riesce ad emozionarci e a toccare qualche punto del nostro
essere, al di là del mondo dei sensi e dei concetti, che non
sappiamo quale sia.
In questo senso, si può dire che la contemplazione
musicale dipende da una libera scelta della persona. Il
livello di contemplazione raggiunto da ogni persona è
assolutamente variabile e non esiste una misura di questo
livello. Si tratta semplicemente di un gioco
dell’immaginazione, come dice Kant parlando del giudizio
di gusto, dove non ci sono regole che possano essere
prese come universali. Anzi, si tratta di un gioco libero
dell’immaginazione che diventa qualcosa di molto
soggettivo, ma anche qualcosa di universale, nel senso
che vale per tutti gli ascoltatori di musica e non solo per
qualche individuo isolatamente67.
67
Cf. I. KANT, Critica del giudizio, 29.
Il mondo e la musica
77
Martha Nussbaum68 fa una specie di riassunto
storico riguardante il rapporto tra la musica e le emozioni.
La sua analisi riesce ad individuare ben tre posizioni
diverse, ossia una prima che dice che in musica non
esistono cognizioni linguisticamente formulabili; una
seconda che riconosce la necessità di cognizioni
linguisticamente formulabili per le emozioni; e una terza
che esclude del tutto che in musica ci siano emozioni.
Ebbene, secondo questa autrice, Schopenhauer assume
la seconda posizione, già difesa nell’Antichità da
Posidonio, stoico dissidente, vale a dire quella che difende
la teoria secondo la quale gli atteggiamenti
linguisticamente formulabili sono necessari per le emozioni
e che, quindi la musica contiene emozioni.
Per Schopenhauer, la musica è legata più di ogni
altra arte alla ‘volontà’, ovvero alla forza dell’impeto erotico
che ci spinge alla vita e si manifesta in diverse emozioni, e
soprattutto in quelle legate all’amore e alla sensualità. La
musica rappresenta la scaturigine di questa forza interiore:
‘per tutte codeste vie esprime la melodia il multiforme
aspirare della volontà; ma col ritrovare infine un grado
armonico, o meglio ancora il tono fondamentale, esprime
l’appagamento’. Per questa ragione il suo effetto è molto
più immediato e profondo di quello delle altre arti: ‘queste
ci danno appena il riflesso, mentre quella esprime
l’essenza69.
La Nussbaum afferma ancora e riconosce che nella
filosofia della musica di Schopenhauer esistono contenuti
concettuali, ma sono talmente di carattere generali che non
possono essere considerati come forme di intenzionalità,
dato che sono comandati dalla Volontà70.
In ultima analisi, secondo Schopenhauer, la musica
incide direttamente sui sentimenti e sulle passioni
M. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, 312-320.
Idem, 317-318.
70
Idem, 318.
68
69
78
L’analogia tra mondo e musica...
dell’essere umano, perché essa è la Volontà stessa (II,
512), come sarà meglio esplicitato in seguito. Questa
spiegazione non soddisfa pienamente la nostra curiosità,
ma la verità è che l’autore non ci dà ulteriori
approfondimenti a riguardo.
Il mondo e la musica
79
2.1.4 La musica come immagine della Volontà stessa
Il punto che ci interessa della musica in questo
studio è quello in cui essa ci rimanda oltre il mondo
fenomenico. Come visto nel primo capitolo, Schopenhauer
considera la musica un’arte superiore rispetto alle altre arti.
Il motivo di questa superiorità, secondo lui, sta nel fatto che
essa non è un’arte imitativa del mondo fenomenico, come
la scultura e la pittura71; e non è neanche un’arte troppo
legata alla materialità, nel senso già spiegato
anteriormente. Tutte le volte che qualche compositore ha
tentato di comporre della musica imitativa o descrittiva, è
inciampato in una grossa difficoltà: quella per cui la musica
non è adatta a fungere da arte imitativa. La scultura riesce
ad imitare molto bene gli oggetti del mondo, come uomini
e animali; la poesia, la quale lavora con i concetti, riesce a
descrivere e a raccontare oggetti e situazioni; e per questa
strada vanno tutte le altre arti imitative. La musica, invece,
è diversa: non riesce a descrivere oggetti del mondo o a
raccontare situazioni particolari72. Tutto dipende dal
soggetto, il quale può attribuire soggettivamente un
significato specifico a un certo brano musicale. Però,
questo significato non è uguale per tutti.
