Consiglio Pastorale Diocesano, 20 marzo 2015 In Gesù Cristo il nuovo umanesimo Relazione del lavoro del gruppo 1°: “Uscire” Per prima cosa ci siamo chiesti come vada inteso il verbo “uscire”: in forma fisica, plateale o in forma più discreta? Forse un efficace modo di “uscire” è anche il semplice esporsi nel proprio ambiente, nella propria professione. Ma “uscire” può anche essere interpretato con un “uscire dai propri schemi mentali”: quando lo si fa e ci si libera dalle incrostazioni si trova facilmente la via per incontrare il mondo. Si può “uscire” anche dall’individualismo, da un discorso privatistico per andare verso le varie realtà: realtà che vanno ascoltate, eventualmente corrette, ma da cui si deve anche imparare. Lo strumento sia quello della misericordia. Poniamoci accanto all’umanità e offriamo speranza. Per poter uscire ed incontrare il mondo e l’altro è però indispensabile provare, prima, un reale interesse per l’altro, perché possa instaurarsi un rapporto empatico, indispensabile per una efficace comunicazione. Una bella suggestione: Uscire è un’esigenza: vorremmo essere un fuoco che accende altri fuochi. Per alimentarsi il fuoco ha bisogno di aria: se sta al chiuso si spegne. Uscire è indispensabile. Ma usciamo evitando qualsiasi atteggiamento di scontro: sono finiti i tempi dell’apologetica. Ancora: uscire sapendo che il Signore mi precede: riconosciamo nel mondo i segni positivi, traccia del passaggio del Signore che è passato prima di me. E poi non carichiamoci di troppe angosce: non siamo noi, è Dio che salva. Solo Lui sa convincere. Infine: nell’uscire sentiamo anche un richiamo all’essenzialità: non si può portare tutto, verifichiamo ciò che è essenziale e ciò che è accessorio. Nell’uscire ci troviamo nella necessità di reggere il confronto con un mondo scientista che nega le realtà spirituali e soprannaturali dell’uomo e che fa anche un uso distorto della tecnologia: siamo in grado di farlo? Siamo una chiesa sufficientemente unita o diamo scandalo per le nostre divisioni? “Uscire” è un percorso. Per affrontarlo innanzi tutto dobbiamo essere comunità unita: impensabile uscire da soli. Da soli, chiusi nel nostro individualismo, non costruiremo nulla. Gesù stesso ha inviato gli Apostoli due a due. Noi siamo una comunità coesa? Sappiamo a cosa apparteniamo? Nel percorso di uscita sapremo avere una fede solida, sapremo essere fonte di speranza? O non saremo piuttosto cristiani annacquati? Una provocazione: e se il problema fosse il contrario e cioè non “uscire” quanto piuttosto “rientrare”? Cioè: abbiamo cristiani autentici che fanno forti esperienze di fede? Perché l’uscita è il risultato di un’intensa esperienza di fede: chi vive nella fede naturalmente “esce” a comunicarla. In chiusura una parola sulle famiglie: anche esse potrebbero, dovrebbero uscire per testimoniare la ricchezza della loro vissuta realtà di amore. (coordinatrice: Marina Del Fabbro)