Il diritto all`assunzione quale misura sanzionatoria imposta dal diritto

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GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
Stabilizzazione
Il diritto all’assunzione quale misura
sanzionatoria imposta
dal diritto comunitario
TRIBUNALE DI TRANI, Sez. Lav., Ordinanza 2 marzo 2009 - Est. La Notte Chirone
Procedure di stabilizzazione del precariato pubblico nel comparto degli enti locali - Art. 1, commi 558 e 565, della
legge n. 296/2006 - Legislazione regionale concorrente ai sensi dell’art. 117 Cost. - Legittimità costituzionale delle
procedure di stabilizzazione del precariato pubblico - Sussiste sia nella legislazione statale che in quella regionale - Stabilizzazione dei precari nelle aziende sanitarie regionali - Art. 30 Legge regionale del Puglia n. 10/2007 - Inclusione
della Dirigenza non apicale di primo livello dalle procedure di stabilizzazione - Difetto di giurisdizione del Giudice ordinario specializzato - Non sussiste - Diritto soggettivo a partecipare alle procedure di stabilizzazione - Sussiste, alle
condizioni di legge - Discrezionalità dell’Ente pubblico che intende stabilizzare di escludere dalla selezione personale in
esubero rispetto ai posti da ricoprire - Non sussiste - Discrezionalità della pubblica amministrazione di stabilizzare
dalla graduatoria solo il personale destinato a ricoprire i posti vacanti - Sussiste solo se la P.A. fornisce la prova che i
posti da ricoprire per esigenze permanenti non siano pari al numero dei soggetti da stabilizzare
(L. n. 296/2006, art. 1, commi 519, 558 e 564; L.r. Puglia n. 10/2007, art. 30; L.r. Puglia n. 40/2007, art.
40; Cost. artt. 97 e 117; D.Lgs. n. 165/2001, art. 63)
Il diritto all’assunzione a tempo indeterminato del Dirigente non apicale del Comparto sanità, attraverso le procedure di stabilizzazione del precariato pubblico disciplinate dalla legislazione nazionale
e da quella regionale, appartiene alla competenza del Giudice ordinario specializzato e non del Giudice amministrativo, trattandosi di atti di gestione e non di procedure concorsuali. La pubblica amministrazione può non adottare la stabilizzazione del precariato pubblico, in mancanza di posti vacanti da ricoprire in pianta organica. Ma, se attiva le procedure di stabilizzazione, da un lato non può
discrezionalmente limitare l’accesso alla selezione per l’assunzione, dall’altro, se intende stabilizzare
solo il personale destinato a ricoprire i posti vacanti, deve fornire la prova rigorosa che i posti da ricoprire per esigenze permanenti e durature siano inferiori e non pari al numero dei soggetti da stabilizzare. Pertanto, sussistendo le condizioni di legge e in mancanza di prova del corretto e limitato
esercizio del potere discrezionale della P.A., il giudice ordinario accoglie l’istanza cautelare del dipendente precario e ordina al datore di lavoro pubblico di inserirlo nel processo di stabilizzazione
del rapporto da cui il lavoratore è stato escluso.
(Omissis) Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il
23.1.2009 il dr. F. N., ha agito esponendo: con delibera
n. 210 dell’11.03.2003 l’ASL gli conferiva, a mezzo
contratto individuale di lavoro a tempo determinato,
incarico a tempo determinato di Direttore dell’area gestione risorse finanziarie, di durata quinquennale, ai
sensi del D. Lgs. n. 502/1992, art. 15 septies. Successivamente, tenuto conto dell’istituzione della sesta provincia pugliese, con delibera del 30.03.2007, n. 443, gli incarichi dirigenziali erano ridefiniti e, con delibera n.
1661 del 29.11.2007, l’incarico al ricorrente veniva rinnovato fino al 30.04.2013.
Dovendosi procedere alla stabilizzazione del personale
precario in servizio presso le pubbliche amministrazioni,
l’ASL, dapprima provvedeva ad inserire il ricorrente
quale beneficiario degli effetti della suddetta procedura,
avviata con deliberazione n. 409/08, salvo poi escluderlo con la successiva delibera n. 1701/08 con cui si decideva di ridurre da tre ad uno il numero dei posti di dirigente amministrativo da stabilizzare, sulla base della
qualità apicale delle funzioni dirigenziali espletate dal
ricorrente e, evidentemente, dagli altri esclusi.
Tutto ciò premesso, ritenuta la sussistenza del requisito
del “ periculum in mora” per il fatto che l’azienda resistente ha provveduto ad indire l’avviso per la stabilizzazione del personale precario, con scadenza il
17.01.2009, dal quale il ricorrente era escluso, con il
presente ricorso ex art. 700 c.p.c. l’istante, chiedeva ac-
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certarsi e dichiararsi il suo diritto a partecipare alla procedura di stabilizzazione dell’ASL indetta con deliberazione n. 409 del 27.03.2008 e, per l’effetto, dichiarare
l’illegittimità della deliberazione n. 1701 del
26.11.2008 della ASL con cui era stato escluso dal procedimento di stabilizzazione, ovvero adottare qualsiasi
altro provvedimento ritenuto opportuno a soddisfare la
richiesta di tutela cautelare avanzata.
Si costituiva l’ASL, contestando l’esistenza della giurisdizione dell’AGO, nonché l’insussistenza dei requisiti
in fatto ed in diritto, per l’accoglimento della domanda
cautelare atteso che, ai sensi dell’art. 3, comma 40,
L.R., 40/07, dal processo di stabilizzazione va escluso il
personale con funzioni apicali, come quelle dell’odierno
ricorrente.
Ciò premesso in fatto, in diritto, in merito all’eccepito
difetto di giurisdizione del Giudice adito, che merita di
essere affrontata in via preliminare, si osserva quanto segue, facendo particolare riferimento alle prime pronunce sul punto, pur nella consapevolezza che non vi è sempre stata una chiave di lettura unitaria. La prima sentenza intervenuta sull’importante tematica, non tenendo
conto di quelle dei TAR che si sono pronunciate relativamente al personale militare non contrattualizzato, è la
pronuncia del TAR Veneto, Sez. II, n. 3342 del 19 ottobre 2007, relativamente al personale del comparto degli
enti locali, che stabilisce come la stabilizzazione del personale ai sensi dell’articolo 1, comma 558, della L.
296/2006, costituisca una mera facoltà discrezionale per
gli enti locali e non un obbligo, non sussistendo alcun
diritto in capo all’interessato ad ottenere la stabilizzazione, ma unicamente un’aspettativa di mero fatto. Assai
interessante poi la successiva pronuncia del TAR Lazio,
Sez. III, quater n. 1239/07 del 14.11.07, la prima ad intervenire sulla problematica relativa alla giurisdizione in
materia di stabilizzazione. Nel caso di specie i giudici
hanno ritenuto che la controversia promossa contro l’ISTAT per l’annullamento, previa sospensione dell’esclusione dalle procedure di stabilizzazione indette ai sensi
dell’art. 1 c. 519 della L. 296/2006, riguardando la gestione del rapporto di lavoro in atto, rientri nella competenza del giudice ordinario, così come definita dall’art.
63 del D.Lgs. n. 165 del 2001, aderendo sostanzialmente
al noto orientamento della Cass. Civ. SS.UU. n. 3188
del 14 febbraio 2007 e dichiarando conseguentemente
inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso presentato. Anche il TAR Veneto, Sez. II, con sent. n.
3646 del 15/11/07, chiamato a pronunciarsi in merito
all’annullamento dell’esecuzione delle graduatorie definitive e provvisorie di esclusione dalla selezione bandita
dalla Regione Veneto, afferma che “il procedimento di
formazione delle graduatorie per la stabilizzazione del
personale precario, ai sensi delle richiamate disposizioni
normative, non costituisce una procedura concorsuale
in senso proprio, in quanto manca, rispetto agli aspiranti, non solo qualsiasi giudizio comparativo, ma anche
qualsivoglia discrezionalità nella valutazione dei titoli di
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ammissione, ragion per cui le relative controversie non
sono sottoposte alla giurisdizione amministrativa ai sensi
dell’art. 63, IV comma del D.Lgs. n. 165/01, bensì a
quella ordinaria”, dichiarando inammissibile il ricorso
per difetto di giurisdizione. In senso conforme la successiva pronuncia n. 3643 del 15 novembre 2007 TAR Veneto della stessa sezione, che chiarisce altresì quale è il
giudice competente a decidere in merito ai provvedimenti di inclusione e/o di esclusione dalla graduatoria
per la stabilizzazione del personale precario. A ben vedere dunque queste pronunce chiariscono talune problematiche assai delicate, che riguardano la stabilizzazione
con particolare riferimento alle procedure adottate dalle
amministrazioni pubbliche e stabiliscono: in primo luogo che l’Amministrazione, a norma del c. 558, non è tenuta ad effettuare le stabilizzazioni, atteso che prioritariamente stabilisce, nell’ambito della programmazione
triennale del fabbisogno, l’opportunità di coprire i posti
vacanti mediante stabilizzazione del personale precario,
valutando se i contratti a termine sono stati utilizzati a
copertura di esigenze strutturali e durature dell’apparato
amministrativo, ben potendo dunque a margine di tale
valutazione anche decidere di non effettuare alcuna stabilizzazione; in secondo luogo che, effettuata la scelta
delle amministrazioni di procedere alle stabilizzazioni,
non sussiste alcuna discrezionalità in merito all’ammissione dei soggetti aventi in possesso dei requisiti di cui al
c. 558 della L. 296/06. Appare però evidente che,nel caso in cui il numero dei soggetti aventi i requisiti fosse superiore ai posti da coprire, l’Ente, ammessi tutti gli aventi i requisiti, non potrà esimersi dal compiere una necessaria e successiva selezione attraverso la definizione di
criteri che, quantunque ispirati al principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, non
potranno che essere discrezionali.
Nella fattispecie in esame, non è affatto emerso, né l’azienda resistente lo ha dedotto e/o provato, che i posti
da coprire non siano pari al numero dei soggetti da stabilizzare, quindi non può ritenersi una ipotesi di procedura di selezione e, come tale, soggetta all’individuazione di criteri discrezionali da parte della amministrazione procedente, e, va quindi ritenuta la giurisdizione del
Giudice correttamente adito.
