Tematica 3 TEMATICA 3 BIOMATERIALI E BIOCRISTALLOGRAFIA Alla realizzazione di questo progetto di Ricerca concorreranno quattro unità operative, in cui sono localizzati gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare: UNITÀ OPERATIVA DI BOLOGNA, UNITÀ OPERATIVA DI TRIESTE, UNITÀ OPERATIVA DI NAPOLI, UNITÀ OPERATIVA POLITECNICA DELLE MARCHE. I progetti di questa linea di ricerca sono diretti allo studio avanzato, soprattutto di tipo strutturale, di sistemi biologici mineralizzati con lo scopo principale di riuscire a simulare i processi naturali per progettare e preparare in modo biomimetico nuovi materiali strutturali e biomateriali innovativi, nonchè di accumulare le conoscenze scientifiche indispensabili per sviluppare applicazioni biotecnologiche nei diversi settori da quello biomedico e ambientale a quello tecnologico. 1 – Biomateriali a) Base scientifica e tecnologica La biomineralizzazione è il processo mediante il quale gli organismi formano dei materiali compositi, costituiti da macromolecole e minerali, con una grande varietà di proprietà adeguate alle funzioni che debbono svolgere. I processi di biomineralizzazione consistono nella conversione di ioni in soluzione in composti solidi attraverso attività cellulari che rendono possibili i cambiamenti chimico fisici necessari per la formazione dei biominerali e la loro crescita cristallina. La funzione più ovvia dei biomateriali biogenici è quella di costituire compositi inorganico-polimerici caratterizzati da una alta gerarchia strutturale aventi funzione non solo di supporto e protezione del sistema biologico, ma anche sensore e regolatore di numerosi parametri chimico fisici. Gli studi sulla struttura dei tessuti biologici e sui meccanismi di formazione dei biominerali sono estremamente importanti per la progettazione di nuovi biomateriali sintetici. Nei tessuti biologici non viene spesa energia per modificare materiali e strutture non funzionanti, ma quasi esclusivamente per ottimizzare le microstrutture già operanti. Inoltre i tessuti mineralizzati sono per lo più materiali compositi sofisticati in cui le componenti inorganica e macromolecolare e la loro interfaccia sono ben definite ed ottimizzate. Pertanto questi sistemi rappresentano modelli ideali a cui ispirarsi per la progettazione e sviluppo di nuovi biomateriali sintetici biomimetici. La comprensione delle diversità morfologiche dei tessuti biologici mineralizzati, dal rivestimento microscopico degli organismi unicellulari fino agli esoscheletri macroscopici degli organismi marini, ed al tessuto osseo e dentale dei vertebrati, hanno stimolato da secoli l'immaginazione e la curiosità dei ricercatori. Non meno stimolanti sono le particolari proprietà chimico-fisiche che posseggono molti di questi materiali. La chiave per la comprensione ad esempio delle proprietà meccaniche risiede chiaramente nella organizzazione strutturale sviluppata dagli organismi stessi. L'architettura di questi materiali coinvolge alcune delle comuni strategie usate nei materiali sintetici quali compositi a fibre rinforzate o a strati. Un'altra strategia fondamentale che molti organismi impiegano nella costruzione di questi materiali consiste nel controllo della fase minerale depositata. Ben noti esempi sono: le conchiglie dei molluschi e gli aculei del riccio di mare per quanto riguarda i tessuti contenenti come minerale il carbonato di calcio, oppure l'osso ed i denti dei vertebrati nel caso dei tessuti contenenti come fase minerale i fosfati di calcio. In questi tessuti le macromolecole sono organizzate in modo da formare una matrice polimerica sulla quale sono adsorbite glicoproteine acide. La matrice controlla la crescita 33 Tematica 3 della fase minerale interagendo sia con gli ioni inorganici che con le glicoproteine acide, e influenzando fortemente le proprietà del composito. Lo strato madreperlaceo delle conchiglie dei molluschi è stato il primo tessuto mineralizzato in cui sia stata determinata la relazione spaziale tra cristalli e matrice organica. I cristalli sono di aragonite, il polimorfo del carbonato di calcio di poco meno stabile della calcite, che è il polimorfo termodinamicamente più stabile dei quattro polimorfi cristallini del carbonato di calcio. Le differenze strutturali fra calcite ed aragonite sono molto piccole e sono principalmente confinate alle posizioni degli ioni carbonato. Malgrado queste piccole differenze molti organismi controllano a livello genetico la formazione di uno dei vari polimorfi. Esistono diversi esempi in cui la calcite si forma in un sito e l’aragonite in un altro sito dello stesso organismo. La vaterite e la monoidrocalcite sono gli altri due polimorfi cristallini del carbonato di calcio. Ambedue sono relativamente instabili, ma si formano e sono stabilizzati in alcuni organismi da opportune ricoperture macromolecolari come pure i depositi biogenici di carbonato di calcio amorfo. La comprensione del controllo del polimorfismo del carbonato di calcio biogenico richiede non solo lo studio delle problematiche connesse alla nucleazione controllata, ma soprattutto implica la risposta a domande ancora più complicate relative ai vantaggi, che un polimorfo più di un altro può arrecare all’organismo biologico. Uno degli obiettivi di questo programma di ricerca è anche quello di individuare le basi molecolari che portano alla deposizione biogenica di una certa fase minerale e in molti casi di uno specifico tra i possibili polimorfi. La matrice polimerica dello strato madreperlaceo delle conchiglie dei molluschi è costituita da uno strato interno di beta-chitina posto tra due strati polimerici di macromolecole simili alla fibroina della seta, ricoperti da glicoproteine acide su cui avviene la nucleazione dell’aragonite. E’ stato anche mostrato che esiste una relazione spaziale fra gli orientamenti dei componenti della matrice e degli assi cristallografici dell’aragonite. Un modello della matrice è stato costruito usando la βchitina della penna di calamaro e la fibroina della seta. Aggiungendo a questo substrato le macromolecole acide estratte dagli strati aragonitici o calcitici delle conchiglie di mollusco, è stato dimostrato che le macromolecole estratte dallo strato aragonitico inducono riproducibilmente la cristallizzazione dell’aragonite e quelle estratte dallo strato calcitico la cristallizzazione della calcite. Questi studi hanno dimostrato che l’induzione della cristallizzazione dell’aragonite o della calcite è interamente dipendente dalle proprietà strutturali del substrato. Recenti studi hanno anche dimostrato che il polimorfismo del carbonato di calcio può essere controllato facendo avvenire la cristallizzazione su matrici collagenose contenenti poli-L-aspartato. L’impiego di queste matrici hanno anche permesso di dimostrare che il microambiente, in cui avviene la cristallizzazione all’interno della matrice, condiziona l’assemblaggio dei cristalli. Nel tessuto osseo, il processo di biomineralizzazione consiste nella deposizione ordinata di cristalli di idrossiapatite su una matrice collagenosa. Studi condotti prevalentemente con tecniche di diffrazione di raggi X e di microscopia elettronica hanno permesso di evidenziare una stretta relazione strutturale tra i due componenti ed hanno portato alla formazione di un modello per la calcificazione delle fibre collagene. Secondo questo modello, in un primo stadio del processo di biomineralizzazione l’apatite è nucleata nella regione a minore densità elettronica della struttura fibrillare del collageno formando dei blocchi inorganici la cui densità elettronica aumenta all’avanzare del processo. In uno stadio successivo la deposizione va ad interessare anche gli spazi interfibrillari, dove si localizzano cristalli allungati e preferenzialmente orientati con il loro asse c parallelamente all’asse delle fibre collagene. La notevole influenza della organizzazione strutturale del collagene sulle modalità di deposizione della fase apatitica appare evidente anche dai risultati dello studio eseguito sulla calcificazione in vitro di tendini decalcificati. La fase che si deposita in seguito all’esposizione dei tendini a soluzioni metastabili di calcio e fosfato è una carbonato apatite poco cristallina, le cui caratteristiche morfologiche e strutturali sono molto simili a quelle proprie delle apatiti biologiche. Inoltre, i cristalli crescono con il loro asse cristallografico c preferenzialmente orientato in direzione parallela a quella delle fibrille collagene. Inoltre, i dati di diffrazione di raggi X a basso angolo dei campioni trattati con soluzioni di calcio a basso grado di 34 Tematica 3 sovra saturazione indicano che la deposizione della fase apatitica provoca modificazioni della distribuzione di densità elettronica delle fibre collagene che possono essere attribuite alla deposizione dei cristalli inorganici nella regione “gap” della struttura fibrillare del collagene. Il grado relativo di orientazione dei cristalliti apatitici e delle fibre collagene nei tessuti calcificati puo' essere valutato rispettivamente dall'analisi della distribuzione dell'intensita' del riflesso 002 dell'idrossiapatite e dei riflessi meridionali a basso angolo del collageno. Questo approccio, utilizzato in diversi tessuti biologici calcificati sottoposti o meno a deformazione meccanica, ha permesso di determinare l’orientazione relativa dei due componenti strutturali e correlare le diverse proprieta' meccaniche alle diverse organizzazioni strutturali dei tessuti esaminati. In particolare, sono state studiate le modificazioni strutturali indotte in osteoni singoli da cicli successivi di carico/rimozione del carico. E’ stato verificato che il processo di ciclaggio meccanico provoca una riduzione del grado di orientazione dei cristalli apatitici, specialmente negli osteoni a struttura longitudinale, in cui le lamelle longitudinali sono predominanti e non sono protette dall’azione contenitiva delle lamelle trasversali come negli osteoni a struttura alterna. D’altra parte, il ciclaggio meccanico non sembra alterare l’orientazione delle fibrille collagene, probabilmente perché il loro disorientamento è un processo reversibile. Su queste basi, la degradazione meccanica degli osteoni in seguito a cicli di carico/rimozione del carico è stata attribuita ad una separazione dei cristalli dalle fibrille collagene. Un simile approccio è stato utilizzato per studiare l’organizzazione morfologica dei componenti strutturali nella tibia di coniglio, che viene spesso utilizzato per testare la risposta del tessuto osseo a materiali da impianto. I risultati, confrontati con quelli parallelamente ottenuti con tecniche di microscopia ottica, indicano che sia i cristalli apatitici sia le fibrille collagene presentano una preferenziale orientazione in direzione parallela all’asse lungo della tibia. Le differenze riscontrate nella direzione dello spessore rispetto al piano delle lamelle parallele all’asse lungo della tibia, indicano che entrambi i componenti giacciono preferenzialmente nel piano lamellare disponendosi obliquamente rispetto l’ asse della tibia. Inoltre il grado di orientazione dei cristalli apatitici è maggiore nella faccia laterale della tibia, rispetto alla caudale ed alla media, aspetto strutturale di cui si deve tener conto nella valutazione delle modificazioni strutturali dovute all’eventuale inserimento di una protesi. Lo sviluppo di nuovi materiali che possano essere utilizzati per riparare difetti nel sistema scheletrico, rappresenta un importante obiettivo nella scienza dei biomateriali. I materiali in oggetto dovrebbero essere in grado di espletare una quantità di funzioni, da quella cementante, a quella strutturale a quella bioattiva. Attualmente i biomateriali inorganici utilizzati come sostituti del tessuto osseo in ortopedia, odontoiatria e chirurgia maxillofacciale, sono per lo più materiali ceramici ottenuti con processi ad elevate temperature, che raramente sono in grado di interagire efficacemente con il tessuto osseo. Questi materiali pur essendo biocompatibili non sono bioattivi e una volta impiantati nei tessuti biologici si comportano da inerti. I sostitutivi ossei ceramici e vetrosi di prima generazione infatti rimanevano permanentemente nella sede dell’ impianto con una limitata integrazione con il tessuto osseo circostante. Essi si comportavano come corpi estranei con proprietà meccaniche totalmente diverse da quelle ossee ed erano tollerati biologicamente grazie alla loro biocompatibilità ed assenza di cessione locale di metalli e ioni responsabili di necrosi cellulare. Successivamente i biomateriali ceramici e vetrosi di seconda generazione non si limitavano ad essere biocompatibili, ma prevedevano una maggiore integrazione con i tessuti in cui venivano impiantati. L’ integrazione vene spesso ottenuta sintetizzando biomateriali inorganici con morfologia porosa in grado di conferire al biomateriale non solo una micro permeabilità ai liquidi biologici, ma anche una macroporosità in grado di ospitare le cellule e favorirne la crescita. Questi materiali trovano oggi ampie ed interessanti applicazioni nella preparazione di protesi come quelle per la teca cranica, che richiedono una forma ben definita che deve essere mantenuta nel tempo assieme ad elevate ed invariabili proprietà meccaniche. L’ integrazione con il tessuto biologico è ottenuta ottimizzando il fattore forma, dimensione, comportamento meccanico e porosità del biomateriale impiantato. Quando invece si deve sostituire il tessuto osseo, riempendo uno spazio 35 Tematica 3 non ben definito, necessita un biomateriale che abbia proprietà meccaniche simili a quelle ossee e