Molti compositori di fama indiscussa e di estro
musicale geniale si sono dati da fare con la musica di tipo
descrittiva, ma nessuno ha ottenuto un risultato
71
«La musique, seul art non imitatif: elle représente, non
telle ou telle forme en laquelle s’exprime la volonté, mais le
jeu sans fin de la volonté elle-même, non le phénomène
mais l’essence. La musique rend sensible le jeu infini et
sans finalité du vouloir qui ne cesse d’engendrer des forme
pour les dissoudre ensuite». (Cf. J. DARRIULAT,
Schopenhauer et la philosophie de la musique).
72
Qui bisogna tener presente che la musica descrittiva o a
programma non viene presa in considerazione da
Schopenhauer, bensì viene disprezzata.
80
L’analogia tra mondo e musica...
interessante in questo intento. Si può citare qui opere come
“Le quattro stagioni” di Antonio Vivaldi73 o la Sesta Sinfonia
di Ludwig von Beethoven74, detta “Pastorale”, per illustrare
questa tesi. Un ascoltatore di musica che non conoscesse
i titoli di queste opere non penserebbe mai rispettivamente
alle stagioni dell’anno o a un ambiente bucolico ascoltando
tali composizioni musicali. Sicuramente, quando un
compositore attribuisce tali titoli a una sua opera, fa
semplicemente una specie di dedica. Può darsi pure che le
stagioni dell’anno hanno ispirato in qualche modo e hanno
“stuzzicato” il genio di Vivaldi ai fini compositivi, ma non si
può dire che, ascoltando quei suoni, ignari dei titolo a loro
attribuiti, si viene rimandati a qualche oggetto o a qualche
fatto del mondo fenomenico che ci faccia pensare alle
stagioni dell’anno.
Posiamo dire allora che la musica assoluta è priva
di significato specifico; ha un senso interiore per
l’ascoltatore, non fatto da concetti, ma non ha un significato
definito, come hanno le parole per la poesia. Non c’è un
contenuto concettuale nei suoni emanati da un’orchestra:
esiste solo un vuoto di contenuti in cui i concetti vengono
lasciati da parte per fare spazio all’immaginazione
dell’ascoltatore. Spiegando meglio, un contenuto c’è, ma
non è un qualcosa che possa essere considerato specifico,
ovvero valido per una situazione in particolare, perché ogni
ascoltatore finisce per attribuire un contenuto specifico a
quello che ascolta, il quale può essere diverso dal
contenuto attribuito dagli altri ascoltatori. I contenuti
concettuali in musica sono troppo generali affinché
possano essere attribuibili a una particolare situazione del
mondo fenomenico.
73
Secondo il Ryom Verzeichnis, il più accreditato catalogo
delle opere di Antonio Vivaldi compilato nel 1974 da Peter
Ryom, “Le Quattro Stagione” hanno la seguente posizione:
RV 269 (La Primavera), RV 293 (L’autunno), RV 297
(L’inverno) e RV 315 (L’estate).
74
Op. 68: Sinfonia n. 6 in Fa Maggiore “Pastorale” (1808).
Il mondo e la musica
81
Cosa succede nell’immaginazione di ogni
ascoltatore non ci è dato sapere. Quello che è sicuro è che
ognuno ha un’esperienza soggettiva e che tutti hanno
qualche tipo di esperienza intima ascoltando della musica.
(…) la musica, andando oltre le idee, è anche del tutto
indipendente dal mondo fenomenico, semplicemente lo
ignora e potrebbe in certo modo sussistere anche se il
mondo non fosse affatto: ciò che non si può dire delle
altre arti. La musica è cioè una oggettivazione e
immagine di tutta la volontà, tanto immediata quanto lo è
il mondo stesso, anzi quanto lo sono le idee la cui
manifestazione moltiplicata costituisce il mondo delle
cose particolari. La musica non è dunque affatto, come
le altre arti, immagine delle idee, bensì immagine della
volontà stessa, di cui anche le idee sono l’oggettità.
Perciò appunto l’azione della musica è tanto più potente
e penetrante di quella delle altre arti: queste, infatti,
parlano solo dell’ombra, quella invece dell’essenza.