Passando all’esame del merito della domanda rilevato
che l’art. 1 comma 519 della L. n. 296 del 27.12.06
(legge finanziaria per l’anno 2007) ha stabilito che:
“Per l’anno 2007 una quota pari al 20 per cento del
fondo di cui al comma 513 è destinata alla stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio
a tempo determinato da almeno tre anni, anche non
continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di
contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre
anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge,
che ne faccia istanza, purché sia stato assunto mediante
procedure selettive di natura concorsuale o previste da
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norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive. Le amministrazioni continuano ad avvalersi del
personale di cui al presente comma, e prioritariamente
del personale di cui all’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215, e successive modificazioni, in servizio al 31 dicembre 2006, nelle more
della conclusione delle procedure di stabilizzazione…”;
rilevato che la successiva Direttiva Ministeriale 30.4.07
n. 7 ha chiarito che il legislatore è intervenuto con il
comma 519 cit. con la finalità di sanare situazioni che si
protraggono da lungo tempo e che hanno disatteso le
norme che regolano il sistema di provvista di personale
nelle pubbliche amministrazioni e creato diffuse aspettative nei dipendenti così assunti, anche in violazione dell’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001. “Infatti,
come già diffusamente sottolineato nella circolare n. 3
del 2006 del Ministro per la funzione pubblica, il ricorso
a contratti di lavoro a tempo determinato corrisponde
alla necessità di fare fronte ad esigenze temporanee delle
amministrazioni, mentre nelle situazioni oggetto della
stabilizzazione prevista dalla legge finanziaria per l’anno
2007 di fatto si sono utilizzate tipologie di lavoro temporaneo per esigenze permanenti dell’amministrazione e
non esternalizzate..”. Il predetto provvedimento ha poi
precisato che il comma in questione riguarda la stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale, assunto a tempo determinato, che sia: 1. in servizio da almeno
tre anni, anche non continuativi, alla data di entrata in
vigore della legge medesima, 2. o che maturi tre anni,
anche dopo l’entrata in vigore della legge, in virtù di
contratti stipulati prima del 29 settembre 2006, e 3. oppure non più in servizio ma che abbia maturato il requisito dei tre anni di servizi, anche non continuativi, nel
quinquennio anteriore all’entrata in vigore della legge;
rilevato che in attuazione delle suddette disposizioni, la
regione Puglia ha espresso la propria volontà di procedere alla stabilizzazione del personale precario in servizio
presso le ASL e gli IRCCS pubblici, prevedendo, all’art.
30 della l. n. 10/07, che la Giunta Regionale deliberasse
un piano per la suddetta stabilizzazione utilizzando i criteri e le indicazioni contenute nella legge finanziaria;
considerato che con deliberazione n. 1657 del 15.10.07
è stato adottato dalla regione il piano di stabilizzazione
del suddetto personale precario il quale, nel prevedere
che le ASL debbono provvedere ad emanare appositi
avvisi di selezione ha precisato, per quanto qui interessa,
con riferimento al requisito dell’anzianità di servizio, che
possono essere ammessi alla procedura di stabilizzazione
i dipendenti in servizio in possesso di: 1. un’anzianità di
servizio di almeno tre anni anche non continuativi oppure 2. un’anzianità di almeno tre anni da conseguire
nell’arco del quadriennio 2007-2010 oppure 3. un’anzianità di servizio di almeno tre anni anche non continuativa conseguita nel quinquennio anteriore alla data di
adozione del provvedimento. Possono inoltre partecipa-
re coloro che, pur non essendo in servizio alla data di
adozione del provvedimento, abbiano svolto presso l’Azienda Sanitaria o l’IRCCS che bandiscono l’avviso, almeno un incarico a tempo determinato e che abbiano
comunque maturato un’anzianità di servizio di almeno
tre anni anche non continuativi nel quinquennio anteriore all’adozione della delibera in questione, anche
presso altre Aziende Sanitarie ed IRCCS della Regione;
rilevato che la L.R. n. 40/07, ha stabilito che “gli
IRCCS pubblici possono stabilizzare il personale precario (…) con le stesse procedure indicate nel presente
comma, applicando quanto previsto dal comma 520
della l. 296/2006. Sono esclusi dal suddetto processo di
stabilizzazione (…) “i dipendenti assunti a tempo determinato per la sostituzione del personale assente, con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, i dipendenti in aspettativa presso altre aziende sanitarie o
IRCCS pubblici, il personale assunto a tempo determinato per l’attuazione di progetti oggetto di finanziamenti finalizzati e il personale con funzioni apicali”, punto
essenziale del ricorso in esame è quello di vedere se nel
caso in esame, possa o meno ritenersi l’apicalità delle
funzioni dirigenziali svolte dal ricorrente.
In proposito, occorre precisare che la dirigenza di primo
livello è chiaramente “non escluso” dalla stabilizzazione
come si evince dalla circolare esplicativa sulla stabilizzazione n. 5 del 18/4/2008 del Ministero della Funzione
Pubblica (scongiurando qualsiasi equivoco di “interpretazione letterale” del termine “dirigente” menzionato
nella legge). La sanità, infatti, è l’unico ambito della
Pubblica Amministrazione in cui la dirigenza si articola
su due livelli. L’art. 18 comma 2 bis del D.Lgs. 502 del
30/12/92 già prevedeva tale distinzione e, anche se contenuta in una norma transitoria, tale distinzione si è
mantenuta negli anni ed è stata confermata da varie
sentenze della Cassazione, dai vari CCNL che si sono
siglati nel tempo, fino all’ultimo D.Lgs. n. 229/99 che
elimina la dizione dirigente di primo livello ma mantiene distinte sia le funzioni che il trattamento economico
tra dirigente di primo e secondo livello.
Il dirigente di primo livello, figura alla quale si ritiene
possa rapportarsi quella ricoperta dall’odierno ricorrente, quindi, è definito tale solo per la sua alta qualificazione che gli consente di eseguire mansioni di alta specialità ma egli resta un dipendente subordinato che deve attenersi alle mansioni che gli vengono affidate dai
superiori. La modalità di accesso a tale livello nella P.A.
è basata sugli stessi criteri usati per le categorie del comparto non essendo tali incarichi basati su rapporti intuitu personae. Il dirigente di primo livello, quindi, non ha
alcuna facoltà decisionale e manageriale ed è economicamente trattato con contratti lievemente superiori a
quelli del comparto e molto distanti da quelli della dirigenza di secondo livello.
Il “vero” dirigente, nel comparto sanità, è il dirigente di
secondo livello (detto apicale e definito in giurisprudenza “alter ego dell’imprenditore”) che stabilisce con
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la Pubblica Amministrazione un tipo di rapporto fiduciario, equiparabile ad altre Funzioni Pubbliche (ad
esempio i presidi delle scuole, art. 25, D.Lgs 165/01).
L’art. 1 comma 519 della legge finanziaria 2007 (quello
principale che stabilisce i criteri per la stabilizzazione) e
l’art. 3 comma 94 della legge finanziaria 2008 sono riferiti alle amministrazioni dello Stato (ministeri ecc.) in
cui tutti i dirigenti hanno tipologie di contratto basate
sull’art. 19 D.Lgs 165/01 con rapporti a forte connotazione fiduciaria. In tali norme sulla stabilizzazione,
quindi, la dizione “non dirigenziale” non necessita di alcuna precisazione ma è chiaro che, nel caso del comparto sanità, dove la dirigenza è individuata dall’art. 26
D.Lgs 165/01 e dove la stabilizzazione è regolata dal
comma 565 della finanziaria 2007, l’esclusione in questione si riferisce solo alla dirigenza apicale.
Questi aspetti sono chiaramente enunciati nella circolare esplicativa sulla stabilizzazione n. 5 del 18/4/2008
del Ministero della Funzione Pubblica.
In tale documento si descrive in premessa la motivazione alla speciale deroga costituzionale che caratterizza
tale processo (punto 1):
“Le disposizioni speciali in materia di stabilizzazione dettate dalla legge 26 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) derogando al principio costituzionale del
concorso pubblico come modalità di accesso all’impiego
nelle pubbliche amministrazioni, hanno segnato significativamente la normativa sul reclutamento ordinario
del personale nelle amministrazioni pubbliche. Alla base dell’intervento vi è, come noto, la volontà del legislatore di porre rimedio alle situazioni irregolari determinatesi come effetto dell’utilizzo del lavoro flessibile per esigenze permanenti legate al fabbisogno ordinario, situazioni assimilate a forme di precariato ritenute poco compatibili con i principi che sono alla base dell’organizzazione e del funzionamento delle amministrazioni” (La
Corte Costituzionale si è già espressa più volte legittimando tale deroga all’art. 97 quando essa viene esercitata in un ambito di non irragionevolezza - vedi ad esempio sentenza n. 274/2003 - massima 27892).
AI punto 5, invece, dove si delineano le categorie
escluse il Ministero si dice: “Come ripetutamente precisato tanto nella legge finanziaria 2007 quanto in
quella del 2008, non si applica la stabilizzazione al
personale dirigenziale. Le tipologie contrattuali a
tempo determinato previste per dette categorie sono
contenute in disposizioni speciali in cui prevale l’esigenza di una scelta fondata sull’intuitu personae ed
accompagnata spesso dalla previsione di un contingente limitato di posti. Non si rinvengono in questo
caso i presupposti di un utilizzo improprio del tempo
determinato in quanto i rapporti si svolgono nel rispetto della normativa di riferimento senza determinare aspettative in capo agli interessati”.
I contratti a tempo determinato di cui sono titolari i dirigenti di primo livello sono del tutto analoghi a quelli
del comparto essendo basati sui CCNL e sul D.Lgs. n.
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368 del 2001 (che ha sostituito la legge n. 230 del
1962), nel quadro del D.Lgs 165/01.
I ripetuti contratti a tempo determinato a cui si riferisce
la norma sulla stabilizzazione, anche nel caso dei dirigenti di primo livello, sono stati utilizzati in maniera
impropria per esigenze permanenti, legate al fabbisogno
ordinario e, come riferisce la circolare esplicativa del
ministero, in situazioni assimilate a forme di precariato
ritenute poco compatibili con i principi che sono alla
base dell’organizzazione e del funzionamento delle amministrazioni.
I contratti dei dirigenti di primo livello, inoltre, sono
stati stipulati prevalentemente sulla base di normali
procedure di natura concorsuale ed esulano totalmente
da quelle tipologie contrattuali previste per le categorie
dirigenziali escluse dalla legge dove si ritrovano disposizioni speciali in cui prevale un’esigenza di scelta fondata sull’intuitu personae.
Tale non esclusione dei dirigenti di primo livello della
sanità si può, per analogia, evincere anche dal comma
565 della finanziaria 2007 (che è quello che si riferisce
specificamente a tale comparto) che recita alla lettera
c) punto 3):
“In tale ambito e nel rispetto dell’obiettivo di cui alla lettera a), può essere valutata la possibilità di trasformare le
posizioni di lavoro già ricoperte da personale precario in
posizioni di lavoro dipendente a tempo indeterminato.
A tale fine le regioni nella definizione degli indirizzi di
cui alla presente lettera possono nella loro autonomia far
riferimento ai principi desumibili dalle disposizioni di cui
ai commi da 513 a 543”.
Come si può notare in tale comma si parla solo di “posizioni di lavoro già ricoperte da personale precario”
non specificando come in tutti gli altri commi riguardanti la stabilizzazione della finanziaria la dicitura “non
dirigenziale” e rimandando alla autonomia delle regioni
la scelta dei riferimenti dei principi desumibili dai commi da 513 al 543.
Sulla base di tutte le considerazioni sopra esposte risulta
chiaro che il processo di stabilizzazione per i dirigenti di
primo livello del comparto sanità promosso dalla Regione Puglia rientra totalmente nei principi costituzionali,
rispetta le competenze delle regioni e si articola entro gli
ambiti e le possibilità offerte dalla norma nazionale.
D’altro canto, l’onere di provare l’apicalità delle funzioni
dirigenziali del ricorrente, come innanzi precisata, spettava all’azienda resistente, ma ciò non è affatto emerso,
sol che si consideri che, alla luce del contenuto della nota prot. 37226 dell’11.07.2008, la firma dei mandati di
pagamento, compito primario dell’area affidata ad dr. N.,
era subordinata alla presenza di una distinta di accompagnamento sottoscritta dal direttore generale. A riguardo,
particolarmente significativa diventa la nota 39439 sempre dell’11.07.2008, da cui emerge l’assoluto rigore con il
quale il Direttore generale ha inteso la suddetta procedura inerente la distinta di pagamento.
