tematica 3 biomateriali e biocristallografia

Tematica 3
TEMATICA 3
BIOMATERIALI E BIOCRISTALLOGRAFIA
Alla realizzazione di questo progetto di Ricerca concorreranno quattro unità operative, in cui sono
localizzati gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare:
UNITÀ OPERATIVA DI BOLOGNA,
UNITÀ OPERATIVA DI TRIESTE,
UNITÀ OPERATIVA DI NAPOLI,
UNITÀ OPERATIVA POLITECNICA DELLE MARCHE.
I progetti di questa linea di ricerca sono diretti allo studio avanzato, soprattutto di tipo
strutturale, di sistemi biologici mineralizzati con lo scopo principale di riuscire a simulare i processi
naturali per progettare e preparare in modo biomimetico nuovi materiali strutturali e biomateriali
innovativi, nonchè di accumulare le conoscenze scientifiche indispensabili per sviluppare
applicazioni biotecnologiche nei diversi settori da quello biomedico e ambientale a quello
tecnologico.
1 – Biomateriali
a) Base scientifica e tecnologica
La biomineralizzazione è il processo mediante il quale gli organismi formano dei materiali
compositi, costituiti da macromolecole e minerali, con una grande varietà di proprietà adeguate alle
funzioni che debbono svolgere. I processi di biomineralizzazione consistono nella conversione di
ioni in soluzione in composti solidi attraverso attività cellulari che rendono possibili i cambiamenti
chimico fisici necessari per la formazione dei biominerali e la loro crescita cristallina. La funzione
più ovvia dei biomateriali biogenici è quella di costituire compositi inorganico-polimerici
caratterizzati da una alta gerarchia strutturale aventi funzione non solo di supporto e protezione del
sistema biologico, ma anche sensore e regolatore di numerosi parametri chimico fisici.
Gli studi sulla struttura dei tessuti biologici e sui meccanismi di formazione dei biominerali
sono estremamente importanti per la progettazione di nuovi biomateriali sintetici. Nei tessuti
biologici non viene spesa energia per modificare materiali e strutture non funzionanti, ma quasi
esclusivamente per ottimizzare le microstrutture già operanti. Inoltre i tessuti mineralizzati sono per
lo più materiali compositi sofisticati in cui le componenti inorganica e macromolecolare e la loro
interfaccia sono ben definite ed ottimizzate. Pertanto questi sistemi rappresentano modelli ideali a
cui ispirarsi per la progettazione e sviluppo di nuovi biomateriali sintetici biomimetici.
La comprensione delle diversità morfologiche dei tessuti biologici mineralizzati, dal
rivestimento microscopico degli organismi unicellulari fino agli esoscheletri macroscopici degli
organismi marini, ed al tessuto osseo e dentale dei vertebrati, hanno stimolato da secoli
l'immaginazione e la curiosità dei ricercatori. Non meno stimolanti sono le particolari proprietà
chimico-fisiche che posseggono molti di questi materiali. La chiave per la comprensione ad
esempio delle proprietà meccaniche risiede chiaramente nella organizzazione strutturale sviluppata
dagli organismi stessi. L'architettura di questi materiali coinvolge alcune delle comuni strategie
usate nei materiali sintetici quali compositi a fibre rinforzate o a strati. Un'altra strategia
fondamentale che molti organismi impiegano nella costruzione di questi materiali consiste nel
controllo della fase minerale depositata. Ben noti esempi sono: le conchiglie dei molluschi e gli
aculei del riccio di mare per quanto riguarda i tessuti contenenti come minerale il carbonato di
calcio, oppure l'osso ed i denti dei vertebrati nel caso dei tessuti contenenti come fase minerale i
fosfati di calcio. In questi tessuti le macromolecole sono organizzate in modo da formare una
matrice polimerica sulla quale sono adsorbite glicoproteine acide. La matrice controlla la crescita
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Tematica 3
della fase minerale interagendo sia con gli ioni inorganici che con le glicoproteine acide, e
influenzando fortemente le proprietà del composito.
Lo strato madreperlaceo delle conchiglie dei molluschi è stato il primo tessuto mineralizzato
in cui sia stata determinata la relazione spaziale tra cristalli e matrice organica. I cristalli sono di
aragonite, il polimorfo del carbonato di calcio di poco meno stabile della calcite, che è il polimorfo
termodinamicamente più stabile dei quattro polimorfi cristallini del carbonato di calcio. Le
differenze strutturali fra calcite ed aragonite sono molto piccole e sono principalmente confinate alle
posizioni degli ioni carbonato. Malgrado queste piccole differenze molti organismi controllano a
livello genetico la formazione di uno dei vari polimorfi. Esistono diversi esempi in cui la calcite si
forma in un sito e l’aragonite in un altro sito dello stesso organismo. La vaterite e la
monoidrocalcite sono gli altri due polimorfi cristallini del carbonato di calcio. Ambedue sono
relativamente instabili, ma si formano e sono stabilizzati in alcuni organismi da opportune
ricoperture macromolecolari come pure i depositi biogenici di carbonato di calcio amorfo. La
comprensione del controllo del polimorfismo del carbonato di calcio biogenico richiede non solo lo
studio delle problematiche connesse alla nucleazione controllata, ma soprattutto implica la risposta
a domande ancora più complicate relative ai vantaggi, che un polimorfo più di un altro può arrecare
all’organismo biologico. Uno degli obiettivi di questo programma di ricerca è anche quello di
individuare le basi molecolari che portano alla deposizione biogenica di una certa fase minerale e in
molti casi di uno specifico tra i possibili polimorfi.
La matrice polimerica dello strato madreperlaceo delle conchiglie dei molluschi è costituita da
uno strato interno di beta-chitina posto tra due strati polimerici di macromolecole simili alla fibroina
della seta, ricoperti da glicoproteine acide su cui avviene la nucleazione dell’aragonite. E’ stato
anche mostrato che esiste una relazione spaziale fra gli orientamenti dei componenti della matrice e
degli assi cristallografici dell’aragonite. Un modello della matrice è stato costruito usando la βchitina della penna di calamaro e la fibroina della seta. Aggiungendo a questo substrato le
macromolecole acide estratte dagli strati aragonitici o calcitici delle conchiglie di mollusco, è stato
dimostrato che le macromolecole estratte dallo strato aragonitico inducono riproducibilmente la
cristallizzazione dell’aragonite e quelle estratte dallo strato calcitico la cristallizzazione della
calcite. Questi studi hanno dimostrato che l’induzione della cristallizzazione dell’aragonite o della
calcite è interamente dipendente dalle proprietà strutturali del substrato. Recenti studi hanno anche
dimostrato che il polimorfismo del carbonato di calcio può essere controllato facendo avvenire la
cristallizzazione su matrici collagenose contenenti poli-L-aspartato. L’impiego di queste matrici
hanno anche permesso di dimostrare che il microambiente, in cui avviene la cristallizzazione
all’interno della matrice, condiziona l’assemblaggio dei cristalli.
Nel tessuto osseo, il processo di biomineralizzazione consiste nella deposizione ordinata di
cristalli di idrossiapatite su una matrice collagenosa. Studi condotti prevalentemente con tecniche di
diffrazione di raggi X e di microscopia elettronica hanno permesso di evidenziare una stretta
relazione strutturale tra i due componenti ed hanno portato alla formazione di un modello per la
calcificazione delle fibre collagene. Secondo questo modello, in un primo stadio del processo di
biomineralizzazione l’apatite è nucleata nella regione a minore densità elettronica della struttura
fibrillare del collageno formando dei blocchi inorganici la cui densità elettronica aumenta
all’avanzare del processo. In uno stadio successivo la deposizione va ad interessare anche gli spazi
interfibrillari, dove si localizzano cristalli allungati e preferenzialmente orientati con il loro asse c
parallelamente all’asse delle fibre collagene. La notevole influenza della organizzazione strutturale
del collagene sulle modalità di deposizione della fase apatitica appare evidente anche dai risultati
dello studio eseguito sulla calcificazione in vitro di tendini decalcificati. La fase che si deposita in
seguito all’esposizione dei tendini a soluzioni metastabili di calcio e fosfato è una carbonato apatite
poco cristallina, le cui caratteristiche morfologiche e strutturali sono molto simili a quelle proprie
delle apatiti biologiche. Inoltre, i cristalli crescono con il loro asse cristallografico c
preferenzialmente orientato in direzione parallela a quella delle fibrille collagene. Inoltre, i dati di
diffrazione di raggi X a basso angolo dei campioni trattati con soluzioni di calcio a basso grado di
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Tematica 3
sovra saturazione indicano che la deposizione della fase apatitica provoca modificazioni della
distribuzione di densità elettronica delle fibre collagene che possono essere attribuite alla
deposizione dei cristalli inorganici nella regione “gap” della struttura fibrillare del collagene.
Il grado relativo di orientazione dei cristalliti apatitici e delle fibre collagene nei tessuti
calcificati puo' essere valutato rispettivamente dall'analisi della distribuzione dell'intensita' del
riflesso 002 dell'idrossiapatite e dei riflessi meridionali a basso angolo del collageno. Questo
approccio, utilizzato in diversi tessuti biologici calcificati sottoposti o meno a deformazione
meccanica, ha permesso di determinare l’orientazione relativa dei due componenti strutturali e
correlare le diverse proprieta' meccaniche alle diverse organizzazioni strutturali dei tessuti
esaminati. In particolare, sono state studiate le modificazioni strutturali indotte in osteoni singoli da
cicli successivi di carico/rimozione del carico. E’ stato verificato che il processo di ciclaggio
meccanico provoca una riduzione del grado di orientazione dei cristalli apatitici, specialmente negli
osteoni a struttura longitudinale, in cui le lamelle longitudinali sono predominanti e non sono
protette dall’azione contenitiva delle lamelle trasversali come negli osteoni a struttura alterna.
D’altra parte, il ciclaggio meccanico non sembra alterare l’orientazione delle fibrille collagene,
probabilmente perché il loro disorientamento è un processo reversibile. Su queste basi, la
degradazione meccanica degli osteoni in seguito a cicli di carico/rimozione del carico è stata
attribuita ad una separazione dei cristalli dalle fibrille collagene. Un simile approccio è stato
utilizzato per studiare l’organizzazione morfologica dei componenti strutturali nella tibia di
coniglio, che viene spesso utilizzato per testare la risposta del tessuto osseo a materiali da impianto.
I risultati, confrontati con quelli parallelamente ottenuti con tecniche di microscopia ottica, indicano
che sia i cristalli apatitici sia le fibrille collagene presentano una preferenziale orientazione in
direzione parallela all’asse lungo della tibia. Le differenze riscontrate nella direzione dello spessore
rispetto al piano delle lamelle parallele all’asse lungo della tibia, indicano che entrambi i
componenti giacciono preferenzialmente nel piano lamellare disponendosi obliquamente rispetto l’
asse della tibia. Inoltre il grado di orientazione dei cristalli apatitici è maggiore nella faccia laterale
della tibia, rispetto alla caudale ed alla media, aspetto strutturale di cui si deve tener conto nella
valutazione delle modificazioni strutturali dovute all’eventuale inserimento di una protesi.
Lo sviluppo di nuovi materiali che possano essere utilizzati per riparare difetti nel sistema
scheletrico, rappresenta un importante obiettivo nella scienza dei biomateriali. I materiali in oggetto
dovrebbero essere in grado di espletare una quantità di funzioni, da quella cementante, a quella
strutturale a quella bioattiva. Attualmente i biomateriali inorganici utilizzati come sostituti del
tessuto osseo in ortopedia, odontoiatria e chirurgia maxillofacciale, sono per lo più materiali
ceramici ottenuti con processi ad elevate temperature, che raramente sono in grado di interagire
efficacemente con il tessuto osseo. Questi materiali pur essendo biocompatibili non sono bioattivi e
una volta impiantati nei tessuti biologici si comportano da inerti. I sostitutivi ossei ceramici e
vetrosi di prima generazione infatti rimanevano permanentemente nella sede dell’ impianto con una
limitata integrazione con il tessuto osseo circostante. Essi si comportavano come corpi estranei con
proprietà meccaniche totalmente diverse da quelle ossee ed erano tollerati biologicamente grazie
alla loro biocompatibilità ed assenza di cessione locale di metalli e ioni responsabili di necrosi
cellulare.
Successivamente i biomateriali ceramici e vetrosi di seconda generazione non si limitavano ad
essere biocompatibili, ma prevedevano una maggiore integrazione con i tessuti in cui venivano
impiantati. L’ integrazione vene spesso ottenuta sintetizzando biomateriali inorganici con
morfologia porosa in grado di conferire al biomateriale non solo una micro permeabilità ai liquidi
biologici, ma anche una macroporosità in grado di ospitare le cellule e favorirne la crescita. Questi
materiali trovano oggi ampie ed interessanti applicazioni nella preparazione di protesi come quelle
per la teca cranica, che richiedono una forma ben definita che deve essere mantenuta nel tempo
assieme ad elevate ed invariabili proprietà meccaniche. L’ integrazione con il tessuto biologico è
ottenuta ottimizzando il fattore forma, dimensione, comportamento meccanico e porosità del
biomateriale impiantato. Quando invece si deve sostituire il tessuto osseo, riempendo uno spazio
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non ben definito, necessita un biomateriale che abbia proprietà meccaniche simili a quelle ossee e
sia in grado di integrarsi col tessuto biologico permettendo la crescita di nuovo tessuto osseo. Con
queste finalità sono stati progettati e realizzati biomateriali inorganici non solo biocompatibili, ma
anche bioriassorbibili, ovvero in grado di essere gradualmente riassorbiti permettendo la crescita di
osso neoformato che gradualmente sostituirà il biomateriale sintetico. Biomateriali che possono
essere diversamente sintetizzati per esibire tempi diversi di riassobimento in condizioni fisiologiche
a seconda delle necessità richieste dall’ impianto. Un esempio classico di biomateriale di seconda
generazione è rappresentato dal rivestimento con fosfati di calcio delle protesi in titanio ed acciaio.
