Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 11 ABORTI INFETTIVI DEI RUMINANTI* FABIO DEL PIERO, Prof. Dr. Diplomate American College of Veterinary Pathologists University of Pennsylvania - School of Veterinary Medicine - Department of Pathobiology Department of Clinical studies New Bolton Center - Philadelphia and Kennett Square PA, 19348, USA Questo estratto dal mio libro “Natimortalità, aborto e morte embrionale nei ruminanti domestici” è dedicato ai Colleghi ed Amici Giancarlo Mandelli, Mario Finazzi e Bartolomeo Biolatti con i quali condivido una grande passione per lo studio della patologia delle malattie infettive ed abortigene, delle quali loro sono Maestri. INTRODUZIONE Ogni caso di decesso negli animali in azienda o in clinica sia che si tratti di animale adulto, di giovane o di feto abortito dovrebbe essere subito seguito da un completo esame necroscopico compiuto da un patologo che conosca bene le lesioni negli animali da reddito o, in sua assenza, dal veterinario di azienda o della clinica di appartenenza. Sebbene in alcuni casi sia possibile raggiungere una diagnosi dal punto di vista macroscopico (es.: aborto micotico del bovino) è necessario raccogliere dei campioni di tessuto per l’esame istologico e per le altre procedure ancellari di laboratorio per avere una diagnosi eziologica certa. Il successo economico di un allevamento si basa sull’alta efficienza dell’apparato riproduttore degli animali. Qualsiasi malattia che determina l’interruzione della gravidanza deve essere identificata ed eliminata dall’azienda prima che sia troppo tardi e si verifichi un’epizoozia. Deve inoltre essere seguita da misure preventive per scongiurarne la recidiva. Ogni animale che muore spontaneamente dovrebbe essere sottoposto ad esame necroscopico. Prima di portare o spedire il corpo dell’animale, o i campioni di organo, al laboratorio di referenza è bene telefonare al laboratorio. Questo permette al patologo veterinario di raccogliere preziose informazioni “a caldo” dal proprietario e/o dal veterinario e di organizzare il recapito del materiale da esaminare. Talvolta è possibile già fornire delle preziose informazioni diagnostiche e profilattiche all’azienda, specialmente se si tratta di una patologia infettiva che potrebbe sfociare in un’epizoozia. Spesso mandare l’intero animale risulta problematico, pertanto l’esame necroscopico dovrà essere effettuato sul posto. Nel caso si tratti di feti abortiti o di animali di piccola taglia la spedizione dell’intero animale non dovrebbe presentare ostacoli insormontabili. Il campione dovrebbe essere refrigerato, senza essere congelato. Ad ogni modo è preferibile ricevere un campione congelato piuttosto che ricevere un campione alterato privo di potenziale diagnostico: il congelamento inattiva molti batteri e protozoi, *Estratto da “Natimortalità, aborto e morte embrionale nei ruminanti domestici” di Fabio Del Piero. Edito da Co.R.Fi.La.C., 2001. conserva bene i virus (– 70oC) e di solito non crea artefatti che impediscono la valutazione del preparato istologico. Spesso i feti abortiti si conservano meglio degli animali giovani ed adulti. I feti e le placente invase da batteri vanno incontro ad autolisi precoce. È importante inviare dei dati anamnestici via fax o posta elettronica ed una copia di questi dati dovrebbe sempre accompagnare i materiali che vengono spediti. Bisogna scegliere dei contenitori per i materiali che siano infrangibili e completamente ermetici. I feti abortiti possono essere collocati in almeno due sacchi di plastica resistente prima di essere messi nel contenitore con icepacks e materiale che possa assorbire l’eventuale fuoriuscita di liquidi. Lo stesso vale per i contenitori con il fissativo (formalina tamponata al 10% o altro fissativo) e le provette contenenti i campioni di siero e sangue materni. Esistono dei corrieri postali specializzati nella spedizione di tali materiali. ESAME NECROSCOPICO E RACCOLTA DEI TESSUTI Lo strumentario essenziale comprende un coltello ben affilato, forbici, una pinza, un contenitore ermetico infrangibile contenente formalina tamponata al 10%. Inoltre tre tamponi per batteriologia e micologia, vari sacchetti per i campioni virologici e tossicologici e provette per siero e sangue. È necessario misurare e riportare la lunghezza del feto (o del neonato) dall’apice del cranio alla base della coda. Insieme al peso questo dato permetterà di identificare l’età del feto e di valutare eventuali mancati accrescimenti patologici. Descrivere qualsiasi tipo di alterazione che viene rilevata sul feto, all’interno e sulla placenta. Si suggerisce di eseguire un disegno schematico della placenta indicando le aree sospette di lesione. Aprire le cavità corporee e prelevare i seguenti organi (1 cm3) per gli esami istologici ed immunoistochimici e conservarli in formalina tamponata al 10%: intestino tenue, colon, abomaso, prestomaco, fegato, rene, milza, timo, polmone, cuore, muscolo scheletrico ed apice della lingua, encefalo, cute, placenta (per bovini e piccoli ruminanti due cotiledoni almeno, per i camelidi stella cervicale, corpo e corna uterine), inoltre amnion e le zone dove si osservano alterazioni. I campioni in corsivo sono essenziali per ottenere una diagnosi. La placenta è 12 Aborti infettivi dei ruminanti importantissima per ottenere la diagnosi e se si verifica ritenzione placentare si consiglia di mandarla comunque, anche in un secondo momento. Lo stesso vale per l’encefalo, che può rivelare informazioni preziose anche se è molto soffice, per esempio l’infezione significativa da Neospora caninum (neosporosi). È sorprendente quel che si riesce a vedere anche in campioni alterati: memento audere semper. Appena aperte le cavità corporee, prima ancora di raccogliere i tessuti da fissare in formalina per gli esami istologici ed immunoistochimici, si dovrebbero prelevare, tramite tampone sterile, liquidi intrapolmonari e intragastrici per gli esami batteriologici e micologici e gli stessi tessuti citati in corsivo precedentemente andrebbero raccolti per gli esami virologici. I tessuti per gli esami virologici andrebbero immersi in un mezzo di trasporto per virus contenente siero fetale irradiato ed antibiotici per garantire una prolungata sopravvivenza dei virus. Per la coltivazione dei micoplasmi e dei batteri intracellulari obbligati come per esempio rickettsie, ehrlichie e chlamydie e preferibile raccogliere dei tessuti a parte, mentre per possibili esami tossicologici può essere sufficiente prelevare del liquido intraoculare tramite siringa, fegato e rene. re. Esse invadono e si fondono con alcune cellule epiteliali materne caruncolari a formare dei sincizi. Queste cellule sinciziali secernono ormoni chiamati lattogeni placentari (placental lactogens) a funzione non ancora chiara, strutturalmente simili alla prolattina ed all’ormone della crescita. I lattogeni bovini sono presenti nel siero materno intorno ai 4 mesi di gestazione e rimangono in concentrazione piuttosto bassa fino al parto. Nelle pecore, i lattogeni sono secreti in concentrazioni maggiori dal 50º giorno di gravidanza fino al parto. Le immunoglobuline non attraversano la placenta dei ruminanti pertanto i neonati non dispongono di anticorpi materni. La placenta ovina produce abbastanza progesterone per sostenere la gravidanza, infatti il corpo luteo ovino può essere rimosso intorno al 70º giorno di gravidanza senza che si verifichi l’aborto. Al contrario, il progesterone prodotto dal corpo luteo bovino e caprino è fondamentale per il mantenimento della gravidanza, in quanto il corion placentare non ne secerne in quantità sufficienti oppure, come nel caso della capra, esso viene trasformato in una forma biologicalmente inattiva prima della sua secrezione. MORTE EMBRIONALE ED ABORTO LA PLACENTA DEI RUMINANTI I ruminanti possiedono una placentazione epiteliocoriale sinciziale macrocotiledonare non decidua. Fanno eccezione i camelidi che hanno una placenta diffusa microcotiledonare come quella degli equini. L’impianto, o adesione (attachment) come preferito da alcuni autori, si verifica verso la quinta settimana di gravidanza nei bovini e nella terza negli ovini ed è caratterizzato dall’apposizione tra il trofoblasto fetale e l’endometrio materno. Come accennato sopra, la maggior parte dei ruminanti possiede una placentazione macrocotiledonare caratterizzata dalle seguenti parti: 1) cotiledone, la parte fetale della placenta (corionallantoide), 2) caruncola, la parte materna della placenta (endometrio), 3) placentoma (l’insieme di cotiledone e caruncola). Le caruncole sono rotondeggianti oppure ovali e sono composte dall’epitelio endometriale e dalla proliferazione del tessuto connettivo materno subepiteliale. Porzioni corrispondenti di membrana corionallantoidea fetale divengono cotiledoni sviluppando dei villi all’interno delle cripte caruncolari materne. I placentomi dei bovini hanno un aspetto convesso, mentre quelli dei piccoli ruminanti tendono ad essere concavi. I ruminanti domestici gravidi possiedono generalmente dai 70 ai 130 placentomi, mentre i cervidi da 4 a 6 placentomi molto grandi. Durante il parto i villi cotiledonari fetali si staccano dalle caruncole ed i placentomi si espandono lateralmente. Dopo l’espulsione del feto e la conseguente interruzione della circolazione placentare cotiledonare, i capillari dei villi si afflosciano, riducendo il diametro dei villi. L’utero si contrae e la separazione tra caruncole e cotiledoni aumenta. Generalmente la placenta viene espulsa entro 12 ore dal parto senza perdite significative di tessuto da parte dell’utero materno. La madre tende ad ingerire piccole porzioni di placenta, pertanto non ci si deve sorprendere di trovarne all’interno del rumine materno in caso di decesso e conseguente esame necroscopico. Il trofoblasto dei ruminanti è caratterizzato da cellule binucleate che diventano tali in seguito alla mancata citochinesi dopo la divisione nuclea- Le ragioni per le quali le fattrici vengono eliminate dall’azienda includono problemi riproduttivi (infertilità ed aborto), mastite e basse produzioni. I fattori che possono contribuire al verificarsi della morte embrionale in alcune specie sono stati classificati in intrinseci, estrinseci ed embrionali. Per fattori intrinseci ci si riferisce principalmente alle patologie endometriali, quelli estrinseci includono lo stress, l’alimentazione, il clima e l’esplorazione transrettale, mentre quelli embrionali includono anomalie cromosomiche e, forse, fattori immunologici. Sembra che le anomalie cromosomiche giochino un ruolo importante nella patologia fetale. Da un esame del cariotipo effettuato su cellule pericardiche di feti bovini abortiti dopo l’ottavo mese di gravidanza è risultato che circa il 10% dei campioni su cui è stato esaminato il cariotipo presentava anomalie (trisomia, chimerismo, mosaici monosomici) ed almeno il 5,5% di esse era probabilmente associato alla morte fetale. La maggior parte dei feti con anomalie cromosomiche aveva malformazioni multiple ed alcuni erano gemelli. Oltre alle ben note malformazioni fetali nei ruminanti, come la ciclopia, il falso elleboro (Veratrum californicum) può causare morte embrionale. Per aborto si intende l’interruzione spontanea o provocata della gravidanza con espulsione del feto prima che sia atto alla vita extrauterina. L’aborto può essere distinto in ovulare, embrionale o fetale. Dopo 28 settimane di gravidanza per la bovina e 17 per la pecora e la capra, e 11 mesi per i camelidi, essendo il prodotto del concepimento capace di vita autonoma si dovrebbe parlare di parto prematuro. Gli autori di lingua inglese usano il termine stillbirth (parto o nascita silenziosa) quando il feto a termine di gravidanza viene espulso dal canale del parto morto. In lingua italiana stillbirth può essere tradotto come mortalità neonatale o natimortalità. Questo fenomeno altamente indesiderato può essere causato dagli stessi agenti, infettivi o non infettivi, responsabili dell’aborto o può essere associato a distocia e, molto raramente nei ruminanti, anomalie del funicolo ombelicale. Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 Feto bovino di 7 mesi. Preparazione necroscopica per la raccolta dei campioni destinati agli esami istologici e ad altre procedure ancellari. La presenza di versamenti sieroematici nelle cavità e nella loggia perirenale è frequente e non patognomonica per particolari agenti eziologici. La colorazione rossastra dei tessuti è un’alterazione cadaverica dovuta ad imbibizione emoglobinica. Solo un esame necroscopico completo seguito da indagini istologiche garantisce una diagnosi e la conseguente prevenzione di epizoozie. Le lettere indicano i campioni di organo da prelevare e fissare in formalina. T: timo; P: polmone; C: cuore; F: fegato; A: abomaso; I: intestino; S: surrene; R: rene; Cu: cute; MS: muscolo scheletrico. Rimangono da prelevare tiroide, lingua ed encefalo. Feto bovino, placenta coriale, aborto da BHV-1. I vasi dei villi coriali placentari contengono una grande quantità di BHV-1 (colorazione marrone). La placenta coriale è uno degli organi principali per la diagnosi immunoistochimica indiretta dell’aborto da BHV-1. IPIHC ed ematossillina. Feto bovino, aborto da BHV-1. Il fegato presenta numerosi focolai necrotici contenenti una grande quantità di BHV-1. La distribuzione del virus è ematogena e multifocale. IPIHC ed ematossillina. 13 Le reazioni del feto agli agenti patogeni dipendono principalmente dalla sua età, dalla maturazione del sistema immunitario e dalle caratteristiche dei vari agenti patogeni (virus, batteri, miceti, protozoi) e dei vari ceppi che variano in patogenicità. Per quanto riguarda la sequenza degli eventi che portano all’aborto infettivo proporrei quanto segue. Infezione discendente (ematogena) o ascendente (vie genitali) del trofoblasto coriale → necrosi cellulare causata da effetto citopatico diretto (replicazione intracellulare di virus, batteri, protozoi) o indiretto (tossine batteriche, enzimi e sostanze citossiche infiammatorie) → produzione di mediatori della flogosi (prostaglandine incluse) → edema e flogosi → ipossia causata da ispessimento e disorganizzazione del trofoblasto e da necrosi endoteliale e trombosi → ipossia fetale e stress → produzione di cortisolo fetale e di prostaglandine → contrazioni uterine ed espulsione del feto; se i microorganismi sono in grado di passare la barriera placentare ed infettare il feto si verificano viremia, setticemia e parassitemia fetali → morte fetale in utero che può essere associata a: 1) espulsione fetale senza conseguenze materne, 2) espulsione del feto ed endometrite, 3) ritenzione del feto in utero con mummificazione (virus, alterazioni congenite) o macerazione (batteri) con possibile endometrite materna. Talvolta il feto e la placenta non sono direttamente coinvolti e le lesioni che conducono all’aborto si verificano solamente a livello endometriale e/o miometriale uterino (per esempio vasculite e necrosi di endometrio e miometrio seguite da grave ipossia fetale); in certi casi il feto può essere ancora vivo al momento dell’espulsione. È necessario stabilire se la morte del feto è avvenuta prima, durante o dopo il parto. Nel primo caso il feto subirà alterazioni autolitiche di intensità variabile. In caso di lunga permanenza in utero il feto potrà presentare macerazione o mummificazione. La macerazione si verifica in presenza di enzimi di origine batterica mentre la mummificazione intrauterina è caratterizzata da progressiva disidratazione del feto senza digestione enzimatica di origine batterica. Durante gli stadi terminali, il feto macerato è ridotto ad un coacervo di frammenti di tessuto e liquidi maleodoranti ed ossa. Chiaramente questo fenomeno può avere un effetto deleterio sull’endometrio della fattrice e portare a sterilità. Nel caso il feto abbia cessato di vivere durante il parto, saranno evidenti segni di vita recente come edemi, emorragie sottocutanee e cavitarie e, in certi casi, la presenza di quantità variabili di aria nei polmoni. In caso di morte dopo il parto si osserveranno aria nei polmoni, coaguli nei vasi ombelicali, emorragie perivascolari ombelicali e, talvolta, colostro nello stomaco. Le alterazioni postmortali fetali (autolisi) si instaurano piuttosto rapidamente in quanto favorite dalla temperatura intrauterina e dall’eventuale presenza di enzimi batterici. Tali alterazioni appaiono come imbibizione emoglobinica tissutale con liquido rossastro, perdita della consistenza del fegato, della corticale renale, della midollare surrenale, dell’encefalo, con un contenuto abomasale opaco e rosso-giallastro e il distacco dell’epidermide. La colorazione rossastra si stabilisce entro la 12ª-36ª ora dalla morte, dopo la liberazione di emoglobina dalla lisi degli eritrociti. Il feto viene di solito espulso entro 24-72 ore dalla morte e si può ben capire il grado di alterazioni autolitiche che si possono verificare in questo periodo. Altre alterazioni fetali riscontrabili sono 14 Aborti infettivi dei ruminanti petecchie e soffusioni emorragiche a livello cutaneo e viscerale. Si tratta di lesioni che non si riferiscono specificamente ad un particolare agente eziologico, ma sono semplicemente espressione di fenomeni ipossici con conseguente danno endoteliale. Queste emorragie sono facilmente riscontrabili dopo la morte negli animali adulti e anche qui non hanno carattere specifico. Talvolta, più frequentemente nei piccoli ruminanti, gli invogli ed il feto sono coperti da un materiale giallastro. Si tratta di meconio che è espulso dall’intestino terminale del feto durante episodi di ipossia e stress in utero: questo fenomeno è chiamato diarrea fetale. Il meconio presente in cavità amniotica può essere inalato dal feto ipossico e, in tal caso, le vie aeree superiori ed i polmoni potranno contenere questo materiale fecale giallastro che, se riesce permanere per un certo periodo di tempo nei bronchioli ed alveoli del feto vivo, è in grado di provocare una polmonite asettica. In conclusione e riassumendo, nel feto e nel neonato si potranno osservare lesioni non riferibili ad un particolare agente eziologico quali emorragie acute, versamenti cavitari sierosi e sieroematici, edema focale o diffuso ed anasarca. In associazione a queste ultime si potranno osservare lesioni riferibili ad agenti eziologici precisi come necrosi ed essudato cotiledonare, placche (micotiche), focolai di necrosi coagulativa puntiforme grigiastri (herpesvirus), lesioni necrotiche epatiche a forma di bersaglio (aborto da Campylobacter ed altri batteri), necrosi multifocale coalescente o massiva con colestasi (bunyavirus della febbre della valle del Rift), contenuto flocculare dell’abomaso (Brucella ed altri batteri), granulomi (batteri e miceti), consolidazione polmonare (batteri), malformazioni quali microencefalia, idranencefalia, ipoplasia cerebellare (pestivirus, flavivirus, bunyavirus), ciclopismo (Veratrum spp.). Occasionalmente sono presenti proliferazioni multifocali epiteliali senza alcun significato patologico sulla parte interna della membrana amniotica chiamate placche amniotiche. Non devono essere confuse con placche di essudato associate a infezioni batteriche o micotiche. MALFORMAZIONI ED ALTERAZIONI CONGENITE CAUSATE DA VIRUS Alcuni virus sono in grado di causare malformazioni ed alterazioni congenite. Pestivirus bovino (BVDV). Nei bovini è in grado di provocare displasia cerebellare ed oculare, alopecia, dismielinogenesi, idrocefalo interno, ritardo della crescita (dismaturità), ed ipoplasia degli organi linfoidi. Pestivirus ovino (border disease). Nei piccoli ruminanti è in grado di indurre displasie del sistema nervoso centrale, scheletro, cute e vello e dismaturità. Orbivirus della bluetongue. Negli ovini è in grado di causare idranencefalia, porencefalia, artrogrifosi, mentre nei bovini è stato associato ad artrogrifosi, campilognatismo, prognatismo con prominenza e dilatazione della calotta cranica, idranencefalia, cifosi, scoliosi. Bunyavirus della malattia Akabane. Si tratta di uno dei più potenti agenti teratogeni infettivi ed è in grado di produrre epizoozie di artrogrifosi e idranencefalia. Negli ovini è più frequente la microencefalia. Flavivirus della malattia di Wesselbron. Il ceppo selvaggio e quello attenuato sono in grado di causare epizoozie di artrogrifosi ed idranencefalia, hydrops amnii e prolungamento della gravidanza, ma anche aplasia segmentale midollare spinale, aplasia cerebellare e anencefalia. I difetti più frequenti sono brachignatia, idranencefalia o porencefalia, ipoplasia cerebellare e spinale, e atrofia muscolare con artrogrifosi. Bunyavirus della febbre della valle del Rift. Il ceppo attenuato può causare le stesse lesioni descritte per il virus della malattia di Wesselbron. L’infezione dei due virus può essere concomitante. CAUSE DI ABORTO INFETTIVO NEI RUMINANTI I seguenti agenti eziologici possono causare aborto sporadico ed epizootico nei ruminanti. Virus Alcelaphine herpesvirus 1 (APHV-1) della febbre catarrale maligna africana Aphthovirus dell’afta epizootica Bunyavirus Akabane Bunyavirus Cache Valley Bunyavirus LaCrosse Bunyavirus San Angelo Bunyavirus Main Drain Bunyavirus Aino Bunyavirus phlebovirus della febbre della valle del Rift Ephemerovirus rhabdovirus della febbre effimera bovina Flavivirus della malattia di Wesselbron Herpesvirus bovino 1 (BHV-1) Herpesvirus ovino 2 (OHV-2) della febbre catarrale maligna dei paesi extrafricani Morbillivirus della peste bovina Nairovirus degli ovini Orbivirus della blue tongue Orbivirus della malattia di Ibaraki Orbivirus Chuzan Paramyxovirus della parainfluenza 3 Parvovirus bovino Pestivirus bovino della diarrea virale bovina-malattia delle Placenta coriale di feto bovino, aborto da pestivirus bovino (BVDV). Le cellule trofoblastiche e qualche macrofago nello stroma contengono una consistente quantità di BVDV (colorazione marrone). La colorazione marrone ottenuta tramite metodica immunoistochimica indiretta indica la presenza del pestivirus della BVD. IPIHC e ematossillina. Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 15 mucose (BVDV) Pestivirus ovino della border disease Retrovirus (grupo HTLV-BLV) della leucosi bovina (BLV) ABORTI INFETTIVI DEI RUMINANTI CON RILEVANTE SIGNIFICATO ECONOMICO IN EUROPA Batteri Endotossine batteriche Arcanobacterium pyogenes Bacillus spp. Bacillus anthracis Bacteriodes fragilis Borrelia spp. Brucella spp. Campylobacter spp. Chlamydophila spp. Coxiella burnetii Ehrlichia phagocytophila Escherichia coli Fusobacterium nucleatum Haemophilus somnus Helicobacter rappini Listeria monocytogenes Leptospira interrogans Mycobacterium spp. Salmonella enterica Ureaplasma diversum Yersinia spp. Anaplasma marginale Herpesvirus bovino 1 (BHV-1) della rinotracheite infettiva bovina (IBR) e vulvovaginite pustolosa infettiva dei bovini Funghi Aspergillus spp. Mucor spp. Absidia spp. Rhizopus spp. Mortierella spp. Protozoi Babesia spp. Neospora caninum Sarcocystis spp. Tripanosoma spp. Tritrichomonas foetus Cute di vitello immunotollerante persistentemente infetto con il pestivirus BVD. Epidermide, annessi cutanei, vasi e nervi contengono grandi quantità di pestivirus BVD (colorazione marrone). Pertanto la valutazione immunoistochmica della biopsia cutanea è uno strumento ideale per l’identificazione di questi animali. IPIHC ed ematossillina. Agente eziologico. Herpesvirus bovino 1 (bovine herpesvirus 1, BHV-1), genere Varicellovirus, sottofamiglia Alphaherpesvirinae, famiglia Herpesviridae. Il genoma consiste di un DNA a doppio filamento che codifica per circa 40 proteine strutturali. BHV-1 è differenziato nei sottotipi 1, 2a e 2b. Secondo alcuni, il sottotipo 2b è meno virulento di 1. Specie suscettibili. Presente nei bovini di tutte le età, ma può infettare anche pecore, capre, gnu (Connochaetes taurinus, wildebeest) ed altri ruminanti selvatici. Segni clinici. BHV-1 è in grado di causare aborto, patologie respiratorie (congiuntivite, rinite, laringotracheobronchite, polmonite), enteriche, encefaliche e vulvovaginite. Alcuni ceppi di BHV-1 isolati sia da forme genitali che