In tale documento vi è una sorta di reclamo esposto nei
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confronti dell’istituto di credito che, evidentemente,
non aveva tenuto conto del requisito mancante della
distinta di accompagnamento, ove si ribadisce che è
necessario un “controllo tra mandati contenuti in distinta rispetto a quelli effettivamente pagati, atteso che,
i mandati da spesare sono esclusivamente quelli presenti in distinta (unico documento che riporta la firma del
direttore Generale).
Quindi, il ricorrente, mancava di autonomia di spesa che
per chi dirige l’area gestione delle risorse finanziarie è un
requisito essenziale ai fini della apicalità di tale funzione.
Quanto precede depone per l’accoglimento del ricorso,
in considerazione dell’esistenza anche del requisito del
periculum in mora che deriva dall’aver, l’azienda resistente, in esecuzione della deliberazione n. 1723 del
26.11.2008, indetto l’avviso per la stabilizzazione del
personale precario alla dirigenza amministrativa con
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dalla quale il
ricorrente risulta essere escluso.
Consegue che, disapplicata la deliberazione n. 1701 del
26.11.2008 della ASL, con cui il ricorrente è stato
escluso dal processo di stabilizzazione, lo stesso deve essere ammesso a partecipare alla procedura di stabilizzazione indetta dall’azienda resistente con deliberazione
n. 409 del 27.03.2008.
Viste le peculiarità della materia ricorrono comunque
opportuni motivi per compensare fra le parti le spese
del presente procedimento.
P.Q.M.
Il Tribunale di Trani, in composizione monocratica, decidendo il ricorso proposto in data 23.01.2009, dal dr.
N.F., nei confronti dell’ASL, così provvede:
– accoglie il ricorso e, per gli effetti, disapplicata la deliberazione n. 1701 del 26.11.2008 dell’ASL e ogni altro
atto consequenziale, ordina all’azienda resistente di
consentire a N.F. di partecipare alla procedura di stabilizzazione indetta dalla stessa azienda con deliberazione
n. 409 del 27.03.2008;
– compensa le spese della fase cautelare.
IL COMMENTO
di Vincenzo De Michele
Avvocato
La vicenda processuale è molto complessa e particolarmente delicata, perché riguarda il controverso
processo di stabilizzazione del precariato pubblico,
peraltro con applicazione della disciplina nazionale
delle due leggi finanziarie per il 2007 e per il
2008, nonché della conseguente legislazione regionale per i rapporti di lavoro degli Enti territoriali,
a decine di migliaia di posizioni di contratti a tempo determinato di lunga durata o più volte prorogati ai fini di un’assunzione stabile. L’ordinanza del
Tribunale di Trani, seppure in sede cautelare, affronta e risolve condivisibilmente molti nodi cruciali: la legittimità costituzionale delle procedure
di stabilizzazione; la competenza del Giudice ordinario; la natura di diritto soggettivo dell’assunzione stabile nella P.A.; i limiti della discrezionalità
del datore di lavoro pubblico rispetto alla procedura selettiva; l’inclusione nella stabilizzazione anche
del personale precario Dirigente non apicale. Sullo
sfondo, non evocata ma immanente, la normativa
comunitaria sul contratto a tempo determinato e
le sentenze della Corte di Giustizia, che hanno di
fatto imposto all’Italia la stabilizzazione del precariato come adeguata misura sanzionatoria degli
abusi delle pubbliche amministrazioni.
La crisi del sistema giuridico interno
tra conflitti di competenza, inefficienza
del legislatore e precarietà delle regole
È stata già sottolineata (1) la crisi del nostro sistema giuridico e del processo del lavoro e rilevata la possibilità che, in una prospettiva di più ampio respiro in un
quadro di regole e di tutele di diritto comunitario ed internazionale, si riesca a dare effettiva garanzia ai diritti
fondamentali della persona. Il giudizio è negativo, perché l’ordinamento giuridico italiano è agli ultimi posti
nella graduatoria mondiale dei Paesi per qualità, equità
e ragionevole durata del processo civile (2). Dopo il necessario esame di coscienza “giuridica”, si devono trovare le soluzioni per uscire dalle difficoltà di regole e controregole, conflitti di competenza, assenza di tutela effettiva dei diritti nei confronti degli abusi dello Stato, in
cui gli interpreti interni sono costretti a muoversi.
Note:
(1) Cfr. V. De Michele, La tutela comunitaria e internazionale salverà il
processo del lavoro italiano?, in questa Rivista, 2009, 145.
(2) Cfr. i dati forniti dalla Banca Mondiale nello studio Doing business
2009, elaborato per fornire indicazioni alle imprese sugli Stati in cui è
più vantaggioso effettuare investimenti: l’Italia è ultima (la precede a
molta distanza solo la Spagna al 54° posto) nel 2008 dei Paesi europei al
156^ posto (era 155^ nel 2007) su 181 (erano 178 i Paesi comparabili
nel 2007), dopo Angola, Gabon, Guinea e São Tome, con tempi medi
per processo civile di 1.210 giorni.
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La commentata ordinanza del Tribunale di Trani offre un’ottima soluzione ad un problema attuale e molto
controverso sia in dottrina che in giurisprudenza: la stabilizzazione del precariato pubblico. In realtà il provvedimento cautelare propone l’unica ragionevole opzione interpretativa, adeguata e coerente rispetto alla disciplina
comunitaria sul contratto a tempo determinato, come
interpretata dalla Corte di Giustizia. A questo punto l’obiezione è immediata: che rapporto ci potrà mai essere
tra la stabilizzazione del precariato pubblico interno e la
Direttiva 1999/70/CE? Le procedure di stabilizzazione
dei rapporti flessibili con la P.A. rappresentano solo una
scelta “politica” del legislatore ordinario, a cominciare
dalla legge finanziaria per il 2007 (L. n. 296/2006). La risposta è negativa. La stabilizzazione del precariato pubblico è una misura straordinaria ed eccezionale che è stata imposta, di fatto, dall’Unione europea attraverso l’interpretazione della giurisprudenza comunitaria, per sanare gli abusi delle pubbliche amministrazioni sui contratti
a tempo determinato. Ed è stata imposta tenendo come
esempio il caso della Grecia e la reazione dell’ordinamento ellenico, afflitto da fenomeni di precariato pubblico di uguale allarme sociale rispetto all’Italia.
D’altra parte, se Basilico (3), nel proporre alla Corte
di Giustizia la questione di pregiudizialità comunitaria
dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, fosse stato meno rispettoso della criticabile sentenza n. 89/2003 (4)
della Corte Costituzionale e, soprattutto, avesse sottolineato che la regola sospettata di contrasto con la normativa comunitaria avesse funzionato non come normasanzione, ma come norma-sbarramento per evitare ogni
conseguenza risarcitoria per gli abusi delle pubbliche amministrazioni sui contratti a termine, la Corte di Lussemburgo si sarebbe trovata di fronte alla stessa situazione
normativa di assenza di tutela effettiva, presente nel diritto ellenico, che poi avrebbe censurato con la sentenza
della Grande Sezione “Adeneler” (5). In questo caso, le
cause “italiane” “Marrosu-Sardino” e “Vassallo” (6), proposte prima della questione di pregiudizialità comunitaria
sul diritto greco, sarebbero state decise in momento antecedente o contestualmente a quella greca “Adeneler”.
Infatti, le diverse posizioni giurisprudenziali (7)
che si sono susseguite dal settembre 2006 ad oggi dissimulano lo sforzo di evitare a tutti i costi la conseguenza
delle due sentenze “italiane” della Corte di Giustizia
“Marrosu-Sardino” e “Vassallo”: l’accertamento dell’inadeguatezza delle misure predisposte dall’ordinamento
italiano a sanzionare gli abusi in tema di contratto a
termine, e la disapplicazione delle stesse in favore della
disciplina comune dettata dal D.Lgs. n. 368/2001, costituita dalla riqualificazione in contratto a tempo indeterminato del rapporto a termine.
La tutela sanzionatoria e la riqualificazione
dei contratti a tempo determinato nel pubblico
impiego
Per evitare che lo Stato e i suoi amministratori in-
378
cappassero nelle maglie di decine di migliaia di controversie di risarcimento dei danni per contratti a termine
illegittimi, il legislatore ha avviato due processi di stabilizzazione dei rapporti flessibili con la p.a., con le due
leggi finanziarie per il 2007 (n. 296/2006) e per il 2008
(n. 244/2007), che hanno di fatto depotenziato la rigidità della Giurisprudenza costituzionale sull’art. 97 Cost. e, per esigenze di giustizia sostanziale (il precariato
nella p.a. era una situazione intollerabile per le dimensioni del fenomeno), i costi sopportati dallo Stato sono
stati elevatissimi sia in termini economici che sotto il
profilo della razionalità del sistema.
Per “stabilizzazione” si intende quel complesso normativo attraverso il quale il legislatore consente che
una Pubblica Amministrazione converta a tempo indeterminato i rapporti, variamente definibili come “precari” del proprio personale, determinando in questo
modo la costituzione di rapporti di lavoro a durata indeterminata, secondo un meccanismo del tutto diverso da
quello del concorso.
A fronte, infatti, della procedura concorsuale, richiesta dall’art. 97, comma 3, Cost. in quanto rispettosa dei principi dell’imparzialità e del buon andamento, la disciplina legislativa consente l’assunzione
di soggetti già presenti alle dipendenze dell’Amministrazione, non assunti per il tramite delle procedure ex
art. 35, e nei cui confronti viene operata una sorta di
Note:
(3) Estensore della pregevole ordinanza del Tribunale di Genova del 21
gennaio 2004, causa C-53/04 “Marrosu-Sardino”, su questa Rivista,
2004, 9, 885 e ss., con nota di C.A. Costantino.
(4) In questa Rivista, 2003, 831 s., con nota di P. Sciortino, Procedure
concorsuali, violazione di legge, costituzione del rapporto di pubblico impiego.
(5) Corte di Giustizia, sentenza 4 luglio 2006 nella causa C-212/04. In
dottrina, v. L. Menghini, Precarietà del lavoro e riforma del contratto a termine dopo le sentenze della Corte di Giustizia, in Riv. giur. lav., 2006, I,
698; P. Alleva, Presentazione, ivi, 2007, I, 4; L. Montuschi, Il contratto a
termine e la liberalizzazione negata, in DRI, 2006, 610; L. Nannipieri, La
Corte di Giustizia e gli abusi nella reiterazione dei contratti a termine: il problema della legittimità comunitaria degli artt. 5 d. lg. n. 368/2001 e 36 d. ls.
n. 165/2001, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 744; M. Aimo, Il contratto a termine alla prova, in Lav. dir., 2006, 462; G. Sottile, Sanzioni per il contratto
a termine nel lavoro pubblico e Corte di Giustizia Europea, in Dir. lav.
merc., 2007, 131.
(6) Corte di Giustizia, Sezione II, sentenze del 7 settembre 2006, cause
Marrosu e Sardino C-53/04 e Vassallo C-180/04.