Rivestimento inorganico che inizialmente crea una ottima interfaccia col tessuto osseo circostante
stabilizzando l’ impianto protesico e che poi lentamente viene riassorbito per lasciare che sia l’
osso neoformato ad immobilizzare la protesi metallica. Ora la ricerca si cimenta con la realizzazione
di biomateriali di terza generazione che non sono solo biocompatibili e biointegrabili, ma debbono
essere anche bioattivi ovvero in grado di stimolare una reazione a livello cellulare.La bioattività può
realizzarsi in vari modi. Anzitutto si è cercato di ottimizzare l’interfaccia chimica biomaterialetessuto osseo mediante la realizzazione di veri e propri legami chimici tra il composto di sintesi e il
tessuto naturale. Si è ottimizzata la reattività superficiale del biomateriale controllandola ed
indirizzandola verso interazioni specifiche con l’ apatite ossea.
La formazione di questi legami è un obiettivo scientifico e tecnologico di notevole interesse.
A questo scopo, e più in generale per mettere a punto la preparazione di nuovi materiali con
particolari proprietà tecnologiche, sempre più attenzione viene rivolta alle soluzioni adottate dagli
organismi viventi durante i processi di biomineralizzazione per sviluppare materiali in cui la
funzione viene controllata dalla forma. Infatti gli organismi viventi hanno costruito scheletri
mineralizzati per gli ultimi 550 milioni di anni sviluppando una moltitudine di strategie, spesso
molto diverse da quelle utilizzate dall’ingegneria tissutale, per ottimizzare questi biomateriali.
Attualmente processi biomimetici che simulano quelli propri della biomineralizzazione sono stati
utilizzati con successo per preparare biomateriali innovativi che mimano i materiali biogenici per
composizione, struttura e morfologia.
I biominerali sono in genere compositi assemblati da molecole e ioni facilmente disponibili,
di solito in mezzo acquoso, a temperatura ambiente ed in modo da ottenere forme definite attraverso
processi di sintesi sol-gel oppure utilizzando tempranti macromolecolari. L’idrossiapatite sintetica,
riveste un notevole interesse come biomateriale non solo per la sua elevata biocompatibilità, ma
anche per la possibilità di essere sintetizzata con caratteristice biomimetiche. In particolare,
l’utilizzo di idrossiapatite nanocristallina, di dimensioni, morfologia, struttura e grado di cristallinità
paragonabile a quella dei cristalli apatitici dell’osso risulta particolarmente interessante in quanto la
sua elevata area superficiale implica anche una migliore adesione alla matrice ossea.
Il passo successivo consiste nel finzionalizzare superficialmente i biomateriali biomimetici
consentendogli di rilasciare con cinetica controllata molecole biologicamente attive come farmaci,
fattori di crescita, proteine ed enzimi. Un ulteriore miglioramento può essere ottenuto dall’utilizzo
di compositi idrossiapatite/polimeri, le cui proprietà meccaniche possono essere modulate attraverso
un opportuno dosaggio dei due componenti. La presenza della componente polimerica può
migliorare notevolmente il legame interfacciale con il tessuto osseo. Ottimizzare l’interfaccia con il
tessuto biologico significa ottimizzare l’adesione, la diffusione di molecole biologicamente attive, la
migrazione e la proliferazione della componente cellulare. Tale obiettivo può essere raggiunto
anche attraverso la messa a punto di superfici nanostrutturate in grado di controllare la nucleazione
e crescita della fase inorganica a livello nanometrico , molecolare.
L’ approccio biomimetico non si esaurisce nella progettazione e sintesi di biomateriali che in
un qualche modo mimino nelle caratteristiche chimico-fisiche i biomateriali biogenici, ma deve
essere inteso anche come fonte di ispirazione, ovvero mimare in laboratorio i processi biologici per
realizzare processi innovativi sintetici volti alla preparazione di materiali innovativi per qualsiasi
applicazione non necessariamente biomedicale.. L’ osservazione dei processi biologici ha permesso
di sintetizzare nuovi materiali quali ossidi di ferro, apatite,carbonati silicati, solfuri di cadmio, che
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Tematica 3
trovano impiego in diversi settori tecnologici d’ avanguardia.
Appare quindi particolarmente interessante poter utilizzare l’ esperienza e le conoscenze
acquisite nell’ ambito degli studi condotti su i processi di biomineralizzazione, caratterizzazione dei
biomateriali biogenici e sintesi di biomateriali bioattivi per progettare e realizzare materiali
innovativi con proprietà specifiche per applicazioni innovative in ambito ambientale e tecnologico.
E’ questo lo spirito che ha recentemente portato alla sintesi e caratterizzazione di nuovi
materiali definibili geomimetici ovvero in grado di mimare per composizione, struttura e morfologia
specifici minerali con peculiari proprietà funzionali. Vi sono infatti fasi minerali tra cui carbonati,
fosfati e silicati che per la loro struttura sono in grado di catalizzare numerose reazioni organiche e
biologiche. Sono proprio le loro particolari caratteristiche strutturali che hanno portato i ricercatori a
considerarli un elemento fondamentale per la nascita della vita sul nostro pianeta. Reazioni
enzimatiche, polimerizzazione proteica, assembleggio ordinato di amminoacidi, stabilizzazione di
molecole organiche di interesse biologico e dei loro assemblaggi sembrano essersi realizzate grazie
all’ azione templante e catalizzante di specifiche fasi minerali.
Le strutture a strati dei silicati forniscono notevoli potenzialità per la sintesi di intercalati
metallici, ionici e molecolari per le più disparate applicazioni oltre a quelle biomedicali. Con queste
strutture vi sono alcuni fillosilicati tra cui il crisotilo, formatisi in specifiche condizioni di genesi
geologica, che hanno costituito fasi minerali fibrose in grado di esibire straordinarie caratteristiche
chimico-fisiche. I minerali asbestiformi sono stati utilizzati per preparare numerosissimi manufatti
industriali che hanno caratterizzato i materiali strutturali, coibentanti, impermeabilizzanti, ignifughi
ed isolanti del secolo scorso.
E’ stato messo in evidenza il rischio per la salute umana rappresentato dalle fibre di amianto e
diventa quindi essenziale chiarire il meccanismo chimico che sta alla base della sua tossicità e
citotossicità. Queste conoscenze risultano indispensabili particolarmente ora che la società deve
rimuovere, stoccare, trasformare manufatti contenenti amianto per proteggere la salute umana. L’
esperienza acquisita sulla bioattività dei biomateriali risulta quasi indispensabile per affrontare in
modo competente lo studio dei processi chimici che stanno alla base della citotossicità delle fibre di
amianto. Solo la collaborazione tra chimici, biologi e medici potrà chiarire questi meccanismi di
tossicità in cui la presenza di ioni metallici estranei alla struttura del crisotilo sembrano assumere
una ruolo rilevante per innescare reazioni di ossidazione superficiale delle fibre rendendole tossiche
nei confronti della componente cellulare.
BIBLIOGRAFIA
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9. Weiner, S and Addadi, L, J. Mat. Chem., (1997) 7, 689
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Tematica 3
10. Falini, G, Albeck, S, Weiner, S, Addadi, L, Science (1996) 271, 67
11. Falini, G, Int. J. Inorg. Mat. (2000) 2, 455
12. Falini, G, Fermani, S, Gazzano, M, Ripamonti, A, Chem. Eur. J. (1997) 3, 1807; (1998) 6,
1408; J. Mat. Chem. (1998) 8, 1061
13. N. Roveri, G. Falini, E. Foresti, G. Fracasso, I. G. Lesci, P. Sabatino, J. Mat. Research, 2006,
21(11), 2711-2725.
14. B. Palazzo, N. Roveri, M. Iafisco, L. Rimondini, G. Gazzaniga. Biologically active
nanoparticles of a carbonate-substituted hydroxyapatite, process for their preparation and
composition incorporating the same. PCT/EP2006/005146 del 30 05 2006. Guaber S. p. a.,
2006.
15. Palazzo, B.; Sidoti, M. C.; Roveri, N.; Tampieri, A.; Sandri, M.; Bertolazzi, L.; Galbusera, F.;
Dubini, G.; Vena, P.; Contro, R. Materials Science & Engineering, C: Biomimetic and
Supramolecular Systems (2005), 25(2), 207-213.
16. Roveri, N.; Morpurgo, M.; Palazzo, B.; Parma, B.; Vivi, L. Analytical and Bioanalytical
Chemistry (2005), 381(3), 601-606.
17. Sabatino P., Casella L., Ggranata A., Iafisco M., Lesci I.G., Monzani E., Roveri N. (2007).. J.
of Coll. and Interf. Sci. vol. 314(2), pp. 389 – 397.
18. Foresti, Elisabetta; Hochella, Michael F., Jr.; Kornishi, Hiromi; Lesci, Isidoro G.; Madden,
Andrew S.; Roveri, Norberto; Xu, Huifang. M Advanced Functional Materials (2005), 15(6),
1009-1016.
19. Falini, Giuseppe; Foresti, Elisabetta; Gazzano, Massimo; Gualtieri, Alessandro F.; Leoni,
Matteo; Lesci, Isidoro G.; Roveri, Norberto. Chemistry--A European Journal (2004), 10(12),
3043-3049.
b) Obiettivi specifici:
UNITA’ DI BOLOGNA:
Norberto Roveri, Eleonora Cibej, Giuseppe Falini, Simona Fermani, Ismaela Foltran, Elisabetta
Foresti, Guido Fracasso, Michele Iafisco, Marco Lelli, Isidoro Giorgio Lesci, Barbara Palazzo, Lia
Rimondini, Piera Sabatino, Giovanna Tosi, Tommaso Zuccheri
G. Falini, E. Cibej, S. Fermani, G. Tosi
1- Studio della crescita di carbonati di calcio in gels e liquidi ionici
Nei tessuti mineralizzati, tipo la madreperla delle conchiglie, la crescita della fase minerale,
aragonite, avviene in una matrice organica. Tale matrice organica, secondo un modello ottenuto
tramite studi di microscopia elettronica a trasmissione in condizioni criogeniche, è costituita da un
idrogel di proteico intrappolato in una struttura costituita da chitina. La matrice contiene due
differenti classi di proteine. Una classe, ricca di glicina e alanina, adotta una conformazione beta e
possiede una sequenza di amminoacidi simile alla fibrina della seta. L’altra classe è un complesso
insieme di glicoproteine idrofiliche, molte delle quali sono ricche in residui aspartici. Si suppone
che la famiglia di proteine simili alla fibroina della seta formi un gel. Quindi la crescita
dell’aragonite nella madreperla avviene in gel. Quindi è di particolare importanza lo studio della
crescita di carbonati di calcio in gels contenenti macromolecole acide.
Un ruolo particolarmente importante nel processo di controllo del polimorfismo del carbonato di
calcio e della sostituzione isomorfa nella struttura della calcite viene svolta dall’idratazione degli
ioni. Lo ione magnesio, di rilevanza biologica ed ambientale, avendo una densità di carica maggiore
dello ione calcio, viene considerato il responsabile del controllo sul polimorfismo. Si ritiene che in
natura specifiche macromolecole siano in grado di alterare la sfera di idratazione dello ione
magnesio e di conseguenza la sua capacità di controllo sulla precipitazione dei carbonati. Sebbene
questo sia ben accettato dalla comunità scientifica, non vi sono alla stato attuale delle evidenze
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sperimentali. L’utilizzo di liquidi ionici come solventi permette di condurre esperimenti di
cristallizzazione in assenza di acqua. Non solo la scelta tra vari liquidi ionici permette di controllare
la coordinazione degli ioni e, come conseguenza, la loro interazione.
L’obiettivo principale delle ricerche in programma è di chiarire il ruolo della struttura di gels e
dell’idratazione degli ioni sulla nucleazione e crescita di sali di calcio durante i processi di
mineralizzazione attraverso lo studio in vitro di fasi minerali su matrici che simulino i sistemi
naturali. Il significato di questo studio inizialmente consisterà nel miglioramento delle conoscenze
dei problemi più stimolanti della biomineralizzazione. L’attesa, però, è di utilizzare tali conoscenze,
in particolare quelle riguardanti il modo di ottimizzare la crescita di minerali, per progettare,
preparare e caratterizzare biomateriali a base di sali inorganici e macromolecole biologiche con
proprietà meccaniche e strutturali prestabilite.
Obiettivi specifici. Verranno analizzate la struttura, le proprietà meccaniche e la stabilità di gels
ottenuti da alcuni polimeri biologici, quali collageno, gelatina, fibrina, chitina, fibroina della seta.
Tali gels verranno utilizzati per studi di mineralizzazione di carbonati di calcio in presenza di
macromolecole biologiche estratte dai tessuti mineralizzati o di equivalenti sintetici. I dati ottenuti
verranno utilizzati per la comprensione di meccanismi che avvengono in vivo e la sintesi di minerali
con morfologia e composizione controllata. Inoltre saranno condotti esperimenti di cristallizzazione
di carbonato di calcio in liquidi ionici. I dati ottenuti saranno cruciali per la definizione del ruolo
dell’idratazione degli ioni nel controllo del polimorfismo ed isomorfismo del carbonato di calcio.
Particolare attenzione verrà posta agli aspetti strutturali e morfologici dei materiali ottenuti, tramite
studi di diffrazione di raggi X utilizzando sorgenti di sincrotrone con micro-fascio. Tale studio si
avvarrà dell’esperienza fornita dalla collaborazione con vari gruppi ricerca, per la scelta dei gels e
dei cristalli liquidi di maggior rilevanza biologica.
2- Studio della crescita di carbonati di calcio in presenza di comb-polymers
La macromolecole acide presenti nei tessuti mineralizzati sono delle glicoproteine in cui la catena
peptidica, ricca in residui apartici e glutammici, viene ramificata da polisaccaridi. Queste
macromolecole sono ritenute le principali responsabili del processo di controllo di
biomineralizzazione.
La loro struttura è molto simile a quella di comb-polymers sintetici utilizzati nell’industria dei
cementi Portland, contenenti carbonati, come superplastificanti per aumentare la lavorabilità della
malta. Questi ultimi sono delle catene di poliacrilato ramificate con glicoli polietilenici. Il
meccanismo di azione di questi polimeri è del tutto sconosciuto.
Questa inusuale analogia stimola una ricerca trasversale nella quale comb-polymers saranno
utilizzati nella crescita di carbonati di calcio e macromolecole acide in sistemi modelli di cemento.