sia in grado di integrarsi col tessuto biologico permettendo la crescita di nuovo tessuto osseo. Con queste finalità sono stati progettati e realizzati biomateriali inorganici non solo biocompatibili, ma anche bioriassorbibili, ovvero in grado di essere gradualmente riassorbiti permettendo la crescita di osso neoformato che gradualmente sostituirà il biomateriale sintetico. Biomateriali che possono essere diversamente sintetizzati per esibire tempi diversi di riassobimento in condizioni fisiologiche a seconda delle necessità richieste dall’ impianto. Un esempio classico di biomateriale di seconda generazione è rappresentato dal rivestimento con fosfati di calcio delle protesi in titanio ed acciaio. Rivestimento inorganico che inizialmente crea una ottima interfaccia col tessuto osseo circostante stabilizzando l’ impianto protesico e che poi lentamente viene riassorbito per lasciare che sia l’ osso neoformato ad immobilizzare la protesi metallica. Ora la ricerca si cimenta con la realizzazione di biomateriali di terza generazione che non sono solo biocompatibili e biointegrabili, ma debbono essere anche bioattivi ovvero in grado di stimolare una reazione a livello cellulare.La bioattività può realizzarsi in vari modi. Anzitutto si è cercato di ottimizzare l’interfaccia chimica biomaterialetessuto osseo mediante la realizzazione di veri e propri legami chimici tra il composto di sintesi e il tessuto naturale. Si è ottimizzata la reattività superficiale del biomateriale controllandola ed indirizzandola verso interazioni specifiche con l’ apatite ossea. La formazione di questi legami è un obiettivo scientifico e tecnologico di notevole interesse. A questo scopo, e più in generale per mettere a punto la preparazione di nuovi materiali con particolari proprietà tecnologiche, sempre più attenzione viene rivolta alle soluzioni adottate dagli organismi viventi durante i processi di biomineralizzazione per sviluppare materiali in cui la funzione viene controllata dalla forma. Infatti gli organismi viventi hanno costruito scheletri mineralizzati per gli ultimi 550 milioni di anni sviluppando una moltitudine di strategie, spesso molto diverse da quelle utilizzate dall’ingegneria tissutale, per ottimizzare questi biomateriali. Attualmente processi biomimetici che simulano quelli propri della biomineralizzazione sono stati utilizzati con successo per preparare biomateriali innovativi che mimano i materiali biogenici per composizione, struttura e morfologia. I biominerali sono in genere compositi assemblati da molecole e ioni facilmente disponibili, di solito in mezzo acquoso, a temperatura ambiente ed in modo da ottenere forme definite attraverso processi di sintesi sol-gel oppure utilizzando tempranti macromolecolari. L’idrossiapatite sintetica, riveste un notevole interesse come biomateriale non solo per la sua elevata biocompatibilità, ma anche per la possibilità di essere sintetizzata con caratteristice biomimetiche. In particolare, l’utilizzo di idrossiapatite nanocristallina, di dimensioni, morfologia, struttura e grado di cristallinità paragonabile a quella dei cristalli apatitici dell’osso risulta particolarmente interessante in quanto la sua elevata area superficiale implica anche una migliore adesione alla matrice ossea. Il passo successivo consiste nel finzionalizzare superficialmente i biomateriali biomimetici consentendogli di rilasciare con cinetica controllata molecole biologicamente attive come farmaci, fattori di crescita, proteine ed enzimi. Un ulteriore miglioramento può essere ottenuto dall’utilizzo di compositi idrossiapatite/polimeri, le cui proprietà meccaniche possono essere modulate attraverso un opportuno dosaggio dei due componenti. La presenza della componente polimerica può migliorare notevolmente il legame interfacciale con il tessuto osseo. Ottimizzare l’interfaccia con il tessuto biologico significa ottimizzare l’adesione, la diffusione di molecole biologicamente attive, la migrazione e la proliferazione della componente cellulare. Tale obiettivo può essere raggiunto anche attraverso la messa a punto di superfici nanostrutturate in grado di controllare la nucleazione e crescita della fase inorganica a livello nanometrico , molecolare. L’ approccio biomimetico non si esaurisce nella progettazione e sintesi di biomateriali che in un qualche modo mimino nelle caratteristiche chimico-fisiche i biomateriali biogenici, ma deve essere inteso anche come fonte di ispirazione, ovvero mimare in laboratorio i processi biologici per realizzare processi innovativi sintetici volti alla preparazione di materiali innovativi per qualsiasi applicazione non necessariamente biomedicale.. L’ osservazione dei processi biologici ha permesso di sintetizzare nuovi materiali quali ossidi di ferro, apatite,carbonati silicati, solfuri di cadmio, che 36 Tematica 3 trovano impiego in diversi settori tecnologici d’ avanguardia. Appare quindi particolarmente interessante poter utilizzare l’ esperienza e le conoscenze acquisite nell’ ambito degli studi condotti su i processi di biomineralizzazione, caratterizzazione dei biomateriali biogenici e sintesi di biomateriali bioattivi per progettare e realizzare materiali innovativi con proprietà specifiche per applicazioni innovative in ambito ambientale e tecnologico. E’ questo lo spirito che ha recentemente portato alla sintesi e caratterizzazione di nuovi materiali definibili geomimetici ovvero in grado di mimare per composizione, struttura e morfologia specifici minerali con peculiari proprietà funzionali. Vi sono infatti fasi minerali tra cui carbonati, fosfati e silicati che per la loro struttura sono in grado di catalizzare numerose reazioni organiche e biologiche. Sono proprio le loro particolari caratteristiche strutturali che hanno portato i ricercatori a considerarli un elemento fondamentale per la nascita della vita sul nostro pianeta. Reazioni enzimatiche, polimerizzazione proteica, assembleggio ordinato di amminoacidi, stabilizzazione di molecole organiche di interesse biologico e dei loro assemblaggi sembrano essersi realizzate grazie all’ azione templante e catalizzante di specifiche fasi minerali. Le strutture a strati dei silicati forniscono notevoli potenzialità per la sintesi di intercalati metallici, ionici e molecolari per le più disparate applicazioni oltre a quelle biomedicali. Con queste strutture vi sono alcuni fillosilicati tra cui il crisotilo, formatisi in specifiche condizioni di genesi geologica, che hanno costituito fasi minerali fibrose in grado di esibire straordinarie caratteristiche chimico-fisiche. I minerali asbestiformi sono stati utilizzati per preparare numerosissimi manufatti industriali che hanno caratterizzato i materiali strutturali, coibentanti, impermeabilizzanti, ignifughi ed isolanti del secolo scorso. E’ stato messo in evidenza il rischio per la salute umana rappresentato dalle fibre di amianto e diventa quindi essenziale chiarire il meccanismo chimico che sta alla base della sua tossicità e citotossicità. Queste conoscenze risultano indispensabili particolarmente ora che la società deve rimuovere, stoccare, trasformare manufatti contenenti amianto per proteggere la salute umana. L’ esperienza acquisita sulla bioattività dei biomateriali risulta quasi indispensabile per affrontare in modo competente lo studio dei processi chimici che stanno alla base della citotossicità delle fibre di amianto. Solo la collaborazione tra chimici, biologi e medici potrà chiarire questi meccanismi di tossicità in cui la presenza di ioni metallici estranei alla struttura del crisotilo sembrano assumere una ruolo rilevante per innescare reazioni di ossidazione superficiale delle fibre rendendole tossiche nei confronti della componente cellulare. BIBLIOGRAFIA 1. H.A. Lowenstam, S. 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Biologically active nanoparticles of a carbonate-substituted hydroxyapatite, process for their preparation and composition incorporating the same. PCT/EP2006/005146 del 30 05 2006. Guaber S. p. a., 2006. 15. Palazzo, B.; Sidoti, M. C.; Roveri, N.; Tampieri, A.; Sandri, M.; Bertolazzi, L.; Galbusera, F.; Dubini, G.; Vena, P.; Contro, R. Materials Science & Engineering, C: Biomimetic and Supramolecular Systems (2005), 25(2), 207-213. 16. Roveri, N.; Morpurgo, M.; Palazzo, B.; Parma, B.; Vivi, L. Analytical and Bioanalytical Chemistry (2005), 381(3), 601-606. 17. Sabatino P., Casella L., Ggranata A., Iafisco M., Lesci I.G., Monzani E., Roveri N. (2007).. J. of Coll. and Interf. Sci. vol. 314(2), pp. 389 – 397. 18. Foresti, Elisabetta; Hochella, Michael F., Jr.; Kornishi, Hiromi; Lesci, Isidoro G.; Madden, Andrew S.; Roveri, Norberto; Xu, Huifang. M Advanced Functional Materials (2005), 15(6), 1009-1016. 19. Falini, Giuseppe; Foresti, Elisabetta; Gazzano, Massimo; Gualtieri, Alessandro F.; Leoni, Matteo; Lesci, Isidoro G.; Roveri, Norberto. Chemistry--A European Journal (2004), 10(12), 3043-3049. b) Obiettivi specifici: UNITA’ DI BOLOGNA: Norberto Roveri, Eleonora Cibej, Giuseppe Falini, Simona Fermani, Ismaela Foltran, Elisabetta Foresti, Guido Fracasso, Michele Iafisco, Marco Lelli, Isidoro Giorgio Lesci, Barbara Palazzo, Lia Rimondini, Piera Sabatino, Giovanna Tosi, Tommaso Zuccheri G. Falini, E. Cibej, S. Fermani, G. Tosi 1- Studio della crescita di carbonati di calcio in gels e liquidi ionici Nei tessuti mineralizzati, tipo la madreperla delle conchiglie, la crescita della fase minerale, aragonite, avviene in una matrice organica. Tale matrice organica, secondo un modello ottenuto tramite studi di microscopia elettronica a trasmissione in condizioni criogeniche, è costituita da un idrogel di proteico intrappolato in una struttura costituita da chitina. La matrice contiene due differenti classi di proteine. Una classe, ricca di glicina e alanina, adotta una conformazione beta e possiede una sequenza di amminoacidi simile alla fibrina della seta. L’altra classe è un complesso insieme di glicoproteine idrofiliche, molte delle quali sono ricche in residui aspartici. Si suppone che la famiglia di proteine simili alla fibroina della seta formi un gel. Quindi la crescita dell’aragonite nella madreperla avviene in gel. Quindi è di particolare importanza lo studio della crescita di carbonati di calcio in gels contenenti macromolecole acide. Un ruolo particolarmente importante nel processo di controllo del polimorfismo del carbonato di calcio e della sostituzione isomorfa nella struttura della calcite viene svolta dall’idratazione degli ioni. Lo ione magnesio, di rilevanza biologica ed ambientale, avendo una densità di carica maggiore dello ione calcio, viene considerato il responsabile del controllo sul polimorfismo. Si ritiene che in natura specifiche macromolecole siano in grado di alterare la sfera di idratazione dello ione magnesio e di conseguenza la sua capacità di controllo sulla precipitazione dei carbonati. Sebbene questo sia ben accettato dalla comunità scientifica, non vi sono alla stato attuale delle evidenze 38 Tematica 3 sperimentali. L’utilizzo di liquidi ionici come solventi permette di condurre esperimenti di cristallizzazione in assenza di acqua. Non solo la scelta tra vari liquidi ionici permette di controllare la coordinazione degli ioni e, come conseguenza, la loro interazione. L’obiettivo principale delle ricerche in programma è di chiarire il ruolo della struttura di gels e dell’idratazione degli ioni sulla nucleazione e crescita di sali di calcio durante i processi di mineralizzazione attraverso lo studio in vitro di fasi minerali su matrici che simulino i sistemi naturali. Il significato di questo studio inizialmente consisterà nel miglioramento delle conoscenze dei problemi più stimolanti della biomineralizzazione. L’attesa, però, è di utilizzare tali conoscenze, in particolare quelle riguardanti il modo di ottimizzare la crescita di minerali, per progettare, preparare e caratterizzare biomateriali a base di sali inorganici e macromolecole biologiche con proprietà meccaniche e strutturali prestabilite. Obiettivi specifici. Verranno analizzate la struttura, le proprietà meccaniche e la stabilità di gels ottenuti da alcuni polimeri biologici, quali collageno, gelatina, fibrina, chitina, fibroina della seta. Tali gels verranno utilizzati per studi di mineralizzazione di carbonati di calcio in presenza di macromolecole biologiche estratte dai tessuti mineralizzati o di equivalenti sintetici. I dati ottenuti verranno utilizzati per la comprensione di meccanismi che avvengono in vivo e la sintesi di minerali con morfologia e composizione controllata. Inoltre saranno condotti esperimenti di cristallizzazione di carbonato di calcio in liquidi ionici. I dati ottenuti saranno cruciali per la definizione del ruolo dell’idratazione degli ioni nel controllo del polimorfismo ed isomorfismo del carbonato di calcio. Particolare attenzione verrà posta agli aspetti strutturali e morfologici dei materiali ottenuti, tramite studi di diffrazione di raggi X utilizzando sorgenti di sincrotrone con micro-fascio. Tale studio si avvarrà dell’esperienza fornita dalla collaborazione con vari gruppi ricerca, per la scelta dei gels e dei cristalli liquidi di maggior rilevanza biologica. 