(7) V. Trib. Foggia (Est. Quitadamo), 6 novembre 2006, in Lav. prev.
oggi, 2007, 2, 344 e ss., con nota di M. N. Bettini; Trib. Genova (Est.
Basilico), 14 maggio 2007, in Guid. Lav., 2007, 39, 37, commentata da
R. Garofalo, Quale risarcimento al dipendente pubblico per contratti a termine illegittimi, su questa Rivista, 2007, 1097 ss., e da A. Miscione, Conseguenze sul contratto a termine illegittimo nel pubblico impiego, in Mass. giur.
lav., 2008; Trib. Rossano (Est. Coppola), sentenza 4 giugno 2007, su
Riv. it. dir. lav., 2007, II, 906; App. Firenze, (Pres. est. Amato), sentenza
27 maggio 2008, inedita; Trib. Foggia (Est. Buonvino), sentenza del 17
ottobre 2008, inedita; App. Bari (Pres. Lucafò, Est. Nettis), sentenza 23
ottobre 2008, inedita; Trib. Reggio Emilia (Est. Strozzi), sentenza 18
aprile 2007, che addirittura disapplica la norma interna - art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 - per contrasto insanabile con la normativa
comunitaria e dichiara la conversione dei contratti illegittimamente
prorogati con l’ente pubblico (INAIL).
I L L AVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 4/2009
GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
“sanatoria” (8) in considerazione della propria condizione di “precariato stabile”.
La prima stabilizzazione del precariato
pubblico: la legge finanziaria per il 2007
In particolare, con un unico abnorme articolo la
legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (legge finanziaria per
il 2007) ha previsto che le pubbliche amministrazioni
possano procedere alla stabilizzazione del personale utilizzato con contratti di natura temporanea ma con riferimento a fabbisogni permanenti.
Il comma 519 dedicato allo Stato, ed il comma 558
dettato per gli Enti locali, dispongono la trasformazione
dei contratti a tempo determinato in essere da almeno
tre anni, anche non continuativi nell’arco dell’ultimo
quinquennio, in contratti a tempo indeterminato, relativamente ai rapporti privatizzati delle pubbliche amministrazioni, mentre in diverse altre norme sono sparse “immissioni in ruolo” del personale precario docente e tecnico-amministrativo della scuola e degli l.s.u.
Destinatario delle disposizioni dei commi 519 e
558 è il personale non dirigenziale, in servizio a tempo
determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti
stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006,
ovvero che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla
data di entrata in vigore della legge 27/12/2006 n. 296.
Dall’esame dei commi 519 e 558 emerge una bipartizione tra le casistiche possibili, in quanto all’ipotesi
di contratto a tempo determinato perfezionato a seguito
dell’avvenuta effettuazione di “procedure selettive di
natura concorsuale o previste da norme di legge” si
contrappone l’opposta possibilità, in cui si sia in presenza di “personale assunto a tempo determinato mediante
procedure diverse”.
Se, ad una prima lettura appare che la disciplina in
tema di stabilizzazione è stata pensata dal legislatore
proprio al fine di non incidere in maniera negativa sulla
centralità del principio del pubblico concorso, analizzando nel dettaglio il contenuto delle procedure previste e il concreto intento applicativo delle parti sociali,
si evince che la volontà del legislatore - che mal si concilia con l’espletamento di un pubblico concorso aperto
all’esterno - è innegabilmente, la “stabilizzazione” del
precariato (9).
Analizzando i presupposti della stabilizzazione, colpisce la coincidenza del periodo dei tre anni nell’ultimo
quinquennio, con il periodo di tre anni previsto dall’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 quale durata massima del contratto a termine (10). I tre anni saranno
poi ripresi dall’art. 1, comma 40, della legge n.
247/2007, che riformulerà dal 1° gennaio 2008 l’art. 5
D.Lgs. n. 368/2001, con l’aggiunta del comma 4-bis.
Da ciò si evince, dunque, che la ratio della disposizione sia quella di consentire la trasformazione in rapporti a tempo indeterminato dei rapporti a termine
svoltisi in violazione della normativa “comune” del
contratto a tempo determinato, con lo scopo di pervenire all’aggiramento del divieto di conversione fissato
dal comma secondo dell’art. 36 del Testo Unico sul
pubblico impiego.
La seconda stabilizzazione del precariato
pubblico: la legge finanziaria per il 2008
La vicenda della “stabilizzazione”, tra l’altro, non
termina con la legge n. 296/2006, ma prosegue con la
successiva legge finanziaria per il 2008 (art. 3, commi
90-92, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).
Ad una prima lettura appare, innanzitutto, una
lampante contraddizione tra l’inciso iniziale, che sottolinea la volontà del Legislatore di ribadire che l’accesso
alle Pubbliche Amministrazioni avviene attraverso le
procedure selettive di cui all’art. 35 D.Lgs. n. 165/2001,
e la concreta previsione di un ulteriore allargamento
delle “maglie” della “stabilizzazione” introdotta dalla Finanziaria per il 2007, le cui disposizioni sono, non solo,
fatte salve dalla nuova legge, ma ne viene esteso l’ambito di applicazione soggettivo ai lavoratori che conseguano i requisiti ivi previsti al 28 settembre 2007. Sembra, così, istituzionalizzarsi il ricorso alla “stabilizzazione” (11), il che alimenta sempre più aspettative nei lavoratori “precari” delle Pubbliche Amministrazioni e finisce per assestare un colpo durissimo al già vacillante
principio dell’accesso al pubblico impiego mediante
concorso, in conseguenza però degli abusi ripetuti e irresponsabili commessi dallo Stato-amministrazione.
La stabilizzazione del precariato pubblico:
diritto soggettivo alla riqualificazione
del rapporto. Il caso greco “Vassilakis”
Per affrontare seriamente la questione di compatibilità costituzionale della stabilizzazione del pubblico impiego, risolta in senso positivo dal Tribunale di Trani richiamando opportunamente la sentenza n. 274/2003
Note:
(8) Sostiene condivisibilmente che la “stabilizzazione” sia una sanatoria,
“ed in quanto tale una disposizione straordinaria ed eccezionale, finalizzata non a sanzionare comportamenti illegittimi, ma a sanarne gli effetti”, L. Olivieri, Dal blocco delle assunzioni a tempo indeterminato, al blocco
delle assunzioni a tempo determinato, tra stabilizzazioni, sanatorie e schizofrenie legislative, in Lexitalia.it, 2007, 5.
(9) In realtà è la legge finanziaria nel suo complesso ad esprimere chiaramente il messaggio politico del nuovo esecutivo: «rafforzare la stabilità
dei posti di lavoro mediante il ritorno al contratto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato quale modello contrattuale standard di regolazione dei rapporti di lavoro.». In tal senso, A. Pizzoferrato, La stabilizzazione
dei posti di lavoro nella Finanziaria 2007, in questa Rivista, 2007, 221.
(10) S. Briguori, Stabilizzazione del precariato: una pura formalità?, in Diritto e pratica amministrativa, 2007, 4, 17; coglie quest’aspetto anche R.
Nobile, La stabilizzazione negli enti locali - Analisi dei presupposti e casi dubbi, in Pubblico Impiego, 2007, 3, 27-28.
(11) In questo senso si muove B. Lanzillotta, Tra manager e precari, al
pettine i veri nodi della Finanziaria, in www.loccidentale.it, 14 novembre
2007.
I L L AVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 4/2009
379
GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
della Corte Costituzionale (12), che però sulla riqualificazione dei rapporti di lavoro pubblici a tempo determinato ha detto anche cose inconferenti o con decisioni
prive di competenza sovranazionale (13), occorre spostare la questione interpretativa nella opportuna sedes
materiae, cioè nell’ambito della normativa comunitaria
sul contratto a tempo determinato disciplinata dalla Direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di
Giustizia. A tal proposito va trascritto integralmente l’ineccepibile e risolutiva riflessione del Presidente della
Corte Costituzionale (14): «Reputo, infatti, di portata
davvero storica la decisione che la Corte - chiamata a
decidere su una questione di legittimità costituzionale
proposta in via principale - ha ritenuto di assumere in
occasione della sentenza n. 102. Innovando l’orientamento consolidato si è ritenuto, ai sensi dell’art. 234 del
Trattato CE, di disporre per la prima volta (con la separata ordinanza n. 103) il rinvio pregiudiziale alla Corte
di giustizia CE di alcune questioni relative all’interpretazione di norme del Trattato: e ciò “al fine di evitare - ha
puntualizzato la Corte - il pericolo di contrasti ermeneutici tra la giurisdizione comunitaria e quella costituzionale nazionale, che non giovano alla certezza e all’uniforme applicazione del diritto comunitario”. Come,
dunque, la potestà legislativa statale e regionale deve
conformarsi ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, a norma dell’art. 117, primo comma, della
Costituzione, così il “giudice” della interpretazione del
Trattato CE finisce per assumere un ruolo di “nomofilachia esclusiva” anche rispetto alla Corte costituzionale.
Quest’ultima, infatti, è chiamata a sospendere la quaestio
di legittimità costituzionale che le viene devoluta, ove
essa coinvolga tematiche che impongano l’attivazione
della cosiddetta pregiudiziale comunitaria».
Accertata, dunque, l’incompetenza interpretativa
per materia della Corte Costituzionale, che limita o
(meglio) rende impossibile il vaglio di costituzionalità
interna delle norme nazionali che rientrano nel campo
di applicazione del diritto comunitario, il quadro interpretativo della Giurisprudenza comunitaria, sulle sanzioni idonee a reprimere gli abusi in materia di contratti
di lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione, si completa con gli altri due casi greci nella
causa “Vassilakis” (15) e nelle cause riunite “Kyriaki
Angelidaki” (16).
Nella causa “Vassilakis” (17) i 23 ricorrenti sono
stati “affittati” (si tratta cioè di una situazione di interposizione illecita di manodopera ratione temporis con la
pubblica amministrazione) da parte del Comune di
Kerkyra (la italiana Corfù) tra il 1994 e il 1996 per eseguire vari compiti, compresa la manutenzione e la riparazione. I contratti sono stati rinnovati senza soluzione
di continuità, in guisa che tutti i principali attori non
avevano mai smesso di lavorare per il Comune, dal momento della loro assunzione. I lavoratori a termine, a
distanza di quasi dieci anni dalla definitiva scadenza dei
rispettivi rapporti, ritengono che i loro contratti succes-
380
sivi a tempo determinato siano diventati dei contratti a
tempo indeterminato, che hanno coperto bisogni permanenti e durevoli del Comune di Corfù. Pertanto,
hanno chiesto al loro datore di lavoro pubblico di riconsiderare in questo senso la natura delle loro relazioni
di lavoro. L’Ente pubblico rifiuta di riqualificare i contratti di lavoro successivi. Di conseguenza, davanti al rifiuto del Comune di Corfù, i lavoratori precari hanno
adito il Tribunale ordinario per ottenere la riqualificazione dei loro contratti di lavoro sulla base dell’art. 8, n.