L’obiettivo principale delle ricerche in programma è duplice, (i) chiarire il meccanismo di azione
dei comb-polymers nella crescita dei carbonati di calcio e di trasferire queste informazioni sui
cementi al fine di produrre nuovi supeplastificanti; (ii) relazionare i meccanismi di azione dei combpolymers con quelli delle macromolecole acide al fine di una maggiore comprensione dei
meccanismi di biomineralizzazione.
Obiettivi specifici. Verranno estratte macromolecole acide da vari tessuti cartonatici ottenuti da
diverse specie e verranno acquistati i comb-polymers di utilizzo nell’industria dei cementi. Tali
polimeri saranno utilizzati nella crescita di carbonati di calcio ed i risultati ottenuti saranno utilizzati
per la sintesi di nuovo comb-polymers o la modificazione strutturale di quelli esistenti.
N. Roveri, E. Foresti, G. Fracasso, M. Iafisco, B. Palazzo, L. Rimondini
Sintesi di apatiti nanocristalline mediante metodi innovativi
Nanocristalli di carbonato-idrossiapatite con caratteristiche simili a quella biogenica [1] verranno
sintetizzate utilizzando oltre alla classica sintesi in “batch” già ampiamente studiata, altre tecniche
di cristallizzazione:
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- cristallizzazione in fase gel (gel di metasilicato);
- cristallizzazione in diffusione di vapore nel mushroom.
- cristallizzazione in micelle inverse.
Con la prima tecnica si potranno ottenere cristalli di idrossiapatite usando un sistema di diffusione
di una soluzione di cloruro di calcio attraverso un gel di metasilicato attivato con acido fosforico.
Con la seconda si potranno ottenere nanocristalli di idrossiapatite usando la diffusione di vapori in
modo da raggiungere lentamente il pH ideale per la precipitazione di idrossiapatite.
Con la terza si potranno ottenere cristalli mediante reazioni in microenviroment costituiti da micelle.
Le matrici sopraccitate verranno funzionalizzate con molecole farmacologicamente attive a base di
Pt o con nanoparticelle metalliche [2]. Si sfrutterà ad esempio l’immobilizzazione superficiale di
fosfonati, bisfosfonati ed amminoacidi la cui funzionalità libera (non impegnata nel legame con
l'idrossiapatite) verrà utilizzata per realizzare un link con l’agente bioattivo (molecola o
nanoparticella).
Il rilascio di questi agenti biologicamente attivi sarà subordinato alla rottura del legame con lo
spacer (fosfonato, bisfosfonato o amminoacido). La rottura di questo legame a sua volta potrà essere
controllata da fattori chimici (pH e forza ionica)e biologici(attività enzimatiche).
In particolare si procederà con la funzionalizzazione dei nanocristalli apatitici con molecole di
bisfosfonati (a), fosfonati (b) amminoacidi (c):
a) Al fine di realizzare il legame matrice-farmaco verrà sfruttata nel primo caso l’affinità della
funzionalità bisfosfonica nei confronti del calcio superficiale [3].
b) La reazione di un fosfonato [4] (ad esempio un dialogeno fosfonato) con i nanocristalli apatitici
potrà avvenire in due modi: per condensazione con il gruppo idrossilico superficiale dell’apatite e
relativa formazione di un legame P-O-P fra l’apatite e la funzionalità organica, oppure mediante
interazione elettrostatica fra il Ca(II) superficiale e gli ioni fosfonici.
40
Tematica 3
c) Nel caso in cui si voglia funzionalizzare la superficie dei nanocristalli apatitici con amminoacidi
sarà sfruttata prevalentemente l’affinità del residuo amminoacidico nei confronti o della funzionalità
sia del calcio sia del foforo dell’apatite. In particolare ad esempio amminoacidi acidi (es. acido
aspartico) si legheranno prevalentemente mediante il residuo laterale carbossilato agli ioni calcio
superficiali dell’apatite, mentre amminoacidi basici (es. arginina) risulteranno affini al fosfato
dell’HA e si legheranno ad esso mediante il terminale amminico del residuo laterale.
La funzionalizzazione delle matrici biomimetiche con fosfonati, bisfosfonati ed amminoacidi verrà
effettuata o per adsorbimento diretto sulle superficie apatitica, o per cocristallizzazione (sintesi dei
nanocristalli apatitici in presenza degli agenti funzionalizzanti).
Il grado di funzionalizzazione verrà determinato mediante il monitoraggio della quantità di
fosfonato, bisfosfonato o amminoacido adsorbito in funzione di vari parametri quali il tempo, la
concentrazione iniziale, la forza ionica e pH della soluzione.
La stabilità della interazione substrato-bisfosfonato molecola funzionalizzante verrà valutata
mediante la determinazione della cinetica di rilascio oltre che per via calorimetrica.
La funzionalità libera (non legata) del bisfosfonato, del fosfonato o dell’amminoacido legato alla
matrice inorganica sarà usata per immobilizzare molecole ad azione citotossica e/o nanoparticelle
metalliche [2]. Una promettente prospettiva è quella di sfruttare la stabilità del legame bisfosfonatoione calcio della matrice inorganica, per realizzare un ulteriore legame chimico tra la funzionalità
libera del bisfosfonato e altre molecole farmacologicamente attive. In particolare si potranno
sfruttare reazioni di sostituzione della funzionalità amminica o tiolica libera del bisfosfonato sul
metallo coordinante presente all’interno di complessi a base di platino. Si potranno anche utilizzare
reazioni volte alla formazione di un legame peptidico fra la funzionalità amminica del bisfosfonato
e una funzione carbossilica del complesso metallico.
41
Tematica 3
Gli stessi tipi di reazione sopra descritti per i bisfosfonati, potranno essere sfruttati anche per
nanocristalli apatici funzionalizzati con fosfonati ed amminoacidi.
Il rilascio delle molecole biologicamente attive sarà subordinato alla rottura del legame con il
bisfosfonato, fosfonato o amminoacido, che potrà essere indotta da fattori chimico-fisici come pH ,
temperatura e forza ionica e da fattori biologici come azioni enzimatiche. I suddetti fattori, che
potranno esser usati nelle simulazioni "in vitro" per realizzare rilasci indotti, sono assimilabili a
quelli che vengono prodotti in vivo nel corso di specifici eventi patologici.
La modificazione superficiale delle apatiti, potrà anche essere utilizzata per legare nanoparticelle
metalliche, da usare come agenti biologicamente attivi. La sintesi delle nanoparticelle metalliche
verrà condotta utilizzando modificazioni del metodo ideato da Brust [5] o tecniche di emulsione in
micelle inverse [6]
Allo scopo di immobilizzare le nanoparticelle metalliche sui cristalli di idrossiapatite sarà possibile
utilizzare almeno due strategie:
a) sintetizzare le nanoparticelle sui cristalli di idrossiapatite funzionalizzati. In questo caso le
funzionalità organiche con cui si sono modificati covalentemente i nanocristalli potranno fungere da
cappanti e templanti delle nanoparticelle metalliche.
b) cappare le nanoparticelle metalliche con una delle molecole di cui al punto 2) (fosfonati,
bisfosfonati ed amminoacidi), e quindi utilizzare questi cappanti come agenti ancoranti delle
nanoparticelle sull’apatite.
Qualunque sia la strategia utilizzata ((a) o (b)) la molecola che funge da spacer fra i nanocristalli di
idrossiapatite e la nanoparticella dovrà contenere, oltre che il sito di attacco al nanocristallo
apatitico, anche un gruppo che leghi il metallo. In questo la più nota è la funzionalità tiolica.
N. Roveri, G. Falini, I. Foltran, E. Foresti, M. Iafisco, M. Lelli, L. Rimondini, B.Palazzo, P.
Sabatino
1- Sintesi e caratterizzazione di fibre di collagene ricostituito per electrospinning
Fibre nanometriche di collagene verranno preparate per electrospinning secondo modifiche del
metodo recentemente riportato da I. Foltran et al. (2007) [7]. I parametri di sintesi verranno
opportunamente modificati in modo da ottenere fibre biomimetiche di collagene nanodimensionate
il cui biomimetismo trova riscontro nella riproduzione dell’impaccamento molecolare della
proteina, caratterizzato dalla tipica bandeggiatura. La caratterizzazione delle nanofibrille di
collagene e delle matrici proteiche con esse costituite per la preparazione di scaffolds cellulari per
l’ingegneria tissutale, verrà condotta con tecniche diffrattometriche (DRX), spettroscopiche (FTIR,
ICP-OES), calorimetriche (TGA-DTA, DSC), morfologiche (TEM, SEM-EDAX, SEM, AFM),
superficiali (BET, XPS, ATR, potenziale Z) e spettroscopie-imaging nel medio infrarosso e nel
Raman con determinazione in riflettanza totale ed attenuata, in riflettanza interna cilindrica e in
riflettanza interna diffusa con sorgenti convenzionali e luce di sincrotrone.
Verranno inoltre preparate e caratterizzate superficialmente delle matrici collagenose
funzionalizzate con molecole ad effetto farmacologico mirato e con nanoparticelle metalliche.
42
Tematica 3
Una promettente prospettiva sarà quella di sfruttare le funzionalità amminiche della matrice
collagenosa per realizzare un ulteriore legame chimico con molecole farmacologicamente attive, o
per cappare delle nanoparticelle metalliche. Tutte le matrici apatitiche e collagenose ottenute al
termine dei processi di funzionalizzazione verranno caratterizzate per:
a) La loro morfologia, struttura e stechiometria superficiale
b) la capacità di trattenere oppure di rilasciare con cinetica controllata l’agente biologicamente
attivo (molecola ad effetto farmacologico o nanoparticella)
c) l’erodibilità in ambiente fisiologico;
d) l’attività’ biologica su colture cellulari diverse, ed in particolare su osteoblasti ed osteoclasti. In
particolare, verranno valutate la citotossicità e l’azione antiproliferativa. Studi specifici di attività
biologica verranno anche messi a punto in relazione alle funzionalità (e.g. molecola a base di Pt o
nanoparticella) legati alla matrice;
e) la capacità di essere utilizzate come scaffolds per la crescita cellulare, permettendo di considerare
la loro potenzialità nell'ambito dell'ingegneria tissutale.
La modificazione morfologica, strutturale e stechiometrica indotta dalla funzionalizzazione
superficiale delle matrici apatitiche e/o collagenose verrà studiata non solo con tecniche
Diffrattometriche (DRX), spettroscopiche (FTIR, ICP-OE), calorimetriche (TGA-DTA, DSC),
morfologiche (TEM, TEM-EDAX, SEM, AFM), ma anche superficiali (BET, XPS, ATR,
potenziale Z) e spettroscopie-imaging nel medio infrarosso e nel Raman con determinazione in
riflettanza totale ed attenuata, in riflettanza interna cilindrica e in riflettanza interna diffusa con
sorgenti convenzionali e luce di sincrotrone.
La capacità di trattenere o rilasciare l’agente attivo (molecola o nanoparticella), legato alla
funzionalità con cui si è modificata la matrice verrà studiata o monitorando il rilascio dalle matrici
in soluzione fisiologica (U.V. o ICP-OES), o mappando alla stato solido le bande di assorbimento
tipiche dell’agente attivo con cui la matrice è stata modificata.
Il rilascio dell’agente attivo sarà subordinato o alla rottura del legame con lo spacer (bisfosfonato,
fosfonato o amminoacido) che potrà essere indotto da fattori chimici e biologici oppure dalla
erodibilità della matrice.
Verrà, inoltre, studiata l’attività biologica delle matrici inorganiche e collagenose, opportunamente
funzionalizzate. In particolare la citotossicità verrà studiata su opportune linee cellulari tumorali
umane poste a contatto con le matrici in questione per misurare l’attività mitocondriale, lisosomiale,
e la proliferazione cellulare. Verrano valutate anche le potenzialità delle matrici inorganiche e
collagenose opportunamente funzionalizzate ai fini di un utilizzo come scaffolds cellulare per
l’ingegneria tissutale.
2- Utilizzo di nanocristalli apatitici e nanofibre di collageno per la progettazione di scaffolds
funzionalizzati per ingegneria tissutale
Negli ultimi anni un importante contributo agli studi sulla rigenerazione dei tessuti è stata data
dall’utilizzo di cellule staminali e dalla scoperta e ingegnerizzazione di fattori inducenti la
proliferazione e la differenziazione delle cellule.
Un approccio innovativo a riguardo, è quello che coinvolge le nano-tecnologie, che in questo campo
offrono la possibilità di costruire scaffolds tridimensionali a partire da building-block di dimensioni
nano-metriche. I nano building block (nanocristalli di apatite, nano fibre di collagene) possono
infatti contenere le informazioni necessarie ad autoassemblarsi in modo organizzato per dare origine
ad architetture la cui organizzazione a livello macroscopico è una sorta di propagazione
dell’organizzazione strutturale a livello microscopico. Anche le micro-morfologie del materiale e
del dispositivo (es. porosità) o la sua nanostruttura superficiale sembrano essere determinanti alla
citofunzionalità e in definitiva alla rigenerazione del tessuto. Altri aspetti costituiscono un campo di
indagine molto interessante e di necessaria indagine per lo sviluppo di tecniche innovative di
ingegneria tissutale:
43
Tematica 3
1. lo sviluppo di scaffolds tridimensionali incorporanti i fattori di crescita e differenziazione dei
tessuti
2. la possibilità di ottimizzare il rilascio dei fattori di crescita e differenziazione dei tessuti
incorporati nello stesso scaffold controllandone la cinetica
3. lo sviluppo di bioreattori ottimizzati per flussi di nutrienti, forze meccaniche etc. per la
realizzazione di tessuti ingegnerizzati
BIBLIOGRAFIA
[1] N. Roveri and B. Palazzo Hydroxyapatite nanocrystals as bone substitutes Nanotechnologies for
the Lifesciences Vol. 8 “Nanomaterials and Technologies for Tissue Engineering” Kumar (ed.)