2- Studio della crescita di carbonati di calcio in presenza di comb-polymers La macromolecole acide presenti nei tessuti mineralizzati sono delle glicoproteine in cui la catena peptidica, ricca in residui apartici e glutammici, viene ramificata da polisaccaridi. Queste macromolecole sono ritenute le principali responsabili del processo di controllo di biomineralizzazione. La loro struttura è molto simile a quella di comb-polymers sintetici utilizzati nell’industria dei cementi Portland, contenenti carbonati, come superplastificanti per aumentare la lavorabilità della malta. Questi ultimi sono delle catene di poliacrilato ramificate con glicoli polietilenici. Il meccanismo di azione di questi polimeri è del tutto sconosciuto. Questa inusuale analogia stimola una ricerca trasversale nella quale comb-polymers saranno utilizzati nella crescita di carbonati di calcio e macromolecole acide in sistemi modelli di cemento. L’obiettivo principale delle ricerche in programma è duplice, (i) chiarire il meccanismo di azione dei comb-polymers nella crescita dei carbonati di calcio e di trasferire queste informazioni sui cementi al fine di produrre nuovi supeplastificanti; (ii) relazionare i meccanismi di azione dei combpolymers con quelli delle macromolecole acide al fine di una maggiore comprensione dei meccanismi di biomineralizzazione. Obiettivi specifici. Verranno estratte macromolecole acide da vari tessuti cartonatici ottenuti da diverse specie e verranno acquistati i comb-polymers di utilizzo nell’industria dei cementi. Tali polimeri saranno utilizzati nella crescita di carbonati di calcio ed i risultati ottenuti saranno utilizzati per la sintesi di nuovo comb-polymers o la modificazione strutturale di quelli esistenti. N. Roveri, E. Foresti, G. Fracasso, M. Iafisco, B. Palazzo, L. Rimondini Sintesi di apatiti nanocristalline mediante metodi innovativi Nanocristalli di carbonato-idrossiapatite con caratteristiche simili a quella biogenica [1] verranno sintetizzate utilizzando oltre alla classica sintesi in “batch” già ampiamente studiata, altre tecniche di cristallizzazione: 39 Tematica 3 - cristallizzazione in fase gel (gel di metasilicato); - cristallizzazione in diffusione di vapore nel mushroom. - cristallizzazione in micelle inverse. Con la prima tecnica si potranno ottenere cristalli di idrossiapatite usando un sistema di diffusione di una soluzione di cloruro di calcio attraverso un gel di metasilicato attivato con acido fosforico. Con la seconda si potranno ottenere nanocristalli di idrossiapatite usando la diffusione di vapori in modo da raggiungere lentamente il pH ideale per la precipitazione di idrossiapatite. Con la terza si potranno ottenere cristalli mediante reazioni in microenviroment costituiti da micelle. Le matrici sopraccitate verranno funzionalizzate con molecole farmacologicamente attive a base di Pt o con nanoparticelle metalliche [2]. Si sfrutterà ad esempio l’immobilizzazione superficiale di fosfonati, bisfosfonati ed amminoacidi la cui funzionalità libera (non impegnata nel legame con l'idrossiapatite) verrà utilizzata per realizzare un link con l’agente bioattivo (molecola o nanoparticella). Il rilascio di questi agenti biologicamente attivi sarà subordinato alla rottura del legame con lo spacer (fosfonato, bisfosfonato o amminoacido). La rottura di questo legame a sua volta potrà essere controllata da fattori chimici (pH e forza ionica)e biologici(attività enzimatiche). In particolare si procederà con la funzionalizzazione dei nanocristalli apatitici con molecole di bisfosfonati (a), fosfonati (b) amminoacidi (c): a) Al fine di realizzare il legame matrice-farmaco verrà sfruttata nel primo caso l’affinità della funzionalità bisfosfonica nei confronti del calcio superficiale [3]. b) La reazione di un fosfonato [4] (ad esempio un dialogeno fosfonato) con i nanocristalli apatitici potrà avvenire in due modi: per condensazione con il gruppo idrossilico superficiale dell’apatite e relativa formazione di un legame P-O-P fra l’apatite e la funzionalità organica, oppure mediante interazione elettrostatica fra il Ca(II) superficiale e gli ioni fosfonici. 40 Tematica 3 c) Nel caso in cui si voglia funzionalizzare la superficie dei nanocristalli apatitici con amminoacidi sarà sfruttata prevalentemente l’affinità del residuo amminoacidico nei confronti o della funzionalità sia del calcio sia del foforo dell’apatite. In particolare ad esempio amminoacidi acidi (es. acido aspartico) si legheranno prevalentemente mediante il residuo laterale carbossilato agli ioni calcio superficiali dell’apatite, mentre amminoacidi basici (es. arginina) risulteranno affini al fosfato dell’HA e si legheranno ad esso mediante il terminale amminico del residuo laterale. La funzionalizzazione delle matrici biomimetiche con fosfonati, bisfosfonati ed amminoacidi verrà effettuata o per adsorbimento diretto sulle superficie apatitica, o per cocristallizzazione (sintesi dei nanocristalli apatitici in presenza degli agenti funzionalizzanti). Il grado di funzionalizzazione verrà determinato mediante il monitoraggio della quantità di fosfonato, bisfosfonato o amminoacido adsorbito in funzione di vari parametri quali il tempo, la concentrazione iniziale, la forza ionica e pH della soluzione. La stabilità della interazione substrato-bisfosfonato molecola funzionalizzante verrà valutata mediante la determinazione della cinetica di rilascio oltre che per via calorimetrica. La funzionalità libera (non legata) del bisfosfonato, del fosfonato o dell’amminoacido legato alla matrice inorganica sarà usata per immobilizzare molecole ad azione citotossica e/o nanoparticelle metalliche [2]. Una promettente prospettiva è quella di sfruttare la stabilità del legame bisfosfonatoione calcio della matrice inorganica, per realizzare un ulteriore legame chimico tra la funzionalità libera del bisfosfonato e altre molecole farmacologicamente attive. In particolare si potranno sfruttare reazioni di sostituzione della funzionalità amminica o tiolica libera del bisfosfonato sul metallo coordinante presente all’interno di complessi a base di platino. Si potranno anche utilizzare reazioni volte alla formazione di un legame peptidico fra la funzionalità amminica del bisfosfonato e una funzione carbossilica del complesso metallico. 41 Tematica 3 Gli stessi tipi di reazione sopra descritti per i bisfosfonati, potranno essere sfruttati anche per nanocristalli apatici funzionalizzati con fosfonati ed amminoacidi. Il rilascio delle molecole biologicamente attive sarà subordinato alla rottura del legame con il bisfosfonato, fosfonato o amminoacido, che potrà essere indotta da fattori chimico-fisici come pH , temperatura e forza ionica e da fattori biologici come azioni enzimatiche. I suddetti fattori, che potranno esser usati nelle simulazioni "in vitro" per realizzare rilasci indotti, sono assimilabili a quelli che vengono prodotti in vivo nel corso di specifici eventi patologici. La modificazione superficiale delle apatiti, potrà anche essere utilizzata per legare nanoparticelle metalliche, da usare come agenti biologicamente attivi. La sintesi delle nanoparticelle metalliche verrà condotta utilizzando modificazioni del metodo ideato da Brust [5] o tecniche di emulsione in micelle inverse [6] Allo scopo di immobilizzare le nanoparticelle metalliche sui cristalli di idrossiapatite sarà possibile utilizzare almeno due strategie: a) sintetizzare le nanoparticelle sui cristalli di idrossiapatite funzionalizzati. In questo caso le funzionalità organiche con cui si sono modificati covalentemente i nanocristalli potranno fungere da cappanti e templanti delle nanoparticelle metalliche. b) cappare le nanoparticelle metalliche con una delle molecole di cui al punto 2) (fosfonati, bisfosfonati ed amminoacidi), e quindi utilizzare questi cappanti come agenti ancoranti delle nanoparticelle sull’apatite. Qualunque sia la strategia utilizzata ((a) o (b)) la molecola che funge da spacer fra i nanocristalli di idrossiapatite e la nanoparticella dovrà contenere, oltre che il sito di attacco al nanocristallo apatitico, anche un gruppo che leghi il metallo. In questo la più nota è la funzionalità tiolica. N. Roveri, G. Falini, I. Foltran, E. Foresti, M. Iafisco, M. Lelli, L. Rimondini, B.Palazzo, P. Sabatino 1- Sintesi e caratterizzazione di fibre di collagene ricostituito per electrospinning Fibre nanometriche di collagene verranno preparate per electrospinning secondo modifiche del metodo recentemente riportato da I. Foltran et al. (2007) [7]. I parametri di sintesi verranno opportunamente modificati in modo da ottenere fibre biomimetiche di collagene nanodimensionate il cui biomimetismo trova riscontro nella riproduzione dell’impaccamento molecolare della proteina, caratterizzato dalla tipica bandeggiatura. La caratterizzazione delle nanofibrille di collagene e delle matrici proteiche con esse costituite per la preparazione di scaffolds cellulari per l’ingegneria tissutale, verrà condotta con tecniche diffrattometriche (DRX), spettroscopiche (FTIR, ICP-OES), calorimetriche (TGA-DTA, DSC), morfologiche (TEM, SEM-EDAX, SEM, AFM), superficiali (BET, XPS, ATR, potenziale Z) e spettroscopie-imaging nel medio infrarosso e nel Raman con determinazione in riflettanza totale ed attenuata, in riflettanza interna cilindrica e in riflettanza interna diffusa con sorgenti convenzionali e luce di sincrotrone. Verranno inoltre preparate e caratterizzate superficialmente delle matrici collagenose funzionalizzate con molecole ad effetto farmacologico mirato e con nanoparticelle metalliche. 42 Tematica 3 Una promettente prospettiva sarà quella di sfruttare le funzionalità amminiche della matrice collagenosa per realizzare un ulteriore legame chimico con molecole farmacologicamente attive, o per cappare delle nanoparticelle metalliche. Tutte le matrici apatitiche e collagenose ottenute al termine dei processi di funzionalizzazione verranno caratterizzate per: a) La loro morfologia, struttura e stechiometria superficiale b) la capacità di trattenere oppure di rilasciare con cinetica controllata l’agente biologicamente attivo (molecola ad effetto farmacologico o nanoparticella) c) l’erodibilità in ambiente fisiologico; d) l’attività’ biologica su colture cellulari diverse, ed in particolare su osteoblasti ed osteoclasti. In particolare, verranno valutate la citotossicità e l’azione antiproliferativa. Studi specifici di attività biologica verranno anche messi a punto in relazione alle funzionalità (e.g. molecola a base di Pt o nanoparticella) legati alla matrice; e) la capacità di essere utilizzate come scaffolds per la crescita cellulare, permettendo di considerare la loro potenzialità nell'ambito dell'ingegneria tissutale. La modificazione morfologica, strutturale e stechiometrica indotta dalla funzionalizzazione superficiale delle matrici apatitiche e/o collagenose verrà studiata non solo con tecniche Diffrattometriche (DRX), spettroscopiche (FTIR, ICP-OE), calorimetriche (TGA-DTA, DSC), morfologiche (TEM, TEM-EDAX, SEM, AFM), ma anche superficiali (BET, XPS, ATR, potenziale Z) e spettroscopie-imaging nel medio infrarosso e nel Raman con determinazione in riflettanza totale ed attenuata, in riflettanza interna cilindrica e in riflettanza interna diffusa con sorgenti convenzionali e luce di sincrotrone. La capacità di trattenere o rilasciare l’agente attivo (molecola o nanoparticella), legato alla funzionalità con cui si è modificata la matrice verrà studiata o monitorando il rilascio dalle matrici in soluzione fisiologica (U.V. o ICP-OES), o mappando alla stato solido le bande di assorbimento tipiche dell’agente attivo con cui la matrice è stata modificata. Il rilascio dell’agente attivo sarà subordinato o alla rottura del legame con lo spacer (bisfosfonato, fosfonato o amminoacido) che potrà essere indotto da fattori chimici e biologici oppure dalla erodibilità della matrice. Verrà, inoltre, studiata l’attività biologica delle matrici inorganiche e collagenose, opportunamente funzionalizzate. In particolare la citotossicità verrà studiata su opportune linee cellulari tumorali umane poste a contatto con le matrici in questione per misurare l’attività mitocondriale, lisosomiale, e la proliferazione cellulare. Verrano valutate anche le potenzialità delle matrici inorganiche e collagenose opportunamente funzionalizzate ai fini di un utilizzo come scaffolds cellulare per l’ingegneria tissutale. 