CATTIVA di Carlo Lizzani
Di Riccardo Bernini
Film del 1991, unisce i temi del cinema di ricostruzione storica con alcuni aspetti
dell’inchiesta documentaria: la pellicola vede la presenza di Giuliana De Sio che veste i panni
di una donna della borghesia di inizio Novecento, lei manifesta quelli che vengono interpretati
come segni di squilibrio a causa di un complesso di colpa che diverrà il perno attorno cui si
consoliderà la storia del film.
Il film parte dal presupposto, vero, che la borghesia o la nobiltà, non fa differenza
nasconde i suoi figli abnormi. La normalità era, per certi versi è ancora oggi, una norma, nel
suo significato più stretto di legge, ma imposta dagli uomini.
L’opera di Lizzani non è certamente perfetta, né tantomeno spietata come Diario di una
schizofrenica (1982) di Nelo Risi, purtuttavia ci conduce entro i labirinti di una mente
affamata di verità: quando non si ha più nulla per cui vivere cosa ci resta da spartire colla vita?
Nella psicoterapia di stampo classico, quella di tipo empirico, il paziente era un oggetto
di studio da disumanizzare ed analizzare al microscopio. Il film di Lizzani rappresenta un
contributo importante poiché mostra il passaggio dalla psicologia empirica alla psicanalisi,
evidenziando anche i pericoli di un rapporto medico-paziente troppo basato sul trasporto
emotivo e l’attrazione amorosa.
Il paziente è una creatura umana prima di essere una persona che patisce. Nell’ambito
di un cinema che voglia trattare la malattia mentale questo si colloca tra i pochi che vogliano
indagare i metodi di cura per evidenziarne le differenze di carattere etico.
Desideriamo che risulti chiaro che non esiste cura rispetto al graffio dell’anima: la
psicoterapia serve a prenderne coscienza, una voce interiore afferma al malato che ha un
problema coi suoi stati interni ma non si tratta di una cura come quella derivata da terapie
farmacologiche, riguarda di più qualcosa che muove dentro e che ci aiuta a convivere con un
disagio rivelato ma inestinguibile.
Dalla pellicola di Lizzani si può benissimo evincere allora la differenza tra una cura
empirica, che finisce per essere una vuota sperimentazione tra tentativi ed errori e la
psicanalisi, un dialogo alla ricerca della chiave che blocca quella porta sul buio del complesso
di colpevolezza.
Senza dubbio un film non privo di difetti ma che affronta coraggiosamente quello che,
prima di Freud, era un tabu, una condanna senza appello o anche una morte civile.