Wiley
[2] P. K. Jain, I. H. El-Sayed, M. A. El-Sayed Nanotoday 2007, (2) 1, 18-29
[3] B. Palazzo, M. Iafisco, M. Laforgia, N. Margiotta, G. Natile, C. L. Bianchi, D. Walsh, S. Mann,
N. Roveri Advanced Functional Material (2007) 17 (13) 2180
[4] A. Aissa, M. Debbabbi, M. Griselle, R. Thouvenot, P. Gredin, R. Traksmaa, K. Journal of solid
state chemistry (2007), 180, 2273-2278
[5] Brust, M.; Fink, J.; Bethell, D.; Schiffrin, D. J.; Kiely, C. Journal of the Chemical Society,
Chemical Communications (1995), (16), 1655-6
[6] Ming-Li, Dong-Hwang Chen, Ting-Chia Huang Langmuir 2001, 17, 3877-3883
[7] I. Foltran, E. Foresti, B. Parma, P. Sabatino, N. Roveri, Macromolecular Symposia 2008 (In
Press).
N. Roveri, E. Foresti, M. Iafisco, M. Lelli, B. Palazzo, L. Rimondini
-) Nuovi materiali biomimetici per la riparazione e la rigenerazione dei tessuti dentari
La perdita di sostanza minerale dalla superficie degli elementi dentari, che avviene nell’arco della
vita degli individui, è un fatto ineludibile.
Esso è causato da patologie quali la carie dentaria o è esito di eventi fisiologici come l’usura o
l’erosione dovuta al contatto occlusale, all’azione meccanica e chimica del cibo. Talvolta origina da
manovre iatrogene o semplicemente da quelle quotidiane di igiene orale. Anche il carico occlusale
può causare rottura della struttura smaltea a causa della fragilità di quest’ultimo (1-4)
A differenza di altri tessuti mineralizzati, quelli del dente non subiscono un processo di riparazione
naturale. Infatti lo smalto non possiede cellule in grado di depositare nuova matrice da
mineralizzare. Neppure la dentina, che al contrario, contiene i prolungamenti citoplasmatici degli
odontoblasti è in grado di rigenerare le porzioni esterne perdute perché la deposizione di dentina
secondaria avviene soltanto in senso centripeto verso la polpa dentaria.
Attualmente i materiali impiegati per il restauro dei denti sono chimicamente e fisicamente assai
diversi dai tessuti naturali. Essi infatti sono costituiti per lo più da polimeri metacrilici caricati con
diverse tipologie di filler ceramici o da materiali ceramici a base di feldspatica o alluminosa (5-8)
Lo studio e lo sviluppo i materiali simili per struttura minerale allo smalto e alla dentina del dente
potrebbero costituire una notevole innovazione nell’ambito dei materiali dentari. Ciò risulterebbe
ancor più interessante se questi materiali potessero partecipare alla remineralizzazione della
struttura dentaria.
Obiettivi principali e significato della ricerca. Il lavoro di ricerca sarà indirizzato principalmente:
a) allo studio della struttura di smalto, dentina e cemento radicolare e come appare nel dente
sano e come viene modificata dagli eventi fisiologici e patologici con particolare attenzione alle
caratteristiche micromorfologiche, composizionali e cristallografiche
b) allo studio e caratterizzazione chimico-fisica e biologica di materiali nanostrutturati a base
di calcio-fosfati nell’ottica di un impiego nella riparazione dei tessuti del dente ma anche con
potenziale applicazione all’ingegneria tissutale dell’osso.
44
Tematica 3
c) allo studio dell’interazione di questi materiali con le strutture dentarie naturali ma anche
con materiali differenti nell’ottica di ottenere una mineralizzazione biomimetica. I tessuti e i
materiali così modificati verranno sottoposti a caratterizzazione chimico-fisica e biologica.
d) qualora l’attività di sviluppo consenta di dimostrare la sicurezza dei materiali sviluppati e
di prevederne l’efficacia saranno eseguite anche prove in-vivo.
BIBLIOGRAFIA
1. Deery C, Wagner M L, Longbottom C, Simon R, Nugent Z J. Pediatric Dentistry 2000 ; 22:
505–510.
2. Kitchens M, Owens B M. J Clin Pediatr Dent 2007 ; 31: 153-159.
3. Wiegand A, Attin T. Occup Med (Lond) 2007 ; 57: 169-176.
4. Lussi A, Jaeggi T, Zero D. Caries Res 2004; 38: 34–44.
5. Spolsky VW, Black BP, Jenson L. J Calif Dent Assoc 2007 Oct;35(10):724-37.
6. Le Roux AR, Lachman N. SADJ 2007 Sep;62(8):342-4.
7. Vaught RL. J Dent Educ 2007 Oct;71(10):1356-62.
N. Roveri, I. Foltran, E. Foresti, I.G. Lesci, L. Rimondini, P. Sabatino, T. Zuccheri
-)Biotecnologie applicate all’ ingegneria tissutale e interazione di nanocristalli sintetici inorganici
con sistemi biologici modello
Lo studio accurato delle proprietà e dei processi che avvengono all’interfaccia tra materiali sintetici
sia biomimetici sia di interesse ambientale da una parte e l’ambiente biologico dall’altra consente di
avere un approccio di controllo della risposta biologica all’interfaccia.
Il bioriconoscimento rappresenta un componente centrale di questo aspetto: qualunque tentativo di
produrre una superficie funzionale sofisticata deve prendere in considerazione la capacità
fortemente sviluppata nei sistemi biologici di riconoscere caratteristiche appositamente disegnate su
scala molecolare. In realtà, benché le interazioni fondamentali avvengano su scala molecolare,
esiste una connessione sinergica unica tra la scala nanometrica e la scala micrometrica in cui sono
presenti le cellule, per esempio nel caso di impianti medici ed ingegneria tissutale. Gli eventi che si
verificano quando una superficie è posta in un ambiente biologico che contiene cellule sono, per
prima cosa, l’interazione con molecole d’acqua, che si legano in modo diverso a seconda delle
proprietà della superficie. Lo strato di acqua superficiale influenza l’interazione di proteine e altre
molecole che raggiungono la superficie successivamente, a loro volta provviste di uno strato di
acqua di idratazione. L’interazione tra l’acqua superficiale del materiale e l’acqua superficiale della
biomolecola influenza i processi cinetici e termodinamici alla superficie, per esempio causano, o
meno, la denaturazione della proteina, la sua orientazione, il grado di copertura etc. La superficie
con cui le cellule interagiscono è quindi in realtà una superficie ricoperta da proteine e l’interazione
cellula/superficie è effettivamente un’interazione cellula/proteine legate alla superficie.
Nel caso degli impianti medici, l’importanza di queste considerazioni è ovvia. Il design
opportuno e/o le modificazioni chimico-fisiche della superficie attraverso la sua ingegnerizzazione
sono uno dei molti componenti che contribuiscono al successo o all’insuccesso del risultato . Le
tecnologie di coating per depositare il materiale superficiale desiderato su una matrice, le
spettroscopie di superficie, come XPS, ICP/AES per caratterizzare le specie presenti su di essa e il
loro rapporto stechiometrico, le tecniche microscopiche come SEM per controllare la struttura e la
chimica di superficie, le tecniche di nanofabbricazione per ottenere superfici porose, le tecniche FTIR per misurare le molecole biologiche adsorbite etc, sono essenziali nella scienza delle superfici
dei biomateriali utilizzati.
L’ambito dell’ingegneria tissutale è un’area emergente di particolare interesse biotecnologico.
Mentre nel caso dell’impianto medico viene prodotto un componente sintetico che sostituisca le
funzioni della parte perduta o degradata dall’organismo ospite, l’ingegneria tissutale si basa invece
45
Tematica 3
sull’idea di produrre un tessuto realmente funzionante da una coltura cellulare facendolo crescere
“ex vivo” in ambente idoneo. Per far crescere le cellule o i tessuti è necessario uno scaffold
sintetico o un templato, le cui caratteristiche macroscopiche, topografia microscopica e proprietà
chimiche superficiali siano tali da cooperare con altri stimoli, quali sostanze extracellulari e
composizione della soluzione fisiologica etc., per fare in modo che la coltura cellulare si sviluppi in
un tessuto funzionante, pronto per l’impianto.
Per raggiungere questo obiettivo, nel bioreattore dove viene fatto crescere il tessuto un gran numero
di parametri viene tenuto sotto controllo. La superficie dello scaffold o templato su cui le colture
cellulari sono depositate deve essere disegnato specificamente per promuovere l’evoluzione del
tessuto. Questo processo richiede sia una superficie non tossica sia adeguate proprietà di adsorbire
proteine, perché lo starto proteico di adsorbimento che si forma sempre alla superficie influenza
l’interazione cellula-superficie. Le cellule in una coltura cellulare comunicano tra di loro inviando e
ricevendo molecole segnale verso e dalla matrice extracellulare. Tali segnali sono influenzati dalla
superficie a cui si attaccano le cellule, quindi le superfici degli scaffolds, che possono essere dissolti
alla maturazione del tessuto, sono parte integrante del tessuto che comunica e si auto-organizza.
Molte tecniche di indagine di superficie sono utili per la funzionalizzazione delle stesse, oltre alla
tradizionali tecniche spettroscopiche e microscopiche di caratterizzazione già menzionate sopra.
Inoltre, la topografia di superficie in 3D risulta molto importante per le interazioni cellule-superficie
e può richiedere metodi di micro- e nano-fabbricazione.
Il lavoro di ricerca sarà indirizzato principalmente verso:
a) Materiali sintetici di interesse ambientale.
Sono stati sintetizzati nanocristalli di crisotilo sia come unica fase cristallina, stechiometrica e a
morfologia controllata, al fine di ottenere un reale standard di riferimento, sia nanocristalli di
crisotilo opportunamente drogati con Fe3+, Al3+ e Ti+4 al fine di individuare i parametri, chimici e
strutturali delle diverse tipologie di amianto, responsabili del comportamento patologico di questo
minerale che lo hanno portato alla sua messa al bando.
Per raggiungere questo obiettivo abbiamo già utilizzato un sistema biologico modello rappresentato
da una proteina quale l’albumina, utilizzata come sensore per l’individuazione dei possibili
meccanismi di interazione tra la fase inorganica ed gli organismi viventi. Tale interazione è stata
caratterizzata dal punto di vista chimico strutturale per il crisotilo stechiometrico utilizzando
tecniche come FT-IR, AFM, TEM e studi di dicrismo circolare condotti sulle soluzioni di proteina
strutturalmente modificata dopo l’interazione con la matrice inorganica in funzione della copertura
superficiale. Uno studio teorico parallelo di dinamica molecolare ha confermato l’esistenza di due
stadi successivi nel processo di adsorbimento: uno iniziale in cui avvengono piccole modificazioni
conformazionali ed uno finale in cui le modificazioni avvengono su larga scala e comportano
variazioni nella struttura secondaria della proteina (unfolding).
46
Tematica 3
Immagine TEM (a) e relativa diffrazione di elettroni (b) di nanocristalli sintetici di crisotilo geomimetici da
utilizzare come standard di riferimento da studiare l’interazione chimico-fisica tra le fibre di asbesto e sistimi
biologici modello.
Intendiamo completare tale studio
1) verificando o meno il ritorno alla conformazione nativa in soluzioni di proteina priva dell’effetto
tampone e confrontando i dati sperimentali con i risultati dell’indagine teorica.
2) estendendo la studio sperimentale dell’interazione proteina-matrice inorganica ai nanocristalli di
crisotilo drogati con quantità opportune di Fe3+, Al3+ e Ti+4
3) variando le caratteristiche del sistema proteico utilizzato per l’interazione attraverso l’uso della
fibronectina, proteina componente della matrice extra-cellulare che favorisce l’ adesione cellulare a
differenza dell’albumina.. Tale studio potrà essere condotto sia sperimentalmente sia dal punto di
vista teorico, utilizzando opportuni domini della fibronectina per simularne l’adsorbimento a livello
atomistico.
Approccio modellistico allo studio conformazionale dell’albumina adsorbita sulla superficie del crisotilo: a)
conformazione di partenza e b) stadio iniziale dell’interazione tra proteina e superficie dei nanocristalli.
b) Biomateriali sostitutivi del tessuto osseo.
L’idrossiapatite sintetica riveste un notevole interesse come biomateriale per la sua elevata
biocompatibilità. In particolare, l’utilizzo di idrossiapatite nanocristallina, di dimensioni
paragonabili a quelle dei cristalli apatitici dell’osso, risulta particolarmente auspicabile in quanto
l’elevata area superficiale dovrebbe implicare una migliore adesione alla matrice ossea.
47
Tematica 3
Immagine TEM di nanocristalli sintetici di idrossiapatite biomimetica
Un ulteriore miglioramento può essere ottenuto dall’utilizzo di compositi idrossiapatite/polimeri, le
cui proprietà meccaniche possono essere modulate attraverso un opportuno dosaggio dei due
componenti. La presenza della componente polimerica può migliorare notevolmente il legame
interfacciale con il tessuto osseo. Ottimizzare il legame interfacciale con il tessuto biologico
significa ottimizzare l’adesione, la diffusione, la migrazione e la proliferazione della componente
cellulare. Tale obiettivo può essere raggiunto anche attraverso la messa a punto di superfici
nanostrutturate in grado di controllare la nucleazione e crescita della fase inorganica. In questo
ambito intendiamo
1) studiare l’interazione della matrici inorganiche con proteine attrattive della componente cellulare
come la fibronectina, sia repulsive come l’albumina allo scopo di quantificare gli eventuali
cambiamenti conformazionali indotti dall’adsorbimento e dopo il desorbimento dalla superficie
biomimetica. Il nostro obiettivo è quello di definire il ruolo di queste proteine nella mediazione
dell’interazione biomateriale/ tessuto osseo.
2) una volta ottenuti i compositi HA/collagene, sia per elettrodeposizione chimicamente assistita su
lastrine di titanio sia per elettrofilatura, studiarne l’adsorbimento di soluzioni di proteine, albumina
e fibronectina, a concentrazioni diverse in modo da produrre campioni a diverso grado di copertura
superficiale e quindi diverse risposte all’interazione con cellule. E’ noto che il pre-coating di un
biomateriale con albumina impedisce l’adesione non specifica di proteine e altre molecole
biologiche ed è quindi di grande utilità in ambito biomedico.
c) Ingegneria tissutale
In questo ambito, ci proponiamo di studiare materiale biogenico di orgine naturale, come i
biominerali di CaCO3 sotto forma di aragonite che costituiscono l’organo di flottazione dei
gasteropodi, allo scopo di produrre tessuto osseo ingegnerizzato mediante una strategia
biotecnologica. Per trasformazione idrotermale il carbonato di calcio verrà trasformato in
idrossiapatite. Preliminarmente è necessaria un’accurata caratterizzazione dei campioni naturali
utilizzando tecniche di Microscopia a Forza Atomica (AFM), Microscopia Elettronica a Scansione
(SEM) e Trasmissione (TEM), Analisi Termogravimetrica (TGA), Calorimetria Differenziale a
Scansione (DSC), Diffrazione di Raggi X (XRD)., spettroscopia IR a trasformata di Fourier (FTIR), tecniche di analisi di superficie (XPS, ICP-AES, microscopia confocale per studi topografici.