2- Utilizzo di nanocristalli apatitici e nanofibre di collageno per la progettazione di scaffolds funzionalizzati per ingegneria tissutale Negli ultimi anni un importante contributo agli studi sulla rigenerazione dei tessuti è stata data dall’utilizzo di cellule staminali e dalla scoperta e ingegnerizzazione di fattori inducenti la proliferazione e la differenziazione delle cellule. Un approccio innovativo a riguardo, è quello che coinvolge le nano-tecnologie, che in questo campo offrono la possibilità di costruire scaffolds tridimensionali a partire da building-block di dimensioni nano-metriche. I nano building block (nanocristalli di apatite, nano fibre di collagene) possono infatti contenere le informazioni necessarie ad autoassemblarsi in modo organizzato per dare origine ad architetture la cui organizzazione a livello macroscopico è una sorta di propagazione dell’organizzazione strutturale a livello microscopico. Anche le micro-morfologie del materiale e del dispositivo (es. porosità) o la sua nanostruttura superficiale sembrano essere determinanti alla citofunzionalità e in definitiva alla rigenerazione del tessuto. Altri aspetti costituiscono un campo di indagine molto interessante e di necessaria indagine per lo sviluppo di tecniche innovative di ingegneria tissutale: 43 Tematica 3 1. lo sviluppo di scaffolds tridimensionali incorporanti i fattori di crescita e differenziazione dei tessuti 2. la possibilità di ottimizzare il rilascio dei fattori di crescita e differenziazione dei tessuti incorporati nello stesso scaffold controllandone la cinetica 3. lo sviluppo di bioreattori ottimizzati per flussi di nutrienti, forze meccaniche etc. per la realizzazione di tessuti ingegnerizzati BIBLIOGRAFIA [1] N. Roveri and B. Palazzo Hydroxyapatite nanocrystals as bone substitutes Nanotechnologies for the Lifesciences Vol. 8 “Nanomaterials and Technologies for Tissue Engineering” Kumar (ed.) Wiley [2] P. K. Jain, I. H. El-Sayed, M. A. El-Sayed Nanotoday 2007, (2) 1, 18-29 [3] B. Palazzo, M. Iafisco, M. Laforgia, N. Margiotta, G. Natile, C. L. Bianchi, D. Walsh, S. Mann, N. Roveri Advanced Functional Material (2007) 17 (13) 2180 [4] A. Aissa, M. Debbabbi, M. Griselle, R. Thouvenot, P. Gredin, R. Traksmaa, K. Journal of solid state chemistry (2007), 180, 2273-2278 [5] Brust, M.; Fink, J.; Bethell, D.; Schiffrin, D. J.; Kiely, C. Journal of the Chemical Society, Chemical Communications (1995), (16), 1655-6 [6] Ming-Li, Dong-Hwang Chen, Ting-Chia Huang Langmuir 2001, 17, 3877-3883 [7] I. Foltran, E. Foresti, B. Parma, P. Sabatino, N. Roveri, Macromolecular Symposia 2008 (In Press). N. Roveri, E. Foresti, M. Iafisco, M. Lelli, B. Palazzo, L. Rimondini -) Nuovi materiali biomimetici per la riparazione e la rigenerazione dei tessuti dentari La perdita di sostanza minerale dalla superficie degli elementi dentari, che avviene nell’arco della vita degli individui, è un fatto ineludibile. Esso è causato da patologie quali la carie dentaria o è esito di eventi fisiologici come l’usura o l’erosione dovuta al contatto occlusale, all’azione meccanica e chimica del cibo. Talvolta origina da manovre iatrogene o semplicemente da quelle quotidiane di igiene orale. Anche il carico occlusale può causare rottura della struttura smaltea a causa della fragilità di quest’ultimo (1-4) A differenza di altri tessuti mineralizzati, quelli del dente non subiscono un processo di riparazione naturale. Infatti lo smalto non possiede cellule in grado di depositare nuova matrice da mineralizzare. Neppure la dentina, che al contrario, contiene i prolungamenti citoplasmatici degli odontoblasti è in grado di rigenerare le porzioni esterne perdute perché la deposizione di dentina secondaria avviene soltanto in senso centripeto verso la polpa dentaria. Attualmente i materiali impiegati per il restauro dei denti sono chimicamente e fisicamente assai diversi dai tessuti naturali. Essi infatti sono costituiti per lo più da polimeri metacrilici caricati con diverse tipologie di filler ceramici o da materiali ceramici a base di feldspatica o alluminosa (5-8) Lo studio e lo sviluppo i materiali simili per struttura minerale allo smalto e alla dentina del dente potrebbero costituire una notevole innovazione nell’ambito dei materiali dentari. Ciò risulterebbe ancor più interessante se questi materiali potessero partecipare alla remineralizzazione della struttura dentaria. Obiettivi principali e significato della ricerca. Il lavoro di ricerca sarà indirizzato principalmente: a) allo studio della struttura di smalto, dentina e cemento radicolare e come appare nel dente sano e come viene modificata dagli eventi fisiologici e patologici con particolare attenzione alle caratteristiche micromorfologiche, composizionali e cristallografiche b) allo studio e caratterizzazione chimico-fisica e biologica di materiali nanostrutturati a base di calcio-fosfati nell’ottica di un impiego nella riparazione dei tessuti del dente ma anche con potenziale applicazione all’ingegneria tissutale dell’osso. 44 Tematica 3 c) allo studio dell’interazione di questi materiali con le strutture dentarie naturali ma anche con materiali differenti nell’ottica di ottenere una mineralizzazione biomimetica. I tessuti e i materiali così modificati verranno sottoposti a caratterizzazione chimico-fisica e biologica. d) qualora l’attività di sviluppo consenta di dimostrare la sicurezza dei materiali sviluppati e di prevederne l’efficacia saranno eseguite anche prove in-vivo. BIBLIOGRAFIA 1. Deery C, Wagner M L, Longbottom C, Simon R, Nugent Z J. Pediatric Dentistry 2000 ; 22: 505–510. 2. Kitchens M, Owens B M. J Clin Pediatr Dent 2007 ; 31: 153-159. 3. Wiegand A, Attin T. Occup Med (Lond) 2007 ; 57: 169-176. 4. Lussi A, Jaeggi T, Zero D. Caries Res 2004; 38: 34–44. 5. Spolsky VW, Black BP, Jenson L. J Calif Dent Assoc 2007 Oct;35(10):724-37. 6. Le Roux AR, Lachman N. SADJ 2007 Sep;62(8):342-4. 7. Vaught RL. J Dent Educ 2007 Oct;71(10):1356-62. N. Roveri, I. Foltran, E. Foresti, I.G. Lesci, L. Rimondini, P. Sabatino, T. Zuccheri -)Biotecnologie applicate all’ ingegneria tissutale e interazione di nanocristalli sintetici inorganici con sistemi biologici modello Lo studio accurato delle proprietà e dei processi che avvengono all’interfaccia tra materiali sintetici sia biomimetici sia di interesse ambientale da una parte e l’ambiente biologico dall’altra consente di avere un approccio di controllo della risposta biologica all’interfaccia. Il bioriconoscimento rappresenta un componente centrale di questo aspetto: qualunque tentativo di produrre una superficie funzionale sofisticata deve prendere in considerazione la capacità fortemente sviluppata nei sistemi biologici di riconoscere caratteristiche appositamente disegnate su scala molecolare. In realtà, benché le interazioni fondamentali avvengano su scala molecolare, esiste una connessione sinergica unica tra la scala nanometrica e la scala micrometrica in cui sono presenti le cellule, per esempio nel caso di impianti medici ed ingegneria tissutale. Gli eventi che si verificano quando una superficie è posta in un ambiente biologico che contiene cellule sono, per prima cosa, l’interazione con molecole d’acqua, che si legano in modo diverso a seconda delle proprietà della superficie. Lo strato di acqua superficiale influenza l’interazione di proteine e altre molecole che raggiungono la superficie successivamente, a loro volta provviste di uno strato di acqua di idratazione. L’interazione tra l’acqua superficiale del materiale e l’acqua superficiale della biomolecola influenza i processi cinetici e termodinamici alla superficie, per esempio causano, o meno, la denaturazione della proteina, la sua orientazione, il grado di copertura etc. La superficie con cui le cellule interagiscono è quindi in realtà una superficie ricoperta da proteine e l’interazione cellula/superficie è effettivamente un’interazione cellula/proteine legate alla superficie. Nel caso degli impianti medici, l’importanza di queste considerazioni è ovvia. Il design opportuno e/o le modificazioni chimico-fisiche della superficie attraverso la sua ingegnerizzazione sono uno dei molti componenti che contribuiscono al successo o all’insuccesso del risultato . Le tecnologie di coating per depositare il materiale superficiale desiderato su una matrice, le spettroscopie di superficie, come XPS, ICP/AES per caratterizzare le specie presenti su di essa e il loro rapporto stechiometrico, le tecniche microscopiche come SEM per controllare la struttura e la chimica di superficie, le tecniche di nanofabbricazione per ottenere superfici porose, le tecniche FTIR per misurare le molecole biologiche adsorbite etc, sono essenziali nella scienza delle superfici dei biomateriali utilizzati. L’ambito dell’ingegneria tissutale è un’area emergente di particolare interesse biotecnologico. Mentre nel caso dell’impianto medico viene prodotto un componente sintetico che sostituisca le funzioni della parte perduta o degradata dall’organismo ospite, l’ingegneria tissutale si basa invece 45 Tematica 3 sull’idea di produrre un tessuto realmente funzionante da una coltura cellulare facendolo crescere “ex vivo” in ambente idoneo. Per far crescere le cellule o i tessuti è necessario uno scaffold sintetico o un templato, le cui caratteristiche macroscopiche, topografia microscopica e proprietà chimiche superficiali siano tali da cooperare con altri stimoli, quali sostanze extracellulari e composizione della soluzione fisiologica etc., per fare in modo che la coltura cellulare si sviluppi in un tessuto funzionante, pronto per l’impianto. Per raggiungere questo obiettivo, nel bioreattore dove viene fatto crescere il tessuto un gran numero di parametri viene tenuto sotto controllo. La superficie dello scaffold o templato su cui le colture cellulari sono depositate deve essere disegnato specificamente per promuovere l’evoluzione del tessuto. Questo processo richiede sia una superficie non tossica sia adeguate proprietà di adsorbire proteine, perché lo starto proteico di adsorbimento che si forma sempre alla superficie influenza l’interazione cellula-superficie. Le cellule in una coltura cellulare comunicano tra di loro inviando e ricevendo molecole segnale verso e dalla matrice extracellulare. Tali segnali sono influenzati dalla superficie a cui si attaccano le cellule, quindi le superfici degli scaffolds, che possono essere dissolti alla maturazione del tessuto, sono parte integrante del tessuto che comunica e si auto-organizza. Molte tecniche di indagine di superficie sono utili per la funzionalizzazione delle stesse, oltre alla tradizionali tecniche spettroscopiche e microscopiche di caratterizzazione già menzionate sopra. Inoltre, la topografia di superficie in 3D risulta molto importante per le interazioni cellule-superficie e può richiedere metodi di micro- e nano-fabbricazione. Il lavoro di ricerca sarà indirizzato principalmente verso: a) Materiali sintetici di interesse ambientale. Sono stati sintetizzati nanocristalli di crisotilo sia come unica fase cristallina, stechiometrica e a morfologia controllata, al fine di ottenere un reale standard di riferimento, sia nanocristalli di crisotilo opportunamente drogati con Fe3+, Al3+ e Ti+4 al fine di individuare i parametri, chimici e strutturali delle diverse tipologie di amianto, responsabili del comportamento patologico di questo minerale che lo hanno portato alla sua messa al bando. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo già utilizzato un sistema biologico modello rappresentato da una proteina quale l’albumina, utilizzata come sensore per l’individuazione dei possibili meccanismi di interazione tra la fase inorganica ed gli organismi viventi. Tale interazione è stata caratterizzata dal punto di vista chimico strutturale per il crisotilo stechiometrico utilizzando tecniche come FT-IR, AFM, TEM e studi di dicrismo circolare condotti sulle soluzioni di proteina strutturalmente modificata dopo l’interazione con la matrice inorganica in funzione della copertura superficiale. Uno studio teorico parallelo di dinamica molecolare ha confermato l’esistenza di due stadi successivi nel processo di adsorbimento: uno iniziale in cui avvengono piccole modificazioni conformazionali ed uno finale in cui le modificazioni avvengono su larga scala e comportano variazioni nella struttura secondaria della proteina (unfolding). 46 Tematica 3 Immagine TEM (a) e relativa diffrazione di elettroni (b) di nanocristalli sintetici di crisotilo geomimetici da utilizzare come standard di riferimento da studiare l’interazione chimico-fisica tra le fibre di asbesto e sistimi biologici modello. Intendiamo completare tale studio 1) verificando o meno il ritorno alla conformazione nativa in soluzioni di proteina priva dell’effetto tampone e confrontando i dati sperimentali con i risultati dell’indagine teorica. 2) estendendo la studio sperimentale dell’interazione proteina-matrice inorganica ai nanocristalli di crisotilo drogati con quantità opportune di Fe3+, Al3+ e Ti+4 3) variando le caratteristiche del sistema proteico utilizzato per l’interazione attraverso l’uso della fibronectina, proteina componente della matrice extra-cellulare che favorisce l’ adesione cellulare a differenza dell’albumina.. Tale studio potrà essere condotto sia sperimentalmente sia dal punto di vista teorico, utilizzando opportuni domini della fibronectina per simularne l’adsorbimento a livello atomistico. Approccio modellistico allo studio conformazionale dell’albumina adsorbita sulla superficie del crisotilo: a) conformazione di partenza e b) stadio iniziale dell’interazione tra proteina e superficie dei nanocristalli. b) Biomateriali sostitutivi del tessuto osseo. L’idrossiapatite sintetica riveste un notevole interesse come biomateriale per la sua elevata biocompatibilità. In particolare, l’utilizzo di idrossiapatite nanocristallina, di dimensioni paragonabili a quelle dei cristalli apatitici dell’osso, risulta particolarmente auspicabile in quanto l’elevata area superficiale dovrebbe implicare una migliore adesione alla matrice ossea. 47 Tematica 3 Immagine TEM di nanocristalli sintetici di idrossiapatite biomimetica Un ulteriore miglioramento può essere ottenuto dall’utilizzo di compositi idrossiapatite/polimeri, le cui proprietà meccaniche possono essere modulate attraverso un opportuno dosaggio dei due componenti. La presenza della componente polimerica può migliorare notevolmente il legame interfacciale con il tessuto osseo. Ottimizzare il legame interfacciale con il tessuto biologico significa ottimizzare l’adesione, la diffusione, la migrazione e la proliferazione della componente cellulare. Tale obiettivo può essere raggiunto anche attraverso la messa a punto di superfici nanostrutturate in grado di controllare la nucleazione e crescita della fase inorganica. In questo ambito intendiamo 1) studiare l’interazione della matrici inorganiche con proteine attrattive della componente cellulare come la fibronectina, sia repulsive come l’albumina allo scopo di quantificare gli eventuali cambiamenti conformazionali indotti dall’adsorbimento e dopo il desorbimento dalla superficie biomimetica. Il nostro obiettivo è quello di definire il ruolo di queste proteine nella mediazione dell’interazione biomateriale/ tessuto osseo. 