da forme respiratorie sono in grado di causare ooforite, salpingite, endometrite, mastite, dermatite, ed anche diarrea fatale nei vitelli giovani. Gli aborti, sporadici o epizootici possono essere associati a perdite del 30-60%. Sebbene BHV-1 sia in grado di infettare il prodotto del concepimento in qualsiasi momento della gravidanza, inclusi l’oocita e l’embrione, in genere si osservano aborti tardivi tra il 5o e l’8o mese di gestazione. Patogenesi. Come tutti gli herpesvirus BHV-1 è in grado di albergare latente nel nucleo cellulare (leucociti e probabilmente altre cellule) e di riattivarsi in corso di stress e liberazione di corticosteroidi endogeni che abbassano le barriere immunitarie (parto, cambiamenti di ambiente e temperatura, interventi chirurgici, trasporto). Trasportato per via ematica nei macrofagi e linfociti circolanti BHV-1 può raggiungere l’endotelio endometriale e coriale placentare dove è in grado di produrre vasculite necrotizzante ischemizzante. Sebbene ciò possa essere sufficiente a causare l’aborto, BHV-1 si continua a moltiplicare negli endoteli e, trasportato dai macrofagi e linfociti, raggiunge i tessuti degli organi fetali dove è in grado di indurre ulteriore effetto citopatico e necrosi. Come altri alfaherpesvirus BHV-1 è un agente politropico in grado di infettare endoteli, epiteli, macrofagi, cellule dendritiche e linfociti. Lesioni. Spesso il feto presenta alterazioni cadaveriche avanzate (inusuale per gli aborti erpetici). In pochi casi sono apprezzabili lesioni macroscopiche epatiche e, raramente, polmonari altamente suggestive come la presenza di focolai puntiformi grigiastri sottosierosi e parenchimali di necrosi coagulativa. Per quanto riguarda le lesioni microscopiche, è sempre presente una vasculite necrotizzante che colpisce i villi ed il mesenchima coriale. Sono indentificabili focolai di necrosi coagulativa circondati da pochi macrofagi in fegato, surrene, rene, intestino, linfonodi, polmoni e milza. Nelle cellule intorno alle aree di necrosi sono presenti corpi inclusi virali intranucleari acidofili rossastri patognomonici (Cowdry tipo A) con marginazione della cromatina. Considerati i fenomeni di autolisi che si possono verificare, spesso l’organo d’elezione per l’identificazione dei corpi inclusi è la ghiandola surrenale. Dal momento che BHV-1 è presente in notevoli quantità nel feto e nel corion placentare, la diagnosi tramite immunistochimica indiretta è semplice e vantaggiosa. 16 Aborti infettivi dei ruminanti Diagnosi. 1) Identificazione dell’antigene virale tramite immunoistochimica indiretta perossidasica (IPIHC) su sezioni di tessuto fissato (tessuti d’elezione: placenta, fegato e surrene, ma anche rene, intestino, linfonodi, polmoni e milza). 2) Identificazione delle lesioni. Focolai macroscopici grigiastri di necrosi epatica e necrosi microscopica coagulativa multifocale acuta viscerale (fegato, surrene, rene, intestino, linfonodi, polmoni e milza) con corpi inclusi virali intranucleari Cowdry A. 3) Isolamento del virus e tipizzazione. Identificazione dell’effetto citopatico ed isolamento di BHV-1 su tessutocoltura (es.: rene di embrione bovino, cellule testicolari bovine) seguita da identificazione tramite McAb. 4) Identificazione del genoma virale. La PCR è più sensi bile delle colture, permette l’amplificazione e l’identificazione del DNA virale, ma anche la differenziazione tra il virus selvaggio (gE + ) ed il virus vaccinale deleto senza il gene codificante la proteina gE (gE -). 5) Sierologia. Le bovine spesso non presentano un titolo sierologico significativo al momento dell’aborto, ma indagini su altri bovini della mandria possono rivelare la sieroconversione per BHV-1. Sono usate la neutralizzazione virale (virus neutralization, VN) e varie tecniche ELISA. Esiste una tecnica ELISA per identificare gli animali gE+. Prevenzione. Sono usati vaccini con BHV-1 attenuato con somministrazione intramuscolare e vaccini a BHV-1 attenuato (mutante termosensibile) a somministrazione intranasale. Alcune regioni europee attuano piani di eradicazione. La sola vaccinazione ha ridotto drasticamente la malattia in USA rendendo i piani di eradicazione economicamente non significativi. Orbivirus della bluetongue Agente eziologico e vettore. Genere Orbivirus, famiglia Reoviridae. La malattia della “lingua blu” è causata da un orbivirus trasmesso ai ruminanti dai ditteri ematofagi ceratopogonidi del genere Culicoides (gnat) ed è presente in Africa, America, Medio Oriente e bacino del Mediterraneo. Cambiamenti climatici che hanno influito sulla diffusione dei vettori hanno fatto espandere la malattia in Italia centrale e sulle isole. Meno frequentemente questo orbivirus può essere trasmesso attraverso il seme infetto e verticalmente al feto attraverso la placenta. Il vettore Culicoides (C. imicola, C. variipennis) si riproduce in acque stagnanti ricche di materiale organico. Sono descritti almeno 24 sierotipi di questo virus, classificati mediante prove di sieroneutralizzazione. I diversi sierotipi, pur condividendo un antigene di gruppo, sono scarsamente correlati tra loro. L’immunità crociata su pecore dimostra che ogni sierotipo induce una risposta immunitaria strettamente omologa e molto scarsa, se non nulla, nei confronti dei sierotipi eterologhi. Pertanto, l’infezione da parte di un sierotipo virale non preclude le altre. Specie suscettibili. Ruminanti e cagne gravide. Patogenesi. I bovini esposti per la prima volta all’orbivirus della bluetongue sono a rischio, ma raramente sviluppano segni clinici. Le pecore sono più sensibili all’infezione. Nelle mandrie dove la malattia è endemica, le patologie della gravidanza sono costantemente presenti e si manifestano particolarmente da 3 a 5 mesi dopo la stagione degli insetti. A quanto pare ciò non si verifica nei greggi di pic- coli ruminanti. Dopo essere stato inoculato, il virus si moltiplica nei macrofagi e negli endoteli dei vasi dove provoca necrosi vascolare seguita da processi rigenerativi che possonono indurre ispessimenti mediali ed occlusioni vascolari. Il virus può essere trasportato in invaginazioni del plasmalemma eritrocitario. Dopo 30-60 giorni, il feto va incontro a malformazioni scheletriche, come deviazioni del capo, accorciamento, distorsione o assenza dei segmenti distali degli arti, scoliosi, brachignatismo. Dal 60° al 90° giorno si potranno verificare aborto, ipoplasia o degenerazione della sostanza grigia, idrocefalo interno e retinopatie. Nessuna malformazione del SNC si osserva infine nel caso di infezioni acquisite prima del 30° e dopo il 90° giorno di gestazione. In caso di parto, i nati risultano infetti per tutto l’arco della vita. Il periodo di incubazione è di 6-7 giorni. Segni clinici. Panleucopenia prepirettica, febbre remittente, inappetenza, iperemia mucosale, scialorrea, epifora e rinorrea, edema linguale e, nei casi gravi, cianosi (bluetongue), ulcere mucosali, edema faringeo con disfagia (possibile polmonite ab ingestis), coronite, miopatia. Lesioni. I feti abortiti possono presentarsi in buone o cattive condizioni di conservazione o essere mummificati. I vitelli e gli agnelli con sintomi nervosi saranno colpiti da idranencefalia, porencefalia, idrocefalo ex-vacuo, displasia del tronco encefalico. I feti dei ruminanti che hanno abortito durante la prima metà della gravidanza presenteranno necrosi encefalica con leptomeningite, mentre i feti espulsi durante l’ultimo periodo di gravidanza ed i neonati presenteranno leptomeningite intorno alle lesioni cavitarie post necrotiche. Si può anche osservare iperplasia linfonodale. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni displastiche del SNC, leptomeningite. 2) Identificazione dell’antigene virale tramite immunoistochimica indiretta (IPIHC) su tessuti fissati. 3) Isolamento del virus e tipizzazione. Isolamento del virus su uova embrionate di pollo di 10-12 giorni da sangue eparinizzato, milza, fegato, midollo osseo, linfonodi o anche inoculando una pecora (in seguito BTV può essere passato in cellule VERO o BHK-21). I campioni non vanno congelati. Il virus viene poi identificato tramite il test di plaque reduction serum neutralization. 4) Sierologia. ELISA competitiva, AGID (ma anche VN e CF). Prevenzione. I sierotipi virali del vaccino devono essere gli stessi che causano l’epizoozia che si cerca di arginare. Sono disponibili vaccini a virus vivo attenuato singoli o polivalenti. Bisogna considerare che è possibile la reversione della virulenza nell’ospite o nel vettore. I vaccini ricombinanti e a virus inattivato sono costosi. Pestivirus della diarrea virale bovina-malattia delle mucose (BVD-MD) Agente eziologico. Genere Pestivirus bovino, famiglia Flaviviridae. Diffuso in tutto il mondo, si mantiene nelle popolazioni bovine grazie alla presenza di animali immunotolleranti persistentemente infetti (BVDV-PI). Esistono biotipi virali citopatici, in grado di indurre rapidamente vacuolizzazione delle cellule in coltura e produzione di un polipeptide di 80.000 daltons, e biotipi virali non citopatici i quali non sono in grado di produrre l’effetto citopatico Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 ed il peptide. BVDV è segregato in due genotipi, BVDV tipo 1 e 2. BVDV-1 include virus comunemente usati nei laboratori sia come referenza che per la produzione di vaccini come BVDV-NADL, BVDV- Singer, BVDV-C24V, e BVDV-NY1. La maggior parte dei ceppi BVDV-2 non sono citopatici in tessutocoltura, ma sono stati identificati alcuni BVDV-2 citopatici. Specie suscettibili. Bovini ed altri ruminanti; suini. Sperimentalmente roditori e lagomorfi. Segni clinici. Spesso l’infezione BVDV è inapparente, ma può essere associata a febbre, disoressia, leucopenia, aumento della frequenza respiratoria e diarrea. Esiste anche una forma trombocitopenica emorragica dei vitelli. Generalmente la malattia è di breve durata e gli animali producono anticorpi neutralizzanti che sono in grado di reagire con entrambi i biotipi di BVDV, citopatico e non citopatico. Patogenesi. Sebbene gli adulti non sviluppino particolari conseguenze dall’infezione BVDV, entrambi i biotipi possono danneggiare sia l’embrione che il feto. 1) L’infezione BVDV di oocita, blastocisti, embrione e feto durante il primo mese di gravidanza può portare a morte il prodotto del concepimento. 2) L’infezione dal secondo al quarto mese di gravidanza può risultare in un ritardo nella crescita del feto, malformazioni oculari e nervose ed aborto. 3) Dopo il sesto mese si verifica aborto. I feti infettati con BVDV citopatico almeno al terzo mese di gravidanza ed i feti infettati con BVDV non citopatico almeno al quarto mese di gravidanza sono in grado di produrre anticorpi contro BVDV, che diventano quantificabili intorno al 5o-6o mese di gravidanza. 4) Quando BVDV non-citopatico riesce ad infettare il feto nel periodo che va dalla metà del 2 o mese alla fine del 4 o mese di gravidanza, si può verificare tolleranza immunologica ed infezione persistente. Lesioni. I feti possono presentarsi in buone condizioni di conservazione, oppure in preda ad autolisi o mummificati. Le lesioni macroscopiche includono microencefalia, idranencefalia, porencefalia, idrocefalo, ipoplasia cerebellare, microftalmia, cataratta, ipoplasia timica e alopecia. Le lesioni microscopiche a livello del sistema nervoso centrale e dell’occhio possono essere rappresentate da necrosi e scomparsa delle cellule del Purkinje e dello strato granulare esterno, leptomeningite linfocitaria, vasculite, edema dei folia cerebellari, dismielinizzazione, atrofia retinica e neurite ottica. Inoltre si possono identificare focolai di necrosi in vari tessuti ed organi, iperplasia dell tessuto linfoide, ipoplasia dei follicoli piliferi ed arresto della crescita ossea. In aggiunta alla morte embrionale e fetale con aborto, l’infezione fetale con uno dei due biotipi di BVDV può risultare nella nascita di vitelli prematuri, poco vitali o morti, deboli, con alterazioni congenite al SNC, piccoli, o vitelli con anticorpi contro BVDV. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Displasia del SNC, necrosi, corionite. 2) Identificazione dell’antigene virale BVDV con immunoistochimica indiretta perossidasica (IPIHC) su sezioni di tessuto e placenta fetali. 3) Isolamento del virus e tipizzazione. In tessutocoltura (cellule bovine fetali, cellule testicolari bovine, cellule dei turbinati nasali bovini) ed identificazione con McAb. 4) Sierologia. Si usano SN ed ELISA, tenendo presente che gli Ac neutralizzanti sono prodotti sia in risposta all’infezione naturale che alla vaccinazione e sono protettivi 17 nei confronti dell’infezione fetale. Mentre gli anticorpi rilevabili con ELISA (che include l’impiego di antigeni proteici del core virale) sono prodotti in seguito all’infezione naturale, ma in maniera incostante in seguito alla vaccinazione con vaccini vivi e per nulla in seguito alla vaccinazione con vaccini inattivati. 5) Identificazione del genoma BVDV. RT-PCR. Prevenzione. È estremamente importante l’identificazione ed eliminazione degli animali persistentemente infet ti e loro eliminazione, con continua valutazione dei nuovi nati e dei nuovi animali da introdurre in azienda. È necessaria la vaccinazione di tutti gli animali. Prima di intraprendere la profilassi vaccinale bisogna prendere in considerazione la variabilità antigenica dei BVDV. Rapida identificazione dei bovini BVDV immunotolleranti persistentemente infetti (BVDV-PI). Gli animali BVDV immunotolleranti persistentemente infetti non possono essere identificati con il solo esame clinico. In passato l’unico metodo per individuarli era la contemporanea valutazione sierologica e virologica per dimostrare livelli bassi o nulli di anticorpi contro BVDV e la presenza del virus in entrambi i prelievi effettuati a distanza di almeno tre settimane. Ora è possibile localizzare l’antigene BVDV usando l’immunoperossidasi indiretta con anticorpi monoclonali su biopsie cutanee prelevate da ciascun animale in azienda. Questo permette di identificare rapidamente, facilmente ed economicamente l’animale BVDV-PI che è caratterizzato da massiva presenza virale in vari organi compresa la cute. Il campione di cute può essere raccolto dall’apice della pinna auricolare usando un foratore per carta oppure, se si vuole utilizzare un’area con cute più spessa, uno strumento da biopsie. Qualsiasi zona cutanea ha valore diagnostico. Le biopsie sono messe a fissare in una provetta ermetica marcata contenente qualche cc di formalina tamponata al 10%. La fissazione del campione è rapida e la cute è presto pronta per la disidratazione in alcool, inclusione in paraffina, taglio e processazione con immunoperossidasi. La cute di tutti gli animali BVDV-PI contiene BVDV nell’epidermide, nelle ghiandole, nel bulbo pilifero, nei vasi e nei nervi e l’interpretazione è rapida e semplice per il patologo. Pestivirus ovino della border disease Agente eziologico. Genere Pestivirus ovino, famiglia Flaviviridae. Sono descritti tre distinti gruppi antigenici. Animali suscettibili. Ovini. Caprini, bovini, suini sono sensibili all’infezione sperimentale. Come altri pestivirus (BVDV, virus della peste suina classica) è universalmente diffuso e ben adattato alle condizioni di allevamento intensivo. Segni clinici. Morte embrionale e fetale con o senza aborto e neonati morti, dismorfogenesi di SNC, scheletro, cute ed annessi piliferi e nascita di agnelli piccoli, deboli con scarso incremento ponderale e poca vitalità. Perdite fino al 30%. Le morti embrionali possono non essere notate, poiché mimano un problema di infertilità. Dopo l’aborto le pecore sviluppano resistenza all’infezione. Gli agnelli neonati affetti possono essere scarsamente vitali, presentare tremori e vello anomalo (hairy shakers, fuzzy lambs: peli del vello lunghi, spessi e prominenti) ed aver difficoltà a nutrirsi. I segni neurologici possono diminuire, ma spesso gli animali si indeboliscono ulteriormente e muoiono. 18 Aborti infettivi dei ruminanti Patogenesi. Il pestivirus ovino è spesso introdotto nel gregge da nuovi animali infetti. Le giovani pecore sono particolarmente suscettibili. Dopo l’infezione (ingestione per via orale) si verifica viremia leucocitaria che trasporta il virus all’endometrio ed alla placenta dove induce corionite necrotizzante (che può estendersi o guarire per proliferazione dello stroma) con ischemia ed infezione fetale. Le lesioni placentari si sviluppano circa 10 giorni dopo l’infezione con loro massima espressione 16 giorni dopo l’inoculo e tendono a guarire entro 21-30 giorni. Il feto è suscettibile all’infezione a 18-130 giorni del periodo di gravidanza. 1) Infezione durante il primo trimestre: morte fetale ed aborto. 2) Infezione durante il secondo trimestre: morte fetale con mummificazione oppure aborto, neonati morti, o ancora nascita di agnelli deboli o malformati. 3) Infezione durante il terzo periodo: assenza di lesioni. Gli animali immunotolleranti persistentemente infetti garantiscono il mantenimento e la diffusione della malattia. Lesioni. Per quel che riguarda le lesioni placentari, i cotiledoni sono più piccoli del normale con focolai puntiformi di necrosi. Microscopicamente si possono apprezzare necrosi delle cripte materne. Gli agnelli che muoiono subito dopo la nascita sono sotto peso e più piccoli del normale. Le ossa lunghe sono più sottili e meno dense (osteopenia) e presentano linee di accrescimento metafisario anomale. Il vello è denso e presenta anomalie pigmentarie. Spesso questi agnelli sono predisposti a infezioni batteriche (polmoniti) e parassitarie, e sono emaciati con scarsi depositi adiposi. Diagnosi. 1) Anamnesi clinica ed identificazione delle lesioni placentari, fetali e degli agnelli. 2) Identificazione dell’antigene BDV con immunoistochimica indiretta perossidasica su sezioni di tessuto e placenta fetali. 3) Isolamento del virus e tipizzazione. Su tessutocolture di cellule ovine, difficile dai feti abortiti, piuttosto difficile negli agnelli con anticorpi materni, semplice negli animali persistentemente infetti. Tipizzazione del pestivirus, di solito non citopatico, con McAb. 4) Identificazione del genoma virale. RT-PCR. 5) Sierologia. ELISA e VN per dimostrare sieroconversione. Prevenzione. Si basa sulla prevenzione dell’introduzione di animali infetti ed identificazione ed eliminazione degli animali persistentemente infetti immunotolleranti. Esiste un vaccino inattivato commerciale. Se si usano vaccini BVDV bisogna tenere in considerazione la diversità dei pestivirus ovini. Arcanobacterium pyogenes (arcanobacteriosi) Agente eziologico. Arcanobacterium pyogenes (precedentemente classificato prima come Corynebacterium p. e poi come Actinomyces p.) è un batterio immobile, Gram positivo o variabile, a morfologia variabile (generalmente coccobacilli di 0,2 - 0,9 µm di diametro × 0,3 - 2,5 µm di lunghezza). Specie suscettibili. I bovini. Occasionalmente gli altri ruminanti ed i cavalli. Patogenesi e segni clinici. Causa frequentemente lesioni purulente, polmonite e aborto nei bovini. Gli animali adulti sono portatori asintomatici ed è possibile che le vie di infezione endometriale, placentare e fetale siano allo stesso tempo ematogene discendenti e vaginali ascendenti. A. pyogenes di solito causa aborto sporadico ma sono anche descritte piccole epizoozie. Sebbene sia in grado di determinare placentite a qualsiasi stadio della gravidanza, la maggior parte degli aborti si manifesta negli ultimi tre mesi prima del parto. Come nel caso di altri aborti dovuti a batteri, può causare ritenzione placentare. L’aborto da A. pyogenes può essere seguito da endometrite persistente difficile da trattare, metrite, setticemia e poliartrite che possono portare a morte la bovina. Lesioni. La superficie coriale placentare può essere coperta da essudato purulento e necrotico giallastro. Certe volte è possibile reperire un coagulo ematico contenuto nel lume tracheale del feto e focolai giallastri corrispondenti ad aree di accumulo di pus e batteri a livello bronchiale. Le alterazioni infiammatorie nella placenta coriale sono di solito moderate, ma frequentemente associate a numerose colonie di coccobacilli, indentificate nel lume dei vasi della placenta e del feto e, spesso, in assenza di cellule infiammatorie, nei bronchioli ed alveoli dei feti che hanno meno di 5 mesi di età. La presenza di tali batteri nel feto è significativa, ed ha valore diagnostico, anche in assenza di cellule infiammatorie. È inoltre possibile osservare un numero elevato di megacariociti a livello splenico fetale. Meno frequentemente si può riscontrare polisierosite fibrinosa. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Corionite suppurativa con colonie batteriche, polmonite fetale con batteri. 2) Isolamento dei batteri ed identificazione biochimica. Identificazione dei batteri tramite terreni di coltura da campioni placentari coriali, fetali (contenuto gastrico e polmone) e secrezioni uterine materne. Prevenzione. Profilassi igienica e, soprattutto, trattamento delle endometriti che possono essere fastidiose e fatali. Bacillus spp. (aborto bacillare) Agenti eziologici. Il genere Bacillus appartiene alla famiglia delle Bacillaceae e si distingue per la sua morfologia e per le sue caratteristiche respiratorie e dimensioni (da 0,5 × 1,2 µm a 2,5 × 10 µm). Si tratta di bacilli Gram positivi con variabilità Gram negativa, aerobi o aeroanaerobi in grado di produrre endospore, mobili grazie a flagelli. Sono piuttosto eterogenei sia geneticamente (la percentuale Guanina + Citosina [G+C] varia da 32 a 69 nelle varie specie di bacilli) sia fenotipicamente (es.: tipo di respirazione, metabolismo degli zuccheri, habitat). Pertanto nuovi generi sono stati proposti anche dopo ulteriori studi dell’RNA ribosomiale 5 e 16 S: Alicyclobacillus, Aneurinibacillus, Brevibacillus, Paenibacillus, Virgibacillus, Gracilibacillus, Salibacillus. Bacillus anthracis, l’agente eziologico del carbonchio ematico, è un importante agente patogeno che può talvolta anche causare aborto. Bacillus licheniformis sembra essere il bacillo più frequentemente responsabile di aborto nei bovini. Specie suscettibili. I ruminanti ed altre specie domestiche e selvatiche. Nell’uomo possono provocare gravi panoftalmiti. Segni clinici, patogenesi. L’aborto causato da Bacillus licheniformis è stato osservato in condizioni naturali nelle bovine e nelle bufale (water buffalo, Bubalis bubalis) ed è Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 Feto bovino con broncopolmonite neutrofilica da Arcanobacterium pyogenes. Nel lume bronchiolare pieno di essudato sono visibili colonie batteriche bluastre. A. pyogenes è un’importante causa di endometrite, aborto, setticemia, poliartrite e lesioni suppurative. Ematossillina ed eosina. 19 stato riprodotto sperimentalmente. Si verifica principalmente durante i mesi invernali e durante l’ultimo trimestre di gravidanza. Bacillus cereus è stato anche identificato come causa di aborto. La distribuzione delle lesioni suggerisce che i bacilli arrivino all’endometrio e alla placenta per via ematogena discendente. Lesioni. Le lesioni includono placentite necrotizzante, talvolta con vasculite e broncopolmonite purulenta ed enterite nel feto. I batteri, che sono filamentosi, sono visibili in prossimità e nelle lesioni e sono sia extracellulari che contenuti nel citoplasma dell’epitelio trofoblastico. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. 2) Identificazione degli antigeni batterici su sezioni di tessuto fissato. IPIHC, FA. 3) Isolamento dei batteri dalla placenta, dai polmoni e dal contenuto gastrico e loro identificazione biochimica. 