Successivamente i campioni di idrossiapatite ottenuti potranno essere modificati in superficie,
48
Tematica 3
chimicamente e topograficamente, allo scopo di controllare le risposte bioreattive da parte del
sistema biologico. E’ infatti noto che un tessuto danneggiato può essere sostituito solo con un
tessuto simile provvisto di adeguata architettura tissutale di cellule e matrice extracellulare Ci
proponiamo quindi di funzionalizzare la superficie con sequenze di oligopeptidi di tipo RGD,
presenti in un certo numero di proteine ECM, per dirigere l’adesione cellulare e renderla bioattiva.
L’utilizzo di un bioreattore permetterà di pianificare un’adeguata crescita cellulare.
Verranno inoltre studiati i meccanismi chimici che stanno alla base della tossicità delle nanofibre di
crisotilo attraverso l'individuazione dell'effetto nocivo di ogni singolo componente metallico
presente. Ioni metallici che possono essere ceduti al sistema biologico durante il processo di
dissoluzione o resi disponibili solo superficialmente a processi ossido riduttivi. Questo studio è solo
ora perseguibile grazie alla possibilità di disporre di nanocristalli di crisotilo a stechiometria
controllata mediante una metodica di sintesi messa a punto recentemente dall'U.R. di Bologna.
Questi nanocristalli sintetici di crisotilo, che contrariamente al crisotilo naturale non producono
stress ossidativi alle cellule epiteliali, rappresentano la campionatura standard di riferimento ideale
per studiare l'interazione superficiale con opportuni sistemi biologici. L'U.R. di Bologna utilizzerà
le proprie competenze di sintesi e caratterizzazione chimico fisica di silicati serpentinici per
sintetizzare e caratterizzare dal punto di vista composizionale, chimico-fisico e morfologico
nanocristalli di crisotilo ed alcuni suoi polimorfi non fibrosi drogandoli opportunamente con ioni
metallici quali il Fe, Ni, Ti, Al e Zn. Particolare cura verrà posta nella caratterizzazione superficiale
dei nanocristalli inorganici mediante tecniche quali la spettroscopia di fotoelettroni indotti da raggi
X (XPS), spettroscopia infrarosso in riflessione totale attenuata (ATR), microscopie elettronica a
trasmissione (TEM) e a forza atomica (AFM) per individuare e definire la reattività dei nanocristalli
asbestosi all'interfaccia con l' intorno biologico.
Confronto morfologico tra addotti crisotilo-BSA sintetico a) (AFM), b) (TEM) e quello naturale c) (AFM) e d)
(TEM).
Inoltre le nanofibre di crisotilo sintetico opportunamente drogato verranno utilizzate per studiarne la
tossicità verso invertebrati per il biomonitoraggio dell’inquinamento ambientale.
49
Tematica 3
Fibre di crisotilo naturale
Verranno utilizzati vermi terricoli del genere Eisenia che sono ampiamente impiegati in paesi del
Nord Europa e in Canada per il biomonitoraggio della qualità dei suoli.
La conoscenza delle risposte di questi organismi ai fattori di stress ambientali permette di attuare un
approccio mirato a valutare il possibile sviluppo di una sindrome da stress in organismi esposti a
nanofibre di crisotilo sia stechiometrico che drogato con dosi crescenti di Fe.
Microscopia ottica a luce polarizzata a nicol incrociati: cordone isolante contenente Crisotilo (fascio grosso
diritto al centro e fascio incurvato in basso)
UNITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE
G. Tosi, C. Conti, P. Ferraris, E. Giorgini, S. Sabbatini
1- Applicazione di metodi spettroscopici e diffrattometrici nello studio di biomateriali e di
biomolecole
La microspettroscopia infrarossa è un versatile e potente strumento diagnostico per lo studio di
proprietà funzionali di campioni biomedici e di biomolecole [1]. L’accoppiamento del microscopio
con un array detector ha reso possibile alla spettroscopia infrarossa di investigare in modo non
invasivo ed in tempi brevi intere aree di sezioni sottili con una risoluzione spaziale dell’ordine di
10µ (utilizzando anche sorgenti di luce di sincrotrone e spettrometri multidetectors). Il vantaggio
della spettroscopia imaging nel medio infrarosso (e nel Raman) consiste nel fatto che
50
Tematica 3
l’informazione viene presentata in una forma rapidamente comprensibile anche ai non
spettroscopisti e può essere comparata con indicazioni provenienti da altre tecniche microscopiche.
In tal modo, viene resa possibile l’analisi della distribuzione delle varie specie molecolari in una
matrice. In questo contesto il mapping e l’imaging permettono allo spettroscopista operante nei
settori biomedico e dei biomateriali, di sviluppare nuovi metodi di acquisizione delle immagini che
permettano di studiare le caratteristiche composizionali, strutturali e morfologiche di svariati
sistemi, primi fra tutti quelli biologici. Mediante tale tecnica possono essere valutati a livello di
pochi micron, numerosi parametri quali la natura molecolare, la quantità relativa, la distribuzione e
l’orientazione dei componenti tessutali [2]. Un ulteriore aiuto viene fornito da opportuni algoritmi
adatti al trattamento dati, da cui si possono ricavare numerose informazioni a livello molecolare [3].
Per determinazioni spettroscopiche ci si avvale di spettrometri a sorgente convenzionale,
multidetectors o a luce di sincrotrone con risoluzione spaziale fino a 6.25µm, tutti in grado di
operare sia in trasmittanza che in riflettanza.
Il trattamento dati per l’analisi multivariata e per procedure di analisi delle bande (deconvoluzione,
curve-fitting, ecc.) viene effettuato con i seguenti software: Spectrum 5.0 (Perkin Elmer), Pirouette
4.0 (Infometrix Corp.), Opus 5.5 (Bruker Corp.) e Grams AI (Galactic Corp.)
BIBLIOGRAFIA
1. Infrared Spectroscopy of Biomolecules, H.H. Mantsch and D. Chapman Ed., Wiley-Liss, N.Y,
1996; M. Jackson, H.H. Mantsch, Pathology by infrared and Raman spectroscopy, J.M.
Chalmers, P.R. Griffiths (Eds.), Handbook of Vibrational Spectroscopy, Chichester, 2002.
2. J.W. Levin, R. Bhargava, Annu. Rev. Phys. Chem., 56 (2005) 429-74.
3. A. Boskey, N.P. Camacho, Biomaterials, 28 (2007) 2465-78.
2-Applicazione della Microspettroscopia Infrarossa per la caratterizzazione di biomateriali e di
biomolecole
La spettroscopia infrarossa permette lo studio della composizione, morfologia e degradazione di
tessuti ossei [1]. Le principali specie componenti che possono essere evidenziate nello spettro
dell’osso sono i fosfati (da idrossiapatite), i carbonati (per sostituzione nella idrossiapatite dei
gruppi ossidrili e fosfati da parte dei carbonati) e le bande dell’ammide I-III delle proteine
(principalmente collagene di tipo I). Dall’analisi dei singoli spettri e/o dell’immagine spettrale
completa è possibile formulare dei parametri valutativi dei rapporti minerale/matrice (grado di
mineralizzazione), carbonato/fosfato e carbonato/proteine e infine della cristallinità.
Un’adeguata conoscenza spettroscopica della composizione dell’osso rende particolarmente utile
l’applicazione dell’imaging infrarosso nello studio di materiali sintetici per operazioni di
ricostruzione ossea. La spettroscopia FT-IR è stata anche usata per caratterizzare la fase minerale
presente sui diversi materiali, per evidenziare, tra l’altro, che i tessuti artificiali possono mimare il
tessuto osseo da sostituire, per studiare processi di biomineralizzazione con possibilità di
individuare la formazione di idrossiapatite su bio-vetri nonché per delucidare le varie fasi di
ricostruzione di tessuti ossei danneggiati [2-6].
Da tempo è in atto una collaborazione con il gruppo del prof. Roveri dell’Università di Bologna,
mirante allo sviluppo di un nuovo metodo per la preparazione di biomateriali per protesi ossee. A tal
proposito si è analizzato il processo di deposizione del collagene e dell’HAP, per caratterizzare la
morfologia, le proprietà termiche e la struttura del prodotto di rivestimento. L’FT-IR microimaging,
in particolare, ha permesso di evidenziare la natura chimica e l’omogeneità dello strato di HAPcollagene nel corso della deposizione elettrochimica.
La diretta enucleazione, in soluzioni acquose, di nanocristalli di idrossiapatite in fibre di collagene
durante il loro auto assemblaggio permette di ottenere compositi simili all’osso sia nella
microstruttura che nella composizione. Determinazioni microimagimg FT-IR hanno contribuito a
definire le interazioni strutturali fra nanocristalli di idrossiapatite e fibre di collagene e la
51
Tematica 3
distribuzione topografica di HA/collagene su supporti di titanio in funzione del tempo. Risulta
evidente un apprezzabile aumento del grado di cristallinità della fase carbonato-idrossipatite
insieme ad una parziale sostituzione dei gruppi fosfato da parte di corrispondenti gruppi carbonato
[7].
L’attività di ricerca della nostra Unità, sarà dedicata alla caratterizzazione spettroscopica di film di
matrici inorganico-polimeriche nanostrutturate bioassorbibili (idrossiapatite, biovetri, poliesteri e
polimeri naturali) contenenti fosfati di calcio e funzionalizzate superficialmente con composti per
l’ancoraggio di molecole farmacologicamente attive a rilascio controllato. Per quanto riguarda le
matrici inorganico-polimeriche, sintetizzate con diverse procedure, si intende visualizzare a livello
spettroscopico e topografico le varie componenti il composito al fine di caratterizzarne le interazioni
sia nelle matrici che nel processo di funzionalizzazione ad opera di molecole atte all’ancoraggio di
composti farmacologicamente attivi, quali bifosfonati, ammino acidi, polipeptidi.
Nel campo dei biomateriali, altri settori oggetto di studio da parte dell’unità di Ancona sono: (i) la
determinazione della distribuzione della cristallinità al fine di comprendere il comportamento di
coppe acetabulari in polietilene per protesi d’anca [8]; (ii) la valutazione del grado di conversione e
dell’invecchiamento di resine fotopolimerizzabili in campo odontoiatrico [9]; (iii) le interazioni del
chitosano e suoi derivati nel meccanismo di binding di lipidi, dell’idrolisi enzimatica e della
reattività selettiva di chinoni in miscele con poliuronani, in esperimenti di spray-drying e nello
studio della suscettibilità di derivati della chitina verso la deacilazione e della depolimerizzazione
ad opera della lipasi [10-17].
BIBLIOGRAFIA
1. A.L. Boskey, D.J. Moore, M. Amling, E. Canalis, A.M. Delany, J. Bone Miner. Res., 18 (2003)
1005-11.
2. A. Boskey, R. Menedlsohn, Curr. Osteoporos Rep., 4 (2006) 71-75.
3. D. Verma, K. Katti, D. Katti, J. Biomed. Mater. Res. A, 78 (2006) 772-80.
4. B.d. Boyan, L.F. Bonewald, E.P. Paschalis, C.H. Lohmann, J. Roser, D.L. Cochran, Calc.
Tissue Int., 71 (2002) 519-29.
5. S.G. Kazarian, K.L. Khan, V. Maquet, A.R. Boccaccini, Biomaterials, 25 (2004) 3931-8.
6. A. Monkawa, T. Ikoma, S. Yunoki, T. Yoshioka, J. Tanaka, D. Chakarov, B. Kasemo,
Biomaterials, 27 (2006) 5748-5754.
7. Manara S., Paolucci F., Palazzo B., Marcaccio M., Foresti E..Tosi G, Sabbatini S., Sabatino P.,
Altankov G., Roveri N., Inorganica Chimica Acta, 2007, in press.
8. P. Bruni, C. Conti, A. Corvi, M. Rocchi, G. Tosi, Vibrational Spectroscopy, 29, (2001)103107.
9. C. Conti, E. Giorgini, L. Landi, A. Putignano, G. Tosi, J. Mol. Struct. 744-747 (2005) 641-6.
10. R.A.A. Muzzarelli, V.Ramos, V. Stanic, B. Dubini, M. Mattioli-Belmonte, G. Tosi, R.
Giardino, Carbohydrate Polymers, 36 1998)267-276.
11. R.A. Muzzarelli, M. Milani, M. Cartolari, R. Tarsi, G. Tosi, C. Muzzarelli,Carbohydrate
Polymers, 43(1999)55-61.
12. R.A.A. Muzzarelli, G. Biagini, A. De Benedittis, P. Mengucci; G. Majni, G. Tosi,
Carbohydrate Polymers, 45(2000)35-41.
13. R.A.A. Muzzarelli, G. Tosi, O. Francescangeli and C. Muzzarelli, Carbohydrate Research,
338(2003)2247-2255.
14. R. Muzzarelli, G. Littarru, C. Muzzarelli, G. Tosi, Carbohydrate Polymers, 53(2003)109-115.
15. R.A.A. Muzzarelli, G. Tosi, O. Francescangeli and C. Muzzarelli, Carbohydrate Polymers,
56(2004)137-146.
16. C. Muzzarelli, V. Stanic, L. Gobbi, G. Tosi, R. Muzzarelli, Carbohydrate Polymers,
57(2004)73-82.
17 R.A.A. Muzzarelli, F. Orlandini, D. Pacetti, E. Borselli, N.G. Frega, G. Tosi, C.
Muzzarelli,Carbohydrate Polymers,66 (2006)363-371.
52
Tematica 3
3- Spettroscopia Infrarossa, spettrometria NMR e Modellistica Molecolare per l’analisi di ‘building
blocks’ di composti bioattivi
E’ continuata anche l’analisi su ‘building blocks’ di composti bioattivi, nella fattispecie di derivati
pirrolidinici preparati con la reazione di Baylis-Hillman, al fine di meglio comprendere il
meccanismo della reazione. Determinazioni FT-IR e studi di meccanica molecolare hanno permesso
di delucidare la stabilità conformazionale in vari solventi[1].
