51 GIORNALE DI BRESCIA VENERDÌ 3 DICEMBRE 2010 CULTURA&SPETTACOLI Continuum e lancia di luce ■ Sculture di Arnaldo Pomodoro a Chiari: a sinistra, un pannello del «Continuum» parietale che innalza per la prima volta a L’Incontro; sopra la Lancia di luce alta 7 metri collocata in piazza Zanardelli e una colonna-icona ARNALDO POMODORO Sfida allo spazio, arcaica e futuribile Alla Galleria L’Incontro di Chiari si apre una mostra con opere, anche di grande impatto, dello scultore italiano forse più celebrato nel mondo negli ultimi decenni. I grandi interventi ambientali A rnaldo Pomodoro è stato negli ultimidecenni lo scultoreitaliano più celebrato nel mondo (dai Gran Premi alle Biennali di San Paolo del ’63 e Venezia del ’64 fino al Premium Imperiale - il Nobel giapponese - del ’90) per grandi interventi ambientali: piramidi,steleistoriate,obelischi,cubi, cilindri, dischi e sfere che sembrano strappati al segreto di grandi civiltàdella terra e dei metalli. Solidi perfetti, «magici», che si fendonocome voragininellaterraerivelano il brulicare delle proprie energie segrete, o misteriose corrispondenze, come straordinarie macchine insieme archeologiche e fantascientifiche. Una sua lancia di luce alta 7 metri da qualche giorno svetta in piazza Zanardelli a Chiari, da dove s’irradia tutta l’antica struttura urbana, annunciando il desiderio di sfidare lo spazio condensato nella scultura di Pomodoro, che torna alla Galleria l’Incontro di Chiari (via XXVI Aprile 38) con la quale avviò una collaborazione già nel 2006. Domani,sabato, alle 17.30,il famososcultore sarà presente alla vernice della mostra - poi aperta fino al 27 febbraio - che concentra in 22 opere, anche di notevoli dimensioni,le sue ideeed isuoigrandi stilemi. Costituisce anzi l’anteprima prestigiosa d’una rassegna nel 2011 alla Malborough di New York, una delle più importanti allerie del mondo. Pomodoro è scultore che intende l’arte come istituzione umana e sociale, che coinvolge e modifica la forma urbana e il paesaggio. Come nella lancia clarense, i bronzi dorati specchianti, gli scorrimenti della luce nelle varie ore del giorno, i ristagni sui piombi cupi permettono di rinnovare continua- Un’anteprima della mostra alla Malborough di New York menteilpuntodivista,cosìcomeinserzioni o giustapposizioni di alfabeti cifrati, enigmatici, danno architettura segnica al divenire continuo dell’esistenza. Pomodoro è nato nel 1926 in Romagna ma ha trascorso l’infanzia nel Montefeltro. Ha sempre richiamato in quel Montefeltro il modello primario del suo fare scultura: il contrasto tra l’ordine rinascimentale, la dolcezza delle colline e l’improvvisa scheggiatura della rupe di San Leo. Dopo una prima esperienza di oreficeria, èmaturatoalla scultura aMilanoneglianni ’50, raccogliendo due istanze apparentemente antitetiche dell’epoca: l’inquietudine dell’informale, tesa a sondare la Arnaldo Pomodoro nel suo studio psicheaffondandonellamateria, e lafiducia in forme simboliche come strutture eterne della conoscenza, capaci di richiamare al dialogo con un deposito mitico, arcaico, stratificato nel fondo della coscienza di ogni uomo. È il segno brulicante che muove lo spazio, lo rende «instabile», lo proietta dalla quotidianità «ordinata» in regioni remote, prossime al sogno ed alla grande utopia. Come il «continuum»parietale disei pannelli (160 x 450 cm) che innalza per la prima volta a Chiari, tra scrittura simbolica nella materia e sviluppo tendenzialmente infinito, a scandire la corrispondenza tra strutture umane e cosmiche. Il ritmo musicale sta alla base della sua scultura, perché il peso della materia scompaia. Dal cuore spaccato dei solidi di Pomodoro si sprigionano energie che vogliono essere coinvolgenti: recano messaggi che paiono magari indecifrabili, ma sono segni d’un passaggio d’antenati o di vite fu- turibili su pianeti lontani. C’è chi sottolineacome«Lacolonnadelviaggiatore»potrebbe aver ispirato lo Stanley Kubrick di «2001, Odissea nello spazio», film epocale del 1968. L’artista ha fatto convivere la funzione dinamica e ritmica del segno fittamente ripetuto, che evoca anche remote grafie arcaiche (specie la cuneiforme Nella sua Fondazione a Milano ora è in mostra la scultura del XXI secolo delle tavolette d’argilla mesopotamiche), con i grandi modelli formali che da iniziali bassorilievi sono evoluti in volumi regolari primari, legati alla grande utopia costruttivista nella tensione all’esattezza di rapporti (anche dell’uomo integrale, in un mondo più giusto). Ma a Pomodoro si deve pure un magnifi- co spazio per l’arte contemporanea con la sua Fondazione a Milano, in via Solari. Cinqueanni