3, della legge n. 2112/1920 (norma greca, peraltro, ormai abrogata), interpretata alla luce dell’accordo quadro. Contestualmente, in seguito all’entrata in vigore
del decreto presidenziale n. 164/2004 (normativa greca
speciale per il contratto a tempo determinato nel pubblico impiego), i lavoratori hanno anche avviato la
procedura amministrativa di stabilizzazione dei contratti di lavoro successivi a tempo determinato in contratti
a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 11 dello stesso
D.P.R. (18), presso l’ASEP (l’Autorità amministrativa
indipendente addetta alla selezione del personale pubblico e alla verifica finale dei requisiti per la stabilizzazione). L’ASEP rigetta l’istanza di riqualificazione dei
contratti, ritenendo che non fossero rispettate le condiNote:
(12) E la Circolare esplicativa sulla stabilizzazione n. 5 del 18 aprile
2008 del Ministero della Funzione Pubblica.
(13) V. in aperta violazione dell’art. 10 del Trattato UE e del riparto
delle competenze, Corte Cost., sentenza n. 89/2003, cit.; nonché le “illegittime” (nel senso indicato, perché invadono la competenza interpretativa della Corte di Giustizia) sentenze della stessa Consulta n. 205 del
4 aprile - 26 maggio 2006 [dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.
19, commi 1 e 2, lettera b), della legge della Regione Umbria 1° febbraio 2005, n. 2] e n. 363 del 10 ottobre - 9 novembre 2006 (dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 20 giugno 2005, n. 3), pubblicata su questa
Rivista, 2007, 263 ss., con nota di M.G. Greco, La deroga legislativa al
principio costituzionale del concorso per l’accesso al pubblico impiego: natura e
limiti. Tutte e tre le sentenze intervengono in relazione all’art. 97 Cost.
su materia che rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario, ratione materiae e ratione temporis.
(14) Considerazioni finali sulla Giurisprudenza costituzionale del 2008,
Roma, 28 gennaio 2009, pp. 6-7, su www.cortecostituzionale.it.
(15) Corte di Giustizia, Sezione III, ordinanza 12 giugno 2008, in causa
C-364/07.
(16) Le identiche questioni di pregiudizialità nelle cause riunite, in attesa della decisione della Corte di Giustizia (Sezione III) con conclusioni precisate dall’Avvocato generale Kokott il 4 dicembre 2008, sono state sollevate dal Tribunale monocratico di Retimno (Grecia) con tre ordinanze dell’8 agosto 2007 per le cause C-378/07, C-379/07 e C-380/07
(pubblicate su G.U.C.E. n. C 269 del 10 novembre 2007, 24-27).
(17) L’ordinanza di pregiudizialità comunitaria del Tribunale monocratico di Corfù è del 2 agosto 2007, pubblicata su G.U.U.E. n. C 247 del
20 ottobre 2007, 12-13, causa C-364/07.
(18) Ricorda molto la situazione italiana, con l’infelice norma dell’art. 63
D.Lgs. n. 165/2001, che consente per le assunzioni a tempo indeterminato la possibilità della doppia tutela giurisdizionale sull’atto amministrativo
davanti al T.A.R. e sul diritto davanti al Giudice del lavoro (si pensi alla
situazione dello scorrimento della graduatoria degli idonei in una procedura concorsuale; e, appunto, alla stabilizzazione del precariato pubblico).
I L L AVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 4/2009
GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
zioni per la stabilizzazione dei rapporti a termine. I lavoratori hanno presentato ricorso contro la decisione di
rigetto della ASEP davanti al tribunale amministrativo.
In tali circostanze, il Tribunale monocratico di
Corfù ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte, tra le altre, le seguenti due questioni pregiudiziali attinenti la riqualificazione dei
contratti a tempo determinato, di cui la prima è identica a quella già proposta alla Grande Sezione nella
causa “Adeneler”:
l - «se il divieto di cui all’art. 21 della legge
2190/1994 di convertire in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato che sono conclusi a tempo determinato per coprire esigenze eccezionali o stagionali del datore di lavoro, ma
in realtà finalizzate a coprire esigenze permanenti e durevoli - è compatibile con il principio di effettività del
diritto comunitario e con l’obiettivo della clausola 5,
nn. 1 e 2, nonché della clausola 1 dell’accordo quadro,
parte integrante della direttiva 1999/70/CE»;
2 - «il fatto che, in forza di una disposizione nazionale, adottata in applicazione della direttiva
1999/70/CE, una autorità amministrativa indipendente
[ASEP] è responsabile, in ultima analisi, per valutare se
i contratti a tempo determinato possono essere convertiti in contratti a tempo indeterminato, è compatibile
con il principio di effettività del diritto comunitario e
con l’obiettivo della clausola 5, nn. 1 e 2, nonché della
clausola 1 dell’accordo-quadro?».
Sulla prima questione, i ricorrenti nella causa principale hanno sostenuto che gli abusi della pubblica amministrazione nella gestione dei contratti flessibili possa
essere sanzionato in base all’art. 8, n. 3, della abrogata
legge n. 2112/1920. Il Giudice greco remittente ha osservato, infatti, che l’Areios Pagos (la Corte di Cassazione ellenica), nella sua decisione n. 18/2006, ha inizialmente ritenuto ammissibile, in virtù della predetta
disposizione, la conversione dei contratti a tempo determinato in contratti tempo indeterminato e che ciò
costituiva una misura legale equivalente volta a prevenire gli abusi, ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo
quadro. Dopo l’ordinanza di pregiudizialità comunitaria
e prima che la Corte di Giustizia decidesse sulla questione, la Giurisprudenza di legittimità greca ha cambiato radicalmente orientamento (mal comune) nelle
sentenze nn. 19 e 20/2007 (19).
Sulla seconda questione concernente il processo di
stabilizzazione, lo stesso Comune di Corfù ha affermato
che il coinvolgimento dell’ASEP nella procedura ha
provocato una confusione nella giurisprudenza greca,
per quanto riguarda l’autorità giurisdizionale competente a risolvere le controversie relative alla tutela dei lavoratori contro gli abusi derivanti dall’utilizzo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi. Per la prima volta, i tribunali civili si sarebbero visti
contestare la loro competenza sulle controversie relative a tali questioni.
La risposta della Corte di Giustizia con l’ordinanza
“Vassilakis” del 12 giugno 2008 è molto chiara sul piano
sistematico dell’applicazione delle misure “possibili” idonee a reprimere gli abusi commessi dalle pubbliche amministrazioni, collegando sul piano interpretativo la scelta della conversione a tempo indeterminato (i contratti
abusivi riguardavano tutti il periodo dal 1994 al 1996)
con la diversa opzione della stabilizzazione prevista dall’art. 11 D.P.R. 164/2004. Infatti, conclude la Corte sulla
questione della conversione, in circostanze come quelle
di cui alla causa principale, l’accordo quadro sul lavoro a
tempo determinato deve essere interpretato nel senso
che, nei limiti in cui l’ordinamento giuridico interno
dello Stato membro interessato non sembra comportare,
nel settore di cui trattasi, altre misure effettive per evitare e, se del caso, sanzionare l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, esso osta all’applicazione di una norma di diritto nazionale che vieta in
maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una
successione di contratti a tempo determinato che, avendo avuto il fine di soddisfare «fabbisogni permanenti e
durevoli» del datore di lavoro, devono essere considerati
abusivi. Spetta, tuttavia, al giudice del rinvio, in base all’obbligo di interpretazione conforme ad esso incombente, verificare se il suo ordinamento giuridico interno non
comporti queste altre misure effettive (cfr. n. 4 delle conclusioni). In buona sostanza, il primo orientamento della
Cassazione greca favorevole alla conversione in base alla
legge 2112/1920 (con efficacia ex tunc) è confermato,
salvo che il Giudice interno non ritenga di dover propendere sul piano interpretativo sulla “identica” (ma
con efficacia ex nunc (20)) sanzione della stabilizzazione
del precariato pubblico prevista dall’art. 11 D.P.R.
164/2004. Infatti, quest’ultima misura, pur non applicabile alla fattispecie di causa, viene legittimata dalla risposta alla seconda questione, dal momento che la Corte ritiene che «il principio dell’effetto utile del diritto comunitario e l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non ostano, in via di principio, a una disposizione nazionale secondo la quale un’autorità amministrativa indipendente è competente ad eventualmente riqualificare
contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Spetta tuttavia al giudice del rinvio vegliare a che sia garantito il diritto a una tutela giurisdizionale
effettiva, nel rispetto dei principi di effettività e di equivalenza.» (n. 5 delle conclusioni). A tal proposito, l’ordinanza “Vassilakis” fornisce precise indicazioni orientative al Giudice del rinvio. La Corte di Giustizia ricorda
che, secondo una costante giurisprudenza, in mancanza
Note:
(19) Ordinanza “Vassilakis”, punto 133.
(20) Del resto, differenziare tra efficacia ex tunc ed efficacia ex nunc in
materia di riqualificazione è esercizio sistematico inutile, applicandosi il
principio di non discriminazione e, quindi, il riconoscimento pieno di
tutti i diritti del lavoratore precario sin dal primo rapporto a termine.
I L L AVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 4/2009
381
GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
di una regolamentazione comunitaria nella materia delle
controversie e delle denunce derivanti dall’applicazione
dell’accordo quadro (clausola 8, n. 5), appartiene all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro
designare i giudici competenti e regolare le modalità
procedurali dei ricorsi destinati ad assicurare la salvaguardia dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto
comunitario (21) (punto 141). Pertanto, spetta alle autorità nazionali adottare le misure opportune per garantire la piena efficacia delle misure adottate in attuazione
dell’accordo quadro. Tuttavia, le modalità di attuazione
di queste norme, che rientrano nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del
principio dell’autonomia procedurale nazionale, devono
essere conformi ai principi di equità e di efficacia (punto
143). Sotto tali ultimi profili, se l’affidare all’ASEP, cioè
ad un’Autorità amministrativa indipendente la valutazione di riqualificazione dei contratti a termine prevista
dall’art. 11 D.P.R. 164/2004, non contrasta con il diritto
comunitario, la tutela giurisdizionale effettiva contro i
provvedimenti dell’ASEP può essere delibata solo dal
Giudice nazionale, tenendo conto del fatto che l’effettività dei diritti va collegata alla diversità degli strumenti
utilizzabili sul piano giurisdizionale, perché il Tribunale
amministrativo ha solo il potere di annullare l’atto, il
Giudice ordinario, invece, può direttamente riqualificare
il rapporto di lavoro e considerarlo a tempo indeterminato (punto 147). La scelta, dunque, spetta al Tribunale
rimettente, che potrà, evidentemente, riqualificare i rapporti a termine abusivi in contratti a tempo indeterminato o ai sensi della legge 2112/1920 o utilizzando in via
interpretativa la misura equivalente dell’art. 11 D.P.R.
164/2004 (la stabilizzazione).
La stabilizzazione del precariato pubblico
in Italia: diritto soggettivo alla riqualificazione
del rapporto
Ne consegue che ogni diversa valutazione (aspettativa, facoltà, interesse legittimo) di una misura sanzionatoria che rientra nel campo di applicazione della normativa comunitaria in materia di contratto a tempo determinato, come interpretata dalla Corte di Giustizia,
configura una violazione manifesta del diritto sopranazionale ai sensi dell’art. 10 Trattato UE, anche se dovesse ispirarsi ai soliti principi ermeneutici di derivazione
costituzionale, in relazione ai quali è sempre opportuno
ricordare che il testo integrale dell’art. 97, comma 3,
Cost. è il seguente: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi
stabiliti dalla legge». Se i Giudici greci ignorano deliberatamente il divieto di conversione dei contratti a termine nel pubblico impiego, introdotto dalla modifica
della Carta Costituzionale ellenica del 2001 con l’art.