BIBLIOGRAFIA
1. Galeazzi R., Martelli G., Orena M., Rinaldi S., Sabbatini S,. Molecular modelling and FT-IR
solution study of conformationally restricted mimetic of the RGDG sequence”, 2007. Inviato per la
pubblicazione.
4-Microspettroscopia FT-IR imaging su fluidi biologici e su materiale da resezioni chirurgiche
Lo studio spettroscopico di campioni biologici, come cellule o tessuti inoculati e tessuti umani da
resezione chirurgica nonché su fluidi biologici, è proseguito nell’ottica di effettuare analisi quali- e
quantitative a livello molecolare con la possibilità di usare questa tecnica nella diagnosi di patologie
tumorali. Abbiamo approfondito i complessi e variegati aspetti dello studio FT-IR di tumori della
cavità orale, del colon e del seno (quest’ultimo in collaborazione con l’università di Atene) usando
sia una sorgente IR convenzionale sia dispositivi multidetector[1-3].
Gli spettri sono stati effettuati su linee cellulari e su sezioni di tessuto caratterizzate da zone
neoplastiche. I risultati dell’Analisi multivariata sono stati confrontati con modelli spettrali di
proteine, acidi nucleici, lipidi e altri componenti di sistemi biologici. Sono stati inoltre analizzati
alcuni rapporti di bande rappresentative utili per differenziare i campioni sani da quelli malati e per
valutare il grado di avanzamento del tumore.
Si è iniziata una nuova linea di ricerca mirante allo studio di cellule staminali derivanti dalla polpa
dentaria al fine di una loro caratterizzazione spettroscopica durante il processo di differenziazione
che viene influenzato da vari fattori, come il tipo e l’età del paziente nonché le modalità di
trattamento. Il protocollo contempla la messa a punto di una buona casistica per la formulazione di
caratteristici standard spettroscopici da usare come riferimenti nello studio di cellule staminali
patologiche.
In collaborazione con l’Università di Verona, inoltre, abbiamo proseguito lo studio sia di colture
cellulari transfettate con PSMA (Prostate Specific Membrane Antigen) sia di linfomi di tipo nonHodgkin [4,5]. Abbiamo analizzato l’effetto della trasfezione di PSMA nella linea cellulare CHOWT (Chinese Hamster Ovary cell-Wild Type), dal momento che non sono noti in letteratura studi
condotti su linee cellulari che correlino le modifiche spettroscopiche con i meccanismi coinvolti nei
processi patologici di questa ghiandola. Questi studi preliminari ci hanno permesso di constatare
che la trasfezione del PSMA nelle cellule CHO determina un aumento del contenuto proteico a
livello cellulare ed incrementa l’attività di sintesi del DNA.
Per quanto concerne i linfomi non-Hodgkin (gruppo eterogeneo di malattie linfoproliferative di
varia malignità e aggressività che originano dai linfociti), l’analisi spettroscopica ha evidenziato
notevoli differenze spettrali tra i campioni sani e quelli malati permettendoci di confermare l’ipotesi
che nel processo di carcinogenesi, l’intera cellula subisce delle modificazioni riguardanti sia la
concentrazione lipidica e proteica, sia il numero dei legami idrogeno tra i gruppi fosfato degli acidi
nucleici.
BIBLIOGRAFIA
1. Conti C., Ferraris P., Giorgini E., Pieramici T., Possati L., Rocchetti R., Rubini C., Sabbatini S.,
Tosi G., Mariggiò A., Lo Muzio L., J. Mol. Struct., 834-836(2007)86-94.
53
Tematica 3
2. Conti C., Ferraris P., Giorgini E., Rubini C., Sabbatini S., Tosi G., Anastassopoulou J.,
Arapantoni P., Boukaki E., Konstadoudakis S., Theophanides T.and Valavanis C., J. Mol.
Struct., 2007, available on line.
3. Conti C., Ferraris P., Giorgini E., Sabbatini S., Tosi G., Anastassopoulou J., Arapantoni P.,
Boukaki E., Konstadoudakis S., Theophanides T., Valavanis C., Brilliant Light in Life and
Material Science, V. Tsakanov and H. Wiedemann (eds.), Springer, 2007, 273-278.
4. Colombatti M, Conti C., Ferraris P., Fracasso G., Giorgini E., Malvezzi-Campeggi F., Monti F.,
Sabbatini S., Tosi G., Vibrat. Spectrosc., inviato per la pubblicazione.
5. Burattini E., Malvezzi-Campeggi F., Chilosi M., Conti C., Ferraris P., Monti F., Sabbatini S.,
Tosi G., Zamò A., J. Mol .Struct., 834-836(2007)170-175.
P. Bruni, M. Pisani, V. Fino
-) Complessi ternari lipidi-DNA-ioni metallici
Lo sviluppo di nuovi sistemi che veicolino DNA per riparare, sostituire o potenziare il patrimonio
genetico di cellule eucariote è un tema di grande attualità nella comunità scientifica, tanto da
sviluppare numerosi metodi e applicazioni con approcci di tipo virale e non virale.
Nella progettazione di sistemi in grado di trasportare materiale genetico si deve tener conto di alcuni
criteri quali la selettività verso le cellule bersaglio, la capacità di esprimere una quantità
sufficientemente elevata del gene trasportato a fini terapeutici con un rapporto rischio/beneficio
ragionevolmente basso.
Attualmente i sistemi più efficienti dopo i virus si sono dimostrati essere i complessi formati
dall’associazione spontanea di liposomi cationici e DNA. Nonostante l’intrinseca tossicità,
determinata dall’ interazione della testa cationica (in genere uno o più gruppi ammonici quaternari)
con la PKC causandone l’inibizione, essi vengono ampiamente studiati ed utilizzati in ambito
clinico. Comunque l’efficienza di trasfezione è ancora bassa se paragonata a quella dei vettori virali,
ed tali complessi sono instabili se dispersi nel siero, rendendo difficoltose le applicazioni in vivo.
Complessi composti esclusivamente da liposomi (L) neutri, DNA, e metalli bivalenti (Me2+), che
sono studiati nel nostro Gruppo di Ricerca,[1-3] rappresentano l’alternativa più innovativa e
importante ai tradizionali CLs (lipoplessi) soprattutto a causa della bassa citotossicità e della
maggior vita nel circolo sanguigno che ne rende più interessante l’applicazione in vivo. Nell’ambito
dello studio e dello sviluppo di questi complessi ternari è stata intrapresa la caratterizzazione
strutturale e morfologica di nuovi vettori di potenziale interesse per il trasporto di DNA basati
sull’utilizzo di liposomi neutri e metalli bivalenti, ottenendo promettenti risultati di trasfezione in
vitro. È stata inoltre investigata la correlazione tra composizione-struttura-funzione biologica nei
complessi di L-DNA-Me2+, con ultimo obbiettivo di realizzare un trasporto genico “designbased”.[4-5]
Nello sviluppo di tali vettori di DNA la carica superficiale dei liposomi sembra essere di cruciale
importanza non solo per la stabilità del sistema in dispersione e per l’interazione elettrostatica tra gli
elementi del complesso ma ne favorisce anche l’adesività nei confronti della membrana lipidica
della cellula bersaglio. Al fine di ottenere complessi sufficientemente carichi per svolgere il lavoro
che si richiede loro, si vuole ottimizzare il rapporto tra lipide neutro, metallo bivalente e DNA e
sviluppare dei vettori sintetici capaci di trattenere più efficacemente dei fosfolipidi naturali la carica
del catione metallico sulla superficie del liposoma. In vista della funzionalizzazione di questi
complessi è stato completato il lavoro di determinazione strutturale mediante diffrazione di raggi X
di complessi la cui miscela lipidica è costituita da DOPE/DOPE-PEG 350. I risultati ottenuti
mostrano interessanti transizioni di fase del complesso, dalla fase esagonale 2D a fasi cubiche 3D,
all’aumentare della concentrazione di DOPE-PEG 350.[6] Allo stesso tempo è stata intrapresa la
sintesi di nuovi vettori anfifilici che siano in grado di funzionalizzare i liposomi neutri utilizzando
anche saccaridi, capaci di aumentare l’efficienza di trasfezione per attivazione enzimatica, ed
54
Tematica 3
oligopeptidi caratterizzati da un elevato punto isoelettrico che, a pH fisiologico presentino una o più
cariche nette positive agendo come i lipoplessi.
BIBLIOGRAFIA
1. Pisani M., Bruni P., Conti C., Giorgini E., Francescangeli O. Molecular Crystals Liquid Crystals
434(2005)643-651
2. Francescangeli O., Pisani M., Stanic V., Bruni P., Weiss T. M. Europhysics Letters,
67(2004)669.
3. Pisani M., Bruni P., Caracciolo G., Caminiti R., Francescangeli O. J. Phys. Chem. B,
110(2006)13203-13211.
4. Bruni P., Pisani M., Amici A., Marchini C., Montani M., Francescangeli O. Applied Physics
Letters, 88(2006)7.
5. Bruni P., Pisani M., Amici A., Marchini C., Montani M., Francescangeli O., 2006 (2007) 35-37.
6. Pisani M., Fino V., Bruni P., Di Cola E., Francescangeli O., J. Am. Chem. Soc., submitted.
2 – Biocristallografia
a) Base scientifica e tecnologica:
Le indagini di tipo biocristallografico che verranno svolte dalle Unità di Bologna, Napoli e Trieste
hanno come obiettivo lo studio dei meccanismi di azione delle proteine attraverso la comprensione
dei rapporti struttura-funzione. Da un punto di vista sperimentale le tecniche utilizzate sono di tipo
sia biochimico sia cristallografico, e comprendono i metodi di crescita dei cristalli proteici, la
raccolta dei dati diffrattometrici e la loro elaborazione e analisi via computer-grafica. Come attività
collaterali, vengono svolte ricerche su famiglie di proteine omologhe nel campo della modellistica
assistita da computer, basandosi su allineamenti di sequenze e su previsioni di strutture secondarie.
L’era della genomica sta lasciando il posto alla proteomica, cioè lo studio dell’insieme di proteine
espresso in una cellula, incluse tutte le isoforme e le modificazioni post-traduzionali. Poichè le
proteine prodotte variano da cellula a cellula, dipendendo del momento di vita della cellula e in
risposta a fattori esterni, lo studio del proteoma è sicuramente una sfida rispetto allo studio del
genoma. Le attività che verranno affrontate dalle varie Unità sono articolate su diversi linee di
ricerca, anche ambiziose e sono descritte di seguito.
b) Obiettivi specifici:
UNITÀ DI BOLOGNA
-) Cristallizzazione di macromolecole biologiche su superfici funzionalizzate
La produzione di cristalli proteici di qualità adatta a studi di diffrazione di raggi X rimane uno degli
impedimenti più grandi che oggi si pone alla determinazione della struttura tridimensionale di
macromolecole biologiche. L’attività di ricerca sarà quindi indirizzata verso lo sviluppo di nuove
tecniche di cristallizzazione atte a promuovere e facilitare la nucleazione e la crescita di cristalli. In
collaborazione con il gruppo del Prof. Garcia Ruiz (Granada, Spagna), leader mondiale nella
realizzazione di apparati innovativi per la cristallizzazione di macromolecole biologiche, verrà
continuata iniziata una ricerca con l’obiettivo di realizzare nuovi sistemi che favoriscano il processo
di cristallizzazione di macromolecole biologiche.
Studi condotti dal gruppo di ricerca del prof. Roveri hanno dimostrato che l’utilizzo di
superfici funzionalizzate promuove e facilita la nucleazione e la crescita di cristalli. Inoltre è stato
dimostrato che il loro uso permette di abbassare, rispetto ai convenzionali vetrini siliconati, alcuni
parametri critici della cristallizzazione quali la concentrazione iniziale della soluzione proteica ed il
55
Tematica 3
tempo di cristallizzazione. Le superfici funzionalizzate sono sistemi versatili, per le quali la densità
e la natura dei gruppi esposti possono essere facilmente variate in termini di carica elettrica ed
idrofilicità/idrofobicità. Per capire appieno il ruolo rivestito dai gruppi carichi esposti sulla
superficie, durante il processo di cristallizzazione di macromolecole biologiche, sono state testate
due superfici: film di polistirene solfonato a tempi via crescenti e foglietti di mica silanizzata con
due silani (100% n-propiltrietossisilano, 100% 3-amminopropiltrietossisilano e varie miscele dei
due). Tutti gli esperimenti sono stati fatti utilizzando un apparato per la cristallizzazione in vetro,
brevettato dal gruppo di Granada, chiamato crystallization mushroom, che sfrutta il principio della
diffusione di vapore per cristallizzare sia piccole molecole sia macromolecole biologiche. Questo
sistema offre diversi vantaggi rispetto alle tradizionali tecniche utilizzate per la cristallizzazione, tra
cui quella di maggior importanza è data dalla possibilità di testare contemporaneamente in un unico
esperimento diverse condizioni di cristallizzazione.
L’obiettivo principale delle ricerche in programma è quello di capiree il meccanismo che
controlla la nucleazione e crescita di cristalli di macromolecole biologiche su superfici.
Obiettivi specifici. La ricerca di nuove superfici nucleanti facilmente funzionalizzabili sarà il
principale indirizzo di questa linea di ricerca. Verranno utilizzate superfici di minerali (e.g. mica) e
funzionalizzate con vari silani. Il controllo dell’idrofilicità
superficiale e la variazione dei gruppi ionizzabili presenti potrebbe
permettere la formulazione di un meccanismo di interazione tra la
macromolecola e la superficie. Verranno inoltre fatte delle prove di
cristallizzazione di proteine fin ora non cristallizzate. La ricerca
verrà organizzata in tre fasi: (i) per ciascuna proteina verranno fatti
esperimenti per determinarne le condizioni ideali di
Crystallization mashroom
cristallizzazione (soluzione riserva e concentrazione proteica) per
il "mushroom”; otimizzazione delle condizioni trovate in fase (i)
ed adattamento alle nostre esigenze, ossiadi pochi cristalli di sufficiente grandezza in ciascuna
goccia; (iii) utilizzo delle superfici per capire il meccanismo attraverso cui influenzano e
controllano il processo di nucleazione. Scopo di tale fase è determinare le condizioni di
cristallizzazione che portano alla formazione di cristalli sulla superficie ma non sul vetrino
siliconato usato come controllo.