2) una volta ottenuti i compositi HA/collagene, sia per elettrodeposizione chimicamente assistita su lastrine di titanio sia per elettrofilatura, studiarne l’adsorbimento di soluzioni di proteine, albumina e fibronectina, a concentrazioni diverse in modo da produrre campioni a diverso grado di copertura superficiale e quindi diverse risposte all’interazione con cellule. E’ noto che il pre-coating di un biomateriale con albumina impedisce l’adesione non specifica di proteine e altre molecole biologiche ed è quindi di grande utilità in ambito biomedico. c) Ingegneria tissutale In questo ambito, ci proponiamo di studiare materiale biogenico di orgine naturale, come i biominerali di CaCO3 sotto forma di aragonite che costituiscono l’organo di flottazione dei gasteropodi, allo scopo di produrre tessuto osseo ingegnerizzato mediante una strategia biotecnologica. Per trasformazione idrotermale il carbonato di calcio verrà trasformato in idrossiapatite. Preliminarmente è necessaria un’accurata caratterizzazione dei campioni naturali utilizzando tecniche di Microscopia a Forza Atomica (AFM), Microscopia Elettronica a Scansione (SEM) e Trasmissione (TEM), Analisi Termogravimetrica (TGA), Calorimetria Differenziale a Scansione (DSC), Diffrazione di Raggi X (XRD)., spettroscopia IR a trasformata di Fourier (FTIR), tecniche di analisi di superficie (XPS, ICP-AES, microscopia confocale per studi topografici. Successivamente i campioni di idrossiapatite ottenuti potranno essere modificati in superficie, 48 Tematica 3 chimicamente e topograficamente, allo scopo di controllare le risposte bioreattive da parte del sistema biologico. E’ infatti noto che un tessuto danneggiato può essere sostituito solo con un tessuto simile provvisto di adeguata architettura tissutale di cellule e matrice extracellulare Ci proponiamo quindi di funzionalizzare la superficie con sequenze di oligopeptidi di tipo RGD, presenti in un certo numero di proteine ECM, per dirigere l’adesione cellulare e renderla bioattiva. L’utilizzo di un bioreattore permetterà di pianificare un’adeguata crescita cellulare. Verranno inoltre studiati i meccanismi chimici che stanno alla base della tossicità delle nanofibre di crisotilo attraverso l'individuazione dell'effetto nocivo di ogni singolo componente metallico presente. Ioni metallici che possono essere ceduti al sistema biologico durante il processo di dissoluzione o resi disponibili solo superficialmente a processi ossido riduttivi. Questo studio è solo ora perseguibile grazie alla possibilità di disporre di nanocristalli di crisotilo a stechiometria controllata mediante una metodica di sintesi messa a punto recentemente dall'U.R. di Bologna. Questi nanocristalli sintetici di crisotilo, che contrariamente al crisotilo naturale non producono stress ossidativi alle cellule epiteliali, rappresentano la campionatura standard di riferimento ideale per studiare l'interazione superficiale con opportuni sistemi biologici. L'U.R. di Bologna utilizzerà le proprie competenze di sintesi e caratterizzazione chimico fisica di silicati serpentinici per sintetizzare e caratterizzare dal punto di vista composizionale, chimico-fisico e morfologico nanocristalli di crisotilo ed alcuni suoi polimorfi non fibrosi drogandoli opportunamente con ioni metallici quali il Fe, Ni, Ti, Al e Zn. Particolare cura verrà posta nella caratterizzazione superficiale dei nanocristalli inorganici mediante tecniche quali la spettroscopia di fotoelettroni indotti da raggi X (XPS), spettroscopia infrarosso in riflessione totale attenuata (ATR), microscopie elettronica a trasmissione (TEM) e a forza atomica (AFM) per individuare e definire la reattività dei nanocristalli asbestosi all'interfaccia con l' intorno biologico. Confronto morfologico tra addotti crisotilo-BSA sintetico a) (AFM), b) (TEM) e quello naturale c) (AFM) e d) (TEM). Inoltre le nanofibre di crisotilo sintetico opportunamente drogato verranno utilizzate per studiarne la tossicità verso invertebrati per il biomonitoraggio dell’inquinamento ambientale. 49 Tematica 3 Fibre di crisotilo naturale Verranno utilizzati vermi terricoli del genere Eisenia che sono ampiamente impiegati in paesi del Nord Europa e in Canada per il biomonitoraggio della qualità dei suoli. La conoscenza delle risposte di questi organismi ai fattori di stress ambientali permette di attuare un approccio mirato a valutare il possibile sviluppo di una sindrome da stress in organismi esposti a nanofibre di crisotilo sia stechiometrico che drogato con dosi crescenti di Fe. Microscopia ottica a luce polarizzata a nicol incrociati: cordone isolante contenente Crisotilo (fascio grosso diritto al centro e fascio incurvato in basso) UNITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE G. Tosi, C. Conti, P. Ferraris, E. Giorgini, S. Sabbatini 1- Applicazione di metodi spettroscopici e diffrattometrici nello studio di biomateriali e di biomolecole La microspettroscopia infrarossa è un versatile e potente strumento diagnostico per lo studio di proprietà funzionali di campioni biomedici e di biomolecole [1]. L’accoppiamento del microscopio con un array detector ha reso possibile alla spettroscopia infrarossa di investigare in modo non invasivo ed in tempi brevi intere aree di sezioni sottili con una risoluzione spaziale dell’ordine di 10µ (utilizzando anche sorgenti di luce di sincrotrone e spettrometri multidetectors). Il vantaggio della spettroscopia imaging nel medio infrarosso (e nel Raman) consiste nel fatto che 50 Tematica 3 l’informazione viene presentata in una forma rapidamente comprensibile anche ai non spettroscopisti e può essere comparata con indicazioni provenienti da altre tecniche microscopiche. In tal modo, viene resa possibile l’analisi della distribuzione delle varie specie molecolari in una matrice. In questo contesto il mapping e l’imaging permettono allo spettroscopista operante nei settori biomedico e dei biomateriali, di sviluppare nuovi metodi di acquisizione delle immagini che permettano di studiare le caratteristiche composizionali, strutturali e morfologiche di svariati sistemi, primi fra tutti quelli biologici. Mediante tale tecnica possono essere valutati a livello di pochi micron, numerosi parametri quali la natura molecolare, la quantità relativa, la distribuzione e l’orientazione dei componenti tessutali [2]. Un ulteriore aiuto viene fornito da opportuni algoritmi adatti al trattamento dati, da cui si possono ricavare numerose informazioni a livello molecolare [3]. Per determinazioni spettroscopiche ci si avvale di spettrometri a sorgente convenzionale, multidetectors o a luce di sincrotrone con risoluzione spaziale fino a 6.25µm, tutti in grado di operare sia in trasmittanza che in riflettanza. Il trattamento dati per l’analisi multivariata e per procedure di analisi delle bande (deconvoluzione, curve-fitting, ecc.) viene effettuato con i seguenti software: Spectrum 5.0 (Perkin Elmer), Pirouette 4.0 (Infometrix Corp.), Opus 5.5 (Bruker Corp.) e Grams AI (Galactic Corp.) BIBLIOGRAFIA 1. Infrared Spectroscopy of Biomolecules, H.H. Mantsch and D. Chapman Ed., Wiley-Liss, N.Y, 1996; M. Jackson, H.H. Mantsch, Pathology by infrared and Raman spectroscopy, J.M. Chalmers, P.R. Griffiths (Eds.), Handbook of Vibrational Spectroscopy, Chichester, 2002. 2. J.W. Levin, R. Bhargava, Annu. Rev. Phys. Chem., 56 (2005) 429-74. 3. A. Boskey, N.P. Camacho, Biomaterials, 28 (2007) 2465-78. 2-Applicazione della Microspettroscopia Infrarossa per la caratterizzazione di biomateriali e di biomolecole La spettroscopia infrarossa permette lo studio della composizione, morfologia e degradazione di tessuti ossei [1]. Le principali specie componenti che possono essere evidenziate nello spettro dell’osso sono i fosfati (da idrossiapatite), i carbonati (per sostituzione nella idrossiapatite dei gruppi ossidrili e fosfati da parte dei carbonati) e le bande dell’ammide I-III delle proteine (principalmente collagene di tipo I). Dall’analisi dei singoli spettri e/o dell’immagine spettrale completa è possibile formulare dei parametri valutativi dei rapporti minerale/matrice (grado di mineralizzazione), carbonato/fosfato e carbonato/proteine e infine della cristallinità. Un’adeguata conoscenza spettroscopica della composizione dell’osso rende particolarmente utile l’applicazione dell’imaging infrarosso nello studio di materiali sintetici per operazioni di ricostruzione ossea. La spettroscopia FT-IR è stata anche usata per caratterizzare la fase minerale presente sui diversi materiali, per evidenziare, tra l’altro, che i tessuti artificiali possono mimare il tessuto osseo da sostituire, per studiare processi di biomineralizzazione con possibilità di individuare la formazione di idrossiapatite su bio-vetri nonché per delucidare le varie fasi di ricostruzione di tessuti ossei danneggiati [2-6]. Da tempo è in atto una collaborazione con il gruppo del prof. Roveri dell’Università di Bologna, mirante allo sviluppo di un nuovo metodo per la preparazione di biomateriali per protesi ossee. A tal proposito si è analizzato il processo di deposizione del collagene e dell’HAP, per caratterizzare la morfologia, le proprietà termiche e la struttura del prodotto di rivestimento. L’FT-IR microimaging, in particolare, ha permesso di evidenziare la natura chimica e l’omogeneità dello strato di HAPcollagene nel corso della deposizione elettrochimica. La diretta enucleazione, in soluzioni acquose, di nanocristalli di idrossiapatite in fibre di collagene durante il loro auto assemblaggio permette di ottenere compositi simili all’osso sia nella microstruttura che nella composizione. Determinazioni microimagimg FT-IR hanno contribuito a definire le interazioni strutturali fra nanocristalli di idrossiapatite e fibre di collagene e la 51 Tematica 3 distribuzione topografica di HA/collagene su supporti di titanio in funzione del tempo. Risulta evidente un apprezzabile aumento del grado di cristallinità della fase carbonato-idrossipatite insieme ad una parziale sostituzione dei gruppi fosfato da parte di corrispondenti gruppi carbonato [7]. L’attività di ricerca della nostra Unità, sarà dedicata alla caratterizzazione spettroscopica di film di matrici inorganico-polimeriche nanostrutturate bioassorbibili (idrossiapatite, biovetri, poliesteri e polimeri naturali) contenenti fosfati di calcio e funzionalizzate superficialmente con composti per l’ancoraggio di molecole farmacologicamente attive a rilascio controllato. Per quanto riguarda le matrici inorganico-polimeriche, sintetizzate con diverse procedure, si intende visualizzare a livello spettroscopico e topografico le varie componenti il composito al fine di caratterizzarne le interazioni sia nelle matrici che nel processo di funzionalizzazione ad opera di molecole atte all’ancoraggio di composti farmacologicamente attivi, quali bifosfonati, ammino acidi, polipeptidi. Nel campo dei biomateriali, altri settori oggetto di studio da parte dell’unità di Ancona sono: (i) la determinazione della distribuzione della cristallinità al fine di comprendere il comportamento di coppe acetabulari in polietilene per protesi d’anca [8]; (ii) la valutazione del grado di conversione e dell’invecchiamento di resine fotopolimerizzabili in campo odontoiatrico [9]; (iii) le interazioni del chitosano e suoi derivati nel meccanismo di binding di lipidi, dell’idrolisi enzimatica e della reattività selettiva di chinoni in miscele con poliuronani, in esperimenti di spray-drying e nello studio della suscettibilità di derivati della chitina verso la deacilazione e della depolimerizzazione ad opera della lipasi [10-17]. BIBLIOGRAFIA 1. A.L. Boskey, D.J. Moore, M. Amling, E. Canalis, A.M. Delany, J. Bone Miner. Res., 18 (2003) 1005-11. 2. A. Boskey, R. Menedlsohn, Curr. Osteoporos Rep., 4 (2006) 71-75. 3. D. Verma, K. Katti, D. Katti, J. Biomed. Mater. Res. A, 78 (2006) 772-80. 4. B.d. Boyan, L.F. Bonewald, E.P. Paschalis, C.H. Lohmann, J. Roser, D.L. Cochran, Calc. Tissue Int., 71 (2002) 519-29. 5. S.G. Kazarian, K.L. Khan, V. Maquet, A.R. Boccaccini, Biomaterials, 25 (2004) 3931-8. 6. A. Monkawa, T. Ikoma, S. Yunoki, T. Yoshioka, J. Tanaka, D. Chakarov, B. Kasemo, Biomaterials, 27 (2006) 5748-5754. 7. Manara S., Paolucci F., Palazzo B., Marcaccio M., Foresti E..Tosi G, Sabbatini S., Sabatino P., Altankov G., Roveri N., Inorganica Chimica Acta, 2007, in press. 8. P. Bruni, C. Conti, A. Corvi, M. Rocchi, G. Tosi, Vibrational Spectroscopy, 29, (2001)103107. 9. C. Conti, E. Giorgini, L. Landi, A. Putignano, G. Tosi, J. Mol. Struct. 744-747 (2005) 641-6. 10. R.A.A. Muzzarelli, V.Ramos, V. Stanic, B. Dubini, M. Mattioli-Belmonte, G. Tosi, R. Giardino, Carbohydrate Polymers, 36 1998)267-276. 11. R.A. Muzzarelli, M. Milani, M. Cartolari, R. Tarsi, G. Tosi, C. Muzzarelli,Carbohydrate Polymers, 43(1999)55-61. 12. R.A.A. Muzzarelli, G. Biagini, A. De Benedittis, P. Mengucci; G. Majni, G. Tosi, Carbohydrate Polymers, 45(2000)35-41. 13. R.A.A. Muzzarelli, G. Tosi, O. Francescangeli and C. Muzzarelli, Carbohydrate Research, 338(2003)2247-2255. 14. R. Muzzarelli, G. Littarru, C. Muzzarelli, G. Tosi, Carbohydrate Polymers, 53(2003)109-115. 15. R.A.A. Muzzarelli, G. Tosi, O. Francescangeli and C. Muzzarelli, Carbohydrate Polymers, 56(2004)137-146. 16. C. Muzzarelli, V. Stanic, L. Gobbi, G. Tosi, R. Muzzarelli, Carbohydrate Polymers, 57(2004)73-82. 17 R.A.A. Muzzarelli, F. Orlandini, D. Pacetti, E. Borselli, N.G. Frega, G. Tosi, C. Muzzarelli,Carbohydrate Polymers,66 (2006)363-371. 