103, n. 4, quelli della stabilizzazione italiana del precariato con accesso al pubblico impiego a tempo indeterminato sono casi stabiliti dalla legge, nel rispetto della
disciplina comunitaria antiabusiva.
382
La competenza del Giudice ordinario
sulla stabilizzazione del precariato pubblico:
l’evoluzione della Giurisprudenza
Dopo aver prudentemente (e in modo convincente) affermato la legittimità costituzionale della normativa statale e regionale sulla stabilizzazione, di cui fornisce
i dati normativi testuali e integrali, il Tribunale di Trani
nell’ordinanza in commento ricostruisce gli indirizzi
giurisprudenziali sulla competenza, soprattutto alla luce
della Giurisprudenza amministrativa, e conclude per affermarne quella del G.O.
La prima sentenza intervenuta sulla tematica della
stabilizzazione è la pronuncia del TAR Veneto (22)
che, relativamente al personale del comparto degli enti
locali, ha ritenuto che la stabilizzazione del personale ai
sensi dell’art. 1, comma 558, della legge n. 296/06 costituisce «una mera facoltà discrezionale per gli enti locali
e non un obbligo, non sussistendo alcun diritto in capo
all’interessato ad ottenere la stabilizzazione, ma unicamente un’aspettativa di mero fatto.».
Successivamente, il T.A.R. Lazio (23), intervenendo sulla problematica relativa alla giurisdizione in materia di stabilizzazione, in linea con il noto orientamento
delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 3188 del 14
febbraio 2007, ha invece valutato che la controversia
promossa contro l’ISTAT per l’annullamento, previa sospensione dell’esclusione dalle procedure indette per la
stabilizzazione indette ai sensi dell’art. 1, comma 519
della legge 296/2006, riguardando la gestione del rapporto di lavoro in atto, rientri nella competenza del giudice ordinario, ex art. 63 D.Lgs. 165/01.
Anche il T.A.R. Veneto (24), chiamato a pronunciarsi in merito all’annullamento dell’esecuzione della
graduatorie definitive e provvisorie di esclusione dalla
selezione bandita dalla Regione Veneto, ha dichiarato
inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, sulla
base delle seguenti argomentazioni: «il procedimento di
formazione delle graduatorie per la stabilizzazione del
personale precario, ai sensi delle richiamate disposizioni
normative, non costituisce una procedura concorsuale
in senso proprio, in quanto manca, rispetto agli aspiranti, non solo qualsiasi giudizio comparativo, ma anche
qualsivoglia discrezionalità nella valutazione dei titoli
di ammissione, ragion per cui le relative controversie
non sono sottoposte alla giurisdizione amministrativa ai
sensi dell’art. 63, IV comma del D.Lgs. n. 165/01, bensì
a quella ordinaria».
La successiva pronuncia n. 3643 del 15 novembre
2007 T.A.R. Veneto, in senso conforme, chiarisce altresì il procedimento di formazione delle graduatorie per la
Note:
(21) Sentenza “Impact”, punto 44.
(22) TAR Veneto, Sez. II1, sentenza 9 ottobre 2007,, n. 3342.
(23) TAR Lazio, Sez. III quater, sentenza 14 novembre 2007, n. 1239.
(24) TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15 novembre 2007, n. 3646.
I L L AVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 4/2009
GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
stabilizzazione del personale precario «non costituisce
infatti una procedura concorsuale in senso proprio, in
quanto manca, rispetto agli aspiranti, non solo qualsiasi
giudizio comparativo, ma anche qualsivoglia discrezionalità nella valutazione dei titoli di ammissione».
Le suesposte decisioni (che non si collocano certamente in un’ottica comunitaria ma si limitano a valutare
la regolamentazione nazionale del “fenomeno”), analizzando le problematiche che riguardano la stabilizzazione
con particolare riferimento alle procedure adottate dalle
amministrazioni pubbliche, hanno precisato, in primo
luogo, che l’Amministrazione, a norma del comma 558,
non è tenuta ad effettuare le stabilizzazioni, atteso che
prioritariamente stabilisce, nell’ambito della programmazione triennale del fabbisogno, l’opportunità di coprire i posti vacanti mediante stabilizzazione del personale
precario, valutando se i contratti a termine sono stati
utilizzati a copertura di esigenze strutturali e durature dell’apparato amministrativo, ben potendo dunque a margine di tale valutazione anche decidere di non effettuare
alcuna stabilizzazione; in secondo luogo, che, effettuata
la scelta delle amministrazioni di procedere alle stabilizzazioni, non sussiste alcuna discrezionalità in merito all’ammissione dei soggetti aventi in possesso dei requisiti
di cui al comma 558 dell’art. 1 della legge n. 296/2006.
È decisamente questa l’opzione interpretativa accolta nell’ordinanza del Tribunale pugliese: la P.A. può
scegliere di non stabilizzare (a suo rischio, perché se gli
abusi sono stati commessi va applicata una idonea sanzione, che potrebbe essere anche la riqualificazione del
rapporto: il legislatore ordinario non ha previsto altre
sanzioni, salvo l’inutile norma-spaventapasseri dell’art.
36, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001), ma se attiva le procedure di stabilizzazione non può limitare l’accesso alla
selezione dei lavoratori precari in possesso dei requisiti.
Anzi, e questo è il profilo di maggiore novità e di più significativo interesse del provvedimento cautelare, la
pubblica amministrazione dovrà procedere all’assunzione a tempo indeterminato di tutti i candidati alla stabilizzazione, in possesso dei requisiti, senza alcuna limitazione numerica (nella fattispecie, il numero dei Dirigenti non apicale da assumere era stato ridotto da n. 3
iniziali posti vacanti a n. 1 lavoratore stabile), a meno
che il datore di lavoro pubblico non fornisca la prova
rigorosa che i posti da ricoprire per esigenze permanenti
e durature siano inferiori e non pari al numero dei soggetti da stabilizzare. Si tratta di una probatio diabolica,
che prescinde dall’organizzazione interna dell’amministrazione pubblica e si sposta sul piano dell’effettivo fabbisogno strutturale di manodopera stabile, che già il
continuo ricorso a contratti a termine di lunga durata
e/o successivi ha dimostrato come sussistente.
La stabilizzazione regionale del precariato
pubblico: legislazione concorrente
Nel caso sottoposto alla cognizione sommaria e
d’urgenza del Tribunale di Trani un ulteriore elemento
di complicazione è offerto dal fatto che la legge di stabilizzazione nazionale del precariato pubblico (art. 1, commi 519 e 558, della legge n. 296/2006) concorre con la
potestà legislativa ed amministrativa delle Regioni (e
degli enti pubblici sottoposti a vigilanza regionale, come
le aziende sanitarie), ai sensi dell’art. 117, comma 4, Cost., e prevede che la stabilizzazione del precariato negli
Enti pubblici territoriali (e negli Enti collegati) sia definita dalla legislazione regionale. La Regione Puglia ha
definito e regolamentato, nel quadro della legislazione
statale, le procedure di stabilizzazione con l’art. 30 della
legge n. 10/2007 e con le successive modifiche ed integrazioni della legge finanziaria regionale per il 2008, la
legge n. 40/2007, di cui il Giudice del lavoro riproduce
le norme più significative. Uno dei punti più controversi
della legislazione regionale in questione, per la verità comune anche alle altre normative regionali di stabilizzazione, è l’inclusione tra i soggetti destinatari dei Dirigenti non apicali, cioè di primo livello, che erano apparentemente esclusi dai candidati alle procedure di stabilizzazione nella legge nazionale n. 296/2006, che le limitava
al personale non dirigente (comma 519). Sul punto,
esaustivamente il Tribunale di Trani supera il problema
interpretativo della inclusione anche dei Dirigenti non
apicali di primo livello del Comparto sanità, sia sul piano normativo (cfr. art. 1, comma 565, della legge n.
296/2006, che parla genericamente di personale precario) sia sul piano logico e di coerenza costituzionale, vertendosi in materia di legislazione concorrente antiabusiva e di esclusione dei soli Dirigenti apicali scelti intuitu
personae, sia, infine, sul piano fattuale, argomentando
ampiamente sulla mancanza di piena autonomia decisionale del Dirigente ricorrente. Ma, proprio sulla normativa regionale in questione (art. 30 della legge n.
10/2007), nonostante l’apprezzabile (e condiviso) sforzo
del Giudice del lavoro di superare tutti i dubbi di legittimità costituzionale, è stata sollevata dal Consiglio di
Stato questione di legittimità costituzionale per sospetta
violazione del solito art. 97 Cost.
La compatibilità costituzionale della legge
regionale di stabilizzazione del precariato
pubblico nella sentenza del Tar Puglia
La vicenda muove da una sentenza del TAR Puglia (25) sui rapporti tra stabilizzazione e procedure
concorsuali ex. art. 35, D.Lgs. n. 165/2001 che, affrontando la questione del rapporto tra stabilizzazione e diritto allo scorrimento di dipendenti idonei collocati
nelle graduatorie concorsuali, assume particolare rilievo
in quanto rappresenta una sintesi di tutto il dibattito
originatosi dopo la finanziaria del 2007.
Nel caso sottoposto ai giudici amministrativi i ricorrenti, tutti dipendenti a tempo determinato
dell’A.S.L di Brindisi e inseriti, quali idonei non vinciNota:
(25) TAR Puglia - Sede di Lecce, Sez. III, 19 gennaio 2008, n. 125.
I L L AVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 4/2009
383
GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
tori, nella graduatoria della Azienda sanitaria per il reclutamento di 75 infermieri professionali, hanno impugnato la deliberazione della Giunta Regionale pugliese
di approvazione del piano di stabilizzazione di lavoratori
“precari” già in servizio presso le A.S.L. della Regione
chiedendo l’annullamento, nella parte in cui vietava alle A.S.L. di procedere alla loro assunzione, senza tener
conto invece della validità delle graduatorie effetto del
bando indetto ai sensi dell’art. 9 della L. 207/1985, che
impone agli enti del Servizio Sanitario Nazionale, di utilizzare le graduatorie concorsuali nel biennio successivo
alla loro approvazione, con conseguente riconoscimento
del diritto allo scorrimento delle medesime. I ricorrenti
evidenziavano un ingiustificato favore per i lavoratori
“precari” anche non in servizio, a danno del personale
inserito in graduatorie concorsuali ancora valide, che
può essere assunto solo a tempo determinato e nell’ambito di progetti specifici autorizzati dalla Regione.
Il TAR Puglia ha rigettato il ricorso. Quanto alla
richiesta avanzata dai ricorrenti, consistente nella priorità dello scorrimento delle graduatorie, con conseguente individuazione del personale idoneo già utilmente collocato, i Giudici amministrativi fondano il rigetto sulla base della discrezionalità di “tipo politica”
del legislatore nazionale, che ha invece l’effetto di privilegiare talune categorie di lavoratori, sostenendo altresì che la norma specifica prevista dalla legge n.
296/2006 ha introdotto un privilegio delle procedure di
stabilizzazione di lavoratori precari, a detrimento dello
scorrimento delle graduatorie concorsuali ancora valide
ed efficaci, nonché dell’indizione di nuovi concorsi.