-) RIP: Proteine Inattivanti il Ribosoma
Numerose proteine isolate da una varietà di tessuti vegetali sono simili alla catena A della
ricina e, in modo analogo a queste, inattivano il ribosoma eucariotico mediante un meccanismo
enzimatico. Il loro meccanismo di azione è stato identificato come un’attività N-glicosidica che
rompe in modo idrolitico il legame N-glicosidico del A4324 del 28 S rRNA.
La denominazione proteine inattivanti il ribosoma (RIP) tipo 1 (a differenza del tipo 2, tra le
quali la ricina e tossine simili a doppia catena) è utilizzata per indicare le proteine a catena singola
con le proprietà descritte sopra. Le RIP mostrano un’alta omologia di sequenza amminoacidica e
sembrano avere una simile attività enzimatica. Tuttavia, esse agiscono in modo diverso su ribosoma
di piante, protozoa e animali. Per questa ragione sono uno strumento utile per lo studio delle
proprietà del ribosoma. Inoltre, l’interesse verso le RIP è in crescita da quando esse sono utilizzate
come “immunotossine”, molecole ibride costituite da un motivo tossico legato ad un anticorpo, il
quale riconosce in modo specifico cellule malate, neoplasti, immunocomponenti e cellule di
parassiti. Lo studio strutturale di varie e nuove RIP è essenziale per la risoluzione di alcuni problemi
che si incontrano nella preparazione di immunotossine.
L’attività di ricerca del gruppo è ricolta allo studio di RIP tipo I. Queste sono: la lichnina (dai
semi del Lychnis chalcedonica, 26,6 kDa, pI > 9), la diantina 30 (Dianthus caryophyllus, 32,0 kDa)
e la momorcochina-S (dai semi del Momordica cochinchinesis, 30,7 kDa).
La diantina 30 e la lychnina sono state cristallizzate e la loro struttura è stata risolta tramite
“molecular replacement”. Sono ancora in corso esperimenti di cristallizzazione della
56
Tematica 3
momorcochina-S per ottenere dei cristalli adatti ad uno studio strutturale a raggi X.
Obiettivo Lo studio continuerà con dei tentativi di cristallizzazione di altre proteine
appartenenti alla famiglia delle RIP, quali buganina e momorchina e la determinazione della
struttura delle due proteine già cristallizzate. E’ inoltre in programma la sintesi di varie forme
ricombinanti al fine di chiarire il meccanismo di inibizione dell’attività ribosomiale.
-) Gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi fotosintetica
Le gliceraldeidi-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH) sono enzimi implicati nella glicolisi, nella
glucosogenesi e nel ciclo della riduzione del carbonio di organismi fotosintetici. Le GAPDH
fotosintetiche, localizzate nei cloroplasti, sono formate da una (A) oppure due (A e B) subunità e
sono in grado di utilizzare come coenzima sia il NAD che il NADP, con preferenza per
quest’ultimo. Le subunità A (36 kDa) e B (39 kDa) delle GAPDH dei cloroplasti sono omologhe e
altamente conservate. L’estensione C terminale nella subunità B (CTE) include 31 residui assenti
nella subunità A. Sono conosciute due isoforme della GAPDH plastidiale: l’isoforma principale
contiene subunità A e B in quantità stechiometriche le quali si associano sia in un tetramero A2B2,
stabilizzato dal NADP, o in un esadecamero A8B8, stabilizzato dal NAD. Questa forma è definita
come quella GAPDH regolatrice in quanto numerosi substrati e altri effettori possono modulare la
sua attività e struttura quaternaria; la seconda isoforma è un omotetramero formato di tipo A molto
attivo con il NADP e meno efficiente con il NAD, il quale non provoca variazioni nella struttura
quaternaria.
Il gruppo di ricerca ha recentemente pubblicato, per la prima volta, la struttura cristallografica
di una GAPDH fotosintetica (la forma non regolatrice A4 estratta dalle foglie degli spinaci)
complessata con il NADP. Le caratteristiche basilari di questa struttura sono molto simili alla
GAPDH glicolitica, già conosciuta. Tuttavia delle differenze sostanziali sono state osservate nel
dominio di legame col cofattore. Anche la struttura cristallina della forma ricombinante A4GAPDH da Spinacia oleracea, espressa in E.coli, complessata con NAD è stata risolta dal gruppo di
ricerca. Dal confronto tra le strutture dei due complessi si osservano, nell’organizzazione
tridimensionale, delle differenze minime quando la GAPDH ospita nel dominio di legame il NAD o
il NADP. La struttura cristallina del A4-GAPDH complessata con il NADP ha mostrato che i
residui conservati, Thr33 e Ser188, interagiscono tramite legami ad idrogeno con il 2-fosfato del
NADP, suggerendo che questi residui conservati possano essere implicati nella definizione della
specificità del coenzima nella GAPDH fotosintetica.
Obiettivo Sulla base di queste informazioni, ed avendo disponibile la forma ricombinante,
verranno prodotte e cristallizzate due forme mutanti del A4-GAPDH, T33A e S188A. La struttura
di questi due mutanti sarà stata risolta. Questa sarà la base scientifica per la preparazione di
eventuali altri mutanti.
Studio del trasporto cellulare di farmaci anti-tumorali a base di platino della nano alla micro
scala mediante cristallografia a raggi X e microscopia di fluorescenza
Il gruppo di biomineralizzazione e biocristallografia è già stati coinvolto in un progetto inteso
a chiarire i meccanismi di trasporto dei farmaci anti-tumorali a base di platino. In tale progetto
l’ubiquitina e la superossido dismutasi umana, due proteine che probabilmente interagiscono con il
cis-Pt dopo la sua somministrazione nei pazienti, sono state co-cristallizzate con cis-Pt ed altri ioni
metallici.
Nel continuo del progetto si estenderà l'indagine cristallografica utilizzando proteine coinvolte
nell’omeostasi del rame. E’ stato dimostrato che tali proteine sono anche responsabili per il
trasporto di farmaci a base di platino. Mentre i meccanismi di trasporto del rame sono stati
parzialmente chiariti, si conosce poco sui meccanismi di interazione e veicolazione dei trasportatori
del rame col platino. Allo stato attuale non si possono ipotizzare analogie nel trasporto dei due
metalli, in quanto la chimica del platino è molto diversa da quella del platino.
Hah1 e CopC sono, tra le proteine di trasporto del rame, le più studiate dal punto di vista
strutturale. Hah1 è una chaperonina implicata nella veicolazione del rame a proteine delle malattie
57
Tematica 3
di Wilson e di Menkes (ATP7A e ATP7B). CopC è una proteina batterica coinvolta nel trasporto
del rame.
Nel progetto verrà studiata mediante cristallografia l'interazione tra Hah1 e CopC con
substrati a base di platino selezionati. Tali studi permetteranno di caratterizzare i siti d’interazione
del farmaco a base di platino e la conseguente alterazione della conformazione della proteina
causata dal legame col farmaco.
La conoscenza delle interazioni tra il metallo e la proteina responsabile per il suo trasporto
rappresenta solo un primo passo verso la comprensione del processo di movimento dello stesso
attraverso la cellula. Al fine di ottenere una visione completa dei fenomeni in gioco è essenziale
studiare la distribuzione intracellulare di questi farmaci in colture cellulari trattate con il farmaco.
La microscopia di fluorescenza a raggi x da luce di sincrotrone (XFM) e la microscopia a
fluorescenza UV sono potenti strumenti per la localizzazione dei composti del platino nelle cellule.
Le due tecniche forniscono informazioni complementari: XFM è localizza e quantifica i metalli,
mentre la fluorescenza UV localizza i fluorofori legati al metallo. Tali tecniche quindi permettono
di localizzare il platino ed i suoi leganti nella cellula.
Obiettivo Questa ricerca dovrebbe consentire la definizione delle interazioni a livello atomico
del farmaco a base di platino con le proteine responsabili del suo trasporto e di identificare la sua
localizzazione nella cellula. Le informazioni acquisite, che vanno dalla nano alla micro scala,
avranno un potenziale utilizzo nella progettazione di nuovi farmaci con l'obiettivo di ottimizzare il
processo di “delivery” di farmaco. Inoltre, tali studi potrebbero essere utili per fornire informazioni
sui meccanismi di resistenza al farmaco.
Partecipanti alle ricerche
Prof. Alberto Ripamonti (Emerito), Prof. Giuseppe Falini, Dr. Simona Fermani, Dr. Giovanna Tosi
UNITÀ DI NAPOLI
La conoscenza della struttura tridimensionale delle macromolecole coinvolte in processi
biologici è un passaggio fondamentale per comprenderne la funzione e per sviluppare strategie per
modularne l'attività. Infatti, solo avendo a disposizione informazioni dettagliate sulla struttura di
queste complesse molecole è possibile descrivere in maniera accurata i loro meccanismi d'azione.
Le attività di ricerca dell’unità di Napoli in questo settore si sviluppano su due diverse direttrici. La
prima è dedicata alla caratterizzazione strutturale mediante tecniche di biocristallografia di
biomolecole complesse coinvolte in gravi patologie umane. La seconda macrotematica è diretta allo
studio strutturale di enzimi e proteine di potenziale interesse biotecnologico, essenzialmente isolate
da organismi che vivono in condizioni ambientali estreme.
Per quanto riguarda la caratterizzazione strutturale di proteine di interesse biomedico, una
parte delle attività previste sono volte alla caratterizzare di nuovi target e nuove molecole di
rilevante interesse per lo sviluppo di nuove molecole con attività antibatterica. In particolare,
saranno oggetto di studio proteine isolate da organismi responsabili di gravi patologie quali il
Mycobacterium tubercolosis (proteine RPF, RIB ed adesine) e l’Helicobacter pylori (SOD). Inoltre,
si prevede di caratterizzare proteine coinvolte nel processo di biosintesi proteica (fattori di
allungamento e di scambio). Infine, saranno completati studi strutturali su proteine della classe
ribosome inctivating proteins (RIPs). Una parte rilevante delle attività previste su molecole di
interesse biomedico riguarderà la caratterizzazione di anidrasi carboniche, una classe di proteine
coinvolte in numerose patologie umane. In questo contesto, le attività programmate seguiranno su
differenti filoni: caratterizzazione di nuove isoforme della proteina e indagini strutturali di loro
complessi con inibitori. Infine, sono previsti studi cristallografici su fattori oncogenoci ed
oncosoppressori coinvolti in tumori solidi del sistema nervoso (neuroblastoma e medulloblastoma).
In particolare, sono state programmate attività volte alla definizione della struttura delle proteine
REN-KCTD11 e KCTD21 e dei loro interattori.
58
Tematica 3
Le linee di ricerca focalizzate su proteine ed enzimi di interesse biotecnologico sono
essenzialmente basate su sistemi isolati da organismi che vivono in ambienti inusuali. Particolare
attenzione sarà rivolta a proteine isolate da organismi ipertermofili le cui proteine mostrano
un’eccezionale resistenza alla temperatura. In questo contesto, saranno studiate una serie di
ossidoriduttasi (tioredossine e tioredossine redattasi, PDO), deidrogenasi, lipasi, esterasi e fattori di
trascrizione. In parallelo, saranno analizzate anche proteine isolate da organismi che vivono a
temperature particolarmente basse. In questo settore, saranno condotte indagini strutturali su
emoglobine isolate da pesci antartici, che mostrano peculiari proprietà funzionali e strutturali.
BIBLIOGRAFIA
(1) Mandrich L, Menchise V, Alterio V, De Simone G, Pedone C, Rossi M, Manco G.
Proteins. Pubblicato online il 12 Dec 2007.
(2) Ruggiero A, Chambery A, Di Maro A, Parente A, Berisio R. 2007 . Proteins. Pubblicato
online il 27 Ott 2007.
(3) De Simone G, Supuran CT. 2007 Curr Top Med Chem. 7:879-84.
(4) Vergara A, Franzese M, Merlino A, Vitagliano L, Verde C, di Prisco G, Lee HC, Peisach
J, Mazzarella L. 2007. Biophys J. 93:2822-9.
Pubblicazioni precedenti più significative a carattere biocristallografico sui sistemi studiati
(1) Alterio V, Vitale RM, Monti SM, Pedone C, Scozzafava A, Cecchi A, De Simone G,
Supuran CT. 2006. J Am Chem Soc.128:8329-35.
(2) De Simone G, Mandrich L, Menchise V, Giordano V, Febbraio F, Rossi M, Pedone C,
Manco G. 2004. J Biol Chem. 279:6815-23.
(3) Berisio R, Granata V, Vitagliano L, Zagari A. 2004. J Am Chem Soc 126:11402-3.
(4) Berisio R, Schluenzen F, Harms J, Bashan A, Auerbach T, Baram D, Yonath, A. 2003. Nat
Struct Biol 10:366-70.
(5) Menchise V, De Simone G, Tedeschi T, Corradini R, Sforza S, Marchelli R, Capasso D,
Saviano M, Pedone C. 2003. Proc Natl Acad Sci U S A. 100:12021-6.
(6) Bashan A, Agmon I, Zarivach R, Schluenzen F, Harms J, Berisio R, Bartels H, Franceschi
F, Auerbach T, Hansen HA, Kossoy E, Kessler M, Yonath, A. 2003. Mol Cell 11, 91-102.
UNITÀ DI TRIESTE
Il Centro di Eccellenza in Biocristallografia dell’Università di Trieste ha recentemente acquisito un
nuovo cristallizzatore automatico Tecan modello Freedom Evo. Lo strumento è controllato da un
computer con un software molto flessibile che permette di programmare esperimenti di
cristallizzazione e sarà di grande utilità per i lavori che si prefigge l’unità.
Purificazione e caratterizzazione strutturale di complessi della fosfodiesterasi umana (famiglia
PDE4) con nuovi inibitori
La funzione delle proteine della famiglia delle PDE rientra nel metabolismo dei nucleotidi.