Tuttavia, poiché è la stessa volontà che si oggettiva sia
nelle idee sia nella musica, soltanto in ciascuna delle due
cose in maniera del tutto diversa, dev’esserci certo non
proprio una diretta somiglianza, ma ben invece un
parallelismo, un’analogia, fra la musica e le idee, di cui il
mondo visibile è la manifestazione nella pluralità e
nell’imperfezione (I 304).
In che senso la musica è analoga di questo mondo
delle Idee e espressione massima della Volontà?
Schopenhauer risponde a tale questione proprio attraverso
l’analogia che ci siamo proposti di verificare. La struttura
armonica della musica possiede caratteristiche simili al
mondo fenomenico che intuiamo ad ogni momento della
nostra esistenza, ormai senza renderci conto. La differenza
fondamentale è che il mondo è appunto fenomeno, ossia
fisicità, qualcosa che appare e che non può essere
diversamente; la musica, d’altra parte, è suono e non può
essere indicata come qualcosa di materiale secondo il
pensiero di Schopenhauer, come già esplicitato in
82
L’analogia tra mondo e musica...
precedenza (I, 310). La musica diventa, nella visione
dell’autore, il più alto esempio di oggettivazione della
volontà stessa75, in quanto non si lascia incatenare dal
fenomeno mondano; non è immagine del fenomeno, ma
della Volontà stessa. Quello che ci lascia pensierosi
riguardo la citazione anteriore è la tesi secondo la quale la
musica potrebbe esistere anche se il mondo non esistesse
affatto, visto che la musica è fatta da suoni e i suoni sono,
in ultima analisi, fenomeni fisici. Questa sembra
un’affermazione azzardata, in quanto non si riesce a capire
come possa succedere tale cosa e lo stesso autore non si
preoccupa di dare una spiegazione chiara e convincente.
Non essendo schiava del fenomeno, la musica ha
la capacità di liberare l’essere dai tormenti della vita, vale
a dire dalla catena del desiderio/dolore e della noia, la
quale è strettamente legata all’esistenza fenomenica (I,
314-316). Come già accennato, il fatto per il quale la
musica riesce a “distrarre” l’essere dai concetti provocando
una certa “sospensione” da essi, fa sì che lo stesso
succeda in relazione ai tormenti della vita. Lo stesso fatto
può verificarsi anche nei confronti della poesia o di un
dipinto, dove per un certo arco di tempo si sospendono le
preoccupazioni della vita, portati da questa “distrazione”.
La differenza in relazione alla musica è che le altre arti
propongono un contenuto sostitutivo, mentre la musica
assoluta è vuota di contenuto concettuale e non propone
un contenuto sostitutivo specifico ai conflitti quotidiani
dell’essere, ma semplicemente un diversivo vuoto e senza
appiglio con il mondo fenomenico. Mentre la poesia
75
«But we must also take into account his extended
discussions of each of the arts, where he displays great
knowledge and insight. Particularly influential has been his
view of music, which he regards as the direct, unmediated
expression of the will – not the individual will of the artist or
composer, but the will in itself that permeates nature». (C.
JANAWAY, Self and world in Schopenhauer’s philosophy,
10).
Il mondo e la musica
83
propone un contenuto, la musica lascia la mente libera. Il
contenuto della musica, semmai ci sia uno, è creato dallo
stesso soggetto tramite la sua immaginazione.
Si dice “vuoto” di contenuto per mancanza di un
vocabolo più adatto, ma vuoto non lo è, dato che,
comunque, qualcosa succede nella mente di ogni
ascoltatore. Questo qualcosa non è lo stesso per tutti, ma
tutti trovano qualcosa di significativo nella musica, anche
se non sono cose facili da esprimere in parole.
La musica è un linguaggio a sé stante e non ha
bisogno di parole per trasmettere il suo messaggio, anche
se spesso si sposa bene con le parole (II, 512). Detto così,
sembra una contraddizione, dato che abbiamo affermato
fino adesso che la musica è vuota come messaggio. Il fatto
è che, a differenza delle altre arti, le quali vogliono
trasmettere un messaggio preciso, la musica non è legata
a un messaggio in particolare. Tutto dipende
dall’ascoltatore.
