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IMMAGINI IN CAMPO: INTERAZIONI E INTEGRAZIONI DECORATIVE
AL «CONVENTO ROSSO»
DI FABRIZIO BISCONTI
Chi sfoglia le pagine della storia costruttiva
del «Convento Rosso», proprio per quanto attiene
le strutture portanti dell’impianto, ma anche per
quanto riguarda l’intero apparato decorativo, si
rende conto, nell’impatto, che la prima
componente non riesce mai a disgiungersi dalla
seconda, proponendo un fenomeno emblematico,
forte, intimo di interazione ed integrazione delle
parti, talché interviene come una sensazione di
osmosi profonda che segna, incide, tocca
l’edificio in tutte le sue stagioni, ovvero dalle
origini tardoantiche o protobizantine, ancora
investite dai coni d’ombra dell’incertezza, vuoi
cronologica, vuoi culturale, sino al passato
prossimo e all’attuale stato di conservazione.
L’esito estremo delle diverse fasi e degli
innumerevoli cantieri attivi, nei secoli, al
«Convento Rosso» ci pone dinnanzi ad un
complesso edificio di culto che rimanda, nella
matrice icnografica, alle prime basiliche cristiane
che, proponendo la canonica aula longitudinale,
trovano nell’area presbiteriale il nucleo
architettonico privilegiato, articolato in un sistema
triconco, mosso e animato da un denso progetto
strutturale, tutto nicchie, colonne, timpani,
sistemati in registri sovrapposti e sostenuti da un
decoro pittorico estremamente denso nella gamma
cromatica, nel repetorio tematico, nel sistema
delle aree dipinte1.
E mentre è ancora leggibile l’elaborazione
architettonica degli ambienti, nel senso che si
avvertono molto nitidamente il progetto e
l’impianto dell’edificio, risulta meno giudicabile
proprio lo scenario decorativo che il tempo, le
manomissioni, nella specie delle ridipinture e dei
deleteri restauri del passato, le formazioni
deteriogene d’ogni tipo hanno compromesso sino
alle soglie della mancata comprensione,
specialmente per quanto attiene all’analisi di
dettaglio.
Se, infatti, tutta l’area presbiteriale e, dunque,
il triconco, che funge da testata absidale
dell’edificio di culto, risulta ancora percorribile e
ben comprensibile nella sua articolazione, nel suo
sviluppo architettonico, nella sua complessità
icnografica, tutto il trattamento decorativo appare
come filtrato da una scura carta velina, che
compromette il giudizio, la lettura, le vere e
profonde ragioni iconografiche. Ed anche i
restauri più recenti non sono riusciti a liberare le
aree pittoriche da questo pesante involucro
oscuro, una sorta di “patina nera” che deve
rappresentare, con ogni probabilità, il risultato di
una lunga e interminabile frequentazione cultuale
dell’ambiente.
Eppure l’analisi attenta delle singole unità
decorative e, segnatamente, delle nicchie, che
compongono, muovono e scandiscono il prezioso
triconco, permette finalmente di approdare ad una
idea generale del complesso decorativo, che
intanto colpisce per l’architettura negativa, che
sembra emulare e ricordare gli impianti palaziali
dell’età ellenistica, ma anche i mausolei imperiali
della civiltà romana, i martyria cristiani d’area
orientale, certi ambienti delle più sontuose ville
padronali dell’età tardoantica2.
A quest’ultimo frangente cronologico
rimanda, d’altra parte, proprio il concetto del
triconco, situato al culmine del percorso
longitudinale dell’edificio, come per custodire un
oggetto prezioso e voglio dire la tomba del
fondatore. In questo senso l’architettura
policroma, che disegna una pianta semicentrica
proprio nell’area presbiteriale, ci accompagna
verso i martyria di cui si è detto, ma anche verso i
santuari in senso più lato, che situano al centro
della struttura un’area di rispetto riservata,
protetta
eppure
solennemente
segnalata
dall’“architettura negativa”, che dialoga con il
prezioso apparato pittorico3.
L’una e l’altro rappresentano il vero
esponente comune e saliente di tutto il complesso
architettonico, nel senso che nel loro intimo
rapporto, nella loro osmosi, nel loro frenetico
interagire si legge la tensione della committenza e
delle maestranze verso il pensiero di chi volle
concentrare in questa “area sacra” il maggior
numero di valenze e di connotati, tali da
monumentalizzare la “tomba privilegiata”4.
L’espediente
per
segnalare
questo
“monumento nel monumento” è multiplo e
polisemico, nel senso che il triconco propone una
2
KRAUTHEIMER 1980, pp. 121-139.