52 Tematica 3 3- Spettroscopia Infrarossa, spettrometria NMR e Modellistica Molecolare per l’analisi di ‘building blocks’ di composti bioattivi E’ continuata anche l’analisi su ‘building blocks’ di composti bioattivi, nella fattispecie di derivati pirrolidinici preparati con la reazione di Baylis-Hillman, al fine di meglio comprendere il meccanismo della reazione. Determinazioni FT-IR e studi di meccanica molecolare hanno permesso di delucidare la stabilità conformazionale in vari solventi[1]. BIBLIOGRAFIA 1. Galeazzi R., Martelli G., Orena M., Rinaldi S., Sabbatini S,. Molecular modelling and FT-IR solution study of conformationally restricted mimetic of the RGDG sequence”, 2007. Inviato per la pubblicazione. 4-Microspettroscopia FT-IR imaging su fluidi biologici e su materiale da resezioni chirurgiche Lo studio spettroscopico di campioni biologici, come cellule o tessuti inoculati e tessuti umani da resezione chirurgica nonché su fluidi biologici, è proseguito nell’ottica di effettuare analisi quali- e quantitative a livello molecolare con la possibilità di usare questa tecnica nella diagnosi di patologie tumorali. Abbiamo approfondito i complessi e variegati aspetti dello studio FT-IR di tumori della cavità orale, del colon e del seno (quest’ultimo in collaborazione con l’università di Atene) usando sia una sorgente IR convenzionale sia dispositivi multidetector[1-3]. Gli spettri sono stati effettuati su linee cellulari e su sezioni di tessuto caratterizzate da zone neoplastiche. I risultati dell’Analisi multivariata sono stati confrontati con modelli spettrali di proteine, acidi nucleici, lipidi e altri componenti di sistemi biologici. Sono stati inoltre analizzati alcuni rapporti di bande rappresentative utili per differenziare i campioni sani da quelli malati e per valutare il grado di avanzamento del tumore. Si è iniziata una nuova linea di ricerca mirante allo studio di cellule staminali derivanti dalla polpa dentaria al fine di una loro caratterizzazione spettroscopica durante il processo di differenziazione che viene influenzato da vari fattori, come il tipo e l’età del paziente nonché le modalità di trattamento. Il protocollo contempla la messa a punto di una buona casistica per la formulazione di caratteristici standard spettroscopici da usare come riferimenti nello studio di cellule staminali patologiche. In collaborazione con l’Università di Verona, inoltre, abbiamo proseguito lo studio sia di colture cellulari transfettate con PSMA (Prostate Specific Membrane Antigen) sia di linfomi di tipo nonHodgkin [4,5]. Abbiamo analizzato l’effetto della trasfezione di PSMA nella linea cellulare CHOWT (Chinese Hamster Ovary cell-Wild Type), dal momento che non sono noti in letteratura studi condotti su linee cellulari che correlino le modifiche spettroscopiche con i meccanismi coinvolti nei processi patologici di questa ghiandola. Questi studi preliminari ci hanno permesso di constatare che la trasfezione del PSMA nelle cellule CHO determina un aumento del contenuto proteico a livello cellulare ed incrementa l’attività di sintesi del DNA. Per quanto concerne i linfomi non-Hodgkin (gruppo eterogeneo di malattie linfoproliferative di varia malignità e aggressività che originano dai linfociti), l’analisi spettroscopica ha evidenziato notevoli differenze spettrali tra i campioni sani e quelli malati permettendoci di confermare l’ipotesi che nel processo di carcinogenesi, l’intera cellula subisce delle modificazioni riguardanti sia la concentrazione lipidica e proteica, sia il numero dei legami idrogeno tra i gruppi fosfato degli acidi nucleici. BIBLIOGRAFIA 1. Conti C., Ferraris P., Giorgini E., Pieramici T., Possati L., Rocchetti R., Rubini C., Sabbatini S., Tosi G., Mariggiò A., Lo Muzio L., J. Mol. Struct., 834-836(2007)86-94. 53 Tematica 3 2. Conti C., Ferraris P., Giorgini E., Rubini C., Sabbatini S., Tosi G., Anastassopoulou J., Arapantoni P., Boukaki E., Konstadoudakis S., Theophanides T.and Valavanis C., J. Mol. Struct., 2007, available on line. 3. Conti C., Ferraris P., Giorgini E., Sabbatini S., Tosi G., Anastassopoulou J., Arapantoni P., Boukaki E., Konstadoudakis S., Theophanides T., Valavanis C., Brilliant Light in Life and Material Science, V. Tsakanov and H. Wiedemann (eds.), Springer, 2007, 273-278. 4. Colombatti M, Conti C., Ferraris P., Fracasso G., Giorgini E., Malvezzi-Campeggi F., Monti F., Sabbatini S., Tosi G., Vibrat. Spectrosc., inviato per la pubblicazione. 5. Burattini E., Malvezzi-Campeggi F., Chilosi M., Conti C., Ferraris P., Monti F., Sabbatini S., Tosi G., Zamò A., J. Mol .Struct., 834-836(2007)170-175. P. Bruni, M. Pisani, V. Fino -) Complessi ternari lipidi-DNA-ioni metallici Lo sviluppo di nuovi sistemi che veicolino DNA per riparare, sostituire o potenziare il patrimonio genetico di cellule eucariote è un tema di grande attualità nella comunità scientifica, tanto da sviluppare numerosi metodi e applicazioni con approcci di tipo virale e non virale. Nella progettazione di sistemi in grado di trasportare materiale genetico si deve tener conto di alcuni criteri quali la selettività verso le cellule bersaglio, la capacità di esprimere una quantità sufficientemente elevata del gene trasportato a fini terapeutici con un rapporto rischio/beneficio ragionevolmente basso. Attualmente i sistemi più efficienti dopo i virus si sono dimostrati essere i complessi formati dall’associazione spontanea di liposomi cationici e DNA. Nonostante l’intrinseca tossicità, determinata dall’ interazione della testa cationica (in genere uno o più gruppi ammonici quaternari) con la PKC causandone l’inibizione, essi vengono ampiamente studiati ed utilizzati in ambito clinico. Comunque l’efficienza di trasfezione è ancora bassa se paragonata a quella dei vettori virali, ed tali complessi sono instabili se dispersi nel siero, rendendo difficoltose le applicazioni in vivo. Complessi composti esclusivamente da liposomi (L) neutri, DNA, e metalli bivalenti (Me2+), che sono studiati nel nostro Gruppo di Ricerca,[1-3] rappresentano l’alternativa più innovativa e importante ai tradizionali CLs (lipoplessi) soprattutto a causa della bassa citotossicità e della maggior vita nel circolo sanguigno che ne rende più interessante l’applicazione in vivo. Nell’ambito dello studio e dello sviluppo di questi complessi ternari è stata intrapresa la caratterizzazione strutturale e morfologica di nuovi vettori di potenziale interesse per il trasporto di DNA basati sull’utilizzo di liposomi neutri e metalli bivalenti, ottenendo promettenti risultati di trasfezione in vitro. È stata inoltre investigata la correlazione tra composizione-struttura-funzione biologica nei complessi di L-DNA-Me2+, con ultimo obbiettivo di realizzare un trasporto genico “designbased”.[4-5] Nello sviluppo di tali vettori di DNA la carica superficiale dei liposomi sembra essere di cruciale importanza non solo per la stabilità del sistema in dispersione e per l’interazione elettrostatica tra gli elementi del complesso ma ne favorisce anche l’adesività nei confronti della membrana lipidica della cellula bersaglio. Al fine di ottenere complessi sufficientemente carichi per svolgere il lavoro che si richiede loro, si vuole ottimizzare il rapporto tra lipide neutro, metallo bivalente e DNA e sviluppare dei vettori sintetici capaci di trattenere più efficacemente dei fosfolipidi naturali la carica del catione metallico sulla superficie del liposoma. In vista della funzionalizzazione di questi complessi è stato completato il lavoro di determinazione strutturale mediante diffrazione di raggi X di complessi la cui miscela lipidica è costituita da DOPE/DOPE-PEG 350. I risultati ottenuti mostrano interessanti transizioni di fase del complesso, dalla fase esagonale 2D a fasi cubiche 3D, all’aumentare della concentrazione di DOPE-PEG 350.[6] Allo stesso tempo è stata intrapresa la sintesi di nuovi vettori anfifilici che siano in grado di funzionalizzare i liposomi neutri utilizzando anche saccaridi, capaci di aumentare l’efficienza di trasfezione per attivazione enzimatica, ed 54 Tematica 3 oligopeptidi caratterizzati da un elevato punto isoelettrico che, a pH fisiologico presentino una o più cariche nette positive agendo come i lipoplessi. BIBLIOGRAFIA 1. Pisani M., Bruni P., Conti C., Giorgini E., Francescangeli O. Molecular Crystals Liquid Crystals 434(2005)643-651 2. Francescangeli O., Pisani M., Stanic V., Bruni P., Weiss T. M. Europhysics Letters, 67(2004)669. 3. Pisani M., Bruni P., Caracciolo G., Caminiti R., Francescangeli O. J. Phys. Chem. B, 110(2006)13203-13211. 4. Bruni P., Pisani M., Amici A., Marchini C., Montani M., Francescangeli O. Applied Physics Letters, 88(2006)7. 5. Bruni P., Pisani M., Amici A., Marchini C., Montani M., Francescangeli O., 2006 (2007) 35-37. 6. Pisani M., Fino V., Bruni P., Di Cola E., Francescangeli O., J. Am. Chem. Soc., submitted. 2 – Biocristallografia a) Base scientifica e tecnologica: Le indagini di tipo biocristallografico che verranno svolte dalle Unità di Bologna, Napoli e Trieste hanno come obiettivo lo studio dei meccanismi di azione delle proteine attraverso la comprensione dei rapporti struttura-funzione. Da un punto di vista sperimentale le tecniche utilizzate sono di tipo sia biochimico sia cristallografico, e comprendono i metodi di crescita dei cristalli proteici, la raccolta dei dati diffrattometrici e la loro elaborazione e analisi via computer-grafica. Come attività collaterali, vengono svolte ricerche su famiglie di proteine omologhe nel campo della modellistica assistita da computer, basandosi su allineamenti di sequenze e su previsioni di strutture secondarie. L’era della genomica sta lasciando il posto alla proteomica, cioè lo studio dell’insieme di proteine espresso in una cellula, incluse tutte le isoforme e le modificazioni post-traduzionali. Poichè le proteine prodotte variano da cellula a cellula, dipendendo del momento di vita della cellula e in risposta a fattori esterni, lo studio del proteoma è sicuramente una sfida rispetto allo studio del genoma. Le attività che verranno affrontate dalle varie Unità sono articolate su diversi linee di ricerca, anche ambiziose e sono descritte di seguito. b) Obiettivi specifici: UNITÀ DI BOLOGNA -) Cristallizzazione di macromolecole biologiche su superfici funzionalizzate La produzione di cristalli proteici di qualità adatta a studi di diffrazione di raggi X rimane uno degli impedimenti più grandi che oggi si pone alla determinazione della struttura tridimensionale di macromolecole biologiche. L’attività di ricerca sarà quindi indirizzata verso lo sviluppo di nuove tecniche di cristallizzazione atte a promuovere e facilitare la nucleazione e la crescita di cristalli. In collaborazione con il gruppo del Prof. Garcia Ruiz (Granada, Spagna), leader mondiale nella realizzazione di apparati innovativi per la cristallizzazione di macromolecole biologiche, verrà continuata iniziata una ricerca con l’obiettivo di realizzare nuovi sistemi che favoriscano il processo di cristallizzazione di macromolecole biologiche. Studi condotti dal gruppo di ricerca del prof. Roveri hanno dimostrato che l’utilizzo di superfici funzionalizzate promuove e facilita la nucleazione e la crescita di cristalli. Inoltre è stato dimostrato che il loro uso permette di abbassare, rispetto ai convenzionali vetrini siliconati, alcuni parametri critici della cristallizzazione quali la concentrazione iniziale della soluzione proteica ed il 55 Tematica 3 tempo di cristallizzazione. Le superfici funzionalizzate sono sistemi versatili, per le quali la densità e la natura dei gruppi esposti possono essere facilmente variate in termini di carica elettrica ed idrofilicità/idrofobicità. Per capire appieno il ruolo rivestito dai gruppi carichi esposti sulla superficie, durante il processo di cristallizzazione di macromolecole biologiche, sono state testate due superfici: film di polistirene solfonato a tempi via crescenti e foglietti di mica silanizzata con due silani (100% n-propiltrietossisilano, 100% 3-amminopropiltrietossisilano e varie miscele dei due). Tutti gli esperimenti sono stati fatti utilizzando un apparato per la cristallizzazione in vetro, brevettato dal gruppo di Granada, chiamato crystallization mushroom, che sfrutta il principio della diffusione di vapore per cristallizzare sia piccole molecole sia macromolecole biologiche. Questo sistema offre diversi vantaggi rispetto alle tradizionali tecniche utilizzate per la cristallizzazione, tra cui quella di maggior importanza è data dalla possibilità di testare contemporaneamente in un unico esperimento diverse condizioni di cristallizzazione. L’obiettivo principale delle ricerche in programma è quello di capiree il meccanismo che controlla la nucleazione e crescita di cristalli di macromolecole biologiche su superfici. Obiettivi specifici. La ricerca di nuove superfici nucleanti facilmente funzionalizzabili sarà il principale indirizzo di questa linea di ricerca. Verranno utilizzate superfici di minerali (e.g. mica) e funzionalizzate con vari silani. Il controllo dell’idrofilicità superficiale e la variazione dei gruppi ionizzabili presenti potrebbe permettere la formulazione di un meccanismo di interazione tra la macromolecola e la superficie. Verranno inoltre fatte delle prove di cristallizzazione di proteine fin ora non cristallizzate. La ricerca verrà organizzata in tre fasi: (i) per ciascuna proteina verranno fatti esperimenti per determinarne le condizioni ideali di Crystallization mashroom cristallizzazione (soluzione riserva e concentrazione proteica) per il "mushroom”; otimizzazione delle condizioni trovate in fase (i) ed adattamento alle nostre esigenze, ossiadi pochi cristalli di sufficiente grandezza in ciascuna goccia; (iii) utilizzo delle superfici per capire il meccanismo attraverso cui influenzano e