4) Identificazione del genoma. PCR. Profilassi. Norme igieniche. Brucella spp. (brucellosi) Placenta coriale bovina con grave necrosi dei villi e calcificazione (aree bluastre) causate da Bacillus spp. Ematossillina ed eosina. Placenta coriale bovina. Si tratta di un villo della placenta della figura precedente fortemente ingrandito dove sono visibili numerosi batteri Bacillus spp. Ematossillina ed eosina. Agente eziologico. I batteri del genere Brucella sono coccobacilli gram negativi, immobili, che preferiscono l’ambiente intracellulare e sono in grado di indurre negli animali infezioni acute e spesso croniche associate ad aborto. La brucellosi bovina è causata da Brucella abortus, meno frequentemente da B. melitensis e, raramente da B. suis. Le brucelle sono altamente patogene per l’uomo pertanto i laboratori che se ne occupano devono possedere delle misure di contenimento BL3. Specie sucettibili. Ruminanti ed altre specie, compreso l’uomo. Epidemiologia, patogenesi e segni clinici. La brucellosi bovina è presente in tutto il mondo. Esistono ancora delle zone dove la malattia è endemica ed induce perdite notevoli agli allevatori. In alcuni paesi l’incidenza della malattia è piuttosto bassa grazie alle misure preventive e di eradicazione messe in atto da tempo. Generalmente Brucella abortus è causa di aborto nei bovini, Brucella melitensis causa aborto nei piccoli ruminanti. L’aborto, generalmente tardivo, si manifesta verso il settimo-ottavo mese di gravidanza. È possibile ossevare infezioni interspecifiche, inoltre alcune brucelle hanno la capacità di acquisire nuove caratteristiche e di infettare nuovi ospiti, come per esempio Brucella ovis e Brucella canis. Sebbene tali batteri siano in grado di infettare qualsiasi tipo di tessuto ed organo, senza dubbio gli organi genitali e la placenta sono i siti dove si sviluppano più frequentemente infezioni persistenti. Gli animali generalmente vengono in contatto con le brucelle tramite le placente infette. L’infezione avviene spesso per via orale, ma anche per via genitale, mucosale e attraverso soluzioni di continuo cutanee. I bovini sessualmente maturi sono più suscettibili alla malattia rispetto agli animali giovani. Alcuni autori sostengono che l’infezione genitale non è così frequente come si pensi. Ad ogni modo, quando l’infezione attecchisce, specialmente nelle bovine, tende a diventare persistente con localizzazione linfonodale con linfoadenopatia reattiva. Al momento del parto si verifica batteriemia con eliminazione delle brucelle attraverso il colostro. Una lieve mastite non facilmente identificabile innalza il numero delle cellule nel latte. Dalla circo- 20 Aborti infettivi dei ruminanti lazione ematica e linfatica il batterio si localizza alla estremità dei villi caruncolari materni e passa prima alla zona arcadica dell’organo microscopico ematofagico trofoblastico, e poi al resto del trofoblasto ed al feto sia per fagocitosi sia attraverso soluzioni di continuo. La zona arcadica è ricca di eritritolo, uno zucchero che favorisce la crescita della brucella, senza tuttavia esserle indispensabile. Il corno non gravido dell’utero di solito non è suscettibile all’infezione. Nella maggior parte dei casi non sono evidenti segni clinici particolari. Lesioni. Nella maggior parte dei casi sono presenti alterazioni microscopiche a livello del corion, che possono essere considerate abbastanza caratteristiche seppur non patognomoniche (Campylobacter spp. è in grado di causare lesioni simili e bisogna ricordare che funghi e batteri spesso provocano lesioni indistiguibili tra loro all’esame macroscopico). Sul corion cotiledonare ed intercotiledonare si può osservare un essudato giallastro, inodore, leggermente viscido contenente materiale flocculare grigio-giallastro. I cotiledoni presentano aree di necrosi giallastre che possono essere coperte dall’essudato precedentemente descritto. Qualcuno ha paragonato l’essudato brunastro dell’aborto brucellare a zucchero caramellato soffice (soft caramel candy). Il feto presenta un contenuto abomasale torbido, giallastro e flocculare. Per quanto riguarda le lesioni microscopiche, nella placenta si può reperire corionite neutrofilica e necrotizzante con particolare accumulo di essudato a livello della zona del trofoblasto arcadiano. Possono essere presenti dei piccoli granulomi. La porzione materna di solito non è fortemente coinvolta nelle prime fasi, tuttavia l’infiltrato infiammatorio che colpisce i setti materni è probabilmente responsabile della ritenzione placentare, fortunatamente non associata a fenomeni di adesione fibrotica. I batteri sono facilmente osservabili all’interno del citoplasma sotto forma di coccobacilli o come bacilli brevi nell’essudato (0,5 - 0,7 µm diametro × 0,5 1,5 µm lunghezza). Nel feto si possono spesso identificare bronchite e broncopolmonite. Certe volte possono essere presenti fenomeni di necrosi e granulomi che possono anche coinvolgere gli organi linfatici. Talvolta si può osservare vasculite e leptomeningite. I piccoli granulomi possono anche essere osservati a livello di fegato, milza, linfonodi e reni e possono contenere un centro necrotico. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Corionite subacuta e cronica necrotizzante, suppurativa e granulomatosa con coccobacilli nel citoplasma trofoblastico. 2) Identificazione dei batteri tramite colture di campioni coriali placentari, fetali (contenuto gastrico e polmone), secrezioni uterine e mammarie materne. 3) Identificazione degli antigeni brucellari tramite esame immunoistochimico indiretto su tessuto fissato (IPIHC). 4) Sierologia per l’identificazione della sieroconversione della fattrice (attenzione ai falsi positivi negli animali vaccinati). 5) Sierologia per l’identificazione dell’antigene. a) Prova del rosa bengala (rose bengal test). b) Buffered plate agglutination test. c) Fluorescence polarization assay. d) FC. e) ELISA. f) Serum agglutination test. I risultati positivi ottenuti con “a”, “b”, “c” andrebbero ritestati con “d” o con “e”. “f” è meno sensibile degli altri. L’ELISA indiretto o la prova dell’anello (ring test) eseguita sul latte sono prove collettive affidabili, ma il ring test è meno sensibile nelle mandrie di grandi dimensioni e con B. melitensis e non è applicabile nei piccoli ruminanti. Prevenzione. Nei paesi dove è ammessa la profilassi vaccinale sono disponibili i seguenti vaccini attenuati: 1) Brucella abortus ceppo 19 (S19); 2) Brucella melitensis ceppo Rev.1 può essere usato per immunizzare i bovini a rischio per B. melitensis; 3) Brucella abortus ceppo RB51 protegge contro la brucellosi ovicaprina (con l’esclusione di B. ovis). La brucellina viene usata per il test intradermico. N.B. In Italia è vietato eseguire vaccinazioni contro la brucellosi, nonché trattamenti terapeutici o prove diagnostiche non autorizzate (salvo deroghe per situazioni di particolare rischio epidemiologico), sia per i bovini e bufalini che per gli ovicaprini, come stabilito nei piani nazionali di eradicazione (G.U. 21/07/95 e 26/11/94). Inoltre, le uniche prove diagnostiche ufficialmente riconosciute su tutto il territorio nazionale sono: SAR con rosa bengala test (SAR-Ag: RB, prova di routine) e F.d.C. (prova di indennità ufficiale e riaccreditamento, e da eseguire in tutti i casi dubbi o positivi alla SAR). Campylobacter spp. (campylobacteriosi) Agente eziologico. In passato le condizioni patologiche causate dai batteri del genere Campylobacter erano chiamate vibriosi, in quanto questi batteri erano precedentemente raggruppati nel genere Vibrio. Si tratta di bacilli Gram negativi, curvi (ma anche sigmoidi o spiroidi) non sporigeni, mobili, con flagelli apicali. Le dimensioni dei batteri sono 0,2 - 0,5 µm di diametro × 0,5 - 5,0 µm di lunghezza. Specie suscettibili. Ruminanti. Patogenesi e segni clinici. Possono essere responsabili di aborto, ipofertilità, patologie a carico dell’intestino nei ruminanti ma anche in altre specie. Di solito l’aborto non è accompagnato da segni clinici. Più precisamente, Campylobacter foetus sottospecie venerealis ed il suo biovar intermedius sono agenti patogeni dell’apparato genitale, causano aborto nei ruminanti e possono essere importanti agenti di infertilità nei bovini. Possono albergare nel prepuzio del toro che diventa portatore asintomatico perenne dopo il quarto anno di età, proprio quando si sviluppano le cripte prepuziali, ambiente favorevole alla persistenza di questi organismi. Campylobacter foetus foetus è comunemente reperibile nell’intestino dei ruminanti domestici ma, sebbene possa causare aborto sporadico sia negli ovini che nei bovini, è più patogeno per i piccoli ruminanti. Lo stesso vale per Campylobacter jejuni. Lesioni. Campylobacter spp. possono causare lesioni placentari e fetali simili a quelle brucellari, inclusa la localizzazione dei bacilli (0,2 - 0,5 µm di diametro × 0,5 - 5,0 µm di lunghezza) nel citoplasma dell’epitelio trofoblastico, ma meno gravi; la ritenzione placentare è meno frequente. Nel feto ovino le lesioni epatiche, che non sono sempre presenti, possono avere la caratteristica forma circolare quasi a bersaglio, che occasionalmente si manifesta pure nel feto bovino. Tali lesioni a bersaglio, un tempo considerate patognomoniche per Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 c a m p y l o b a c t e r, possono essere anche causate da altri batteri. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Corionite subacuta e cronica necrotizzante suppurativa e granulomatosa con batteri intratrofoblastici ed extracitoplasmatici; granuloni polmonari e viscerali. 2) Identificazione dei batteri tramite colture di campioni coriali placentari, fetali (contenuto gastrico e polmone), secrezioni uterine materne. 3) Identificazione degli antigeni batterici tramite immunoistochimica indiretta su tessuto fissato. 4) Identificazione dei batteri tramite esame diretto del contenuto abomasale fetale fresco con il microscopio a contrasto di fase o campo scuro per identificare dei bastoncelli curvi, sfreccianti con motilità a spirale. 5) Prova di agglutinazione del muco vaginale. Valida solo per la valutazione della mandria, non del singolo animale. 6) Identificazione del genoma. PCR. 7) Sierologia. La sierologia materna non offre risultati soddisfacenti in quanto gli anticorpi non vengono sempre prodotti. Prevenzione. Norme igieniche. Coxiella burnetii (Febbre Query, Q fever) Agente eziologico. Coxiella burnetii è un piccolo batterio (0,3-1,5 µm × 0,25 µm) intracellulare obbligato che si manifesta in 2 forme: la fase patogena I, che può essere isolata dagli animali e dall’uomo (febbre Query, Q fever) e la fase II, meno patogena, che si ottiene dopo ripetuti passaggi in uova embrionate o in tessutocolture. Si tratta di un microrganismo pericoloso che deve essere maneggiato a livelli di sicurezza BL3. Recentemente è stata separata dalla famiglia delle Rickettsiaceae e raggruppata con i Prot e o b a c t e r i a del g enere L e g i o n e l l a, F r a n c i s e l l a e Rickettsiella. Specie suscettibili. Ruminanti. È patogena per l’uomo. Epidemiologia e patogenesi. Si tratta di una zoonosi diffusa in molti paesi. Gli esseri umani si infettano quanto vengono a contatto con animali serbatoio, specialmente ruminanti e possono essere affetti da una forma acuta con polmonite ed epatite che si manifestano con una sindrome simil influenzale, o da una forma cronica con endocardite che richiede un lungo trattamento antibiotico. I portatori possono trasmettere l’infezione ad altri soggetti recettivi, soprattutto durante il periodo del parto quando viene eliminata una grande quantità di batteri. I suoli asciutti e polverosi possono favorire l’ingestione e l’inalazione delle coxielle. L’aborto tende ad essere tardivo. Lesioni. La placenta può presentare aree di necrosi e calcificazione con abbondante essudato giallastro o biancastro, particolarmente evidente nelle aree intercotiledonari. Al microscopio si osserva corionite necrotizzante e suppurativa che coinvolge le regioni intercotiledonari, i cotiledoni e le zone arcadiche trofoblastiche che contengono un infiltrato istocitico e plasmacellulare. A differenza di Chlamydophila abortus la vasculite non è frequente. Le cellule del trofoblasto possono contenere prominenti colonie batteriche in un citoplasma schiumoso e bluastro. Come per chlamydophila, per mettere in evidenza le coxielle si può ricorrere a colorazioni istochimiche (Macchiavello, 21 Gimenez, Giemsa, Ziehl-Neelsen modificata) oppure a tecniche immunoistochimiche molto efficaci. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Corionite necrotizzante con batteri intracellulari. 2) Visualizzazione del batterio su strisci di tessuto placentare coriale con obbiettivo ad immersione e con colorazione di Stamp. 3) Identificazione degli antigeni batterici su sezioni di tessuto e strisci. IPIHC, FA. 4) Isolamento dei batteri e identificazione. Inoculo di tessutocolture, uova embrionate di pollo, cavie, topi, criceti ed identificazione con McAb. 5) Identificazione del genoma. PCR. 6) Sierologia. ELISA, CF, IFA. Prevenzione. Può essere effettuata la vaccinazione annuale con vaccini polivalenti contenenti agenti batterici in tracellulari obbligati inattivati (rickettsie e chlamydiae). Chlamydophila spp. e Chlamydia spp. (chlamydiosi) Agente eziologico, ciclo, epidemiologia e specie suscettibili. L’ordine Chlamydiales comprende batteri intracellulari obbligati (Chlamydiaceae, Simkaniaceae, Waddliaceae) a ciclo di sviluppo complesso. Questi organismi presentano similitudini nella sequenza del RNA ribosomale 16 S superiori all’80%. I corpi elementari (forme infettive metabolicamente inattive), possiedono una membrana esterna ed una interna separate da uno spazio periplasmico, possono essere Gram negativi o Gram variabili (Parachlamydiaceae), rotondi o piriformi, densi al microscopio elettronico con un diametro di 0,2-0,6 µm. I corpi reticolari sono meno densi ed il loro diametro varia da 0,6 a 1,5 µm. I corpi elementari (forme infettive) penetrano per endocitosi nelle cellule eucariote animali, inibiscono la formazione del fagolisosoma e si sviluppano in un vacuolo dove si trasformano rapidamente in corpi reticolari metabolicamente attivi che si moltiplicano per scissione binaria. L’accumulo dei corpi reticolari determina la formazione del corpo incluso nel quale si formano ulteriori corpi Placenta ovina con grave corionite necrotizzante. Il corion è diffusamente ispessito e ricoperto di essudato. Brucella spp., Campylobacter spp., Coxiella burnetii, altri batteri e Toxoplasma gondii possono causare questo tipo di lesioni. Il feto è disidratato con mummificazione. 22 Aborti infettivi dei ruminanti elementari che vengono liberati per citolisi o per fusione del vacuolo con il plasmalemma e vanno ad infettare altre cellule. Chlamydophila abortus (precedentemente Chlamydia psittaci) causa aborto enzootico ed infertilità nei piccoli ruminanti (aborto enzootico ovino) e può infettare anche i bovini, i cervi e l’uomo. Il genere Chlamydia include C. trachomatis (uomo), C. suis (suini) e C. muridarum (topi e criceti). Il genere Chlamydophila include C. psittaci (uccelli), C. felis (felini), C. abortus (percore, capre e bovini), C. caviae (cavie), e le specie C. pecorum (pecore e bovini) e C. pneumoniae (uomo). C. pecorum sembra non essere significativamente patogena. Il termine “chlamydiosi” è tuttora usato per entrambi i generi. C. abortus può provocare nell’uomo una sindrome simil influenzale, malattia subclinica, ma anche placentite ed aborto. Patogenesi. Per via ematica i batteri raggiungono l’endometrio e contiguamente il corion placentare e gli organi fetali. Le pecore infette eliminano un gran numero di C. abortus quando partoriscono o abortiscono. Lesioni. La placenta si presenta ispessita nelle zone peri- ed intercotiledonari e, nelle lesioni più avanzate, si presenta ispessita a tal punto da sembrare cuoio. Questi ispessimenti corrispondono ad aree di vasculite. I cotiledoni sono necrotici ricoperti da essudato. Il feto può presentare le solite lesioni non specifiche, ma il fegato è affetto da un’alterazione abbastanza caratteristica, quale il raggrinzimento della superficie capsulare di aspetto similcirrotico. Si può osservare linfoadenopatia. Le lesioni microscopiche placentari includono necrosi, vasculite, edema con cellule del trofoblasto contenenti corpi elementari. Nel feto si può reperire epatite necrotizzante e granulomatosa, vasculite, leptomeningite e polmonite interstiziale lieve. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Corionite necrotizzante, vasculite e corpi elementari (le lesioni macroscopiche sono simili a quelle causate da Toxoplasma gondii e Coxiella burnetii e i microrganismi sono simili a Coxiella). 2) Identificazione diretta di Chlamydiophila in strisci da placenta, secrezioni genitali materne, liquido sul vello dei feti con colorazioni di Macchiavello, Giemsa, Ziehl-Neelsen. 3) Identificazione degli antigeni batterici intracellulari. IPIHC su sezioni di tessuto fissato o FA su strisci di corion ed organi fetali su vetrino. 4) Isolamento del batterio ed identificazione. Crescita in tessutocoltura o uova embrionate di pollo ed identificazione con McAb. 5) Identificazione del genoma. PCR. 6) Sierologia. FC non specifica (reazioni crociate con batteri gram negativi). Prevenzione. I vaccini vivi attenuati e con batteri inattivati riducono l’incidenza degli aborti ma non eliminano l’infezione. La valutazione sierologica dei greggi dopo i parti permette di identificare i greggi infetti. Escherichia coli Agente eziologico. Escherichia coli appartiene alle Enterobacteriaceae ed è un batterio Gram negativo che vive saprofita nell’intestino dei vertebrati. Tra i ceppi patogeni bisogna ricordare: E. coli - enterotoxigenic (ETEC), E. coli - enteropathogenic (EPEC), E. coli O157:H7- enterohemorrhagic (EHEC), E. coli - enteroinvasive (EIEC), E. coli - e n t e r o a g g re g a t i v e (EaggEC), E. coli - u r o p a t h o g e n i c (UPEC), E. coli - neonatal meningitis (NMEC). E. coli può possedere fattori di virulenza in base ai quali può venire pure classificato dal punto di vista fenotipico tramite tossine, fattori di aderenza, emolisine, in base a certi antigeni che definiscono i sierotipi (antigeni O, K, H). Inoltre E. coli può essere classificato in biotipi in base alle sue caratteristiche biochimiche e in resistotipi in base alla resistenza agli antibiotici. Specie suscettibili. Vertebrati. Segni clinici. E. coli può causare malattia in qualsiasi gruppo di età: placentite ed aborto, diarrea neonatale con disidratazione fatale, polmonite, ascessi e lesioni cutanee. Patogenesi. E. coli è in grado di infettare l’endometrio e la placenta per via ematogena discendente, ma potrebbe anche farlo per via ascendente. Può infettare la placenta in qualsiasi momento della gravidanza. I fattori che contribuiscono all’aborto sono endometrite, lesioni vascolari ischemiche, setticemia fetale e, molto probabilmente, produzione di tossine ad effetto citolitico. Lesioni. Il feto e la placenta possono presentare autolisi precoce e qualche volta è possibile notare adesione tra i villi cotiledonari ed un lieve film di essudato. Al microscopio si osservano numerosi bacilli sulla superficie dei villi ed entro i vasi associati a necrosi e neutrofili. È possibile che la componente infiammatoria sia lieve. Possono essere presenti necrosi vascolari (necrosi fibrinoide della tonaca media vasale). Lo stesso quadro può essere riscontrato a livello fetale. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni microscopiche. Necrosi della placenta con colonie batteriche sul corion e nel feto con necrosi vascolare. 2) Isolamento del batterio e identificazione fenotipica (biochimica ed antigenica, fattori di virulenza). 3) Identificazione del genoma batterico. PCR. Prevenzione. Essendo un batterio di origine fecale si consigliano norme di pulizia e disinfezione generali. Le fattrici sono vaccinate con estratti batterici purificati per produrre anticorpi materni che proteggeranno i vitelli contro la diarrea neonatale, ma non sembrano proteggere contro l’aborto che è generalmente sporadico. Listeria monocytogenes (listeriosi) Agente eziologico. Listeria monocytogenes è un coccobacillo Gram variabile (50% sono Gram positivi), le sue dimensioni sono 0,4 - 0,5 µm di diametro × 0,5 - 2,5 µm di lunghezza. L. monocytogenes è anche un importante agente di tossinfezione alimentare. Specie suscettibili. I ruminanti, particolarmente gli ovini ed i caprini, ma anche altri mammiferi inclusi i primati. Patogenesi e segni clinici. Listeria è in grado di causare aborto, setticemia, epatite suppurativa embolica nei giovani e tromboencefalite nei giovani adulti. Tali manifestazioni si verificano principalmente negli ovini, nei caprini, un po’ meno nei bovini, ma anche in altre specie compresi i primati. Le listerie sono ubiquitarie e comunemente presenti nei terreni, nel materiale fecale e negli insilati a pH elevato (il pH al di sotto di 5,5 inattiva le listerie). Spesso gli animali si infettano ingerendo insilati di scarsa qualità dove le listerie hanno proliferato. In seguito all’infezione per via orale, do- Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 po aver raggiunto la circolazione ematica, i batteri sono in grado di raggiungere l’endometrio ed il corion placentare. Gli aborti nei ruminanti, che possono essere sporadici o epizootici, si verificano negli ultimi tre mesi di gravidanza. Spesso si può osservare ritenzione placentare, talvolta associata a complicazioni quali endometrite e metrite. Lesioni. Il feto può presentare lesioni puntiformi multifocali grigiastre o giallastre di necrosi nel fegato che possono anche coinvolgere polmoni, cuore, rene, surrene ed encefalo, ma dove sono meno facilmente visibili ad occhio nudo. Al microscopio queste lesioni sono caratterizzate da un centro necrotico amorfo circondato da tessuto in fase di degenerazione e necrosi dove spesso albergano numerosi coccobacilli che possono essere sia gram positivi che negativi. La placenta presenta di solito gravi alterazioni necroticopurulente che colpiscono particolarmente i villi dove anche albergano i coccobacilli. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Focolai grigiastri macroscopici di necrosi epatica multifocale; necrosi epatica multifocale multiviscerale con coccobacilli; necrosi del corion villare con coccobacilli. 2) Identificazione degli antigeni batterici tramite esame immunoistochimico indiretto (IPIHC) su sezioni di tessuto fissato. Ovino neonato con listeriosi. Epatite embolica suppurativa (ascessi multipli) da Listeria monocytogenes. Listeriosi in un ovino neonato. Area portale contenente batteri a dimostrazione della diffusione ematica che, a partire dalle aree portali, può causare necrosi epatocitaria e formazione di ascessi. IPIHC ed ematossillina. 23 3) Identificazione dei batteri tramite colture e ricoltivazione di campioni coriali placentari, fetali (contenuto gastrico e polmone), secrezioni uterine e mammarie materne. 4) Identificazione del genoma batterico. PCR. Leptospira interrogans (leptospirosi) Agente eziologico. Leptospira interrogans sono batteri finemente spiralizzati (0,1 - 0,2 µm di diametro × 6 - 12 µm di lunghezza), molto mobili grazie a dei flagelli. Nel bovino sono state identificate le seguenti sierovarianti (serovars) di Leptospira interrogans: pomona, canicola, icterohaemorrhagiae, grippotyphosa, hardjo e swajizak. Gli aborti da leptospire nel bovino sono causati principalmente dalle sierovarianti hardjo ed in misura minore da pomona, mentre le altre sierovarianti sono cause molto meno frequenti. Specie suscettibili. Sono la maggior parte dei mammiferi, eccetto i felini. Gli animali portatori sono numerosi ed includono topi, ratti, suini, ruminanti e certi mustelidi come per esempio la moffetta (Mephitis mephitis, skunk). In questi animali la localizzazione è spesso renale e le leptospire vengono intermittentemente eliminate nell’ambiente tramite le urine. Le leptospire si mantengono bene in ambienti esterni dove le acque hanno temperature moderate e leggermente basiche. Patogenesi e segni clinici. La leptospirosi è un’altra causa di malattia sistemica e di aborto e infertilità nei bovini e, secondo alcuni autori, è un’importante causa di aborto in alcune aree geografiche. Sebbene questi batteri siano in grado di indurre morte del prodotto del concepimento in qualsiasi momento della gravidanza, l’aborto è generalmente tardivo. In seguito alla penetrazione dell’organismo attraverso le mucosa o soluzioni di continuo nella cute, probabilmente aiutate dai loro movimenti rapidi ed irregolari, le leptospire si moltiplicano e vengono trasportate dalla circolazione agli organi bersaglio quali i tubuli renali, la ghiandola mammaria e l’endometrio, da cui possono passare alla placenta e quindi al feto. In corso di infezione si può verificare una mastite con mammella flaccida e ipogalassia, febbre, anemia, ittero ed emoglobinuria. Lesioni. Il feto e la placenta generalmente non sono affetti da lesioni macroscopiche. Al microscopio si possono osservare corionite e nefrite interstiziale fetale con linfociti e plasmacellule. Per evidenziare le leptospire nei tessuti è necessario ricorrere a tecniche istochimiche (impregnazione argentica con la tecnica Whartin Starry modificata da Lillie oppure quella di Steiner). Con tecniche immunoistochimiche perossidasiche indirette usando anticorpi policlonali e monoclonali è possibile identificare con certezza gli antigeni delle leptospire nei tessuti fissati. Spesso il numero delle spirochete è sorprendentemente elevato rispetto alla modestia delle lesioni osservate. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni microscopiche. Corionite e nefrite interstiziale fetale con linfociti e plasmacellule. 2) Identificazione delle spirochete associate alle lesioni tramite impregnazione argentica (Whartin Starry modificata da Lillie; Steiner). 3) Identificazione dell’antigene delle leptospire tramite anticorpi policlonali da usare con metodiche immunoistochimiche indirette su sezioni di tessuto fissate in formalina (IPIHC). 24 Aborti infettivi dei ruminanti 4) Sierologia. La prova di agglutinazione microscopica (microscopic agglutination test, MAT), che è il test sierologico standard, e l’ELISA sono usati per valutare la sieroconversione materna e/o fetale. 5) Identificazione del genoma: PCR. 6) Isolamento del batterio. La coltivazione delle leptospire non è facile ed è economicamente poco proponibile per valutazioni di intere mandrie e/o aborti multipli. L’identificazione delle leptospire a fresco deve essere effettuata in campo scuro. Nota. I titoli anticorpali degli animali vaccinati di recente e dei vaccinati che sono venuti a contatto con le leptospire possono essere molto elevati, anche in assenza di malattia. Per ottenere dei risultati soddifacenti almeno il 10% della mandria dovrebbe essere testato per i vari serovars. È possible che in certi casi il ruolo abortigeno delle leptospire sia sopravvalutato, specialmente quando alcuni per la diagnosi si basano sulla sola immunofluorescenza su tessuti fetali. Per questo si consiglia di valutare contemporaneamente le lesioni e di usare tecniche istochimiche ed indirette immunoistochimiche perossidasiche (IPIHC). Prevenzione. Sono disponibili vaccini inattivati possibilmente contenenti i serovars più importanti per la specie da proteggere, possibilmente in relazione alla zona in cui gli animali si trovano. È necessario ridurre drasticamente le possibilità di contatto tra gli animali domestici ed i portatori asintomatici. AGENTI MICOTICI Agenti eziologici, segni clinici, patogenesi. Nei ruminanti, specialmente nei bovini, i miceti dei generi Aspergillus, Mucor, Absidia, Rhizopus e Mortierella sono in grado di produrre aborto sporadico. Di solito si verificano tra il settimo e l’ottavo mese di gravidanza. Sperimentalmente è stato dimostrato che alcuni funghi hanno un particolare tropismo per il corion placentare. Specie suscettibili. L’aborto micotico può essere osservato in tutti i mammiferi. Tutti gli esseri viventi pluricellulari sono suscettibili ad infezioni micotiche. Lesioni. Il feto può essere colpito da una dermatite micotica che macroscopicamente è caratterizzata da placche spesse e grigiastre che tendono a confluire. Al microscopio queste placche sono composte da cellule epidermiche paracheratotiche invase da ife fungine che possono penetrare nei follicoli piliferi ed essere associate a moderata infiltrazione infiammatoria ed edema. Le lesioni placentari ricordano quelle brucellari, ma sono più gravi, con maggior ispessimento placentare e necrosi dei cotiledoni con aspetto leggermente a coppa. Dal momento che le ife fungine hanno un particolare tropismo per i vasi e tendono a formare trombi, i cotiledoni possono presentare ampie aree di necrosi coagulativa ischemica. Nei casi gravi, la crescita micotica può estendersi anche alle aree intercotiledonali e alle caruncole. Come nel caso di molti altri aborti infettivi, il feto non sempre presenta lesioni significative, pertanto, come sempre deve essere, la placenta deve essere raccolta e mandata al laboratorio. Occasionalmente, il lievito Candida spp. può causare corionite placentare ed aborto. In questi casi di solito mancano le lesioni macroscopiche, i fenomeni ischemici e necrotici sono molto meno prominenti e si possono identificare le sottili pseudoife con i corpi fruttiferi del lievi- to. La maggior parte delle pseudoife può essere non visibile con colorazioni convenzionali rendendo necessario l’utilizzo di colorazioni istochimiche come PAS e GMS. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Dermatite micotica che può apparire come placche spesse e grigiastre che tendono a confluire, corionite placentare necrotizzante con trombi e organismi fungini (ife, pseudoife e corpi fruttiferi extraed intracellulari). Colorazioni istochimiche: GMS, PAS, Grocott. 2) Identificazione rapida a fresco dei miceti da raschiati coriali placentari. 3) Isolamento dei funghi e dei lieviti in terreni di coltura specifici. 4) Identificazione degli antigeni fungini su sezioni di tessuto fissato tramite IPIHC. 5) Identificazione del genoma. PCR. AGENTI PROTOZOARI Neospora caninum (infezione da neospora e neosporosi) Agente eziologico, ciclo e specie suscettibili. Neospora caninum è un protozoo patogeno per gli animali da reddito e quelli da compagnia, morfologicamente e patogeneticamente simile a Toxoplasma gondii. Le più importanti manifestazioni cliniche comprendono aborto o natimortalità nei bovini, e miositi nei cani giovani e immunosoppressi. I tachizoiti rappresentano lo stadio asessuale infettivo di N. caninum, a rapida moltiplicazione. Le cisti sono ovali o tondeggianti, lunghe fino a 107 µm, e contengono gli sporozoiti. I bradizoiti, elementi a lenta moltiplicazione, sono contenuti nelle cisti e presentano una struttura simile a quella dei tachizoiti, che sono elementi a rapida moltiplicazione e diffusione, fatta eccezione per una minor densità di rhoptri (bastoncelli ultrastrutturali), identificabili con la microscopia elettronica. Il ciclo può essere semplificato come segue. Le oocisti vengono eliminate tramite le feci dei canidi ed ingerite da altri canidi o da ospiti intermedi erbivori, gli sporozoiti penetrano a livello intestinale, si diffondono e moltiplicano come tachizoiti, i quali poi formano gli aggregati di bradizoiti a lenta replicazione che sono contenuti nelle cisti tissutali. I bradizoiti tissutali sono in grado di riattivarsi quando viene abbassata la barriera immunitaria o quando vengono ingeriti da un canide ospite definitivo recettivo. Differenze tra Neospora caninum e Toxoplasma gondii. Istologicamente è facile distinguere tra le due infezioni. Le cisti prodotte da Neospora si localizzano solo a livello di tessuto nervoso e sono spesse 4 µm, mentre quelle prodotte da Toxoplasma si localizzano in vari organi e sono spesse 1 µm. Toxoplasma e Neospora condividono parecchi antigeni minori, ma non quelli dominanti. Non sembra esistere una protezione immunitaria crociata tra Neospora e Toxoplasma. In generale e semplificando, i felini sono gli ospiti definitivi di Toxoplasma, mentre i canidi lo sono per Neospora. Epidemiologia, patogenesi e segni clinici. Sebbene sia stato osservato più frequentemente durante certi periodi dell’anno, l’aborto da N. caninum può verificarsi in qualsiasi periodo. Le bovine abortiscono dal terzo mese di gra- Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 Placenta coriale bovina. Il corion è affetto da necrosi vascolare ed è infiltrato da numerosi macrofagi. In questo caso si tratta di infezione da Neospora caninum, ma altri agenti eziologici possono provocare questo tipo di lesioni significative ma non patognomoniche. Ematossillina ed eosina. Cisti e zoiti di Neospora caninum identificati tramite immunoistochmica indiretta (colorazione marrone). In questo caso è presente un florido processo infiammatorio. La sola presenza di cisti in assenza di lesioni indica semplicemente la trasmissione verticale del protozoo al feto e non l’aborto da Neospora (neosporosi). IPIHC e ematossillina. Feto bovino, cuore, aborto da Neospora caninum. È presente una grave miocardite caratterizzata da edema a numerose cellule infiammatorie che offuscano l’architettura miocardica. Ematossillina e eosina. 25 vidanza in poi. Si specula che N. caninum possa infettare qualsiasi cellula embrionale e fetale in qualsiasi momento gestazionale. I feti muoiono nell’utero, e vanno incontro a fenomeni di mummificazione, con successiva ritenzione o espulsione di materiale fetale fresco o in preda ad autolisi. I vitelli possono essere partoriti disvitali o vivi, clinicamente normali, ma portatori del protozoo. L’aborto può verifi carsi sia negli allevamenti da latte, sia in quelli da carne, e può essere sporadico o di gruppo. Sfortunatamente, in molti episodi di aborto, l’esame istologico viene eseguito solo su alcuni campioni, e non è pertanto possibile attribuire con certezza il ruolo patogenetico a Neospora. I vitelli infetti possono nascere con sintomi neurologici, essere incapaci di alzarsi, oppure non presentare alcun sintomo clinico. Gli arti posteriori o anteriori possono essere flessi o iperestesi. L’esame neurologico rileva atassia, ridotti riflessi patellari e perdita delle capacità propriocettive. In seguito a lesioni neurali intrauterine, si osservano esoftalmo o deformazioni oculari. La maggior parte dei vitelli con infezione clinica muore entro le prime quattro settimane di vita; inoltre, solo una piccola percentuale delle infezioni congenite si manifesta clinicamente. Il rischio di infezione congenita non è correlato né all’età della madre, né al numero di lattazioni, o di aborti pregressi, né al sesso del vitello o alla durata di gestazione. Attualmente, l’infezione congenita rappresenta l’unica modalità certa di trasmissione di Neospora ai vitelli, anche se non è possibile escludere la presenza di altri meccanismi eziopatogenetici. Lesioni. Nei feti abortiti con neosporosi, le lesioni si riscontrano prevalentemente a livello di sistema nervoso centrale, cuore, muscoli scheletrici e fegato, e si manifestano come aree scolorite a livello cardiaco e muscolare. Non esistono lesioni patognomoniche. Occasionalmente si descrive una miocardite associata a fegato a “noce moscata”, dovuta a insufficienza cardiaca secondaria a miocardite parassitaria, con conseguente congestione sistemica ed epatica. I feti si presentano normali, oppure edematosi con occasionale anasarca, oppure mummificati o in preda ad autolisi. Microscopicamente, a livello di SNC, si osservano foci di cellule gliali circondate da un’area di necrosi. Nei vitelli infetti con neosporosi le lesioni macroscopiche comprendono malacia e deviazione della colonna vertebrale, mentre tra quelle microscopiche si riconoscono encefalomielite non suppurativa, con infiltrati perivascolari, gliosi, focolai di necrosi e strutture cistiche, numerose soprattutto in corrispondenza della colonna vertebrale. Spesso sono necessarie sezioni multiple del sistema nervoso per identificare le cisti. Nei muscoli si identifica una miopatia da denervazione con una componente infiammatoria secondaria. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Encefalite multifocale necrotizzante con noduli gliali e, meno frequentemente, miocardite, miosite e focolai infiammatori con necrosi in altri organi. Spesso i parassiti sono presenti in basso numero e non sono visibili con colorazioni convenzionali. 