DEICHMANN 1970, pp. 145-155.
4
GRABAR 1946.
3
1
DEICHMANN 1993, pp. 71-87.
1
ordinata, geometrica, aritmetica moltiplicazione di
altre conche, ovvero di nicchie, disposte in
duplice registro, designate da colonne dipinte e
sormontate da complicati capitelli corinzi e da
altre colonne più interne e paraste, sempre
sovraconnotate da una pittura interna, quasi ad
inserti, come per creare una trama serica, emula,
comunque, di quelle stoffe d’Oriente, da quelle
sassanidi a quelle più celebri, più note e più
consonanti con il nostro monumento, d’area e
cultura egizia cosiddette copte5.
I due ordini di nicchie sembrano assorbire le
tipologie più diverse, da quelle di specie
conchigliata di ascendenza ellenistica, a quelle più
scarne e essenziali dei colombari romani, a quelle
dei larari e dei piccoli templi dell’età tardoantica.
Se prestiamo un po’ d’attenzione a questa ultima
analogia, che può apparire “schizofrenica” ad un
primo impatto, i motivi di similitudine, invece, si
moltiplicano e toccano non tanto e non solo la
gamma delle forme, ma anche la sfera dei
significati, nel senso che i larari, come il triconco
fornito di nicchie, accolgono le immagini più
varie e mentre i primi raccolgono le divinità care
alle famiglie romane, il secondo sistema, entro le
diverse postazioni, immagini sante o simboliche,
che rappresentano un po’ il pantheon cristiano del
«Convento Rosso»6.
Rispetto alla organizzazione architettonica dei
larari, il triconco del «Convento Rosso» presenta,
com’è ovvio, una più meditata e geometrica
dislocazione delle nicchie, mentre è difficile
comprendere, allo stato attuale della conservazione dell’apparato pittorico, lo scenario
iconografico che connota i supporti e il repertorio
delle campiture, nel senso che la redazione attuale
non rispecchia in maniera palmare la primitiva
decorazione, anche se, quest’ultima, può essere
intercettata al di là delle superfetazioni del tempo.
Le nicchie accolgono oggi un nutrito
“santorale” locale, fatto di vescovi e monaci,
mentre quelle del settore centrale sembrano
velare, attraverso cortine chiuse, immagini
invisibili, come per lasciare intravedere un
suggestivo e misterioso aldilà. Questo espediente,
tanto caro alla cultura bizantina, viene da lontano,
quando la plastica funeraria accolse i cosiddetti
parapetasma, per ambientare le immagini dei
defunti in un nascosto oltremondo7. Ma questa
lontana memoria iconografica ha subito forti
trasformazioni significative ed anche grafiche
attraverso i secoli e, specialmente, attraverso la
civiltà bizantina, quando, intanto, i drappi informi,
che ricordavano ed emulavano le coperture dei
catafalchi, assumono l’aspetto più ordinato delle
cortine tirate o annodate e quando, poi, tali tende
assumono un forte ed autonomo ruolo
significativo, senza cioè fare più da sfondo ad altri
motivi ed immagini e divenendo, così, un vero e
primario argomento simbolico8.
Meglio decodificabile risulta la “quaderia”
delle immagini sante inserite nelle nicchie, che, se
non corrispondono a quelle realizzate nella prima
decorazione, devono comunque rispettare
postazione, taglio, atteggiamento e soluzione
iconografica. Le dimensioni e la struttura stessa
delle nicchie, infatti, sembrano adatte ed idonee
ad accogliere immagini-icona, piuttosto che
situazioni figurative complesse, magari ispirate
all’immaginario
biblico,
come
accade
nell’apparato decorativo di molte basiliche del
tempo, anche d’area egiziana.
Le nicchie si propongono, in questo senso,
come veri e propri campi da decorare, come
cornici da riempire, come sedi da popolare. Le
immagini, nella specie di figure sante a mezzo
busto, nell’atteggiamento compreso ed antico del
filosofo o nel gesto, pure classico, dell’expansis
manibus si dispongono nel casellario come icone
ataviche, come imagines clipeate, come immagini
in campo9.