In merito poi alla partecipazione alla procedura di
stabilizzazione di soggetti che non hanno attualmente
in corso un rapporto di lavoro a tempo determinato
con le ASL o gli altri enti del SSN, il Collegio ritiene
che «non è di per sé illegittima l’inclusione, in tale novero, in quanto la stabilizzazione ben può riguardare
soggetti che hanno svolto un periodo minimo di servizio in un certo arco temporale, anche se essi non avevano in corso un rapporto di lavoro al momento dell’adozione della deliberazione, essendo l’obiettivo di fondo
l’eliminazione soprattutto del c.d. precariato storico.».
Quanto poi alla asserita violazione dei principi di buon
andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione tutelati nell’art. 97 della Costituzione, il T.A.R.
Puglia sostiene che tale scelta di privilegio a favore dei
lavoratori precari sia ragionevole, essendo essa il frutto
di una ponderazione fra molteplici interessi, aventi tutti
rilevanza costituzionale e dunque compatibili tra loro.
In questo contesto, i Giudici amministrativi affrontano
altresì il tema della legittimità della stabilizzazione in
relazione al principio del concorso per l’accesso al pubblico impiego previsto dall’art. 97 della Costituzione,
affermando che tale principio non è assoluto e che ben
può essere derogato in presenza di situazioni particolari,
tra cui senz’altro va compresa l’esigenza di eliminare o
attenuare il fenomeno del precariato. Inoltre il Collegio
384
sostiene che il contrasto con la regola costituzionale del
concorso pubblico nel caso di specie non sussiste, atteso
che «i soggetti potenziali della stabilizzazione cui si rivolge il bando di concorso, hanno comunque svolto attività lavorativa per periodi significativi, e sono già in
possesso di adeguata professionalità e sono stati assunti
a seguito del superamento di procedure lato sensu selettive.». È ben strano che sia stato il Giudice amministrativo (incompetente) e non il Giudice ordinario (competente sul diritto all’assunzione ex art. 63, D.Lgs. n.
165/2001 (26)) a cogliere esattamente natura e portata
del processo di stabilizzazione del precariato pubblico,
misura suggerita dalla Corte di Giustizia e a cui l’ordinamento interno non può sottrarsi, se non al superiore
prezzo di far scoprire l’amara realtà che, nonostante tutti gli ammonimenti e tutte le critiche, gli abusi delle
pubbliche amministrazioni in materia di rapporti flessibili non prevedono alcuna sanzione specifica se non
quelle ordinarie contenute nel D.Lgs. n. 368/2001 e applicate alle imprese private e quella “speciale” della stabilizzazione introdotta dalle due leggi finanziarie per il
2007 e per il 2008.
In conclusione, la stabilizzazione del precariato
pubblico non consiste in una violazione del principio
del pubblico concorso, poiché, essendo di matrice legislativa, ben può essere considerata come un’ulteriore
manifestazione della possibilità che la Costituzione riconosce alla legge ordinaria di derogare all’art. 97, comma 3, Cost.
L’anomalia della fattispecie in esame in rapporto
alla flessibilità di cui all’art. 36, comma 2, D.Lgs.
165/2001, è data dal fatto che essa si configura come
conversione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato di una precisa tipologia di contratti di lavoro che
non sono suscettibili di trasformazione. Detta anomalia,
inoltre, si giustifica in ragione della natura transitoria
della misura (e della sua compatibilità con il diritto comunitario), finalizzata alla soluzione di problematiche
di ampio rilievo, quali sono quelle sul lavoro precario
nel pubblico impiego, tali da comportare un’eccezionale deviazione rispetto alla normativa generale.
La questione di legittimità costituzionale
del Consiglio di Stato sulla stabilizzazione
del precariato della sanità pugliese
Il Consiglio di Stato (27), in sede di appello della
citata sentenza n. 125/2008 del T.A.R. Puglia - Sede di
Lecce, ha ritenuto rilevante e non manifestamente
infondata la questione di costituzionalità dell’art. 30 della legge regionale n. 10 del 16 aprile 2007, con il quale
la Regione Puglia, nell’ambito della competenza riconoNote:
(26) Sulla competenza del Giudice ordinario sui processi di stabilizzazione del precariato, v. Cass., SS.UU., ordinanza 9 febbraio 2009, n. 3051.
(27) Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 12 ottobre 2008, n. 4770.
L’ordinanza non è stata ancora pubblicata sulla Gazzetta ufficiale.
I L L AVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 4/2009
GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
sciutale dall’art. 117, quarto comma, della Costituzione,
ha recepito la normativa di cui alla legge statale n. 296
del 2006 sulla stabilizzazione del personale precario.
Secondo i Giudici amministrativi la disposizione
regionale in esame, per quanto concerne il personale
della sanità, verrebbe ad incidere sul vigente sistema di
reclutamento di cui all’art. 9 della legge n. 207/1985,
che costituisce uno dei capisaldi dell’accesso alla sanità
tramite graduatorie degli idonei e che trova conferma
anche nella successiva legislazione regionale.
Ad avviso dei Giudici amministrativi la questione
di costituzionalità dell’art. 30 della legge regionale n.
10/2007 sarebbe indubbiamente rilevante, in quanto la
deliberazione di Giunta regionale è lesiva delle posizioni
giuridiche degli idonei inseriti in una graduatoria valida
che hanno conseguito un’aspettativa all’assunzione in
relazione ai posti che si rendessero vacanti nel corso del
biennio successivo all’approvazione della graduatoria. La
possibilità data ai precari dalla normativa sulla stabilizzazione di prendere parte alle selezioni previste dai programmi di assunzione violerebbe l’aspettativa all’assunzione degli idonei (28) di una graduatoria valida senza la
necessità di dover superare un’ulteriore selezione.
Il Consiglio di Stato, inoltre, ritiene che detta questione sia anche non manifestamente infondata, in
quanto la disposizione de qua, estendendo il sistema previsto dalla normativa diretta a stabilizzare il personale assunto a tempo determinato anche alle aziende sanitarie
locali, occupando i posti vacanti con detto personale a
svantaggio di chi ha già partecipato ad un concorso pubblico ed è in attesa di essere nominato sui predetti posti
man mano che si rendono vacanti nel corso del biennio
successivo all’approvazione della graduatoria in cui sono
inseriti, sovvertirebbe un sistema che costituisce un’applicazione del principio costituzionale del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni. In tal senso, i Giudici di Palazzo Spada aggiungono: «la scelta operata con l’art. 30 della Legge Regionale 10/2007, si rivela anche in contrasto con i principi di ragionevolezza, di imparzialità della stessa funzione legislativa, in quanto diretta a comprimere posizioni
in atto o acquisibili a seguito di concorso pubblico».
Dal confronto tra i principi enunciati dal TAR di
Lecce, secondo cui la regola del concorso può essere derogata in presenza di situazioni particolari, quelli enunciati dal CdS, secondo cui il principio del concorso
pubblico è un principio fondamentale della disciplina
dell’impiego con le p.a., emerge un giudizio fortemente
negativo sull’intera normativa che regola i rapporti a
termine nel pubblico impiego, che di per sé non sarebbe in grado di fornire risposte adeguate a tutte le forme
possibili di abuso.
La doppia incompetenza funzionale
del Consiglio di Stato e della Consulta
sulla stabilizzazione del precariato
La questione di legittimità costituzionale sollevata
dal Consiglio di Stato sulla legislazione regionale in
materia di stabilizzazione del precariato della sanità pugliese è francamente inammissibile, sia sotto il profilo
della competenza giurisdizionale a richiedere alla Consulta con sentenza additiva una soluzione utile a risolvere la controversia, sia sotto il profilo della incompetenza della Corte Costituzionale a intervenire su una
materia che rientra nel campo di applicazione della
normativa comunitaria.
La conferma della tesi qui espressa riviene dalla soluzione dell’altra questione di legittimità costituzionale
sollevata dalla Giustizia amministrativa in ordine al
processo di stabilizzazione del precariato pubblico nella
legislazione nazionale.
Infatti, lo stesso Consiglio di Stato (29), qualche
mese prima, aveva rimesso alla Consulta la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della
Legge n. 296 del 2006, per contrasto con gli artt. 3 e 97
della Costituzione, seppur limitatamente alla decorrenza dei termini per l’avvio del processo di stabilizzazione.
In particolare, nella citata ordinanza i Giudici amministrativi hanno affrontato la questione sollevata in
appello da una lavoratrice precaria di una amministrazione pubblica, esclusa dal processo di stabilizzazione in
quanto il suo rapporto di lavoro era iniziato 10 giorni
prima (dal 22 al 31 dicembre 2001 i giorni di “mancato
computo”) della data indicata dalla legge finanziaria per
2007 ai fini della maturazione del requisito temporale
per la stabilizzazione (quinquennio decorrente dal 1°
gennaio 2002). Secondo la ricorrente, la disposizione
del comma 519 doveva essere assoggettata ad un’interpretazione estensiva che comprendesse nelle procedure
di stabilizzazione soggetti che avessero maturato il requisito di anzianità in servizio anche al di fuori dei limiti
posti dal legislatore. L’interpretazione più restrittiva, infatti, sarebbe stata in contrasto con la ratio della norma,
volta a stabilizzare rapporti lavorativi precari da anni e
destinata quindi ad essere «applicata con maggior favore
quanto più risalente nel tempo è la situazione provvisoria che si vuole sanare.». Inoltre, la stretta applicazione
dei termini stabiliti dal comma 519 avrebbe comportato
un trattamento discriminatorio nei confronti della ricorrente e di soggetti nella sua stessa condizione.
La lavoratrice precaria, infatti, non è rientrata tra i
dipendenti stabilizzati perché, in quanto vincitrice delle
procedure selettive per l’assunzione a tempo determinato, è stata assunta, appunto, 10 giorni prima della decorrenza del quinquennio preso in considerazione dal legislatore. Al contrario, soggetti non risultati vincitori ma
Note:
(28) Per un’ampia disamina delle problematiche sui diritti degli idonei
all’assunzione per scorrimento delle graduatorie dei pubblici concorsi, v.
D.Garofalo, Sul diritto dell’idoneo all’assunzione per scorrimento della graduatoria (profili sostanziali e processuali), su Mass. giur. lav., 2008, 227.
(29) Consiglio di Stato, Sez. VI, ordinanza 13 maggio 2008, n. 2230, n.
293/2008 Reg.ord., pubblicata su G.U. n. 41 del 1/10/2008.
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385
GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
idonei nelle stesse procedure selettive ed assunti in seguito per i meccanismi di scorrimento della graduatoria,
hanno acquisito il diritto all’assunzione a tempo indeterminato, rientrando il loro rapporto tra quelli rispondenti
ai requisiti di cui all’art. 1, comma 519, legge 296/2006.
Secondo il Consiglio di Stato la non manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale
sulla disposizione in oggetto deve essere riscontrata sia
rispetto all’art. 3 Cost., che, in quanto espressione del
canone di ragionevolezza, «vieta che a situazioni maggiormente meritevoli sia applicato un trattamento deteriore»; sia rispetto all’art. 97 Cost., il quale «impone che
i pubblici uffici siano retti da regole idonee a garantire
l’efficienza e il buon andamento e, quindi, che la scelta
degli impiegati proceda a partire dai più meritevoli.».