Possiamo dire che questa idea va d’accordo con la
filosofia di Schopenhauer, cioè il soggetto è il padrone del
mondo e il mondo è la rappresentazione del soggetto. La
musica lascia la libertà di azione al soggetto: ogni essere
ha la libertà di rappresentare quello che vuole, o anche di
non rappresentare alcunché nella sua mente.
84
L’analogia tra mondo e musica...
2.1.5 La musica come analoga dell’esistenza umana
Un altro aspetto interessante da notare nella
musica è la sua caratteristica di essere un alternarsi
continuo tra attrito e riposo. Il movimento è qualcosa di
essenziale nella struttura musicale. Non si può pensare un
brano musicale come qualcosa di statico, fermo. Anche i
pezzi più pacati e armoniosi sono pieni di dissonanze che
si risolvono in consonanze. Quando non si riscontrano
queste qualità, non possiamo neanche parlare di musica.
Questo aspetto può essere considerato un analogo
dell’esistenza umana, proprio come dice Schopenhauer
quando si riferisce alla lotta continua tra desiderio e noia
(II, 514). Ma se portiamo alle estreme conseguenze
quest’analogia, rischiamo di avere una concezione riduttiva
della vita umana e di vedere il male del mondo e dell’essere
umano come un analogo della dissonanza in musica e,
quindi il male come una componente necessaria del
mondo e dell’essere umano. Anche in quest’aspetto
possiamo notare l’intrinseco pessimismo presente nella
filosofia di Schopenhauer, la quale, se portata elle estreme
conseguenze, ci fa intravedere la disperazione di una vita
senza senso e senza scopo, vuota al di là di questa
esistenza fenomenica.
Spesso, nella musica, sentiamo solo la melodia e
tralasciamo tutta l’armonia, la quale fa sì che tutta la
musica abbia una logica. Lo stesso succede nell’esistenza
di ogni essere umano quando si dà importanza a una cosa
che si ritiene la più importante, tralasciando tutte le altre.
Delle volte questa cosa, ritenuta la più importante e il
leitmotiv, diventa un’ossessione. La melodia portata
all’estremo del pathos prende tutta l’attenzione su di sé,
non lasciando spazio alle altre voci. Succede questo anche
quando ascoltiamo un’orchestra: la melodia, essendo
espressa in genere nei registri più acuti, ci prende tutta
l’attenzione, in modo che le altre voci passano inosservate.
Questo fatto sta legato alla capacità umana di
percepire le cose: non riusciamo a recepire tutto quello che
Il mondo e la musica
85
ci viene proposto ai sensi esterni ed interni; possiamo dire,
così, che c’è tutto un altro mondo che ci passa inosservato,
sia perché non ci interessa, sia perché non abbiamo una
capacità abbastanza spiccata da percepire e recepire con
il nostro intelletto tutto quello che ci viene proposto.
La percezione musicale è senz’altro una forma di
conoscenza, la quale dipende dal pathos. Proprio per
questo motivo, il contenuto musicale percepito non è
uguale per tutti, ma ognuno costruisce la propria
conoscenza. Questo sta in accordo con l’affermazione
iniziale dell’opera principale di Schopenhauer, il quale dice
che «il mondo è la mia rappresentazione» (I, 3). Questa
conoscenza che ci viene data tramite la musica è il poco
che ogni mente riesce ad accaparrarsi. Si sa che c’è molto
altro da conoscere, esattamente come il mondo della
natura, ma la capacità umana di vedere oltre il velo di Maia
è limitata.
86
L’analogia tra mondo e musica...
CONCLUSIONE
Questo studio ha voluto essere un approfondimento
della filosofia di Schopenhauer, specificamente in quello
che riguarda la musica. Come abbiamo visto, il nostro
filosofo tiene in grande considerazione le arti come forma
di conoscenza affinché l’essere umano sia liberato
dall’oppressione della Volontà; e la musica è l’arte per
eccellenza per raggiungere questo scopo.
Nel primo capitolo, abbiamo trattato le arti belle in
genere, passando in rassegna le principali, ovvero
l’architettura, la pittura, la scultura, la poesia e la musica,
mostrando come Schopenhauer le organizza secondo una
scala ascendente che va dall’architettura alla musica.
L’importanza di ciascuna arte, per Schopenhauer, è legata
alla più o meno capacità di oggettivazione della Volontà. In
tal senso, la musica è superiore a tutte le altre arti
giustamente per questa capacità di oggettivare la Volontà
e di essere espressione della Volontà stessa.