Questa particolarità iconografica, che - a mio
modo di vedere - rappresenta il vero esponente
forte di tutto il progetto decorativo richiede una
particolare attenzione per decodificare le idee che
hanno ispirato l’intero scenario iconografico. Mi
riferisco proprio alle immagini in campo e dunque
alla nicchia figurata, che rappresenta la cellula
elementare di tutta la struttura figurativa. L’incavo
architettonico, intanto, rappresenta un espediente
classico per muovere le strutture ampie e piane,
ma si propone anche come un ricettacolo effettivo
o fittizio di oggetti di riguardo, che vanno dai testi
sacri, per quanto riguarda le sinagoghe, ai più
semplici volumi, per le biblioteche, alle statue per
i ninfei, agli elementi di illuminazione per gli
edifici di culto e per i cimiteri, alle reliquie per i
santuari. Nel tempo le nicchie assumono il ruolo
di postazione speciale per le figure eccezionali e
questo sviluppo si svolge specialmente in età
ellenista, ma giunge sino alla tarda antichità,
quando le figure dei defunti, nelle tombe
monumentali, sono inserite all’interno di incavi
concavi provvisti di nicchia conchigliata,
sistemata nello zenit di questi spazi, creando l’idea
di una calotta absidale10.
A questo ultimo riguardo occorre scendere nel
8
5
DU BOURGET 1991, pp. 2210-2230.
6
ENSOLI VITTOZZI 1993, pp. 221-243.
7
MAZZOLENI 2000, p. 243.
BISCONTI 1992, pp. 89-117.
Per il complesso decorativo cfr. il contributo di B.
Mazzei, in questo volume.
10
FAEDO 1992, pp. 89-100.
9
2
particolare e osservare la struttura tipologica della
nicchia che, al «Convento Rosso», propone una
coronazione complessa costituita da un timpano
spezzato, sostenuto da coppie di colonnine,
secondo lo schema offerto dai trofei, dalle facciate
di mausolei o templi e poi dai cibori cristiani.
Questo sobrio, ma efficace elemento, riveste un
ruolo generico, ma profondamente significativo,
per quanto riguarda il senso “protettivo” della
copertura, che funge da coopertorium, da finto
ciborio, secondo uno schema che ricorda le
sistemazioni tardoantiche dei sepolcri dei martiri.
Queste tombe, specialmente per quanto riguarda
l’area romana e le situazioni catacombali,
comportano, appunto una sorta di “ciborio
schiacciato” contro pareti di tufo, arricchito da
plutei o transenne e/o da iscrizioni monumentali e
rievocative, senza che intervenga un vero e
proprio supporto decorativo11.
Ma le nicchie del «Convento Rosso» sono,
inoltre, arricchite dalla piccola placca in stucco in
forma di conchiglia nello zenit della calotta. Le
piccole dimensioni di questo elemento, la
postazione e la caratterizzazione dello stesso ci
accompagnano verso un’iconografia di lunga
durata che ancora dall’età ellenistica conduce
verso la tarda antichità e il momento bizantino.
Sulla conchiglia situata nella sommità delle
nicchie si è molto riflettuto nel passato prossimo,
specialmente per quanto attiene alla natura
materica dell’oggetto, se essa, cioè, emuli proprio
la forma del guscio marino o se vada, invece,
considerata come un padiglione teso, che imita un
prezioso tessuto. In tutti e due i casi la conchiglia
assume un solenne significato apoteotico, mostra
un intento protettivo e si presenta come un segno
connotativo, come una sorta di sopralineatura per
gli elementi collocati nelle nicchie.
La nicchia conchigliata rimanda al concetto
delle camerae fulgentes, ovvero al primo
trattamento decorativo delle absidi degli edifici di
culto romani e, segnatamente, alle solenni calotte
di S. Pietro e della cattedrale lateranense già al
tempo di Costantino, quando – se interpretiamo
bene il Liber Pontificalis – le absidi venivano
ricoperte di un trattamento aureo, forse in
mosaico, forse in lamina12. Al di là delle diverse
interpretazioni sul significato filologico del
termine, che hanno diviso gli studiosi, sembra
opportuno indirizzare la nostra attenzione su quel
trattamento aureo, che connota le prime absidi
degli edifici di culto romani, prima di ogni
intervento iconico13. In tempi recenti, si è infatti
pensato che la camera fulgens sia proprio da in-
Fig. 1 - Città del Vaticano. Basilica di S. Pietro.
Ricostruzione dell’abside costantiniana con camera fulgens in
forma di nicchia conchigliata (da Apollony Ghetti et alii,
rielaborazione di B. Mazzei).
tendersi come una piccola placca in forma di
conchiglia situata nella sommità delle calotte,
proponendo, così una organizzazione strutturale
molto simile a quelle che decorano il triconco del
«Convento Rosso» (fig. 1). A questo riguardo,
infatti, si è ipotizzato che le conchiglie o i ventagli
che restano nelle decorazioni degli edifici di culto
medievali, proprio nello zenit delle calotte musive,
non siano altro che le “memorie” o i “fossili”
delle camerae fulgentes14.