2) Identificazione degli antigeni di N. caninum in sezioni di tessuto fissato con immunoistochimica indiretta perossidasica (IPIHC). L’associazione delle metodiche istopatologiche ed immunoistochimiche permette di raggiungere una diagnosi accurata. 3) Identificazione del genoma. La PCR consente di amplificare anche minime quantità di DNA appartenente a 26 Aborti infettivi dei ruminanti Neospora. L’encefalo fetale rappresenta il miglior campione a questo proposito. Purtroppo, dal momento che N. caninum è trasmesso verticalmente, la presenza del genoma nei tessuti non indica necessariamente una neosporosi. 4) Isolamento del parassita. L’isolamento di N. caninum da colture specifiche non sempre porta ad una diagnosi, e può richiedere settimane. Inoltre, come detto per la PCR, l’identificazione del parassita, senza l’identificazione delle lesioni, non ha valore diagnostico. 5) Sierologia. I test sierologici (IFAT, ELISA, NAT) ricercano gli anticorpi diretti contro Neospora. Un risultato positivo tuttavia indica soltanto esposizione all’agente eziologico, e non la malattia (neosporosi). Interpretazione dei risultati diagnostici. Tutti i tessuti fetali devono essere raccolti per essere esaminati. Anche un cervello soffice, se fissato in formalina al 10%, può fornire preziose informazioni e portare alla diagnosi. a) La presenza di lesioni suggestive per Neospora e l’evidenziazione del protozoo, in assenza di altri agenti patogeni, conferma l’aborto indotto da N. caninum. Anche se il protozoo non viene evidenziato, l’eziologia viene attribuita a Neospora. b) L’assenza di lesioni e la presenza di N. caninum indicano soltanto una trasmissione verticale del protozoo. c) L’assenza di lesioni e del protozoo escludono neosporosi. d) N. caninum può anche comportarsi da agente opportunista in seguito a infezione con il pestivirus della BVD, ed essere trasmesso verticalmente, senza giocare un ruolo patogenetico nell’induzione dell’aborto. Prevenzione. Si basa sulla riduzione del numero di animali infetti, e sul minimizzare la possibilità di infezione postnatale ambientale. L’efficacia dei vaccini non è stata ancora provata. crosi placentare sono particolarmente evidenti dopo aver immerso i cotiledoni in soluzione fisiologica tamponata in modo da far flottare i villi. Al microscopio si notano sia tachizoiti che cisti nell’epitelio trofoblastico. Si osservano pure encefalite ed epatite mutifocale necrotica e granulomatosa. Gli organismi spesso sono poco evidenti o presenti in basso numero. I protozoi sono presenti in maggior numero nell’encefalo. Diagnosi. 1) Identificazione delle lesioni. Corionite cotiledonare necrotizzante, necrosi multifocali viscerali, in particolare nel fegato e nell’encefalo, circondate da macrofagi. 2) Identificazione degli antigeni con IPIHC su sezioni di tessuto fissato. 3) Isolamento di T. gondi. Non sempre pratico. Gli omogenati di tessuto vengono inoculati in topi i quali vengono sacrificati dopo una settimana per evidenziare i protozoi su strisci di tessuto o con IPIHC. 4) Identificazione del genoma. PCR. 5) Sierologia. Gli anticorpi contro T. gondi possono essere identificati nei sieri degli animali giovani, adulti e dei feti. Titoli > 1:1000 nelle fattrici sono considerati indice di infezione recente. Le prove sierologiche disponibili includono la prova di emoagglutinazione indiretta (IHA), il Sabin-Feldman dye test, il test di agglutinazione modificato (MAT), la prova di agglutinazione del lattice (latex agglutination test) e l’ELISA. MAT ed ELISA sono le prove più sensibili. Come nel caso di Neospora caninum, trattandosi di un microrganismo trasmesso verticalmente ed in grado di permanere latente nell’ospite intermedio, la sola identificazione dell’organismo, in assenza di lesioni, non permette di emettere una diagnosi definitiva di toxoplasmosi. Lo stesso discorso vale per la sierologia. Prevenzione. Interruzione del ciclo orofecale. Toxoplasma gondii (toxoplasmosi) Sarcocystis spp. (sarcocistosi) Agente eziologico. Toxoplasma gondii, un coccidio che fa parte degli Apicomplexa, è una importante causa di aborto nei piccoli ruminanti. Gli aborti possono essere sporadici o epizootici. Specie suscettibili. Nei piccoli ruminanti e nei primati è frequente la forma abortigena. Potenzialmente tutti i vertebrati possono essere colpiti dalla forma multisistemica viscerale. Inoltre, toxoplasma è un importante agente zoonosico. Patogenesi. L’infezione può verificarsi per ingestione delle oocisti liberate nell’ambiente tramite le feci dai felini, che sono gli ospiti definitivi, oppure per riattivazione delle cisti presenti nei tessuti materni. I protozoi sono in grado di moltiplicarsi negli endoteli ed in altri tipi cellulari e possono colonizzare il corion placentare ed il feto. L’infezione è particolarmente patogena per il feto durante la prima metà della gravidanza, poiché causa morte ed espulsione del feto oppure la sua ritenzione. I feti colpiti nell’ultimo periodo di gestazione possono nascere morti, deboli, oppure con infezione inapparente. Segni clinici. Generalmente la pecora non presenta segni clinici né prima, né dopo l’aborto. Lesioni. Le lesioni macroscopiche di solito sono evidenti a livello placentare coriale dove sono presenti focolai biancastri di necrosi e calcificazione multifocale. Di solito non sono presenti lesioni intercotiledonari. I focolai di ne- Agente eziologico. Sarcocystis spp. è un coccidio che fa parte degli Apicomplexa. Viene classificato in base all’ospite intermedio e definitivo. Nei bovini sono descritte Sarcocystis bovicanis, S. bovihominis e S. bovifelis. S. bovicanis è caratterizzata da una parete cistica molto sottile che racchiude i bradizoiti, generalmente nell’ospite intermedio (bovide) mentre S. bovihominis e bovifelis hanno una parete spessa e con striatura orrizontale o diagonale. Il ciclo è orofecale con fase enterica sessuata nei carnivori che producono oocisti e fase asessuata negli ospiti intermedi, di solito erbivori, che si infestano ingerendo alimenti contaminati dalle oocisti. Occasionalmente sono descritte epizoozie di sarcocistosi con vasculite ed aborto (Dalmeny disease). Specie suscettibili. La maggior parte dei vertebrati con generi di Sarcocystis specifici per gli ospiti intermedi e definitivi. Segni clinici, patogenesi. Di solito le infezioni da Sarcocystis sono lievi, ma in caso di contaminazione massiva (grande eliminazione fecale da parte dei carnivori sui pascoli frequentati dagli erbivori), si possono verificare infezioni gravi nei ruminanti, caratterizzate da anoressia, irritabilità, zoppia, alopecia delle estremità distali, cachessia e anche morte. Le bovine gravide possono abortire durante l’ultimo terzo della gravidanza. Gli animali infet- Large Animals Review, Anno 9, n. 1, Febbraio 2003 ti possono presentare dermatite, enterite, linfadenite, mentre i feti abortiti non presentano lesioni particolari. I tachizoiti si moltiplicano con particolare intensità negli endoteli e facilmente possono invadere l’endometrio ed il corion placentare. Diagnosi. 1) Identificazione dei protozoi tramite esami immunoistochimici (IPIHC) sulle sezioni di tessuto placentare (cotiledoni), ma ancor meglio materno (caruncole). 2) Identificazione del genoma. PCR. 3) Sierologia. AGID oppure HI. Dopo l’infezione si possono verificare titoli molto elevati negli adulti. Tritrichomonas foetus (tritrichomoniasi) Agente eziologico. Tritrichomonas foetus, ordine protozoi Trichomonadida. Nonostante la loro plasticità protoplasmica, i trichomonidi sono in genere piriformi (4 µm 30 µm), possiedono 3-5 flagelli anteriori con un flagello anteriore ricorrente, attaccato al corpo a formare una membrana ondulante. Studi di agglutinazione hanno riconosciuto 3 sierotipi: belfast (principalmente in Europa, Africa ed USA), brisbane (Australia) e manley riportato solamente in alcune epizoozie. Specie suscettibili. Bovini. Patogenesi, segni clinici, lesioni. T. foetus può albergare, senza causare segni clinici, nel prepuzio del toro e può essere facilmente trasmesso alla bovina durante il coito. L’infezione nella bovina è causa di ipofertilità, piometra ed aborto, in ordine di frequenza. Nella maggior parte dei casi il prodotto del concepimento muore tra il giorno 18 (embrione) ed il giorno 60 (feto) della gravidanza. Pertanto i ritorni in estro sono irregolari con scomoda estensione della stagione di fecondazione. L’immunità acquisita dopo l’infezione è di breve durata. Di solito l’infezione non si protrae nella stagione seguente eccetto per un esiguo numero di animali. Diagnosi. 1) Identificazione dei segni clinici. Ritorni in calore, piometra, poca sincronizzazione dei parti. 2) Isolamento e coltura di T. foetus. Indaginosa nelle bovine, facile nei tori. Il toro viene isolato per almeno una settimana, al fine di ottenere sufficiente smegma contenente il parassita. Una pipetta viene quindi inserita nel fornice prepuziale e depositata in una provetta con soluzione tampone antibiotata e mezzo di Diamond modificato. L’incubazione, che dura 3-9 giorni, consente ai protozoi di moltiplicarsi ed accumularsi sul fondo della provetta. I movimenti guizzanti di tritrichomonas potranno essere osservati a fresco su vetrino al microscopio. Talvolta un occhio esperto è già in grado di riconoscere i movimenti dei flagellati sul fondo della provetta. Gli organismi morti diventano rapidamente irriconoscibili. 3) Sierologia. Una prova di agglutinazione del muco cer vicale ed un antigene è stato usato per le mandrie, come anche una prova intradermica. 4) Identificazione del genoma. PCR. Prevenzione. È disponibile un vaccino costituito da protozoi inattivi, ma con integrità cellulare intatta. 27 Abbreviazioni AcMc: anticorpi monoclonali. AGID (agar gel immunodiffusion): immunodiffusione in agar gel. AGP (agar gel precipitation): prova sierologica per l’identificazione degli anticorpi anche conosciuta come tecnica di Ouchterlony o AGID. BHK (baby hamster kidney): cellule di criceto neonato per la coltivazione dei virus. CAT (card agglutination test): prova di agglutinazione su cartoncino per l’identificazione degli anticorpi sierici. CF (complement fixation): fissazione del complemento. ELISA (enzyme linked immunosorbent assay): prova di immunoadsorbimento enzimatico per l’identificazione degli anticorpi o degli antigeni FA: anticorpi fluorescenti (immunoistochimica diretta con anticorpi fluorescenti, fluorescent antibodies). FC: fissazione del complemento. GMS (Gömöri methanamine silver): impregnazione argentica per identificare i funghi microscopici. HI (haemoagglutination inhibition): inibizione dell’emoagglutinazione per l’identificazione dei titoli anticorpali o per l’identificazione degli antigeni virali. IB (immunoblotting): prova di tracimazione dal gel alla nitrocellulosa di proteine o acidi nucleici per la loro identificazione. IFAT (immunofluorescent antibody test): prova sierologica di immunofluorescenza per l’identificazione degli anticorpi. IPIHC (indirect peroxidase immunohistochemistry): immunoistochimica indiretta perossidasica. ISH (in situ ibridization): ibridazione in situ per l’identificazione del genoma degli agenti eziologici. McAb (monoclonal antibodies): anticorpi monoclonali. PAS (periodic acid Schiff): colorazione all’acido periodico di Schiff di solito per identificare certi funghi microscopici. PCR (polymerase chain reaction): reazione polimerasica a catena per l’amplificazione ed identificazione del genoma degli agenti eziologici. RT-PCR (reverse transcription polymerase chain reaction): reazione polimerasica a catena per l’amplificazione e l’identificazione degli agenti eziologici con trascrizione inversa. SN (serum neutralization): sieroneutralizzazione per l’identificazione del titolo anticorpale. USDA (United States Department of Agricolture): dipartimento dell’agricoltura USA. VERO cells: cellule di scimmia verde africana usate per coltivare vari virus. VN (virus neutralization): neutralizzazione virale per l’identificazione dell’antigene virale. Bibliografia Fabio Del Piero. Natimortalità, aborto e morte embrionale nei ruminanti domestici. Edito da Co.R.Fi.La.C., 2001.