Queste proteine, infatti, idrolizzano il legame 3’-5’ fosfodiestereo che si forma nei nucleotidi
monofosfato ciclici purinici come cAMP e cGMP, regolandone così l’attività di secondi messaggeri
intracellulari ad esempio nel meccanismo fisiologico del rilassamento muscolare. L’azione
enzimatica ed il ruolo delle PDE sono di rilevante importanza anche in alcuni processi
infiammatori, dove agiscono attraverso l’inibizione di cellule specifiche del sistema immunitario. In
uno studio infatti è stato dimostrato come nella patologia della sclerosi multipla il ruolo delle PDE
sia fondamentale per la regolazione dell’attività di monociti e macrofagi, mentre la regolazione di
cellule come eosinofili, neutrofili e linfociti rappresenta un ruolo chiave in patologie infiammatorie
come asma, psoriasi e dermatite allergica. Numerosi studi condotti fino ad ora sono orientati verso
lo sviluppo di farmaci specifici in grado di regolare l’attività di questi enzimi.
59
Tematica 3
Il programma di lavoro prevede l’espressione, la purificazione e la determinazione strutturale
con raggi X di complessi delle varianti della fosfodiesterasi umana PDE4B2 e PDE4D2 con
inibitori commerciali e di nuova concezione, sviluppati dalla Chiesi-Farmaceutici; l’analisi dei dati
strutturali servirà per la comprensione del meccanismo di inibizione e per ottenere informazioni per
lo sviluppo di nuovi inibitori. Lo studio sarà svolto avvalendosi di tecniche di biologia molecolare
per l’espressione della proteina, in collaborazione con il laboratorio diretto dal Prof. Gianluca Tell
presso l’Università degli Studi di Udine. Tecniche di purificazione e cristallizzazione di proteine e
di esperimenti di diffrazione RX da cristallo singolo saranno utilizzate per la risoluzione della
struttura del complesso proteina-inibitore.
Lo studio verrà affrontato in due fasi successive. Nella prima saranno messe a punto le procedure
sperimentali per l’espressione e purificazione su piccola scala da 1-2 litri di coltura batterica (<1 mg
di proteine ricombinanti); per procedere poi all’ampliamento della scala di crescita ed espressione
su volumi di 10 litri di coltura utilizzando un biofermentatore in grado di controllare le condizioni
di crescita e, per la purificazione, apparati per cromatografia in fase liquida (FPLC e HPLC) già
disponibili.
L’obiettivo finale è quello di ottenere grandi quantità di proteina purificata (> 10 mg)
mediante tecniche di cromatografia liquida con lo scopo di ottenere cristalli dei complessi del
dominio catalitico della PDE4 con inibitori.
Studio delle interazioni redox dipendenti nei complessi di trasferimento elettronico del
citocromo c
Lo studio, volto ad analizzare l’interazione del citocromo c da cuore di cavallo con i propri
partner biologici, sarà svolto in collaborazione con il gruppo di ricerca del prof. Luigi Messori
dell’Università di Firenze. L’obiettivo di questo lavoro è l’individuazione delle variazioni strutturali
connesse allo stato d’ossidazione del citocromo.
I citocromi di tipo c sono piccole metallo-proteine globulari di colore rosso-bruno
caratterizzate dalla presenza del gruppo prostetico di protoporfirina IX di tipo c, legato
covalentemente alla catena polipeptidica. Queste proteine, presenti in quasi tutti gli organismi
viventi, svolgono il ruolo fondamentale di trasportatori di elettroni nei processi respiratori e
fotosintetici. I citocromi c eucariotici, in particolare, sono proteine costituite da una singola catena
polipeptidica in genere di 103 o 104 residui amminoacidici. Il gruppo eme è legato alla catena
polipeptidica attraverso due legami tioeterei tra due sostituenti del macrociclo e due residui di
cisteina e coordina uno ione ferro, che completa la sua sfera di coordinazione ottaedrica nelle
posizioni assiali con un atomo di azoto di un residuo istidinico ed un atomo di zolfo di un residuo di
metionina. Il ferro eminico può essere presente sia come Fe(II) (ferrocitocromo), sia come Fe(III)
(ferricitocromo).
Precedenti studi biocristallografici, condotti sulla forma ridotta ed ossidata del citocromo c da
tonno, hanno evidenziato variazioni minimali nella struttura proteica. [1]
L’analisi delle variazioni strutturali, indotte dallo stato di ossidazione del metallo, è
particolarmente importante per comprendere il meccanismo di formazione e rottura dei complessi
proteici nella catena di trasporto degli elettroni nei mitocondri. L’analisi della carica elettrostatica
superficiale, fra la forma ossidata e la forma ridotta, sarà affrontata mediante tecniche
biocristallografiche del citocromo c da cuore di cavallo utilizzando lo ione nitrato come sonda
ionica. Dati preliminari indicano che le maggiori differenze tra le due strutture riguardano le catene
laterali dei residui che si trovano sulla superficie della proteina. Variazioni significative si
osservano anche nel core proteico, corrispondente al gruppo eme e ai residui che presentano
interazioni con esso tramite legami covalenti, legami ad idrogeno o interazioni di natura più debole.
Nel complesso citocromo bc1-citocromo c, 1KYO [2], l’analisi delle regioni che sono state
evidenziate nelle strutture ottenute in presenza di ioni nitrato mostra che queste sono effettivamente
coinvolte nell’interazione del citocromo c con il citocromo bc1. È probabile che il trasferimento
elettronico coinvolga i residui presenti in questa zona della proteina. Da quest’analisi si può
ipotizzare per il complesso bc1 una maggiore affinità per la forma ossidata del citocromo c,
60
Tematica 3
piuttosto che per quella ridotta. Il ferrocitocromo, infatti, presenta sulla superficie di interazione
cariche elettrostatiche positive che non corrispondono alla scarsa carica negativa presente su bc1. Il
trasferimento di un elettrone dal complesso bc1 al citocromo c comporta, secondo questo
meccanismo, una variazione delle cariche elettrostatiche presenti sulla superficie del citocromo c.
Nel complesso del citocromo c con la citocromo c perossidasi (CcP), 2PCC [3], si osserva che
l’interazione tra le due proteine coinvolge una regione del citocromo c che, nelle strutture ottenute
in questo lavoro, non presenta un numero elevato di interazioni con gli ioni nitrato. Considerando
che per il suo ruolo biologico, la perossidasi lega il citocromo c ridotto, è ipotizzabile un
meccanismo diverso di rottura e formazione del complesso di trasferimento elettronico rispetto a
quello ipotizzato per il complesso bc1.
Il terzo complesso analizzato non coinvolge in realtà un citocromo di tipo c, ma un citocromo
di tipo c2 e il complesso del Centro di Reazione (RC) batterico, 1L9J [4]. Nonostante la sequenza
amminoacidica di questi due citocromi sia piuttosto diversa, la loro struttura tridimensionale risulta
piuttosto simile.
Studio strutturale del riconoscimento molecolare tra antigene e anticorpo nella
crioglobulinemia mista di tipo II associata a infezione da HCV.
In collaborazione con il Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano, il Centro di
Eccellenza in Biocristallografia dell’Università di Trieste sta sviluppando un progetto di ricerca
sulle problematiche inerenti alle complicanze associate all’infezione del virus dell’epatite C (HCV)
e, in particolare, la crioglobulinemia mista di tipo II (CM), una malattia cronica di tipo
autoimmunitario caratterizzata da proliferazioni oligoclonali di linfociti B, che in un significativo
numero di casi esita ad un linfoma non Hodgkin (NHLs) conclamato [5,6]. La crioglobulinemia è il
risultato della produzione da parte dei linfociti B di immunoglobuline di tipo M (IgM) bispecifiche,
capaci cioè di riconoscere oltre all’antigene virale (la proteina non strutturale NS3) anche la regione
costante delle immunoglobuline di tipo G (Fc-IgG) [6,7]. La risposta autoimmune, oltre a causare la
formazione di crioprecipitati composti dai complessi IgM-IgG (crioglobulinemia), provoca una
anomala stimolazione dei linfociti B che si ritiene possa facilitare l’insorgenza della patologia
neoplastica. Lo scopo di questo progetto è lo studio delle interazioni esistenti fra l’autoanticorpo
IgM e i suoi antigeni NS3 e Fc-IgG, finalizzato al possibile sviluppo di farmaci capaci di impedire il
riconoscimento antigene-anticorpo e la proliferazione delle cellule B, diminuendo l’incidenza dei
linfomi nei pazienti HCV-positivi.
La modellizzazione del frammento variabile dell’immunoglobulina IgM, caratterizzata a
partire dal crioprecipitato di un paziente HCV positivo, con complicanze dovute alla
crioglobulinemia mista e al conseguente sviluppo di un linfoma, ha permesso di individuare una
sequenza peptidica che mima la parte variabile dell’immunogobulina (MALOT-LHCV,
Miniaturized Antibody Light chain One Three CRD of Lymphoma from HCV). Tale sequenza,
basata su una ricostruzione tridimensionale dell’epitopo, include circa 40 residui amminoacidici
appartenenti a regioni diverse del sito di riconoscimento specifico dell’anticorpo. Presso il
laboratorio del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, il peptide così prodotto verrà testato in
vitro, per determinarne l’immunogenicità. Presso il Centro di Eccellenza in Biocristallografia
dell’Università di Trieste, invece, la sequenza prodotta verrà caratterizzata strutturalmente mediante
studi di diffrazione di raggi X su cristallo singolo, singolarmente e nel complesso
antigene/anticorpo. La caratterizzazione di questi complessi, infatti, può permettere l’ottimizzazione
della sequenza peptidica, in modo da migliorare la specificità/affinità degli anticorpi prodotti a
partire da questo antigene, nei confronti delle immunoglobuline di tipo M di pazienti HCV positivi.
BIBLIOGRAFIA
(1) Geremia, S., et al., Protein Sci, 2002. 11(1): p. 6-17.
(2) Lange, C. and C. Hunte, Proc Natl Acad Sci U S A, 2002. 99(5): p. 2800-5.
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(4) Axelrod, H.L., et al., J Mol Biol, 2002. 319(2): p. 501-15.
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Tematica 3
(5) De Re, V., et al., Int J Cancer, 2000. 87(2): p. 211-6.
(6) De Re, V., et al., Blood, 2000. 96(10): p. 3578-84.
(7) De Re, V., et al., Leukemia, 2006. 20(6): p. 1145-54.
c) Caratteristiche delle Unità di ricerca
Le Unità di ricerca di Ancona, Bologna, Napoli e Trieste hanno una qualificata esperienza nello
studio della struttura di cristalli, di molecole e di macromolecole ampiamente riconosciuta ed
apprezzata a livello nazionale ed internazionale. Esse metteranno a disposizione delle altre unità le
loro competenze e le relative strumentazioni per la risoluzione strutturale, a mezzo diffrazione di
RX di piccole molecole, proteine e altri sistemi biologici. L’attività viene assicurata anche dal
lavoro di giovani ricercatori, che hanno acquisito, anche con soggiorni all’estero, specifiche
competenze ad elevato livello nella purificazione di proteine, nella biocristallografia e nel computer
modelling.
L’Unità di Ancona ha esperienza specifica nelle tecniche di spettroscopia infrarossa (Spettrometro
FT-IR Perkin-Elmer Spectrum GX1 con accessori per misure in riflettanza DRIFT, CIRCLE e
ATR), NMR ed EPR.
L’Unità di Bologna ha anche esperienza nelle tecniche di diffrazione di raggi X a basso angolo,
nelle tecniche microcalorimetriche (DSC e TG) e tests meccanici e nelle tecniche di microscopia
elettronica a scansione (SEM), ed a trasmissione (TEM) e di microscopia a forza atomica (AFM).
L’Unità di Napoli ha anche esperienza nella sintesi e caratterizzazione di peptidi, nella modellistica
molecolare, negli studi strutturali mediante spettroscopia NMR.
L'Unità di Trieste, che fa parte del Centro di Eccellenza di Biocristallografia, ha esperienza delle
seguenti tecniche necessarie per realizzare i suddetti obiettivi e che mette a disposizione anche delle
altre unità:
a) disegno, sintesi e caratterizzazione di nuovi modelli B12 e di loro derivati supramolecolari;
b) tecniche di cristallizzazione e caratterizzazione strutturale da cristallo singolo di proteine
mediante diffrazione di raggi X da sorgenti convenzionali e da radiazione di sincrotrone;
c) caratterizzazione strutturale di centri metallici mediante EXAFS;
d) analisi delle proprietà redox (voltammetria ciclica e spettroelettrochimica).
L' Unità di Trieste, è dotata, per la raccolta dati di diffrazione RX, di un area detector DIP 1030
utilizzato con diffrattometro a radiazione Mo-Kα con sistema di raccolta a bassa temperatura fino a
100 K e di un detector CCD recentemente installato su anodo rotante con radiazione al Cu; di un
laboratorio attrezzato per l'espressione e purificazione di proteine; di un laboratorio attrezzato per la
cristallizzazione di proteine; di una rete di Silicon graphics per l'elaborazione dei dati. Alcuni
membri dell'Unità di Trieste hanno esperienza pluriennale di utilizzo della linea di diffrazione RX
del sincrotrone Elettra e di quella EXAFS al sincrotrone Lure, eseguendo regolarmente misure
previa approvazione degli appositi Comitati Scientifici. In particolare, il prof. Vlaic ha costruito e
messo a punto la nuova linea EXAFS presso Elettra
d) Attività di formazione
Per quanto riguarda le ricerche nel campo della biocristallografia le Unità di Bologna, Napoli e
Trieste svolgono attività di alta formazione di laureandi, laureati e dottorandi. In particolare i
borsisti svolgono la propria attività su tematiche di ricerca del Consorzio.
Il CIRPEB, presso cui opera l’Unità di Napoli del Consorzio, finanzia contratti di collaborazione
scientifica per giovani laureati e diplomati per la formazione di essi nell’ambito delle biotecnologie
avanzate. Inoltre la gran parte dei ricercatori del centro svolge anche attività di ricerca nell'Istituto
di Biostrutture e Bioimmagini del CNR. Questo Istituto svolge attività di alta formazione
documentata dalle numerose borse di studio assegnate nell'ambito di progetto PON e POR.
L'Istituto negli anni ha assegnato numerosi contratti di collaborazione a laureati e diplomati e ha
finanziato dottorandi in Scienze Chimiche e in Biochimica.
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