fal’avviòcon«La scultura italiana del XX secolo»; ora, fino al 30 gennaio, propone «La scultura italiana del XXI secolo», con opere di artisti tutti nati nel Secondo ’900, da Nunzio e Dessì a Cattelan, Bartolini, Dynys, Arienti, Moro, Beecroft, Cecchini, Sissi, Demetz, Cuoghi, fino ai giovani Sassolino, Simeti, Previdi, Gennari. Una scultura che mette in crisi il fondamentoplastico,talorapersinola formaconcretadellecose, masi proponeancoracomeillinguaggio capacedi«motivare» lo spazio a luogo di senso e di riflessione. Perché noi stiamo perdendo il senso dellospazioe delmondo intero,nella progressiva sostituzione dell’idea di durata con quella di istantaneità. Gli artisti raccolgono le energie stesse che strutturano le forme, accettano anche il senso dell’assenza (quel che non si vede, ma c’è). Fausto Lorenzi Romero, il vescovo che udì il grido del suo popolo Presentato il libro di Anselmo Palini sul prelato ucciso in Salvador. «Un montiniano in America Latina» I l 24 marzo 1980 Oscar Romero viene ucciso da un colpo di fucile durante la Messa che sta celebrando nell’ospedale della Divina Provvidenza. Sono trascorsi 30 anni dall’assassinio di questo «martire e testimone della fede e della nonviolenza»: così l’ha definito ieri Anselmo Palini, alla libreria dell’Università Cattolica, presentando il suo libro «Oscar Romero. Ho udito il grido del mio popolo» (Ave edizioni, prefazione di Maurizio Chierici) nel quale ricostruisce la biografia dell’arcivescovo di San Salvador. All’incontro - organizzato da Pax Christi, Ccdc, Azione Cattolica, Acli, Società di San Vincenzo de’ Paoli hanno partecipato Gianni Borsa, direttore editoriale di Ave, e Fulvio De Giorgi, docente di Storia dell’educazione all’Università di Modena-Reggio Emilia. De Giorgi ha riletto il libro di Palini evidenziando il drammatico contesto in cui operò: «La repubblica a regime militare» del Salvador, governata da un’oligarchia violenta e segnata dalla «violenza strutturale» della miseria in cui era costretta a vivere la maggior parte della popolazione. Romero si confrontava con «due linee pastorali estreme: da una parte la spinta rivoluzionaria della teologia della liberazione, che non rifiutava la lotta armata; dall’altra la forte presenza nel Paese di un tradizionalismo cattolico conservatore e filo oligarchico». Quando divenne arcivescovo, all’inizio del 1977, era ritenuto un cauto conservatore. Ma egli fu, secondo De Giorgi, «un montiniano incarnato nella situazione pastorale dell’America Latina». Ispirato in gioventù dalle encicliche di Pio XI che nel 1937 «affermò la fermezza della Chiesa contro le violenze della politica e la necessità di essere fedeli a Dio prima che agli uomini», Romero cercò una «bene intesa teologia della liberazione, operando un discernimento che rifiutasse la violenza». Fu però un atto violento a cambiare la sua vita: l’assassinio, il 12 marzo 1977, del padre gesuita Rutilio Grande, che esercitava l’attività pastorale in una parrocchia rurale condividendo le condizioni di vita dei contadini. Da questo evento scaturisce «il vero e anche l’unico Romero». Nell’omelia che pronuncia al funerale di Grande «è contenuto il suo programma pastorale», che si richiama a Paolo VI: la Chiesa partecipa alla lotta di liberazione dei poveri e degli emarginati, prestando ad essa «uomini liberatori, ai quali però dà un’ispirazio- Anselmo Palini autore del libro su Oscar Romero ne di fede e, soprattutto, una motivazione di amore, di amore fraterno». Il 21 giugno 1978 incontra il Papa che gli conferma il proprio sostegno, mentre cresce contro di lui l’ostilità dei militari; ma anche dalla Conferenza episcopale salvadoregna si levano non poche voci critiche. «Romero - ricorda Palini - ha prestato la propria voce al suo popolo: lo faceva soprattutto nelle omelie del primo mattino, quando non aveva scrupoli nel denunciare con nomi e cognomi le responsabilità». Il libro contiene molte, emozionanti citazioni dai suoi discorsi: «Si deve mettere bene in chiaro - affermava - che il conflitto è tra il governo e il popolo. Vi è conflitto con la Chiesa perché noi ci poniamo dalla parte del popolo». Pure, l’arcivescovo cercava il dialogo con tutti: dopo la sua morte il Paese cadde in una guerra civile durata 12 anni. Giovanni Paolo II - col quale Romero ebbe inizialmente un rapporto controverso - nel maggio 2000 l’ha annoverato tra i martiri del XX secolo. Accanto al suo nome Palini invita a porre anche quello di un bresciano: don Pierluigi Murgioni, dal 1972 per 5 anni imprigionato e torturato in Uruguay. È morto nel 1993. Fu lui a tradurre in italiano il Diario di Romero. Nicola Rocchi