La struttura delle nicchie del «Convento
Rosso», ossia la cosiddetta “nicchia conchigliata”
vuota o popolata, pronta ad accogliere icone, ma
anche animali, elementi zoomorfi, si muove un
po’ in tutto il mondo artistico antico, ma sembra
puntualizzarsi nel linguaggio figurativo di tipo
funerario, come dimostrano, ad esempio, i
mausolei della necropoli di Cirene e, segnatamente, la tomba del pastore con i pesci15, che
trova un sorprendente pendant in un cubicolo
dipinto nella catacomba romana anonima della via
Ardeatina16. Nei due monumenti le nicchie
conchigliate coprono singolari elementi simbolici,
nella forma di bucolici segni, sovraconnotati in
senso cristologico, per il tramite della materia
cosmica e cosmogonica.
A questo ultimo riguardo e sempre in ambito
funerario è bene ricordare il cosiddetto cubicolo di
11
14
12
15
BISCONTI 2000, pp. 363-383.
GUARDUCCI 1981, pp. 799-817.
13
BISCONTI 2001-2002, pp. 177-193.
ANDALORO-ROMANO 2000, pp. 93-124.
BACCHIELLI 1993, pp. 3-21.
16
BISCONTI 2001, pp. 181-216.
3
Fig. 2 - Roma. Ipogeo di via D. Compagni, cubicolo della Tellus. Arcosolio della parete di fondo con l’immagine della Tellus
(Archivio Fotografico P.C.A.S.).
Cleopatra nell’ipogeo romano di via Dino
Compagni17, dove il campionario cosmico, fatto
della personificazione dei venti, del fuoco,
dell’acqua, del cielo, si puntualizza nella lunetta
di fondo, dove, la personificazione della Tellus
(fig. 2), resa come una donna adagiata in un
campo di grano è definita da un arco-grotta, la
nicchia ctonia, che rimanda alle primitive
connotazioni terrestri dell’arte protostorica18,
mentre le personificazioni cosmiche abitano già le
nicchie conchigliate (fig. 3).
Ancora nell’ambito funerario, dobbiamo
rilevare il revival che si riscontra, in età
tardoantica, dei sarcofagi a scansione colonnare,
con timpani e archivolti che proteggono scene e
immagini, secondo una tipologia architettonica
che trova in Oriente e in Occidente redazioni
estremamente analoghe. La genesi di questi
sarcofagi monumentali, che interesserà, in seguito,
anche la forma dei reliquiari, va rispettivamente
ricercata nei sarcofagi di Sidamara e nella
produzione protoimperiale norditalica e troverà il
suo apex nella grande stagione ravennate, con i
sarcofagi a “nicchie conchigliate”, che
accoglieranno gli apostoli, i santi, i martiri, sino
alla piena età bizantina19 (fig. 4).
17
GUARDUCCI 1966, pp. 259-281.
Cfr. il contributo di S. Casartelli Novelli in questo
volume.
19
DE MARIA 1998, pp. 479-490.
Fig. 3 - Roma. Ipogeo di via D. Compagni, cubicolo della
Tellus. Parete nord con Aurae velificantes in nicchie
conchigliate (Archivio Fotografico P.C.A.S.).
Ma l’organizzazione architettonica e decorativa
del triconco del «Convento Rosso» cerca le sue
origini in molte altre manifestazioni monumentali
della tarda antichità, tanto che, rimanendo
nell’ambito della plastica funeraria tardoantica e
pensando al gioiello della produzione romana, si
approda al sarcofago di Giunio Basso20. Questo
monumentale sarcofago, che data – come è noto –
al 359 d.C., dispone le scene, desunte dal più
classico repertorio paleocristiano, all’interno di un
doppio registro di nicchie, che, nell’ordine
18
20
DEICHMANN-BOVINI-BRANDENBURG
1967, n. 680, 1-
3.
4
Fig- 4 - Ravenna. Basilica di S. Francesco. Sarcofago a nicchie conchigliate (Archivio Fotografico P.C.A.S.).
5
Fig. 5 - Città del Vaticano. Grotte Vaticane. Sarcofago con defunto entro nicchia conchigliata (Archivio Fotografico P.C.A.S.).
Fig. 6 - Ravenna. Basilica di S. Apollinare in Classe. Sarcofago a quattro nicchie conchigliate (Archivio Fotografico P.C.A.S.).
inferiore, alternano sistemi timpanati a vere e
proprie nicchie conchigliate, come se si volesse
emulare l’architettura monumentale del tempo,
con le navate laterali sormontate da matronei,
ossia da un secondo ordine colonnato, come
doveva succedere anche nel corpo longitudinale
del «Convento Rosso».