La legittimità delle norme in esame è posta in discussione anche rispetto alla c.d. “adeguatezza”, ossia alla “idoneità” alla realizzazione della ratio interna.
Pertanto, l’incostituzionalità evocata dal Consiglio
di Stato si fonda su due profili: il primo, legato al giudizio di eguaglianza-ragionevolezza, sussistendo una situazione di trattamento differenziato di situazioni omogenee o di trattamento eguale di situazioni non omogenee; il secondo, c.d. di adeguatezza, in cui il giudizio di
legittimità costituzionale verte sulla idoneità del contenuto normativo alla ratio del provvedimento.
I Giudici del massimo organo della giustizia amministrativa hanno affermato che un’applicazione letterale della norma della Finanziaria 2007 potrebbe comportare una lesione degli artt. 3 e 97 Cost., dal momento
che il dato temporale del quinquennio è previsto in
modo del tutto accidentale e non coerente con la ratio
della norma, volta a sanare l’abuso, operato negli anni
dalla stessa PA, del ricorso a contratti di lavoro precario
in sostituzione dei normali contratti a tempo indeterminato. Le norme di quella legge finanziaria vanno interpretate rispettando l’intenzione del legislatore, che
non era quella di escludere, ma al contrario, di includere lavoratori che da lungo tempo lavorano presso l’amministrazione.
Conseguentemente, la stabilizzazione va considerata come un’eccezione al pubblico concorso consentita
dall’art. 97, comma 3, Cost. in presenza di «peculiari e
straordinarie esigenze di interesse pubblico» (30). In
questo senso, tra l’altro, già si era espressa la Corte Costituzionale nella sentenza n. 274/2003 (citata dal Tribunale di Trani nell’ordinanza commentata), in cui valutò ragionevole la deroga al principio del pubblico
concorso considerando che la stessa riguardava «l’inserimento in posti di ruolo di soggetti i quali si trovavano
da tempo, nell’ambito dell’amministrazione regionale
(o degli enti regionali), in una posizione di precarietà
perché assunti con contratto a termine o con la particolare qualificazione connessa alla figura degli addetti a
lavori socialmente utili; e, quindi, avevano acquisito,
nella precarietà, l’esperienza necessaria a far ritenere la
stabilizzazione della loro posizione funzionale alle esi-
386
genze del buon andamento dell’amministrazione (art.
97, comma 1, Costituzione)».
Le Amministrazioni, dunque, possono svolgere selezioni non comparative, e ciò sarebbe compatibile con
la norma dell’art. 97, comma 3, Cost., che fa salvi “i casi stabiliti dalla legge”, ma il principio del pubblico concorso subisce ugualmente un indubbio indebolimento
(31), in quanto il predetto principio mostra veri e propri segni di cedimento in quelle ipotesi legali, sempre
più frequenti, in cui la possibilità di deroga è dovuta a
motivazioni “politiche” più o meno contingenti. Nota,
infatti, acuta dottrina (32) che «l’interprete attento
non può fare a meno di dubitare della tenuta di quel
principio, che dà sempre prova di cedevolezza nelle ricorrenti operazioni di stabilizzazione».
La Corte Costituzionale con ordinanza n. 70/2009,
deposititata il 13 marzo 2009, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice amministrativo, rilevando
esattamente «che il giudice a quo si limita a sollecitare
una soluzione in grado di scongiurare l’effetto ritenuto
incostituzionale, cioè che soggetti collocati in posizione
migliore nella graduatoria per l’assunzione a tempo determinato ricevano un trattamento deteriore ai fini della
stabilizzazione, senza tuttavia precisare quale possibile
intervento di questa Corte potrebbe assicurare la compatibilità della disposizione censurata con gli invocati
parametri costituzionali», «perché il rimettente, omettendo di formulare un petitum specifico, lascia indeterminato il contenuto del richiesto intervento additivo e,
comunque, non indica una soluzione costituzionalmente obbligata». In buona sostanza, la Consulta evidenzia
che il Consiglio di Stato ha chiesto una sentenza additiva, che non solo non rappresenta una soluzione costituzionalmente obbligata, ma costituisce un mezzo incongruo per eliminare la presunta violazione dei parametri
costituzionali invocati. Il Giudice interno, dunque, deve
risolvere la questione sul piano interpretativo.
La soluzione della prima questione di legittimità
costituzionale sulla stabilizzazione del precariato pubblico, dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale,
consente di comprendere anche il nuovo percorso inNote:
(30) Corte Cost. n. 363/2006.
(31) Per un approccio più “morbido” si veda O. Dessì, P.A. e stabilizzazione del lavoro a tempo determinato, in Dir.Prat. Lav., 2007, 20, 1270, secondo cui «l’anomalia si giustifica in ragione della natura transitoria
della misura, finalizzata alla soluzione di problematiche di ampio rilievo,
quali sono quelle sul lavoro precario nel pubblico impiego, tali da comportare un’eccezionale deviazione rispetto alla normativa generale. Infatti, la regola in esame non modifica la regolamentazione della materia
di flessibilità in entrata e di lavoro a termine nel pubblico impiego.
Semplicemente, si limita a prevedere la trasformazione di contratti di
questo tipo esistenti o, addirittura, già scaduti, in rapporti di lavoro standard, purché dotati di precisi requisiti, senza estendersi all’intera categoria delle forme negoziali di lavoro a termine».
(32) A. Scarascia, La successione anomala dei contratti a termine nel settore
pubblico dopo le sentenze comunitarie del 2006, in Lexitalia.it, 2006, 11.
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GIURISPRUDENZA•PUBBLICO IMPIEGO
terpretativo in cui sono obbligati a muoversi gli interpreti, di cui il Tribunale di Trani ha mostrato di aver
ben compreso la direzione.
Tutte e due le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato (compresa quella risolta) riguardano materia su cui il Giudice amministrativo ha giurisdizione limitata solo all’atto amministrativo, rientrando, invece, il riconoscimento (o non riconoscimento) del diritto soggettivo alla stabilizzazione
del precariato pubblico nella competenza del Giudice
ordinario specializzato. Fatta questa ineludibile premessa, le due vicende processuali sono molto simili nelle
problematiche applicative della tutela a quelle esaminate dalla Corte di Giustizia nell’ordinanza “Vassilakis”.
Infatti, la normativa greca sulla stabilizzazione del precariato pubblico ha creato disorientamento tra gli operatori e tra i Giudici interni (con contrasto anche nelle
pronunzie della Cassazione greca) innanzi tutto sulla
competenza (Giudice ordinario o Giudice amministrativo), in secondo luogo sulla adeguatezza della misura
sanzionatoria degli abusi (la stabilizzazione ex post, appunto, e non la riqualificazione a tempo indeterminato
ex ante), infine sui poteri del Giudice (se, addirittura,
possa applicare una normativa già abrogata). La Corte
di Giustizia ha già fornito tutte le risposte, mostrando
preferenza per la tutela del Giudice ordinario che riconosce il diritto, mentre il Giudice amministrativo può
annullare solo l’atto, per l’adeguatezza della tutela della
stabilizzazione (misura “successiva” equivalente e corretta) del precariato, e rafforzando i poteri del Giudice
di interpretazione conforme alla normativa comunitaria, con tutti gli strumenti ermeneutica in suo possesso,
dal momento che è lo Stato-giudice che deve applicare
una tutela comunitariamente adeguata contro gli abusi
dello Stato-amministrazione sui contratti flessibili.
La Corte Costituzionale non può intervenire sulle
questioni di legittimità costituzionale sollevate dal
Consiglio di Stato, trattandosi di fattispecie che rientrano nel campo di applicazione della disciplina comunitaria, come (già) interpretata dalla Corte di Giustizia.
Le conseguenze di questo ragionamento sono evidenti.
Sulla stabilizzazione dei lavoratori precari della sanità pugliese il Giudice amministrativo, ove continui a
dichiarare la propria competenza, dovrà limitarsi a verificare se anche gli idonei nella graduatoria concorsuale,
pretermessi dal processo di riqualificazione legale dei
rapporti a termine, hanno maturato il diritto all’assunzione a tempo indeterminato per scorrimento della graduatoria, senza poter mettere in discussione o annullare
nessuno degli atti di stabilizzazione posti in essere ai
sensi dell’art. 30 della legge regionale n. 10/2007.
Diversamente, come nel caso di un incomprensibile intervento “rescissorio” della Corte Costituzionale, si
configurebbe una situazione di violazione del Trattato
Ue e, in ogni caso, il Giudice ordinario potrebbe sempre riconoscere il diritto alla stabilizzazione del lavora-
tore precario anche sulla base di una normativa dichiarata costituzionalmente illegittima, a prescindere e contra ogni decisione del Giudice amministrativo o della
Consulta.
Più semplice e lineare la soluzione interpretativa
dell’altra questione di legittimità costituzionale, già dichiarata inammissibile dalla Consulta.
Come già ricordato, la lavoratrice precaria pubblica, nel caso in questione, era stata esclusa dal processo di
stabilizzazione, in quanto aveva maturato il requisito minimo (tre anni) per l’assunzione a tempo indeterminato
presso la pubblica amministrazione utilizzatrice, ma in
un arco di tempo più remoto rispetto alla decorrenza di
legge (le mancavano dieci giorni dal 22 al 31 dicembre
2001 per rispettare esattamente le condizioni di legge).
Il Consiglio di Stato ha rilevato l’ingiustificatezza e l’irragionevolezza di questo limite del quinquennio ai fini
del riconoscimento del diritto, la violazione, in particolare, dell’art. 3 Cost. Il rilievo è totalmente condivisibile, ma il rimedio a questo ostacolo alla tutela è (ormai)
solo sul piano interpretativo, di una norma che rientra
nel campo di applicazione del diritto comunitario.
E infatti, nel giudizio di cui all’ordinanza n.
2260/2008 il Consiglio di Stato, pertanto, può direttamente disapplicare la norma per violazione del principio comunitario di uguaglianza (sentenza “Anacleto
Cordero Alonso” della Corte di Giustizia), oppure, come ha precisato più volte la Giurisprudenza della Corte
di Cassazione, può intervenire sul piano interpretativo
di “norme eccezionali” (e la stabilizzazione del precariato pubblico rappresenta una normativa di carattere eccezionale, seppure comunitariamente conforme), che,
«se non sono suscettibili di interpretazione analogica
possono essere oggetto di interpretazione estensiva la
quale costituisce il risultato di un’operazione logica diretta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma, che permette di determinare il suo
esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla sua formulazione testuale, e di
identificare l’effettivo valore semantico della disposizione, tenendo conto dell’intenzione del legislatore, e
quindi di estendere la “regula juris” a casi non espressamente previsti dalla norma, ma dalla stessa implicitamente considerati (33)».
Si tratta di un’interpretazione, però, che rientra
nei tipici poteri del Giudice dei diritti, il Giudice ordinario. Di questa interpretazione, comunitariamente
orientata e comunque conforme al quadro costituzionale, il Tribunale di Trani ha fornito un esempio efficace
in termini di tutela del diritto soggettivo e di corretta
ricostruzione e applicazione del quadro normativo di riferimento.
Nota:
(33) V. Cass., Sez.lav. (Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri), sentenza 22 febbraio 2008, n. 4690.
I L L AVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 4/2009
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