controllano il processo di nucleazione. Scopo di tale fase è determinare le condizioni di cristallizzazione che portano alla formazione di cristalli sulla superficie ma non sul vetrino siliconato usato come controllo. -) RIP: Proteine Inattivanti il Ribosoma Numerose proteine isolate da una varietà di tessuti vegetali sono simili alla catena A della ricina e, in modo analogo a queste, inattivano il ribosoma eucariotico mediante un meccanismo enzimatico. Il loro meccanismo di azione è stato identificato come un’attività N-glicosidica che rompe in modo idrolitico il legame N-glicosidico del A4324 del 28 S rRNA. La denominazione proteine inattivanti il ribosoma (RIP) tipo 1 (a differenza del tipo 2, tra le quali la ricina e tossine simili a doppia catena) è utilizzata per indicare le proteine a catena singola con le proprietà descritte sopra. Le RIP mostrano un’alta omologia di sequenza amminoacidica e sembrano avere una simile attività enzimatica. Tuttavia, esse agiscono in modo diverso su ribosoma di piante, protozoa e animali. Per questa ragione sono uno strumento utile per lo studio delle proprietà del ribosoma. Inoltre, l’interesse verso le RIP è in crescita da quando esse sono utilizzate come “immunotossine”, molecole ibride costituite da un motivo tossico legato ad un anticorpo, il quale riconosce in modo specifico cellule malate, neoplasti, immunocomponenti e cellule di parassiti. Lo studio strutturale di varie e nuove RIP è essenziale per la risoluzione di alcuni problemi che si incontrano nella preparazione di immunotossine. L’attività di ricerca del gruppo è ricolta allo studio di RIP tipo I. Queste sono: la lichnina (dai semi del Lychnis chalcedonica, 26,6 kDa, pI > 9), la diantina 30 (Dianthus caryophyllus, 32,0 kDa) e la momorcochina-S (dai semi del Momordica cochinchinesis, 30,7 kDa). La diantina 30 e la lychnina sono state cristallizzate e la loro struttura è stata risolta tramite “molecular replacement”. Sono ancora in corso esperimenti di cristallizzazione della 56 Tematica 3 momorcochina-S per ottenere dei cristalli adatti ad uno studio strutturale a raggi X. Obiettivo Lo studio continuerà con dei tentativi di cristallizzazione di altre proteine appartenenti alla famiglia delle RIP, quali buganina e momorchina e la determinazione della struttura delle due proteine già cristallizzate. E’ inoltre in programma la sintesi di varie forme ricombinanti al fine di chiarire il meccanismo di inibizione dell’attività ribosomiale. -) Gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi fotosintetica Le gliceraldeidi-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH) sono enzimi implicati nella glicolisi, nella glucosogenesi e nel ciclo della riduzione del carbonio di organismi fotosintetici. Le GAPDH fotosintetiche, localizzate nei cloroplasti, sono formate da una (A) oppure due (A e B) subunità e sono in grado di utilizzare come coenzima sia il NAD che il NADP, con preferenza per quest’ultimo. Le subunità A (36 kDa) e B (39 kDa) delle GAPDH dei cloroplasti sono omologhe e altamente conservate. L’estensione C terminale nella subunità B (CTE) include 31 residui assenti nella subunità A. Sono conosciute due isoforme della GAPDH plastidiale: l’isoforma principale contiene subunità A e B in quantità stechiometriche le quali si associano sia in un tetramero A2B2, stabilizzato dal NADP, o in un esadecamero A8B8, stabilizzato dal NAD. Questa forma è definita come quella GAPDH regolatrice in quanto numerosi substrati e altri effettori possono modulare la sua attività e struttura quaternaria; la seconda isoforma è un omotetramero formato di tipo A molto attivo con il NADP e meno efficiente con il NAD, il quale non provoca variazioni nella struttura quaternaria. Il gruppo di ricerca ha recentemente pubblicato, per la prima volta, la struttura cristallografica di una GAPDH fotosintetica (la forma non regolatrice A4 estratta dalle foglie degli spinaci) complessata con il NADP. Le caratteristiche basilari di questa struttura sono molto simili alla GAPDH glicolitica, già conosciuta. Tuttavia delle differenze sostanziali sono state osservate nel dominio di legame col cofattore. Anche la struttura cristallina della forma ricombinante A4GAPDH da Spinacia oleracea, espressa in E.coli, complessata con NAD è stata risolta dal gruppo di ricerca. Dal confronto tra le strutture dei due complessi si osservano, nell’organizzazione tridimensionale, delle differenze minime quando la GAPDH ospita nel dominio di legame il NAD o il NADP. La struttura cristallina del A4-GAPDH complessata con il NADP ha mostrato che i residui conservati, Thr33 e Ser188, interagiscono tramite legami ad idrogeno con il 2-fosfato del NADP, suggerendo che questi residui conservati possano essere implicati nella definizione della specificità del coenzima nella GAPDH fotosintetica. Obiettivo Sulla base di queste informazioni, ed avendo disponibile la forma ricombinante, verranno prodotte e cristallizzate due forme mutanti del A4-GAPDH, T33A e S188A. La struttura di questi due mutanti sarà stata risolta. Questa sarà la base scientifica per la preparazione di eventuali altri mutanti. Studio del trasporto cellulare di farmaci anti-tumorali a base di platino della nano alla micro scala mediante cristallografia a raggi X e microscopia di fluorescenza Il gruppo di biomineralizzazione e biocristallografia è già stati coinvolto in un progetto inteso a chiarire i meccanismi di trasporto dei farmaci anti-tumorali a base di platino. In tale progetto l’ubiquitina e la superossido dismutasi umana, due proteine che probabilmente interagiscono con il cis-Pt dopo la sua somministrazione nei pazienti, sono state co-cristallizzate con cis-Pt ed altri ioni metallici. Nel continuo del progetto si estenderà l'indagine cristallografica utilizzando proteine coinvolte nell’omeostasi del rame. E’ stato dimostrato che tali proteine sono anche responsabili per il trasporto di farmaci a base di platino. Mentre i meccanismi di trasporto del rame sono stati parzialmente chiariti, si conosce poco sui meccanismi di interazione e veicolazione dei trasportatori del rame col platino. Allo stato attuale non si possono ipotizzare analogie nel trasporto dei due metalli, in quanto la chimica del platino è molto diversa da quella del platino. Hah1 e CopC sono, tra le proteine di trasporto del rame, le più studiate dal punto di vista strutturale. Hah1 è una chaperonina implicata nella veicolazione del rame a proteine delle malattie 57 Tematica 3 di Wilson e di Menkes (ATP7A e ATP7B). CopC è una proteina batterica coinvolta nel trasporto del rame. Nel progetto verrà studiata mediante cristallografia l'interazione tra Hah1 e CopC con substrati a base di platino selezionati. Tali studi permetteranno di caratterizzare i siti d’interazione del farmaco a base di platino e la conseguente alterazione della conformazione della proteina causata dal legame col farmaco. La conoscenza delle interazioni tra il metallo e la proteina responsabile per il suo trasporto rappresenta solo un primo passo verso la comprensione del processo di movimento dello stesso attraverso la cellula. Al fine di ottenere una visione completa dei fenomeni in gioco è essenziale studiare la distribuzione intracellulare di questi farmaci in colture cellulari trattate con il farmaco. La microscopia di fluorescenza a raggi x da luce di sincrotrone (XFM) e la microscopia a fluorescenza UV sono potenti strumenti per la localizzazione dei composti del platino nelle cellule. Le due tecniche forniscono informazioni complementari: XFM è localizza e quantifica i metalli, mentre la fluorescenza UV localizza i fluorofori legati al metallo. Tali tecniche quindi permettono di localizzare il platino ed i suoi leganti nella cellula. Obiettivo Questa ricerca dovrebbe consentire la definizione delle interazioni a livello atomico del farmaco a base di platino con le proteine responsabili del suo trasporto e di identificare la sua localizzazione nella cellula. Le informazioni acquisite, che vanno dalla nano alla micro scala, avranno un potenziale utilizzo nella progettazione di nuovi farmaci con l'obiettivo di ottimizzare il processo di “delivery” di farmaco. Inoltre, tali studi potrebbero essere utili per fornire informazioni sui meccanismi di resistenza al farmaco. Partecipanti alle ricerche Prof. Alberto Ripamonti (Emerito), Prof. Giuseppe Falini, Dr. Simona Fermani, Dr. Giovanna Tosi UNITÀ DI NAPOLI La conoscenza della struttura tridimensionale delle macromolecole coinvolte in processi biologici è un passaggio fondamentale per comprenderne la funzione e per sviluppare strategie per modularne l'attività. Infatti, solo avendo a disposizione informazioni dettagliate sulla struttura di queste complesse molecole è possibile descrivere in maniera accurata i loro meccanismi d'azione. Le attività di ricerca dell’unità di Napoli in questo settore si sviluppano su due diverse direttrici. La prima è dedicata alla caratterizzazione strutturale mediante tecniche di biocristallografia di biomolecole complesse coinvolte in gravi patologie umane. La seconda macrotematica è diretta allo studio strutturale di enzimi e proteine di potenziale interesse biotecnologico, essenzialmente isolate da organismi che vivono in condizioni ambientali estreme. Per quanto riguarda la caratterizzazione strutturale di proteine di interesse biomedico, una parte delle attività previste sono volte alla caratterizzare di nuovi target e nuove molecole di rilevante interesse per lo sviluppo di nuove molecole con attività antibatterica. In particolare, saranno oggetto di studio proteine isolate da organismi responsabili di gravi patologie quali il Mycobacterium tubercolosis (proteine RPF, RIB ed adesine) e l’Helicobacter pylori (SOD). Inoltre, si prevede di caratterizzare proteine coinvolte nel processo di biosintesi proteica (fattori di allungamento e di scambio). Infine, saranno completati studi strutturali su proteine della classe ribosome inctivating proteins (RIPs). Una parte rilevante delle attività previste su molecole di interesse biomedico riguarderà la caratterizzazione di anidrasi carboniche, una classe di proteine coinvolte in numerose patologie umane. In questo contesto, le attività programmate seguiranno su differenti filoni: caratterizzazione di nuove isoforme della proteina e indagini strutturali di loro complessi con inibitori. Infine, sono previsti studi cristallografici su fattori oncogenoci ed oncosoppressori coinvolti in tumori solidi del sistema nervoso (neuroblastoma e medulloblastoma). In particolare, sono state programmate attività volte alla definizione della struttura delle proteine REN-KCTD11 e KCTD21 e dei loro interattori. 58 Tematica 3 Le linee di ricerca focalizzate su proteine ed enzimi di interesse biotecnologico sono essenzialmente basate su sistemi isolati da organismi che vivono in ambienti inusuali. Particolare attenzione sarà rivolta a proteine isolate da organismi ipertermofili le cui proteine mostrano un’eccezionale resistenza alla temperatura. In questo contesto, saranno studiate una serie di ossidoriduttasi (tioredossine e tioredossine redattasi, PDO), deidrogenasi, lipasi, esterasi e fattori di trascrizione. In parallelo, saranno analizzate anche proteine isolate da organismi che vivono a temperature particolarmente basse. In questo settore, saranno condotte indagini strutturali su emoglobine isolate da pesci antartici, che mostrano peculiari proprietà funzionali e strutturali. BIBLIOGRAFIA (1) Mandrich L, Menchise V, Alterio V, De Simone G, Pedone C, Rossi M, Manco G. Proteins. Pubblicato online il 12 Dec 2007. (2) Ruggiero A, Chambery A, Di Maro A, Parente A, Berisio R. 2007 . Proteins. Pubblicato online il 27 Ott 2007. (3) De Simone G, Supuran CT. 2007 Curr Top Med Chem. 7:879-84. (4) Vergara A, Franzese M, Merlino A, Vitagliano L, Verde C, di Prisco G, Lee HC, Peisach J, Mazzarella L. 2007. Biophys J. 93:2822-9. Pubblicazioni precedenti più significative a carattere biocristallografico sui sistemi studiati (1) Alterio V, Vitale RM, Monti SM, Pedone C, Scozzafava A, Cecchi A, De Simone G, Supuran CT. 2006. J Am Chem Soc.128:8329-35. (2) De Simone G, Mandrich L, Menchise V, Giordano V, Febbraio F, Rossi M, Pedone C, Manco G. 2004. J Biol Chem. 279:6815-23. (3) Berisio R, Granata V, Vitagliano L, Zagari A. 2004. J Am Chem Soc 126:11402-3. (4) Berisio R, Schluenzen F, Harms J, Bashan A, Auerbach T, Baram D, Yonath, A. 2003. Nat Struct Biol 10:366-70. (5) Menchise V, De Simone G, Tedeschi T, Corradini R, Sforza S, Marchelli R, Capasso D, Saviano M, Pedone C. 2003. Proc Natl Acad Sci U S A. 100:12021-6. (6) Bashan A, Agmon I, Zarivach R, Schluenzen F, Harms J, Berisio R, Bartels H, Franceschi F, Auerbach T, Hansen HA, Kossoy E, Kessler M, Yonath, A. 2003. Mol Cell 11, 91-102. UNITÀ DI TRIESTE Il Centro di Eccellenza in Biocristallografia dell’Università di Trieste ha recentemente acquisito un nuovo cristallizzatore automatico Tecan modello Freedom Evo. Lo strumento è controllato da un computer con un software molto flessibile che permette di programmare esperimenti di cristallizzazione e sarà di grande utilità per i lavori che si prefigge l’unità. Purificazione e caratterizzazione strutturale di complessi della fosfodiesterasi umana (famiglia PDE4) con nuovi inibitori La funzione delle proteine della famiglia delle PDE rientra nel metabolismo dei nucleotidi. Queste proteine, infatti, idrolizzano il legame 3’-5’ fosfodiestereo che si forma nei nucleotidi monofosfato ciclici purinici come cAMP e cGMP, regolandone così l’attività di secondi messaggeri intracellulari ad esempio nel meccanismo fisiologico del rilassamento muscolare. L’azione enzimatica ed il ruolo delle PDE sono di rilevante importanza anche in alcuni processi infiammatori, dove agiscono attraverso l’inibizione di cellule specifiche del sistema immunitario. In uno studio infatti è stato dimostrato come nella patologia della sclerosi multipla il ruolo delle PDE sia fondamentale per la regolazione dell’attività di monociti e macrofagi, mentre la regolazione di cellule come eosinofili, neutrofili e linfociti rappresenta un ruolo chiave in patologie infiammatorie come asma, psoriasi e dermatite allergica. Numerosi studi condotti fino ad ora sono orientati verso lo sviluppo di farmaci specifici in grado di regolare l’attività di questi enzimi. 