E la nicchia conchigliata avrà grande fortuna
nella più tarda produzione plastica funeraria
romana, trovando il suo apex in un sarcofago della
basilica di S. Pietro in Vaticano, che mostra una
solenne defunta sistemata nella nicchia cochigliata
al centro di due pannelli strigilati e tra i principi
degli apostoli, forse per adombrare la metafora
dell’Ecclesia tra le due partes dell’ecumene
cristiano, ossia l’ecclesia ex gentibus e l’ecclesia
ex circumcisione21 (fig. 5).
Ma la tipologia dei sarcofagi a “nicchia
conchigliata” oscilla tra l’Oriente e l’Occidente,
quando appare nei sarcofagi ravennati e in quelli
costantinopolitani. Per la prima produzione
basterà ricordare i sarcofagi del Museo Arcivesco-
21
Ibidem, n. 682.
6
Fig. 7 - Parigi. Museo del Louvre. Tessuto copto con figura
di orante in nicchia (dal sepolcreto di Schêch Sayet,
presso Aghmin).
vile22, di S. Apollinare in Classe23 (fig. 6), di Galla
Placidia24 con campiture simboliche e quelli di S.
Francesco e della Cattedrale con Cristo e gli
apostoli25; per la seconda produzione possiamo
menzionare gli splendidi esemplari conservati al
Museo di Istambul26, a quelli esposti ai Musei di
Stato di Berlino27 e quelli recentemente scoperti a
Silivri Kapi28.
Questi lontani precedenti iconografici, che si
muovono dall’età teodosiana sino alla prima età
bizantina, che propongono un immaginario
univoco tra l’ultima produzione romana e le prime
manifestazioni costantinopolitane, rappresentano
il preambolo e l’antefatto più significativo di
quella convergenza figurativa che il Kitzinger
volle opportunamente definire “sintesi giustinia-
nea”29. Da questo snodo figurativo si muovono e
crescono le idee iconografiche, consegnando alle
diverse “stagioni bizantine” un immaginario che
crescerà e si puntualizzerà sino alle soglie del
Medioevo.
Nel triconco del «Convento Rosso» questa
lezione figurativa così ricca, così protratta
attraverso i secoli, così composita nelle strutture e
nelle campiture, arriva attraverso vari filtri
culturali e diversi apporti decorativi che
convogliano,
nel
monumentale
scenario
iconografico, tutta la grande esperienza
ellenistica, tutto il repertorio della tarda antichità,
tutte le manifestazioni della civiltà bizantina.
Ecco, dunque, che nel triconco appare un
ritmico ed ossessionante casellario, costituito dalla
moltiplicazione delle nicchie conchigliate,
incavate, stuccate, dipinte, popolate di uomini,
cortine animali e sovradipinte anche e addirittura
all’interno delle tre grandi conche riservate ai temi
teofanici.
Ecco che il cosmo, inteso come “alfabetario
visivo” edenico e paradisiaco, appare come
incasellato ed ordinato entro un casellario
geometrico che, forse, vuole manifestare
l’intelligente “ordine delle cose”, secondo una
prassi figurativa sperimentata dalla grande
tradizione musiva pavimentale nordafricana, ma
anche orientale30, ma che nell’Egitto tardoantico e
protobizantino si manifesterà specialmente nella
produzione tessile.
Da Antinoe31 e da Achmin32 provengono
frammenti di stoffe che propongono, a vivi colori,
un “mondo meraviglioso ed altro”, un aldilà gaio
e popolato di santi, aquile, croci, animali entro un
ordito fatto di riquadri, nicchie, archivolti, registri,
bande, formelle, per emulare le decorazioni
architettoniche (fig. 7). Con questi manufatti,
presumibilmente tessuti e inventati in ambiente
egiziano il complesso decorativo del triconco del
«Convento Rosso» sembra interagire e dialogare,
parlando una medesima lingua e perseguendo uno
stesso intento significativo.
22
VALENTI ZUCCHINI-BUCCI 1968, n. 29.
Ibidem, nn. 28 e 31.
24
Ibidem, n. 30.
25
Ibidem, nn. 8, 9, 17.
26
FIRATLI 1990.
27
AA.VV. 2000.
28
DECKERS-SERDAROGLU 1995, pp. 674-681.
23
29
KITZINGER 1989, pp. 91-109.
MAGUIRE 1987.
31
GAYET 1898.
32
FORRER 1891.
30
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