Nel secondo capitolo, siamo entrati specificamente
nel campo della musica per trattare in modo ravvicinato
l’analogia o il parallelismo proposto da Schopenhauer tra il
mondo, inteso come Volontà, e la musica. Abbiamo visto
come la musica riesce a toccare l’intimo dell’essere umano
con la forza che le viene dalla Volontà stessa, la quale è la
forza della natura, da dove tutto ha inizio, secondo
Schopenhauer.
Questa tesi di Schopenhauer riguardante la musica
si trova ben concentrata in modo particolare in due
importanti brani de Il mondo come volontà e
rappresentazione76, dove l’autore espone la sua massima
teoria sulla musica e dimostra, o almeno tenta di farlo, che
76
A. SCHOPENHAUER, Il mondo come volontà e
rappresentazione, I, § 52; II, cap. 39.
88
L’analogia tra mondo e musica...
quest’arte deve essere trattata in modo differente dalle
altre, perché in essa c’è qualcosa di diverso:
Essa [la musica] se ne sta affatto isolata da tutte le altre.
In essa noi non riconosciamo l’imitazione, la riproduzione
di una qualche idea degli esseri del mondo; tuttavia essa
è un’arte così grande e straordinariamente magnifica,
agisce così potentemente sull’intimo dell’uomo, viene qui
così completamente e così profondamente da lui
compresa, come una lingua universalissima la cui
chiarezza sorpassa finanche quella dello stesso mondo
intuitivo (I 302).
Quello che ho cercato di fare tramite questo
approfondimento della filosofia estetica di Schopenhauer,
credo di essere riuscito a farlo, ossia capire meglio come
l’autore intende questo distacco della musica dalle altre arti
e perché essa influisce così tanto sull’animo dell’essere
umano come dice il filosofo stesso. Ho cercato anche di
segnalare i punti difficili del pensiero estetico
schopenhaueriano e criticarlo quando mi è stato possibile.
Queste critiche rappresentano le mie personali difficoltà di
capire l’autore, ma anche la posizione dei commentatori, i
quali non risparmiano critiche al suo sistema.
Comunque sia, il pensiero di Schopenhauer, per
quanto sia difficile da capirlo e ancora più difficile da
accettarlo, principalmente dovuto alla sua grande tendenza
al pessimismo nei confronti del mondo, ha influenzato in
qualche modo il pensiero di altri filosofi come Nietzsche, e
la produzione artistica di musicisti come Wagner, almeno
in parte. Per questo motivo, trovo interessante studiare e
approfondire la produzione filosofica dell’autore, nel
tentativo di capirla meglio e anche con l’intento di ricavare
qualche cosa di buono, visto che è dovere di tutti i filosofi
quello di andare alla ricerca della verità e di promuoverla in
tutti i modi possibili.
Nonostante io non sia pienamente soddisfatto della
mia ricerca, visto che ci sarebbero ancora tanti aspetti da
Conclusione
89
studiare, da sviluppare e da chiarire, sono contento di
averla fatta, anche se le difficoltà incontrate mi hanno tante
volte trattenuto e imposto cambi di direzione nella ricerca
stessa. Esco da questa esperienza arricchito da un
bagaglio filosofico che, all’inizio, non pensavo di trovare
per strada. I due anni passati su quest’argomento mi hanno
fatto crescere e mi hanno insegnato molte cose, non
quantificabili, ma che mi aprono prospettive per future
ricerche, nel tentativo di trovare almeno una briciola di
quella cosa che tutti noi cerchiamo: la Verità.
90
L’analogia tra mondo e musica...
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L’AUTORE:
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L’analogia tra mondo e musica...
ADEMIR MENIN é Mestre em Filosofia pela Pontificia
Universidade Gregoriana de Roma-PUG (2013).
Especialista em Letras (Estudos Linguìsticos e Literàrio)
pela Universidade Estadual do Norte do Paranà-UENP
(2010).
Graduado em Filosofia pela Universidade Estadual do
Oeste do Paraná-UNIOESTE (1995).
Graduado em Teologia pela Pontifícia Universidade
Urbaniana de Roma-PUU(1999).
Atualmente é professor de Filosofia Moderna e
Contemporânea na Universidade Estadual do Oeste do
Paraná – UNIOESTE.
Bibliografia
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