59 Tematica 3 Il programma di lavoro prevede l’espressione, la purificazione e la determinazione strutturale con raggi X di complessi delle varianti della fosfodiesterasi umana PDE4B2 e PDE4D2 con inibitori commerciali e di nuova concezione, sviluppati dalla Chiesi-Farmaceutici; l’analisi dei dati strutturali servirà per la comprensione del meccanismo di inibizione e per ottenere informazioni per lo sviluppo di nuovi inibitori. Lo studio sarà svolto avvalendosi di tecniche di biologia molecolare per l’espressione della proteina, in collaborazione con il laboratorio diretto dal Prof. Gianluca Tell presso l’Università degli Studi di Udine. Tecniche di purificazione e cristallizzazione di proteine e di esperimenti di diffrazione RX da cristallo singolo saranno utilizzate per la risoluzione della struttura del complesso proteina-inibitore. Lo studio verrà affrontato in due fasi successive. Nella prima saranno messe a punto le procedure sperimentali per l’espressione e purificazione su piccola scala da 1-2 litri di coltura batterica (<1 mg di proteine ricombinanti); per procedere poi all’ampliamento della scala di crescita ed espressione su volumi di 10 litri di coltura utilizzando un biofermentatore in grado di controllare le condizioni di crescita e, per la purificazione, apparati per cromatografia in fase liquida (FPLC e HPLC) già disponibili. L’obiettivo finale è quello di ottenere grandi quantità di proteina purificata (> 10 mg) mediante tecniche di cromatografia liquida con lo scopo di ottenere cristalli dei complessi del dominio catalitico della PDE4 con inibitori. Studio delle interazioni redox dipendenti nei complessi di trasferimento elettronico del citocromo c Lo studio, volto ad analizzare l’interazione del citocromo c da cuore di cavallo con i propri partner biologici, sarà svolto in collaborazione con il gruppo di ricerca del prof. Luigi Messori dell’Università di Firenze. L’obiettivo di questo lavoro è l’individuazione delle variazioni strutturali connesse allo stato d’ossidazione del citocromo. I citocromi di tipo c sono piccole metallo-proteine globulari di colore rosso-bruno caratterizzate dalla presenza del gruppo prostetico di protoporfirina IX di tipo c, legato covalentemente alla catena polipeptidica. Queste proteine, presenti in quasi tutti gli organismi viventi, svolgono il ruolo fondamentale di trasportatori di elettroni nei processi respiratori e fotosintetici. I citocromi c eucariotici, in particolare, sono proteine costituite da una singola catena polipeptidica in genere di 103 o 104 residui amminoacidici. Il gruppo eme è legato alla catena polipeptidica attraverso due legami tioeterei tra due sostituenti del macrociclo e due residui di cisteina e coordina uno ione ferro, che completa la sua sfera di coordinazione ottaedrica nelle posizioni assiali con un atomo di azoto di un residuo istidinico ed un atomo di zolfo di un residuo di metionina. Il ferro eminico può essere presente sia come Fe(II) (ferrocitocromo), sia come Fe(III) (ferricitocromo). Precedenti studi biocristallografici, condotti sulla forma ridotta ed ossidata del citocromo c da tonno, hanno evidenziato variazioni minimali nella struttura proteica. [1] L’analisi delle variazioni strutturali, indotte dallo stato di ossidazione del metallo, è particolarmente importante per comprendere il meccanismo di formazione e rottura dei complessi proteici nella catena di trasporto degli elettroni nei mitocondri. L’analisi della carica elettrostatica superficiale, fra la forma ossidata e la forma ridotta, sarà affrontata mediante tecniche biocristallografiche del citocromo c da cuore di cavallo utilizzando lo ione nitrato come sonda ionica. Dati preliminari indicano che le maggiori differenze tra le due strutture riguardano le catene laterali dei residui che si trovano sulla superficie della proteina. Variazioni significative si osservano anche nel core proteico, corrispondente al gruppo eme e ai residui che presentano interazioni con esso tramite legami covalenti, legami ad idrogeno o interazioni di natura più debole. Nel complesso citocromo bc1-citocromo c, 1KYO [2], l’analisi delle regioni che sono state evidenziate nelle strutture ottenute in presenza di ioni nitrato mostra che queste sono effettivamente coinvolte nell’interazione del citocromo c con il citocromo bc1. È probabile che il trasferimento elettronico coinvolga i residui presenti in questa zona della proteina. Da quest’analisi si può ipotizzare per il complesso bc1 una maggiore affinità per la forma ossidata del citocromo c, 60 Tematica 3 piuttosto che per quella ridotta. Il ferrocitocromo, infatti, presenta sulla superficie di interazione cariche elettrostatiche positive che non corrispondono alla scarsa carica negativa presente su bc1. Il trasferimento di un elettrone dal complesso bc1 al citocromo c comporta, secondo questo meccanismo, una variazione delle cariche elettrostatiche presenti sulla superficie del citocromo c. Nel complesso del citocromo c con la citocromo c perossidasi (CcP), 2PCC [3], si osserva che l’interazione tra le due proteine coinvolge una regione del citocromo c che, nelle strutture ottenute in questo lavoro, non presenta un numero elevato di interazioni con gli ioni nitrato. Considerando che per il suo ruolo biologico, la perossidasi lega il citocromo c ridotto, è ipotizzabile un meccanismo diverso di rottura e formazione del complesso di trasferimento elettronico rispetto a quello ipotizzato per il complesso bc1. Il terzo complesso analizzato non coinvolge in realtà un citocromo di tipo c, ma un citocromo di tipo c2 e il complesso del Centro di Reazione (RC) batterico, 1L9J [4]. Nonostante la sequenza amminoacidica di questi due citocromi sia piuttosto diversa, la loro struttura tridimensionale risulta piuttosto simile. Studio strutturale del riconoscimento molecolare tra antigene e anticorpo nella crioglobulinemia mista di tipo II associata a infezione da HCV. In collaborazione con il Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano, il Centro di Eccellenza in Biocristallografia dell’Università di Trieste sta sviluppando un progetto di ricerca sulle problematiche inerenti alle complicanze associate all’infezione del virus dell’epatite C (HCV) e, in particolare, la crioglobulinemia mista di tipo II (CM), una malattia cronica di tipo autoimmunitario caratterizzata da proliferazioni oligoclonali di linfociti B, che in un significativo numero di casi esita ad un linfoma non Hodgkin (NHLs) conclamato [5,6]. La crioglobulinemia è il risultato della produzione da parte dei linfociti B di immunoglobuline di tipo M (IgM) bispecifiche, capaci cioè di riconoscere oltre all’antigene virale (la proteina non strutturale NS3) anche la regione costante delle immunoglobuline di tipo G (Fc-IgG) [6,7]. La risposta autoimmune, oltre a causare la formazione di crioprecipitati composti dai complessi IgM-IgG (crioglobulinemia), provoca una anomala stimolazione dei linfociti B che si ritiene possa facilitare l’insorgenza della patologia neoplastica. Lo scopo di questo progetto è lo studio delle interazioni esistenti fra l’autoanticorpo IgM e i suoi antigeni NS3 e Fc-IgG, finalizzato al possibile sviluppo di farmaci capaci di impedire il riconoscimento antigene-anticorpo e la proliferazione delle cellule B, diminuendo l’incidenza dei linfomi nei pazienti HCV-positivi. La modellizzazione del frammento variabile dell’immunoglobulina IgM, caratterizzata a partire dal crioprecipitato di un paziente HCV positivo, con complicanze dovute alla crioglobulinemia mista e al conseguente sviluppo di un linfoma, ha permesso di individuare una sequenza peptidica che mima la parte variabile dell’immunogobulina (MALOT-LHCV, Miniaturized Antibody Light chain One Three CRD of Lymphoma from HCV). Tale sequenza, basata su una ricostruzione tridimensionale dell’epitopo, include circa 40 residui amminoacidici appartenenti a regioni diverse del sito di riconoscimento specifico dell’anticorpo. Presso il laboratorio del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, il peptide così prodotto verrà testato in vitro, per determinarne l’immunogenicità. Presso il Centro di Eccellenza in Biocristallografia dell’Università di Trieste, invece, la sequenza prodotta verrà caratterizzata strutturalmente mediante studi di diffrazione di raggi X su cristallo singolo, singolarmente e nel complesso antigene/anticorpo. La caratterizzazione di questi complessi, infatti, può permettere l’ottimizzazione della sequenza peptidica, in modo da migliorare la specificità/affinità degli anticorpi prodotti a partire da questo antigene, nei confronti delle immunoglobuline di tipo M di pazienti HCV positivi. BIBLIOGRAFIA (1) Geremia, S., et al., Protein Sci, 2002. 11(1): p. 6-17. (2) Lange, C. and C. Hunte, Proc Natl Acad Sci U S A, 2002. 99(5): p. 2800-5. (3) Pelletier, H. and J. Kraut, Science, 1992. 258(5089): p. 1748-55. (4) Axelrod, H.L., et al., J Mol Biol, 2002. 319(2): p. 501-15. 61 Tematica 3 (5) De Re, V., et al., Int J Cancer, 2000. 87(2): p. 211-6. (6) De Re, V., et al., Blood, 2000. 96(10): p. 3578-84. (7) De Re, V., et al., Leukemia, 2006. 20(6): p. 1145-54. c) Caratteristiche delle Unità di ricerca Le Unità di ricerca di Ancona, Bologna, Napoli e Trieste hanno una qualificata esperienza nello studio della struttura di cristalli, di molecole e di macromolecole ampiamente riconosciuta ed apprezzata a livello nazionale ed internazionale. Esse metteranno a disposizione delle altre unità le loro competenze e le relative strumentazioni per la risoluzione strutturale, a mezzo diffrazione di RX di piccole molecole, proteine e altri sistemi biologici. L’attività viene assicurata anche dal lavoro di giovani ricercatori, che hanno acquisito, anche con soggiorni all’estero, specifiche competenze ad elevato livello nella purificazione di proteine, nella biocristallografia e nel computer modelling. L’Unità di Ancona ha esperienza specifica nelle tecniche di spettroscopia infrarossa (Spettrometro FT-IR Perkin-Elmer Spectrum GX1 con accessori per misure in riflettanza DRIFT, CIRCLE e ATR), NMR ed EPR. L’Unità di Bologna ha anche esperienza nelle tecniche di diffrazione di raggi X a basso angolo, nelle tecniche microcalorimetriche (DSC e TG) e tests meccanici e nelle tecniche di microscopia elettronica a scansione (SEM), ed a trasmissione (TEM) e di microscopia a forza atomica (AFM). L’Unità di Napoli ha anche esperienza nella sintesi e caratterizzazione di peptidi, nella modellistica molecolare, negli studi strutturali mediante spettroscopia NMR. L'Unità di Trieste, che fa parte del Centro di Eccellenza di Biocristallografia, ha esperienza delle seguenti tecniche necessarie per realizzare i suddetti obiettivi e che mette a disposizione anche delle altre unità: a) disegno, sintesi e caratterizzazione di nuovi modelli B12 e di loro derivati supramolecolari; b) tecniche di cristallizzazione e caratterizzazione strutturale da cristallo singolo di proteine mediante diffrazione di raggi X da sorgenti convenzionali e da radiazione di sincrotrone; c) caratterizzazione strutturale di centri metallici mediante EXAFS; d) analisi delle proprietà redox (voltammetria ciclica e spettroelettrochimica). L' Unità di Trieste, è dotata, per la raccolta dati di diffrazione RX, di un area detector DIP 1030 utilizzato con diffrattometro a radiazione Mo-Kα con sistema di raccolta a bassa temperatura fino a 100 K e di un detector CCD recentemente installato su anodo rotante con radiazione al Cu; di un laboratorio attrezzato per l'espressione e purificazione di proteine; di un laboratorio attrezzato per la cristallizzazione di proteine; di una rete di Silicon graphics per l'elaborazione dei dati. Alcuni membri dell'Unità di Trieste hanno esperienza pluriennale di utilizzo della linea di diffrazione RX del sincrotrone Elettra e di quella EXAFS al sincrotrone Lure, eseguendo regolarmente misure previa approvazione degli appositi Comitati Scientifici. In particolare, il prof. Vlaic ha costruito e messo a punto la nuova linea EXAFS presso Elettra d) Attività di formazione Per quanto riguarda le ricerche nel campo della biocristallografia le Unità di Bologna, Napoli e Trieste svolgono attività di alta formazione di laureandi, laureati e dottorandi. In particolare i borsisti svolgono la propria attività su tematiche di ricerca del Consorzio. Il CIRPEB, presso cui opera l’Unità di Napoli del Consorzio, finanzia contratti di collaborazione scientifica per giovani laureati e diplomati per la formazione di essi nell’ambito delle biotecnologie avanzate. Inoltre la gran parte dei ricercatori del centro svolge anche attività di ricerca nell'Istituto di Biostrutture e Bioimmagini del CNR. Questo Istituto svolge attività di alta formazione documentata dalle numerose borse di studio assegnate nell'ambito di progetto PON e POR. L'Istituto negli anni ha assegnato numerosi contratti di collaborazione a laureati e diplomati e ha finanziato dottorandi in Scienze Chimiche e in Biochimica. 62